guerra
Uomini contro uomini
La guerra è una presenza costante e drammatica nelle vicende dell’umanità e ha condizionato in ogni tempo le strutture sociali, l’economia, la cultura. Le guerre, però, sono state sempre diverse, e ogni epoca ha avuto il suo tipo di conflitti. Scene di guerra sono raffigurate già nei graffiti risalenti al Paleolitico, decine di migliaia di anni fa. Gli uomini si sono combattuti con mezzi prima semplici e poi sempre più complessi: dalle asce costruite innestando frammenti di pietra su aste si passò all’arco, che fu la prima arma che permise di colpire un avversario da lontano. La scoperta dei metalli aprì nuove strade: lance o spade in rame e poi in bronzo e quindi in ferro furono affiancate da corazze e scudi sempre meno rudimentali. Poi arrivò la polvere da sparo…
Prime tracce di organizzazione militare sono rinvenibili tra i Sumeri, attorno al 2500 a.C. Il re Sargon fondò intorno al 2300 l’impero Akkadū, che si estese dal Mediterraneo al Golfo Persico. Egli iniziò aggregando con la forza le piccole città-Stato sumere che avrebbero potuto aggredire quella di Kish di cui era divenuto signore: le guerre intraprese gli garantirono non solo sicurezza, ma anche ricchezze. Nel corso del secondo millennio in quella stessa area prevalsero gli Assiri, che svilupparono moltissimo le tecniche militari. Le truppe a piedi erano equipaggiate con spade e lance, e cavalieri armati di arco e frecce ne favorivano l’avanzata mentre i comandanti guidavano le operazioni posizionati su carri a due ruote. Gli Assiri fortificarono le loro città con cinte poderose di mura e fu ai loro tempi che comparve l’ariete, strumento capace di abbattere le fortificazioni. Il loro dominio alla fine del 7° secolo si estendeva dall’Anatolia al Caucaso, all’Egitto.
Fu attorno al 700 a.C. che si formò la potenza persiana, capace di minacciare a più riprese il mondo greco e su cui i Greci nel 5° secolo riuscirono ad avere la meglio grazie a una più efficace organizzazione della fanteria. Quella persiana era molto più numerosa e armata di archi, quella greca era però organizzata in falangi, piccole formazioni composte di fanti che combattevano gomito a gomito armati di lunghe lance e difesi da scudi. La compattezza delle falangi fu l’arma vincente di uno scontro che sulla carta avrebbe dovuto favorire i rivali. Fu in questo tempo che i Greci fecero importanti innovazioni anche nel campo della guerra marittima: essi trasformarono le navi da mezzi di trasporto in armi da guerra dotandole di uno sperone capace di affondare le imbarcazioni nemiche.
Gruppi di popolazioni greche si trasferirono per tutto il bacino mediterraneo, raggiungendo un’espansione territoriale non conseguita con le armi o ricorrendo a esse in modo molto limitato. Nel loro territorio i Greci dimostrarono sempre grande capacità di mobilitazione nel respingere le minacce esterne, soprattutto persiane, ma le loro città-Stato continuarono invece a combattersi senza sosta. Una serie continua di guerre che sfiancarono in primo luogo Atene e Sparta.
I conflitti tra i Greci facilitarono l’affermarsi della dinastia macedone verso la metà del 4° secolo a.C. Il re Filippo e poi il figlio Alessandro poterono contare su un esercito straordinariamente strutturato. Il nucleo della forza macedone era costituito dalle falangi: i fanti pesanti erano rivestiti di corazze e protetti da elmi. Nella mano destra tenevano una lunga lancia, nella sinistra uno scudo che copriva per metà il corpo del fante e per l’altra metà quella del soldato vicino. Ai fianchi queste formazioni erano protette da altri soldati dotati di armi più corte, e la cavalleria garantiva ulteriore copertura. Nel 334 a.C. Alessandro si lanciò alla conquista dell’Asia. Disponeva di circa 35.000 uomini: 24.000 erano i fanti, mentre la cavalleria pesante contava su 4.000 elementi. Seguiva la cavalleria leggera e quindi reparti più piccoli specializzati: arcieri cretesi, frombolieri (guerrieri armati di fionda) di Rodi, lanciatori di giavellotti. Arieti, torri mobili per varcare le mura, catapulte per lanciare proiettili incendiari completavano l’arsenale. Con questi uomini arrivò fino in India.
