Abstract
Si espone la disciplina della litispendenza e della continenza fra cause esaminandone presupposti ed effetti alla luce del diritto interno e delle fonti comunitarie.
È consuetudine avviare l’esposizione del tema della litispendenza rimarcando che l’espressione indica sia l’effetto della proposizione della domanda giudiziale nel procedimento in cui essa avviene, sia l’effetto che essa produce nel diverso giudizio in cui la medesima domanda venga successivamente proposta, sinché il primo non venga definito con sentenza passata in giudicato (v., per es., già Chiovenda, G., Rapporto giuridico processuale e litispendenza, in Chiovenda, G., Saggi di diritto processuale civile, II, Roma, 1931, 376). Nel primo, la proposizione della domanda costituisce il dovere decisorio del giudice sul merito (purché non sussistano altre ragioni di rigetto in rito), mentre nel secondo s’impone la definizione del procedimento in mero rito ovvero, laddove si tratti dello stesso giudice, la sua riunione a quello previamente promosso.
Secondo un’opinione diffusa, l’effetto preclusivo costituisce un’anticipazione di quello del giudicato sostanziale, concorrendo entrambi all’attuazione del principio ne bis in idem. È coerente con siffatta impostazione che, superando alcune incertezze, la giurisprudenza abbia esplicitamente riconosciuto che tale effetto permane anche nella fase di quiescenza fra un grado di giudizio e l’altro, sinché non siano decorsi i termini per l’impugnazione ordinaria (e la stessa conclusione vale per le fasi di decorrenza dei termini per la riassunzione del processo interrotto o sospeso o cancellato dal ruolo: v. Cass., S.U., 12.12.2013, n. 27846).
In questa ottica si può anche ravvisare una garanzia costituzionale a protezione degli effetti della litispendenza che si può ritenere corrispondente a quella che protegge gli effetti del giudicato. Inoltre si può riscontrare una convergenza di interessi pubblicistici, essendosi ormai riconosciuto che il giudicato esterno è anch’esso, come la litispendenza, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (cfr., per es., Cass., S.U., 16.6.2006, n. 13916; il rilievo della litispendenza in sede di legittimità comporta dunque cassazione senza rinvio, v. da ult. Cass., 3.4.2014, n. 7813).
Tale impostazione giustifica le scelte punitive del legislatore nei confronti della riproposizione della domanda dinanzi a un giudice diverso: la cancellazione dal ruolo non viene seguita da rimessione alcuna al giudice preventivamente adito, e viene disposta persino se solo il giudice successivamente adito, e non l’altro, è competente per la causa, dovendo l’incompetenza del giudice preventivamente adito farsi valere dinanzi a lui (v. già Cass., S.U., 11.11.1994, n. 9409, più di recente Cass., 26.11.2002, n. 16724, e ancora da ult. Cass., S.U., 13.7.2014, n. 17443); il giudice successivamente adito può pertanto considerarsi in quanto tale incompetente in senso dinamico, ossia solo in forza della pendenza del processo altrove. In via generale produce quindi effetto preclusivo anche la proposizione viziata della domanda (purché si tratti di vizio sanabile retroattivamente: cfr., per es., Cass., 4.10.1978, n. 4411, e più di recente Cass., 14.7.2011, n. 15532).
Sembra importante non trascurare le sfumature che ne discendono: si conviene generalmente che anche il giudicato sostanziale produce solo un effetto preclusivo-negativo rispetto alla medesima domanda, producendo invece un effetto positivo-conformativo solo nelle cause connesse, ma l’operatività della litispendenza prescinde dalla concreta idoneità della domanda giudiziale a dare luogo a una pronuncia sul merito passibile di determinare la formazione del giudicato sostanziale, perché l’interesse a prevenire sprechi di risorse giurisdizionali si accompagna a una latente presunzione di abusività della condotta di chi duplica il procedimento. Tale precisazione comporta che possa produrre effetto preclusivo anche la proposizione della domanda cautelare, sia ai fini della proposizione di identica domanda cautelare, sia ai fini della domanda di merito consequenziale all’accoglimento della misura conservativa richiesta (è invece ancora controverso in giurisprudenza se produca tale effetto anche la concessione della cautela anticipatoria: cfr., da ult., in senso contrario Cass., 26.5.2014, n. 11778, e in senso favorevole Cass., 9.6.2015, n. 11949).
