Termine derivante dall’ebraico kley zemer («strumento musicale»), introdotto negli anni 1930 per indicare i musicisti di origine ebraica; ha poi esteso il suo significato al genere musicale tradizionale delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, diffuso in tutto il mondo a seguito delle migrazioni dei gruppi originari.
Sebbene le prime testimonianze risalgano al 16° sec., l’impulso maggiore allo sviluppo del k. venne nei primi dell’Ottocento dal movimento hasidico. La prima fase di diffusione si ebbe agli inizi del Novecento, con l’ondata migratoria dall’Europa verso gli Stati Uniti, rafforzata poi durante la Seconda guerra mondiale dagli Ebrei sfuggiti alle persecuzioni razziali. Nei decenni seguenti, il repertorio k. sopravvisse, spesso con difficoltà, nella pratica dei musicisti ebrei, con reciproche influenze con il rock, il blues, il jazz. Infine, sull’onda del fenomeno della world music, si è diffuso anche in Europa.
La musica k., caratterizzata da una commistione di generi e destinata ad accompagnare la danza e all’ascolto, fa uso di modalità specifiche prevalentemente della sfera minore e di schemi ritmici spesso irregolari. L’organico, dapprima limitato a violino, clarinetto, cetra, è divenuto in seguito molto variabile e può comprendere fisarmonica, fiati e ottoni, percussioni, sezioni di archi, in alcuni casi anche voci, sebbene il genere rimanga per definizione strumentale.