Sparta
Lo Stato-caserma
Fondata dai Dori – gli ultimi invasori indoeuropei della penisola greca –, Sparta è passata alla storia come una città-Stato la cui principale caratteristica era vivere costantemente in armi. In realtà, questo era vero soprattutto per la casta dominante, quella degli spartiati, il cui unico compito era impegnarsi per l’affermazione della patria in politica estera e per il mantenimento dell’ordine costituito all’interno. Proprio quest’ultimo obiettivo era particolarmente delicato, perché gli spartiati costituivano un’esigua minoranza rispetto al resto della popolazione spartana, che era priva di diritti politici e civili – come nel caso dei perieci – o addirittura della libertà – come nel caso degli iloti
Durante il 2° millennio a.C. la penisola greca fu sommersa da popolazioni di stirpe indoeuropea provenienti dal Nord: non sappiamo con certezza le modalità di questo evento, se cioè si trattò di due grosse migrazioni – una all’inizio e una alla fine del millennio – o di numerose ondate successive, scaglionate nel tempo (Grecia, storia della). Quello che però possiamo dire con certezza è che, in un caso o nell’altro, l’ultima migrazione fu quella dei Dori, popolazione proveniente dalla zona illirica: verosimilmente, a cavallo fra il 12° e l’11° secolo, secondo la tradizione discese nella parte centrale della penisola greca per poi attraversare l’istmo di Corinto e sciamare nel Peloponneso. Qui, nella regione centromeridionale, verso il 10° secolo i Dori fondarono Sparta, realizzando fra quattro insediamenti preesistenti un sinecismo – parola d’origine greca che vuol dire «coabitazione» e si riferisce al processo di unione di più centri indipendenti in un’unica città-Stato.
Ben presto Sparta divenne la più potente città-Stato nella regione (formata dai territori della Laconia e della Messenia), che sottomise nel giro di circa due secoli. Contrariamente però a quello che era successo nelle altre regioni della Grecia durante la precedente ondata indoeuropea – quando gli invasori si erano mescolati senza troppi problemi alle popolazioni locali, dando origine a società piuttosto omogenee –, i conquistatori dorici rimasero una casta chiusa, coincidente con gli spartiati, dominanti sulle classi soggette, quella dei perieci e – soprattutto – degli iloti.
Gli spartiati. Cittadini di diritto pieno, a essi era demandato un solo compito: quello di servire costantemente la patria in armi. Allo spartiate era proibito dedicarsi ad attività commerciali e manifatturiere, e la sua agiatezza derivava dal klèros, uno dei grandi appezzamenti di terreno in cui fin dalla fondazione della città era stato diviso il territorio metropolitano e che veniva trasmesso dal padre al figlio primogenito. Il possesso di un klèros era il requisito fondamentale per il godimento dei pieni diritti, che a loro volta davano la possibilità di far parte della vita pubblica e di partecipare alla conduzione dello Stato. Il klèros – per legge di proprietà dello Stato, e che allo Stato ritornava nel caso di assenza di eredi – era coltivato dagli iloti, che erano tenuti al pagamento fisso di parte del ricavato allo spartiate che aveva in concessione il terreno.
Gli iloti. Di proprietà statale, erano privi di qualsiasi diritto politico e civile, veri e propri schiavi tenuti a servire in parte come agricoltori e allevatori in parte come personale di servizio presso le famiglie degli spartiati, che risiedevano tutti in città. In guerra, prestavano servizio militare come aiutanti degli spartiati.
I perieci. La classe dei perieci costituiva un elemento importantissimo della società spartana, perché si occupava di quelle attività che non potevano essere svolte né dagli spartiati né dagli iloti ma che erano indispensabili per la sopravvivenza di uno Stato. Oltre all’agricoltura, infatti, essi potevano dedicarsi al commercio e all’industria. I perieci erano uomini liberi e probabilmente appartenenti alla stessa stirpe degli spartiati, ma privi dei loro diritti politici e civili. Si è ipotizzato che questa posizione ibrida debba risalire al tempo della costituzione dello Stato spartano, allorché gli antenati dei perieci, in origine cittadini di pieno diritto, dovettero far parte di quella quota di Dori destinati a essere stanziati per ragioni militari ai confini del territorio – e in effetti il nome perieci deriva dal greco perìoikoi, che vuol dire «abitanti dei dintorni». Con il passare del tempo essi dovettero finire per assumere una posizione di dipendenza nei confronti degli altri cittadini che, risiedendo a Sparta, riuscivano a partecipare pienamente alla conduzione della vita politica. Pur godendo di una certa autonomia locale, come gli iloti anche i perieci in caso di guerra erano tenuti a scendere in campo a fianco degli spartiati, ma la loro posizione di uomini liberi concedeva loro di essere inquadrati in reparti combattenti e strutturati.