La disciplina della litispendenza e della continenza si applica peraltro solo fra procedimenti omogenei sotto il profilo della qualità della cognizione: non si configura pertanto litispendenza fra procedimenti a cognizione sommaria astrattamente inidonea al giudicato e a cognizione piena. La rilevanza dell’avvio del procedimento cautelare ai fini della prevenzione rispetto alla cognizione piena consequenziale costituisce pertanto un’anticipazione dell’effetto della pendenza della lite vera e propria, condizionato alla tempestiva coltivazione della stessa (è invece omogenea alla cognizione piena la cognizione sommaria idonea al giudicato: v., per es., da ult., Cass., S.U., 13.7.2014, n. 17443).
Inoltre la disciplina di riferimento presuppone che si tratti di procedimenti di cognizione: pertanto non produce litispendenza la pluralità di pignoramenti (rilevando la circostanza solo ai fini delle spese: v. Cass., 29.8.2013, n. 19876). Può determinarsi invece litispendenza fra opposizione all’esecuzione ed opposizione a precetto (v. Cass., 20.7.2010, n. 17037) e anche fra opposizione di terzo all’esecuzione ed opposizione di terzo alla sentenza su cui l’esecuzione si fonda (v. Cass., 30.5.1991, n. 6120).
Dopo la costituzione di parte civile nel processo penale l’esercizio nell’azione risarcitoria nel processo civile non comporta litispendenza ma sospensione, salve le eccezioni contemplate dall’art. 75, co. 3, c.p.p. (e integrate dalla pronuncia additiva di C. cost., 22.10.1996, n. 354).
L’art. 819 ter, co. 1, c.p.c. esclude altresì che l’istituto in discorso regoli i rapporti fra arbitro e giudice (potendo peraltro configurarsi litispendenza fra diversi arbitrati). Inoltre tradizionalmente si giunge alla stessa conclusione a proposito dei rapporti fra giurisdizioni ordinarie e speciali, benché, a seguito di C. cost., 12.3.2007, n. 77 e della introduzione dell’art. 59 l. 18.6.2009, n. 69, gli effetti della domanda proposta dinanzi al giudice dichiaratosi sprovvisto di giurisdizione possano conservarsi mediante la tempestiva riproposizione della domanda (e fermo restando che può essere soggetta alle regole generali la litispendenza fra diversi giudici speciali dello stesso plesso: v., per es., Cass., 30.10.2000, n. 14281).
Assume invece rilevanza, ma in base alla speciale disciplina applicabile in materia, la pendenza della lite presso una giurisdizione straniera (sempre purché giudice e non arbitro estero: v. Cass., S.U., 25.9.2009, n. 20688; anche in tale ipotesi può casomai rilevare, secondo la giurisprudenza più recente, il difetto di giurisdizione, v. Cass., S.U., 25.10.2013, n. 24153). La generale disciplina di cui all’art. 7 l. 31.5.1995, n. 218 stabilisce infatti che la pendenza della stessa causa all’estero comporti soltanto la sospensione del procedimento e solo a condizione che il giudice pronostichi la riconoscibilità del provvedimento straniero: resta dunque ferma la produzione degli effetti della domanda giudiziale prevenuta (la pendenza ai fini della prevenzione si determina in base alla lex fori), e in caso di declinatoria di giurisdizione del giudice preventivamente adito, o di non riconoscibilità della decisione, il giudizio in Italia si riassume (configurandosi estinzione se la riassunzione non avviene entro i termini di cui all’art. 297 c.p.c., da ritenersi decorrenti dal passaggio in giudicato della declinatoria estera o della pronuncia di non riconoscibilità).
