Filosofo statunitense (Baltimora 1921 - Lexington, Massachusetts, 2002). Ha svolto un ruolo importante nel dibattito filosofico-politico degli anni Settanta del Novecento. In contrasto con le dottrine utilitaristiche dominanti nella riflessione etico-politica anglossassone, R. ha elaborato una teoria neocontrattualistica della giustizia sociale, riprendendo la tradizione di Locke, Rousseau e soprattutto di Kant. Tale teoria si fonda sul presupposto della scelta razionale, da parte di ciascun membro di un ipotetico «stato di natura», dei principi cui dovrebbero conformarsi le istituzioni per essere considerate giuste.
Ha iniziato la sua carriera universitaria alla Princeton University (1950-52), ha poi insegnato alla Cornell University (1953-59) e dal 1960 al 1962 al MIT. Professore alla Harvard University dal 1962 al 1991, è divenuto successivamente professore emerito. Presidente nel 1972-73 dell'American Association of Political and Legal Philosophy e nel 1974 dell'American Philosophical Association.
Tra i maggiori filosofi della politica della seconda metà del Novecento, R. propose una teoria neocontrattualistica della giustizia sociale, elaborata in innumerevoli articoli e nella sua opera fondamentale A theory of justice (1971; trad. it. 1982). Tale teoria si fonda sul presupposto della scelta, da parte di individui perfettamente razionali (secondo i criteri della teoria dei giochi), dei principi a cui dovrebbero conformarsi le istituzioni sociali in modo da garantire i maggiori benefici per i singoli e, nello stesso tempo, per la collettività. A partire da un'ipotetica «situazione originaria» caratterizzata da un «velo di ignoranza» circa la posizione sociale che spetterà a ciascun individuo (e quindi da una condizione in cui, in assenza di particolari interessi da difendere, in ognuno è presente almeno l'intenzione di non venire danneggiato), gli individui sceglierebbero due principi fondamentali su cui basare il funzionamento delle istituzioni. Per il primo ciascun individuo potrà godere della massima libertà compatibile con una libertà analoga goduta dagli altri; per il secondo, strettamente connesso al conseguimento di un'equa giustizia distributiva (e noto come principio di differenza), le ineguaglianze economiche e sociali verranno tollerate soltanto se apporteranno dei vantaggi ai gruppi più svantaggiati (secondo il criterio del maximin della teoria dei giochi, consistente nella massimizzazione dei guadagni minimi). Questa teoria, che si distingue per il suo carattere etico oltre che politico, è stata al centro di un vasto dibattito e ha avuto tra i suoi critici più autorevoli R. E. Nozick.