Dopo il regno di Alessandro le più significative innovazioni riguardarono la guerra navale. La trireme greca fu soppiantata dalla quinquereme e poi da navi ancora più grandi con un numero ancora maggiore di ordini di remi. Il faraone d’Egitto Tolomeo V (209-181 a.C.) disponeva di una nave lunga 150 m, larga 19, capace di imbarcare 4.000 rematori, 2.800 soldati e 400 membri di equipaggio. Più di una portaerei moderna! A partire da questo periodo, inoltre, sempre più spesso nel campo dell’organizzazione militare si fece ricorso a forze mercenarie. Nel campo delle tecniche militari si perfezionò la tattica d’assedio: piuttosto che assalire città fortificate le si costringeva alla resa per fame, ricorrendo al blocco dei rifornimenti.
A margine di tutto ciò s’affermava progressivamente la potenza di Roma. A farne le spese furono anzitutto, a una a una, le popolazioni italiche – Sanniti, Etruschi e altri – ma ben presto i Romani si lanciarono anche nella competizione nel Mediterraneo. Lo scontro con Cartagine per il controllo della Sicilia creò la loro potenza navale. Oltre allo sperone, i Romani dotarono le loro navi del ‘corvo’, un pontone munito di uncino che permetteva di agganciare le navi nemiche per favorire l’assalto delle truppe.
Nel 256 a.C. a Capo Ecnomo, presso Gela, si svolse la più grande battaglia navale di tutti i tempi per partecipazione di uomini. Nelle 350 quinqueremi romane e nelle 330 cartaginesi erano stipati 280.000 uomini. Furono i Romani a prevalere, ma la Prima guerra punica durò ventitré anni (264-241) e comportò gravissime perdite: 700 le navi perse dai Romani, 500 dai Cartaginesi. La Seconda guerra punica vide i Romani opposti ad Annibale. Tutto il Mediterraneo ne fu coinvolto, dal 219 al 201, tanto che si parla di essa come del primo conflitto totale.
Il servizio militare presso i Romani era obbligatorio e solo i più poveri ne erano esentati. L’addestramento era curatissimo e i soldati erano retribuiti per il loro servizio anche se ciascuno di loro, in relazione alla propria ricchezza, doveva pagarsi le armi. Queste erano soprattutto costituite dal gladio, spada corta a doppio taglio, dalla lancia e dal più leggero giavellotto. Lo scudo, ovale in età repubblicana, divenne quadrangolare in epoca imperiale. Queste armi leggere garantivano l’estrema mobilità degli uomini, non più organizzati in falangi, ma nei più agili manipoli che univano i soldati giovani a quelli più esperti. L’unità tattica fondamentale dell’esercito erano le legioni, composte da 5÷6.000 soldati, tutti cittadini romani. La cavalleria veniva utilizzata in prevalenza per schermaglie ed esplorazioni.
Alle capacità militari i Romani univano sapienza politica: le popolazioni vinte non venivano soggiogate, ma aggregate quali alleati (e, più tardi, direttamente assimilate). Nel 225 a.C. i Romani poterono così opporre agli invasori celti una forza di 800.000 uomini. Un esercito enorme!
In età imperiale furono riorganizzate le legioni, che oscillarono da 25 a più di 30. Esse radunarono circa 125.000 uomini. A esse si affiancavano le truppe di ausiliari, non romani, numericamente equivalenti. Con le invasioni barbariche le schiere finirono per essere per buona metà costituite da soldati germanici. A mano a mano Roma perse capacità nel difendersi e la struttura militare che ne aveva garantito l’affermazione ne uscì fortemente ridimensionata.