Ancora diverso è tuttavia il sistema quando il giudice straniero preventivamente adito appartenga allo spazio giuridico europeo. In materia l’art. 29 del reg. UE n. 1215/2012 stabilisce in via generale che il giudice successivamente adito si limiti a sospendere il procedimento, e rigetti la domanda in rito solo dopo che il primo abbia accertato la propria competenza (ovvero, come ha riconosciuto la giurisprudenza, la relativa questione sia in tale sede preclusa: v. C. giust., 27.2.2014, C-1/13, Cartier parfums - lunettes SAS, Axa Corporate Solutions assurances SA c. Ziegler France SA, Montgomery Transports SARL, Inko Trade s. r. o., Jaroslav Matěja, Groupama Transport), e ciò anche quando questo richieda tempi molto più lunghi di quelli necessari al secondo per valutare la questione (v. C. giust., 9.12.2003, C-116/02, Erich Gasser GmbH c. MISAT Srl).
Diversamente da quanto implica il diritto interno, però, la circostanza che il provvedimento reso in violazione delle regole inderogabili di riparto oggi contemplate dall’art. 24 reg. UE n. 1215/2012 non sia riconoscibile, ai sensi della disposizione oggi posta dall’art. 45, co. 1, lett. e), n. ii), dello stesso, ha indotto la giurisprudenza comunitaria a ritenere che il giudice successivamente adito non sia obbligato alla sospensione, ed anzi debba provvedere nel merito, quando riscontri che la giurisdizione dell’altro sia in contrasto con dette regole (v. da ult. C. giust., 3.4.2014, c. 438/12, Weber c. Weber). L’art. 31, co. 1, reg. UE n. 1215/2012 prevede invece che si abbia rimessione al giudice preventivamente adito nell’ipotesi in cui entrambi siano provvisti della competenza inderogabile in discorso.
Innovando radicalmente rispetto al sistema previgente, i co. 2 e 3 dell’art. 31 reg. UE n. 1215/2012 stabiliscono inoltre, allo scopo di proteggere gli accordi di scelta del foro validamente conclusi (benché la loro violazione non osti alla circolazione della decisione), che il giudice successivamente adito invocando la pattuizione attributiva della giurisdizione non debba affatto sospendere il procedimento, ma debba invece pronunciare sulla sua validità: è quindi il giudice preventivamente adito, in tal caso, a dover sospendere e, in caso di affermazione della validità dell’accordo da parte dell’altro, dichiararsi incompetente; il giudice successivamente adito che riscontri l’invalidità dell’accordo torna però a dover sospendere in applicazione della regola generale.
La prevenzione rimane altresì rilevante, anche ove dinanzi al giudice successivamente adito si invochi un accordo di scelta del foro: a) quando anche il giudice preventivamente adito sia invocato in base ad un accordo, sia esso diverso, sia esso il medesimo (ad esempio perché istitutivo di una pluralità di fori); b) quando l’attore sia una parte debole nei confronti della quale la derogabilità del riparto della giurisdizione incontra limiti deducibili ai fini del diniego del riconoscimento ai sensi dell’art. 45, co. 1, lett. e), n. i), reg. UE n. 1215/2012. In tali occasioni, infatti, come chiarisce il co. 4 dell’art. 31 dello stesso reg., il giudice preventivamente adito ha il potere di conoscere della validità dell’accordo, ed è ancora il secondo giudice a dover sospendere nell’attesa.
Va poi sottolineato che la disciplina comunitaria tende a realizzare il principio dell’uniformità degli effetti della decisione nazionale nello spazio giuridico europeo, nella misura in cui lo consente l’inesistenza di un organo di vertice regolatore del riparto giurisdizionale: pertanto, onde evitare che si formino contrasti, la cui risoluzione a posteriori può comportare, ai sensi della disciplina dei limiti al riconoscimento delle decisioni, l’impossibilità di conseguire la detta uniformità, la disciplina della litispendenza si applica ogniqualvolta sussista un rischio di contrasti ostativi al riconoscimento, e quindi anche in fattispecie che nel diritto processuale italiano sarebbero governate dalle norme sulla continenza, anziché da quelle sulla litispendenza in senso stretto (cfr., per es., già C. giust., 8.12.1987, C-144/86, Gubisch Maschinenfrabrik AG c. Giulio Palumbo; C. giust., 6.12.1994, The Owners of the Cargo Lately Laden on Board the Ship “Tatry” c. The Owners of the Ship “Maciej Ratraj”; da ult. C. giust., 27.2.2014, Cartier, cit.; v. anche infra, § 10).
