ottomano, Impero
Apogeo e declino di una grande potenza mediterranea
L’Impero ottomano sorse tra il 13° e il 14° secolo nella penisola anatolica. Estesosi su un vasto territorio compreso tra Asia, Africa ed Europa, divenne il principale punto di riferimento politico del mondo islamico; giocò un ruolo decisivo nei rapporti tra le grandi potenze in età moderna e contemporanea, sia nella fase della sua straordinaria espansione sia in quella del suo lungo declino. Nel corso del 19° secolo la crisi dell’Impero ottomano diede origine a una complessa questione d’Oriente che si risolse soltanto con la sua dissoluzione, all’indomani della Prima guerra mondiale, e con la nascita, sulle sue ceneri, della moderna Turchia
Il nucleo originario dell’Impero ottomano si formò tra il 13° e il 14° secolo nella parte nordoccidentale della penisola anatolica. Il suo fondatore fu il turco Othman (in grafia turca moderna Osman), morto nel 1326, capostipite della dinastia degli Ottomani (o Osmanli), che governò per secoli la vasta compagine imperiale che da quel primo nucleo si estese poi in Asia, in Africa e in Europa.
Agli inizi lo Stato ottomano era una piccola formazione politica. Le sue origini sono legate al declino dell’Impero turco dei Selgiuchidi, che, raggiunto il suo massimo splendore tra l’11° e il 12° secolo, si era in seguito frammentato in una serie di regni sottoposti alla pressione dei Mongoli. Incaricati inizialmente di difendere il confine con l’Impero bizantino, gli Ottomani si affermarono come una delle più potenti tribù militari della regione, riuscendo così, tra il 13° e il 14° secolo, a dare vita a uno Stato dotato di una grande forza espansiva. Tra il 14° e il 15° secolo, infatti, essi conquistarono gli altri regni turchi sorti dalla disintegrazione dell’Impero selgiuchide, ampie porzioni dell’Impero bizantino e parte dei Balcani.
Il punto culminante di questa prima fase di espansione fu raggiunto nel 1453, quando gli Ottomani, con il sultano Maometto II (1451-81), conquistarono Costantinopoli, ponendo fine all’esistenza dell’Impero bizantino. Costantinopoli, in seguito ribattezzata Istanbul, divenne allora la capitale dell’impero. Sempre sotto Maometto II, essi continuarono la propria penetrazione nei Balcani e in Grecia, giungendo a minacciare le posizioni di Venezia nel Mediterraneo.
L’Impero ottomano raggiunse il culmine della sua potenza nel 16° secolo. Due figure furono decisive in questa fase. La prima fu quella del sultano Selim I (1512-20), che sconfisse i Persiani e conquistò l’Armenia, la Siria e l’Egitto. La seconda fu quella di suo figlio Solimano I il Magnifico (1520-66), che estese i domini ottomani nei Balcani e in Ungheria (giungendo fino alle porte di Vienna nel 1529), nella penisola arabica, in Iraq e in Persia. Grazie anche a un ricorso sistematico alla guerra corsara sulle coste italiane, spagnole e nordafricane, egli fece dell’impero una delle più grandi potenze mediterranee e intervenne nella politica europea alleandosi con la Francia contro Venezia e gli Asburgo di Spagna e d’Austria.
Con Selim I gli Ottomani acquisirono a partire dal 1517 il titolo di califfi (califfato), la suprema carica spirituale e temporale dell’Islam: una carica assunta in passato dalle dinastie degli Omayyadi e degli Abbasidi, e che gli Ottomani avrebbero mantenuto sino alla dissoluzione del califfato – cioè dell’impero – negli anni Venti del Novecento. Solimano I, a sua volta, portò a compimento l’opera di organizzazione dell’impero che avevano già intrapreso i suoi predecessori, in particolare Maometto II. In questo modo, l’impero acquistò definitivamente il profilo di uno Stato basato sulla potenza militare e sul ruolo determinante esercitato dal corpo scelto dei giannizzeri; e di uno Stato di impronta teocratica – fondato sulla shari’a, la legge religiosa musulmana (Islam) – ma al tempo stesso relativamente tollerante verso le minoranze di ebrei e cristiani che vivevano entro i suoi confini. In esso i poteri di governo erano affidati al sultano, al gran visir (il primo ministro) e al divano, un Consiglio di Stato formato dai ministri e dalle più alte cariche militari e civili. I poteri locali nelle diverse province dell’impero e nei suoi Stati vassalli erano tuttavia esercitati di fatto – spesso con grande autonomia – dai pascià e dai governatori.