Se i Romani avevano puntato tutto sulle fanterie, un’innovazione portata dal popolo degli Avari nel 7°- 8° secolo d.C. rivoluzionò l’arte della guerra. L’uso della staffa, probabilmente inventata in India, assicurava stabilità nel montare i cavalli e garantì un nuovo ruolo e grande efficacia alla cavalleria. I cavalieri armati di arco, lance o spade furono così per diversi secoli padroni assoluti dei campi di battaglia, con forti conseguenze sul piano politico e sociale. Essi dovevano badare al proprio animale ma anche curare un armamento – corazze e armi d’offesa – sempre più perfezionato. L’esigenza di retribuire i cavalieri per i loro costosi servizi al sovrano contribuì alla creazione del sistema feudale.
Al predominio della cavalleria misero freno nel 14° secolo armi di nuova concezione: le balestre (la Chiesa, nel 1139, ne autorizzò l’uso solo contro gli infedeli, perché considerate armi micidiali) e, ancor di più, l’arco lungo utilizzato dagli Inglesi nel conflitto contro la Francia noto come la guerra dei Cent’anni. Questo perfezionatissimo strumento era capace di far penetrare nelle corazze dei cavalieri frecce scagliate da 200 metri. Più tardi, i fanti avrebbero preso a utilizzare le alabarde, un tipo di lancia la cui particolare estremità veniva utilizzata per disarcionare i cavalieri.
La polvere pirica compare in Europa tra il Duecento e il Trecento. La prima notizia certa sull’esistenza di cannoni risale al 1326 e per lungo tratto furono i cannoni, più che le armi da sparo leggere – fucili e pistole – assai più difficili da produrre, a essere utilizzati in guerra. Anche l’uso dei cannoni dovette però essere perfezionato. Per lungo tempo essi risultarono troppo fragili, composti com’erano di cilindri di ferro saldati l’uno con l’altro, troppo pesanti, oltreché troppo costosi. A determinarne l’affermazione fu l’introduzione nel 15° secolo dell’altoforno a produzione continua che facilitò la produzione del ferro. È intorno al 1430 che comparve il cannone montato su due ruote, ma di fatto fino al 1480 l’artiglieria pesante non ebbe un’importanza decisiva nelle battaglie.
Perché le armi da fuoco si affermassero e trasformassero radicalmente la tecnica militare, fu necessario un lungo e lento sviluppo. La camera per la polvere da sparo da esterna che era, e spesso avvitata all’arma solo quando serviva, divenne un suo elemento interno. Si cominciarono poi a costruire cannoni con lega di bronzo e si capì il rapporto tra polvere, peso della palla, lunghezza della canna, calibro e dimensioni della camera da sparo.
Con i progressi delle artiglierie cambiarono le fortificazioni: i terrapieni sostituirono le cinte di muraglioni. Anche le armi leggere ebbero una lenta evoluzione. Il pesante archibugio, utilizzato già nel 15° secolo, andò via via alleggerendosi e perfezionandosi fino a trasformarsi nell’odierno fucile. Fino al 19° secolo, però, dopo ogni sparo l’arma andava ricaricata.
Dal 1618 al 1648 si combatté in Europa una guerra generale e crudele che vide un massiccio utilizzo di armi da fuoco e il formarsi di eserciti che mai, almeno dall’antichità, erano stati così ingenti. Fu un conflitto che iniziò opponendo le forze protestanti alle cattoliche e che si trasformò in tutt’altro, finendo col generare un nuovo ordine europeo basato su un equilibrio non più fondato sulla contrapposizione religiosa ma su una logica di interessi diretti degli Stati. Fino alla Rivoluzione francese le guerre ebbero un carattere più limitato. Sull’esempio della Prussia vennero intanto a costituirsi eserciti nazionali, non più dunque basati su mercenari, spesso inaffidabili perché sempre alla ricerca di un salario migliore.
La Rivoluzione francese trasformò i sudditi in cittadini. Nell’esercito, che contava già nel 1793 un milione di armati, vennero chiamati tutti i maschi francesi abili. A guidarlo furono incaricati ufficiali giovani, motivati e preparati, il più celebre dei quali fu Napoleone Bonaparte, e con ciò si introdusse un criterio di competenza e di merito in un settore che era stato fino allora considerato esclusivo appannaggio dei nobili.