Ai fini della disciplina nazionale, per converso, la litispendenza si configura soltanto in presenza di assoluta identità dell’oggetto della causa: è sufficiente a escludere la litispendenza qualsiasi difformità di causa petendi e petitum (si è pertanto negata in via generale litispendenza fra azioni dichiarative e costitutive, v., per es., Cass., 6.2.1997, n. 1124, e fra azioni dichiarative e di condanna, v., per es., Cass., 28.6.2000, n. 8808).
È inoltre richiesta l’identità delle parti, ma si ammette che si configuri litispendenza anche quando le stesse abbiano posizione processuale invertita, allorché in uno dei due giudizi la domanda sia proposta in via riconvenzionale (v., per es., Cass., 19.1.2001, n. 792), mentre l’identità delle parti non sussiste quando esse agiscano o resistano in qualità diverse (v. Cass., 16.6.1978, n. 3003). Quando il convenuto per l’accertamento positivo propone domanda di accertamento negativo si ritiene sussistere litispendenza (v., per es., con riferimento all’impugnativa del licenziamento ed alla declaratoria della sua validità, Cass., 9.2.2009, n. 3116, e da ult. Cass., S.U., 31.7.2014, n. 17443), ma può configurarsi solo continenza se si chiede l’accertamento negativo di un diritto posto a base di azione di condanna (v., per es., ex multis, da ult., Cass., 10.3.2014, n. 5455). È rimasta minoritaria in giurisprudenza l’idea che non escluda l’applicazione dell’art. 39, co. 1, c.p.c., la pretermissione, in uno dei due giudizi, di uno o più litisconsorti necessari (in tal senso Cass., 26.4.2000, n. 5343; ma v. contra, successivamente, Cass., 10.1.2003, n. 268; Cass., 21.2.2004, n. 3529).
Naturalmente il cumulo di più cause non impedisce il rilievo della litispendenza rispetto a solo alcune di esse (cfr., per es., Cass., 26.1.2004, n. 1302; Cass., 28.8.2002, n. 12607).
Il momento della proposizione della domanda si determina in linea di principio in base alla notificazione della citazione: ai fini della determinazione della prevenzione la giurisprudenza ha negato che rilevi il mero assolvimento degli oneri di impulso ad opera del notificante, sicché occorre considerare la data in cui l’atto viene consegnato al destinatario (v. Cass., S.U., 6.11.2014, n. 23675; in caso di nullità della notifica, peraltro, la sua tempestiva rinnovazione può produrre effetto sanante retroattivo, v. da ult. Cass., 21.5.2015, n. 10509).
Quando la domanda si introduce con ricorso rileva comunque il momento del suo deposito: la conclusione, secondo la giurisprudenza, vale anche per il procedimento ingiuntivo, nonostante che l’art. 643, co. 3, c.p.c., preveda che la pendenza della lite sia determinata dalla notificazione del pedissequo decreto, potendosi retrodatare la pendenza dal momento del deposito a condizione che segua tempestiva notifica (v., da ult., Cass., 26.4.2012, n. 6511, e ancora Cass., S.U., 6.11.2014, n. 23675; a tale risultato si perveniva anche prima che la l. 18.6.2009, n. 69 modificasse esplicitamente l’art. 39, co. 3, c.p.c. per attribuire rilevanza al deposito: v. già Cass., S.U., 1.10.2007, n. 20596; cfr., a proposito della retrodatazione della pendenza per il merito quando vi sia stato procedimento cautelare ante causam, i rilievi svolti, supra, § 1).
Ne consegue che se sono adottati riti diversi rileva la priorità del primo atto d’impulso (v. nuovamente, da ult., Cass., S.U., 6.11.2014, n. 23675; Cass., 21.5.2015, n. 10509): se vi è stato errore sul rito l’art. 4 d.lgs. 1.9.2011, n. 150 indica che la prevenzione si determini comunque in base al rito adottato dalla parte. Se poi la domanda è proposta in corso di causa rileva in via generale il momento del deposito dell’atto che la contiene (v. Cass., 2.6.2000, n. 7360; Cass., 4.4.1997, n. 2922).
