In filosofia, nome generico di ogni concezione che tende a risolvere la realtà nel pensiero.
Il termine i. si cominciò a usare tra la fine del 17° sec. e il principio del 18°, per designare l’atteggiamento speculativo di chi, come G. Berkeley, riduceva a «idea» (nel senso di contenuto soggettivo della coscienza ➔ idea) ogni realtà oggettiva; tale i. fu poi combattuto specialmente da I. Kant come i. soggettivo, cui egli contrapponeva il suo i. trascendentale, che concepiva come soggetto l’elemento formale della conoscenza restando oggettiva la materia del conoscere. Eliminato questo residuo oggettivistico dalla filosofia postkantiana, l’i. assunse l’aspetto di i. assoluto o di i. oggettivo, a fondamento del quale stava la concezione dell’idea non più come semplice contenuto della coscienza, ma come suprema forma e categoria razionale della realtà. Tesi questa ripresa e in diversi modi sviluppata dall’i. posteriore. Di qui i due valori fondamentali da allora in poi legati al termine i., che da un lato significa in generale «soggettivismo», teoria che risolve il reale nel pensiero, e dall’altro significa più in particolare dottrina dell’oggettiva idealità razionale del mondo. In funzione di tali significati alcuni storici hanno ritenuto possibile parlare di i. e di idealisti anche a proposito di dottrine e di pensatori antecedenti all’effettivo uso storico di quei termini: e così si può parlare, per es.. dell’i. soggettivo di Protagora o dell’i. oggettivo di Platone.