Napoleone fu un genio militare, ma fallì la sua più grande impresa – l’invasione della Russia – per la difficoltà di rifornire la sua poderosa armata di 600.000 uomini a tanta distanza e in condizioni climatiche così difficili. I venticinque anni di guerra continua della Francia rivoluzionaria e poi imperiale causarono oltre un milione e mezzo di morti all’esercito francese: chi combatteva in queste schiere aveva la consapevolezza di combattere per un bene comune, la patria, e non per gli interessi di un sovrano e di una dinastia.
Con la comparsa degli Stati nazione, che soppiantarono gli Stati proprietà delle monarchie, compare un altro tipo di guerra, che coinvolge ormai intere popolazioni, all’insegna del ‘tutti combattenti’. La coscrizione (cioè il servizio militare) obbligatoria si impose ovunque e nuove acquisizioni tecnologiche trasformarono la guerra. Esplosivi più potenti, nuovi fucili a caricatore multiplo e con la canna rigata per assicurare la rotazione del proiettile durante il suo tragitto che diventava in questo modo molto più preciso. E ancora, la mitragliatrice, il passaggio dalla marina a vela a quella a motore e dalle navi in legno a quelle in ferro, il siluro, il sottomarino, l’aviazione, e così via. Si creavano i presupposti perché le nuove guerre fossero totali ed estremamente distruttive. La possibilità di utilizzare la bomba nucleare rese poi troppo alto il rischio di nuovi conflitti totali.
Fin qui si è detto come veniva fatta la guerra. Dalla lotta dell’uomo contro l’uomo o tra tribù agli immensi eserciti dell’antichità che garantirono la creazione di grandi domini. Dopo la caduta dell’Impero Romano si affermò la cavalleria. Gli eserciti furono più contenuti nelle dimensioni e ne furono protagonisti i nobili, che fecero della guerra uno strumento di potere e autoaffermazione. I cavalieri nel basso Medioevo vennero poi sostituiti dalla fanteria e questa fu costituita da mercenari, ossia soldati in affitto, a pagamento, che costituirono gli eserciti fino al 18° secolo.
Ma perché veniva fatta la guerra? Un po’ forzatamente individuiamo le fasi di un percorso molto complesso. Le guerre antiche erano guerre di sopravvivenza. Si conquistavano territori per acquisire ricchezze e potere, ma si attaccava il nemico anche per evitare di essere da questi annientati. Nel Medioevo il potere si frammentò. Si combatté tra città-Stato e la guerra assunse spesso i contorni della guerra civile, all’interno delle comunità. A fianco di ciò erano poi le crociate, che furono guerre di conquista camuffate dalla connotazione religiosa.
Nella prima età moderna si affermarono monarchie caratterizzate da una concezione patrimoniale dello Stato. I domini erano proprietà del sovrano e si acquisivano con la guerra, ma anche grazie a matrimoni o eredità. Gli eserciti contavano ancora su (solo) decine di migliaia di unità e la guerra fu per lungo tempo sostanzialmente ancora affare di pochi, anche se i passaggi delle truppe provocavano distruzioni e ruberie. Avvicinandosi al nostro tempo la guerra divenne invece affare di popoli (riguardante non solo eserciti numerosissimi ma interi territori) e sempre più distruttiva.
Il tempo a noi vicino ha generato nuovi tipi di guerra: è detta chirurgica quando si vorrebbero colpiti solo obiettivi limitati; è umanitaria quando essa si propone di ripristinare diritti fondamentali dei popoli, se violati; è preventiva quando si intende distruggere il potenziale bellico di un avversario prima che esso possa rivelarsi minaccioso. Nuovi termini e definizioni che però non mutano l’essenza della guerra.
La guerra è distruzione e dolore, e la si fa, da sempre, perché non si vuole o non si riesce a ricorrere alla mediazione, alla soluzione politica, al compromesso, per risolvere i contrasti. L’Italia, come opportunamente enuncia la nostra Costituzione, ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.