Ai fini della coltivazione della eccezione la parte interessata ha l’onere di depositare copia della domanda preveniente (v., per es., Cass., 31.3.2011, n. 7478). Si riconduce a tale onere, secondo la giurisprudenza, e pertanto non esclude la rilevabilità d’ufficio della questione, la previsione, nell’art. 7, co. 1, l. n. 218/1995, che la pendenza della causa all’estero sia eccepita (v. Cass., S.U., 28.11.2012, n. 21108).
Le stesse regole sono contemplate dall’art. 32 reg. UE n. 1215/2012, con la precisazione che l’effetto è risolutivamente condizionato alla diligente coltivazione dell’introduzione della causa. Tuttavia il co. 1, lett. b), dell’art. 32 in parola attribuisce espressamente rilevanza alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario anziché al destinatario. L’atto di proposizione della domanda si individua in base alla legge del foro con essa adito (v. Cass., S.U., 1.7.2009, n. 15386).
La l. n. 69/2009 ha disposto che sulla questione di litispendenza il giudice pronunci con ordinanza qualora non provveda anche sul merito, ribadendo però la soggezione della stessa al regolamento necessario di competenza (può tuttavia farsi valere con regolamento di giurisdizione, secondo la giurisprudenza, l’obbligo di sospensione del processo per litispendenza all’estero, v. Cass., S.U., 8.6.2011, n. 12410). Tale scelta ha quindi comportato una semplificazione del solo onere motivazionale, e non anche dell’iter della fase decisoria: la giurisprudenza, infatti, ha ritenuto preferibile impedire al convenuto di impugnare immediatamente sommarie delibazioni di infondatezza della relativa eccezione, e così lucrare l’effetto sospensivo automatico derivante dalla proposizione del regolamento, e ha stabilito che si configuri un provvedimento decisorio solo a seguito di esplicito invito alla precisazione delle conclusioni (salvo che si presenti inequivocabilmente un rigetto irrituale, o che l’eccezione sia accolta: v. Cass., S.U., 29.9.2014, n. 20449).
Ove il secondo giudice rigetti l’eccezione di litispendenza si ritiene comunque che, anche qualora le parti non propongano regolamento, lo stesso sia esperibile d’ufficio per reprimere il conflitto reale positivo di competenza così concretizzatosi (v. Cass., 9.2.2009, n. 3119, che ha abbandonato l’idea che ciò sia possibile solo nel contesto delle procedure concorsuali e della volontaria giurisdizione, principio affermato dalla precedente Cass., 28.11.2002, n. 16906). Superando i diversi orientamenti formatisi in giurisprudenza, il legislatore ha inoltre stabilito, con l’art. 9 ter l. fall. (introdotto in attuazione della delega di cui all’art. 5 della l. 14.5.2005, n. 80), che la prevenzione rilevi anche in caso di pluralità di dichiarazioni di fallimento relative alla medesima attività d’impresa (in precedenza v., in senso contrario, per es., Cass., 8.3.2002, n. 3461), e che il giudice successivamente adito possa solo rimettere gli atti all’altro ovvero promuovere lui stesso il regolamento di competenza d’ufficio (v. Cass., 21.12.2010, n. 25810; anche dopo tale riforma il regolamento resta comunque proponibile d’ufficio anche se il conflitto positivo rimane virtuale ed anche quando si tratta di procedure concorsuali di tipo diverso, v. Cass., 13.7.2011, n. 15440).
Va poi rimarcato che la questione di litispendenza è assimilabile solo alle questioni di competenza in senso dinamico, e non anche a quelle in senso statico: come si è osservato, il giudice successivamente adito è dinamicamente incompetente. Di conseguenza, così come per le altre questioni di competenza in senso dinamico, non opera il principio della perpetuatio iurisdictionis (che è a sua volta regola attributiva della competenza in senso dinamico): non rileva lo stato di fatto al momento della proposizione della domanda prevenuta, ma è determinante quello sussistente al momento della pronuncia sulla questione; i fatti processuali che rappresentano elementi costitutivi e soprattutto estintivi della fattispecie (in particolare la sopravvenuta estinzione del giudizio preveniente) rilevano pertanto anche quando siano sopravvenuti all’esercizio dell’azione (v., da ult., ex multis, Cass., 1.12.2010, n. 24376; ai fini della coltivazione della questione la parte interessata ha l’onere di dimostrare la persistenza del giudizio preveniente anche in sede di legittimità, sino all’udienza di discussione, senza subire la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c.: v. da ult. Cass., 3.7.2013, n. 16634).