Nel corso del tempo la maggior parte delle città-Stato greche – Atene in testa – seppe sperimentare assestamenti sociali, politici ed economici che assecondassero gli inevitabili cambiamenti apportati dal procedere della storia. A Sparta, invece, questo non avvenne: fra la fine del 7° e l’inizio del 6° secolo la gerarchica e classista struttura della monarchia spartana si irrigidì per non evolversi più, tanto che la città è divenuta un po’il simbolo di un organismo politico rigido e chiuso a ogni soffio di libertà e di progresso severo: non a caso, ancora oggi si usa l’aggettivo spartano per indicare qualcosa che è austero ed essenziale.
In realtà, le cose non erano sempre andate così. Non diversamente dai più fiorenti centri del mondo greco, Sparta aveva avuto una sua brillante cultura: vi si onoravano poeti e musici come Alcmane, Tirteo e Terpandro, si producevano ceramiche apprezzate anche fuori dei confini nazionali, si costruivano templi che nulla avevano da invidiare a quelli innalzati nel resto della Grecia.
Non conosciamo il motivo che originò la cristallizzazione della società spartana, ma sappiamo con certezza che fu proprio questa cieca difesa dei loro privilegi da parte degli spartiati a causare lentamente – con il passare dei secoli – l’erosione della base del sistema. Il principio per cui alla morte del capofamiglia il klèros veniva trasmesso al primogenito, infatti, rendeva automaticamente diseredati gli eventuali altri fratelli minori, che in questo modo decadevano dai pieni diritti, confluivano nella categoria degli ypomèiones, gli «inferiori», e perdevano la facoltà di militare fra gli opliti, che costituivano la fanteria scelta greca. Se a questo stato di cose si aggiunge la comprensibile tendenza da parte di molti capifamiglia a mettere al mondo solo un figlio, possiamo facilmente intuire come nel corso degli anni il numero di spartiati atti a costituire la spina dorsale dell’esercito spartano decrebbe vertiginosamente. Lo storico Erodoto ci testimonia che nell’anno 480 essi erano circa 8.000, mentre nel 242 il re Agide ne aveva censito poco più di 700.
Per mettere riparo a questo stato di cose gli spartiati furono costretti a dare corso a una serie di contromisure che finirono per realizzare proprio quello da cui si erano sempre tenuti lontani, e cioè la commistione delle caste. Soprattutto a partire dal 4° secolo, infatti, per rinsanguare le fila degli opliti furono concessi diritti politici o sociali alle classi subalterne, in primis ovviamente ai perieci, ma addirittura anche agli iloti. Vennero create le figure dei neodamòdi (dal greco nèos «nuovo» e dàmos, forma dorica di dèmos «popolo») – iloti di totale fiducia che venivano liberati –, e dei motàci – i figli di uno spartiate e di una ilota.
Erano però provvedimenti visti sempre con timore dagli spartiati, applicati con scarsa frequenza e che, pertanto, non apportarono soluzioni decisive: l’attività bellica degli Spartani finì giocoforza per avere durata e incisività via via sempre più limitate.
Fondatrice e città egemone della lega peloponnesiaca (fondata nella seconda metà del 6° secolo), Sparta per molto tempo contese il predominio sulla Grecia ad Atene, che finì per sconfiggere pesantemente nel corso della guerra del Peloponneso (431-404).Fu questo il periodo d’oro della potenza spartana, che in seguito – per errori di politica estera e per problemi sociali e demografici interni – decrebbe inarrestabilmente. Nel tempo infatti – con fierezza ma senza mai tornare all’antico splendore – Sparta dovette opporsi prima alla supremazia di Tebe, poi a quella dei Macedoni, infine a quella di Roma, sotto il cui tallone cadde insieme al resto della Grecia nel 146.