Nonostante la sua potenza, l’Impero ottomano rimase fondamentalmente arretrato sul piano politico e amministrativo, su quello economico e sociale e, ancora, su quello tecnico e scientifico, soprattutto in confronto allo straordinario sviluppo che nello stesso periodo stava investendo l’Europa occidentale. Da qui il suo lento ma inarrestabile declino.
I sintomi di questo declino iniziarono a mostrarsi subito dopo l’epoca di Solimano I. E la battaglia di Lepanto del 1571, in cui la flotta ottomana fu annientata da una coalizione di Stati europei, sembrò darne conferma. Anche sul piano interno si manifestarono forti segnali di crisi, evidenti soprattutto nelle lotte per la successione al trono, in una diffusa corruzione e più in generale nello scollamento tra il potere imperiale nominale – esercitato dal sultano-califfo – e il potere reale esercitato dall’élite guerriera dei giannizzeri, dai gran visir (spesso organizzati in vere e proprie dinastie) e dai diversi potentati locali.
Dopo Lepanto gli Ottomani continuarono a scontrarsi con i Persiani, con Venezia e con gli Austriaci. La loro ultima grande offensiva in Europa si sviluppò nella seconda metà del 17° secolo, quando essi giunsero nuovamente a Vienna nel 1683. Sconfitti definitivamente a Zenta da una coalizione di Austriaci, Polacchi e Veneziani (1697), dovettero siglare la pace di Carlowitz (1699), con la quale perdettero l’Ungheria, la Transilvania e la Croazia.
Il declino ottomano continuò per tutto il corso del 18° secolo. L’impero fu coinvolto in continui conflitti con l’Austria e soprattutto con la Russia, perdendo molti dei suoi territori. La crisi continuò negli anni della Rivoluzione francese e di Napoleone, che attaccò l’Egitto, divenuto di fatto autonomo al principio del 19° secolo. E si cronicizzò nell’Ottocento, dando origine a una vera e propria questione d’Oriente, centrale per gli stessi equilibri tra le grandi potenze europee.
Le tappe principali di questa crisi furono la rivolta e l’indipendenza della Grecia (1821-29); l’occupazione francese dell’Algeria a partire dal 1830; le umiliazioni subite nella guerra di Crimea del 1853-56 e nella guerra russo-turca del 1877-78; il congresso di Berlino del 1878, che diede a Serbia, Montenegro e Romania l’indipendenza, alla Bulgaria l’autonomia e pose la Bosnia-Erzegovina sotto l’amministrazione austriaca; il protettorato francese sulla Tunisia (1881) e l’occupazione inglese dell’Egitto (1882); la guerra di Libia con l’Italia del 1911-12; le guerre balcaniche del 1912-13 che ridussero al minimo i possedimenti europei dell’impero.
Il carattere dispotico del governo imperiale e la drammatica vicenda del massacro degli Armeni, iniziato negli anni Novanta del 19° secolo, contribuirono inoltre a screditare l’impero agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Di fronte a questi sviluppi, furono avviati diversi tentativi di riforma, che tuttavia non riuscirono ad arrestare la crisi. Il movimento riformatore più significativo fu quello dei Giovani Turchi, che organizzarono una importante rivolta nel 1908 e andarono poi al potere nel 1913. Poco dopo ebbe inizio il primo conflitto mondiale.
Con la Prima guerra mondiale (1914-18), l’impero entrò nella fase finale della sua crisi. Alleato con gli imperi centrali e dunque sconfitto, esso fu cancellato dalla carta politica mondiale dai trattati di pace del 1919-20. Fu Mustafa Kemal, nel 1934 proclamato Atatürk («padre dei Turchi»), a deporre l’ultimo sultano ottomano nel 1922. Il califfato ebbe così fine e nel 1923 fu proclamata la Repubblica turca, che diede inizio alla storia della moderna Turchia.