Non è peraltro in quanto tale passibile di autonoma impugnazione alcuna il provvedimento contemplato dall’art. 273 c.p.c. per l’ipotesi di riproposizione della domanda dinanzi al medesimo giudice, proprio perché non può avere alcuna incidenza sulla competenza del giudice: qualsiasi rischio di pregiudizio per le parti è d’altronde azzerato dalla circostanza che il fascicolo formatosi in occasione della riproposizione sia riunito a quello preveniente (il provvedimento pertanto si sottrae a censura anche se erroneamente adottato ai sensi dell’art. 40 c.p.c.: v. Cass., 25.11.2010, n. 23978). Se però dal fascicolo prevenuto si stralciano deduzioni, ritenendole tardive rispetto alle preclusioni formatesi nel procedimento preveniente (ossia quando la riproposizione si considera rivolta a eludere le barriere preclusive), si può contestare tale decisione, ove la si ritenga viziata, con l’impugnazione ordinaria avverso la conseguente sentenza (ossia con appello) deducendo il pregiudizio al diritto di difesa derivatone in funzione di una differente pronuncia sul merito della causa. È invece del tutto esclusa qualsiasi censura avverso il rigetto dell’istanza di riunione (v., per es., Cass., 17.7.2008, n. 19693; Cass., 27.5.2010, n. 12989), salvo essere però impugnabile il provvedimento di sospensione reso in luogo di essa (cfr., anche con riferimento alle istanze di riunione ex art. 274 c.p.c., Cass., 11.10.2006, n. 21727; Cass., 22.5.2008, n. 13194; Cass., 8.7.2013, n. 16955) nonché ovviamente quello che anziché disporre la riunione dichiari la litispendenza (v. da ult. Cass., 23.9.2013, n. 21761).
Nella sua originaria e più restrittiva concezione, la continenza ex art. 39, co. 2, c.p.c. si qualifica come una litispendenza parziale, caratterizzata da identità di parti e causa petendi e variazione quantitativa del petitum, rientrando ogni altra ipotesi di collegamento fra controversie nel regime della connessione di cui all’art. 40 c.p.c. Negli ultimi decenni, però, il crescente favore per il simultaneus processus ha indotto la giurisprudenza, con il supporto della dottrina, a sviluppare la nozione di continenza qualitativa per inquadrarvi anche variazioni della causa petendi, in ispecie con riferimento a periodi temporali nel contesto di rapporti di durata, e persino ipotesi di pregiudizialità, nonché quelle in cui il rapporto si presenta fra domande interdipendenti perché alternative o contrapposte e fondate sul medesimo rapporto negoziale (configurando la cd. continenza per specularità: in particolare nel frequente caso di deduzione di inadempimenti reciproci, cfr., per es., da ult., Cass., 28.6.2012, n. 11046; Cass., 26.4.2012, n. 6511; Cass., 14.7.2011, n. 15532)
Questa opzione interpretativa, infatti, permette di disporre la riunione di giudizi separatamente proposti anche oltre il termine della prima udienza di cui all’art. 40 c.p.c., potendo la continenza rilevarsi anche d’ufficio, così come la litispendenza, in ogni stato e grado del giudizio, e giustificare la riunione anche a prescindere da considerazioni di efficienza. Sempre in tale logica si è altresì ammesso che non osti all’applicazione dell’istituto la parziale differenza soggettiva fra le cause (cfr., per es., Cass., 23.5.2012, n. 8188; Cass., 25.7.2012, n. 13161).
La riunione nei casi di continenza avviene dinanzi al giudice preventivamente adito se competente a conoscere entrambe le cause: a composizione dei contrasti la giurisprudenza ha precisato che il giudice successivamente adito ha il potere di delibare la competenza dell’altro, ai fini della rimessione, sotto tutti i possibili profili non preclusi (v. Cass., S.U., 13.7.2006, n. 15905; cfr., da ult., Cass., 21.5.2015, n. 10509). Lo stesso potere di delibazione spetta al giudice preventivamente adito che non sia competente per entrambe le cause, ai fini della riunione in tal caso possibile dinanzi a quello adito successivamente (v. Cass., 15.7.2009, n. 16446). Si ritiene però che il rigetto dell’eccezione di continenza in uno dei due giudizi non legittimi il giudice dell’altro a sollevare regolamento di competenza d’ufficio, mancando il presupposto della riassunzione (così Cass., 28.11.2002, n. 16906, e da ult. ancora Cass., 21.5.2015, n. 10509; cfr. per la diversa soluzione in tema di litispendenza, supra, § 7).
La riunione si considera impossibile se le cause pendono in gradi diversi o sono soggette a differenti competenze inderogabili per connessione: in tali fattispecie può rendersi necessaria la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa prevenuta (v., per es., Cass., 10.3.2014, n. 5455). La pendenza delle cause in gradi diversi impedisce, secondo la più recente giurisprudenza, anche la riunione ex art. 274 c.p.c. di cause pendenti dinanzi allo stesso giudice (v. Cass., S.U., 9.3.2012, n. 3690).
Il provvedimento che pronuncia sulla questione di continenza assume anch’esso la forma dell’ordinanza quando non si accompagni ad una statuizione sul merito, ed è quindi anch’esso impugnabile con regolamento di competenza quando incida su di essa (e quindi non quando provveda solo intorno alla riunione dinanzi allo stesso ufficio giudiziario: v. per es., da ult., Cass., 30.4.2015, n. 7857; cfr. supra, § 7). Valgono inoltre i rilievi formulati a proposito della litispendenza per quanto concerne l’omogeneità della cognizione (cfr. supra, § 2), il rapporto con arbitri e giudici speciali (cfr. supra, § 3), l’impugnabilità del provvedimento implicito (cfr. supra, § 7), la rilevanza delle sopravvenienze (cfr. ancora supra, § 7), la determinazione della prevenzione (cfr. supra, § 6), nonché l’onere della parte interessata di produrre copia della domanda proposta nel diverso giudizio (cfr. nuovamente supra, §§ 6 e 7).
Nessuna differenza rispetto alla litispendenza si presenta poi in caso di pendenza di causa contenente o contenuta all’estero. Poiché la nozione di continenza si ritrova nel codice di rito ma non nella l. n. 218/1995, né nella disciplina comunitaria, la giurisprudenza comunitaria ha infatti da tempo chiarito che la nozione di litispendenza, ai fini dell’applicazione della normativa di riferimento (oggi costituita dagli artt. 29 ss. del già menzionato reg. UE n. 1215/2012) deve ritenersi comprensiva delle ipotesi di continenza (cfr. quanto già indicato supra, § 4), e nella stessa direzione si è orientata la giurisprudenza di legittimità ai fini dell’applicazione della norma di diritto interno (v. Cass., S.U., 28.11.2012, n. 21108).
Artt. 39, 42, 273, 274, 279, 819 ter c.p.c.; art. 29, 31, 32 reg. UE n. 1215/2012; art. 7 l. 31.5.1995, n. 218.
Balbi, C.E., Connessione e continenza nel diritto processuale civile, in Dig. civ., IV, Torino, 1988, 457 ss.; Chiovenda, G., Rapporto giuridico processuale e litispendenza, Chiovenda, G., in Saggi di diritto processuale civile, II, Roma,1931, 375 ss.; Colesanti, V., Litispendenza, in Nss. D.I., IX, Torino, 1963, 976 ss.; Consolo, C., Profili della litispendenza internazionale, in Riv. dir. int., 1997, 5 ss.; Di Blase, A., Connessione e litispendenza nella convenzione di Bruxelles, Padova, 1993; Franchi, G., La litispendenza, Padova, 1963; Garbagnati, E., Continenza di cause, Nss. D.I., IV, Torino, 1957, 403 ss.; Lorenzetto Peserico, A., La continenza di cause, Padova, 1992; Lupoi, M.A., Conflitti transnazionali di giurisdizioni, II, Milano, 2002; Marengo, R., La litispendenza internazionale, Torino, 2000; Monteleone, G., Litispendenza, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990; Ricci, G.F., Litispendenza, in Dig. civ., XI, Torino, 1994, 64 ss.