Magna Grecia
La splendida civiltà dei Greci d’Italia
Dall’8° secolo a.C. numerose città della Grecia iniziano a fondare colonie nel Mediterraneo occidentale, in particolare in Italia meridionale e in Sicilia. Questi nuovi insediamenti divengono presto militarmente e politicamente importanti, nonché centri di intensa vita culturale e artistica: rinomati artigiani e poeti famosi, scienziati e filosofi, retori e autori di teatro – protetti spesso da ricchi tiranni – danno vita alla splendida civiltà che sarà chiamata Magna Grecia e che trasmetterà la cultura greca prima a Roma e poi all’intera Europa
Intorno alla metà dell’8° secolo a.C. la Grecia si risveglia da quello che gli studiosi moderni chiamano il Medioevo greco, un periodo di arretramento culturale ed economico. Le campagne producono maggiori risorse alimentari, i commerci si intensificano e si verifica una vera e propria impennata nella crescita della popolazione. Sorgono nuove città e si ingrandiscono i centri già esistenti. Ma il territorio greco, montuoso e per molti aspetti inospitale, non basta a sostenere questo straordinario sviluppo. I Greci, allora, inventano un modo nuovo di affrontare i problemi economici e sociali: le colonie.
Progettate e organizzate con cura, le colonie sono uno straordinario esempio dell’interesse dei Greci antichi per la creazione di nuove forme politiche, nonché della loro profonda capacità di riflessione sugli aspetti costituzionali e civili della vita associata. Progettare una colonia significa coinvolgere una parte notevole di popolazione, a volte persino gli schiavi, che nel ‘nuovo mondo’ possono sperare in un futuro migliore. Servono poi architetti che progettino la pianta della città, maestranze e manovali che realizzino le opere pubbliche e private, legislatori e politici di professione che costituiscano la futura classe di governo della nuova realtà cittadina, e artigiani e commercianti, agricoltori e marinai: nella grande impresa della fondazione di una colonia c’è bisogno di tutti.
Una volta scelto con cura il sito per l’edificazione della nuova città, la colonia diviene un vero e proprio pezzo di Grecia in terra straniera: non a caso il termine greco con cui la si indica è apoikìa, cioè «trasferimento da casa». La città da cui si parte sarà per sempre la metròpolis, la «città madre», che conserverà con la colonia un rapporto strettissimo di collaborazione e di mutuo soccorso.
Le feste e i riti della città madre si trasferiscono tali e quali nella colonia. Gli equilibri sociali, tuttavia, sono diversi. Nella colonia, infatti, per certi versi si riparte tutti dalle stesse condizioni: uguali diritti e doveri, medesime parti di terra in proprietà. Saranno l’abilità e l’intraprendenza personale a decidere le sorti di ognuno: spesso si cambierà costituzione politica per far fronte alla richiesta di giustizia ed equilibrio, a volte si ricorrerà alla figura del tiranno (tirannide), un cittadino che per doti riconosciute ma anche per spregiudicatezza riuscirà a farsi capo del governo e dell’esercito, esercitando il potere per molti aspetti a titolo personale, ma anche con sviluppi economici e civili per tutti.
Se alla fine del 2º millennio a.C. la colonizzazione dei Micenei si era mossa soprattutto in direzione delle coste egee dell’Asia Minore e non aveva avuto carattere sistematico, il grande spostamento di uomini che si verifica tra 8° e 7° secolo a.C. riguarda la parte occidentale del Mediterraneo, in particolare l’Italia meridionale.
Quando i primi Greci arrivano sulle coste dell’attuale Basilicata, scoprono una terra fertile e ricca di acqua, abbondante di grano e di vino. La chiamano Enotria, termine che in greco significa «terra del vino» ma che è anche collegato con il nome dell’eroe Enotrio, figlio di Licaone, re dell’Arcadia, volendo segnare in tal modo una continuità fra i leggendari personaggi del mito greco e le nuove genti colonizzatrici.
In direzione di queste coste del golfo ionico e oltre, tra Taranto e Reggio, si concentrerà la migrazione delle genti di stirpe dorica e achea, provenienti dal Peloponneso e dalle regioni centro-occidentali della Grecia. Una dopo l’altra, tra il 730 e il 670 a.C., sorgono Reggio, Sibari, Crotone, Taranto, Metaponto e Locri. È in questi luoghi, dove per posizione favorevole e per capacità militari nei confronti delle popolazioni indigene le città greche riescono a dar vita a un territorio quasi unitario e culturalmente omogeneo, che nasce il concetto di Megàle Ellàs, cioè di «Grande Grecia» («Magna» in latino), idea che nel 6° secolo a.C. si rafforza grazie a Pitagora, filosofo al governo di Crotone. Il concetto di Magna Grecia, benché nato per designare il territorio delle colonie acheo-doriche del golfo di Taranto, si estende già in età antica a indicare tutto il mondo greco dell’Italia meridionale, compresa la Sicilia.
La civiltà della Magna Grecia e della Sicilia antiche sarà caratterizzata da intensi sviluppi culturali come la nascita di un pensiero laico con i primi filosofi razionalisti, ma si impongono anche figure leggendarie permeate di misticismo, scienziati capaci di invenzioni spettacolari e al contempo di riti e culti segreti legati alla religiosità orfica (Orfeo), autori che mettono le basi dell’arte della retorica e poeti di mimi dissacranti. Ripercorrere le tappe di un immaginario viaggio presso le più famose città dell’Italia greca consente di mettere in evidenza la comune cultura ma anche le non poche differenze tra le diverse colonie, che rimasero sempre orgogliose della propria indipendenza e identità.
I primi Greci a sbarcare sulle coste tirreniche dell’Italia vengono dalla grande isola di fronte ad Atene, l’Eubea, e si fermano su un’altra isola, Ischia. La chiamano Pithekoùssa «isola delle scimmie», e di lì iniziano a colonizzare la costa da Napoli a Salerno. Siamo all’inizio dell’8° secolo a.C. Proprio a Ischia è stata rinvenuta una delle più antiche testimonianze della scrittura greca: la coppa di Nestore, un largo recipiente da vino con iscritto un epigramma gustoso sul tema dell’amore e del vino.
Pochissimo possiamo vedere dell’antica Napoli – in greco «città nuova» – perché la città medievale e moderna è stata costruita sopra le sue rovine. L’originario sito colonizzato dai Greci sorgeva però a qualche chilometro di distanza e si chiamava Partenope, dal nome della sirena che, innamorata di Ulisse ma da lui rifiutata, si gettò negli abissi per la disperazione e fu sepolta nel golfo di Napoli. Importantissima già nell’antichità per i traffici marittimi, Napoli diviene in età romana un rilevante centro culturale, sede di una scuola filosofica epicurea frequentata anche da famosi personaggi come Virgilio e Orazio.
Altrettanto famosa e importante è la scuola filosofica che nasce a Elea, l’attuale Velia (in Lucania), a opera di una delle personalità più enigmatiche della cultura greca tardoarcaica, Parmenide (5° secolo a.C.). Aristocratico legislatore e scienziato, autore di numerosissimi libri in prosa e in versi, Parmenide è considerato l’inventore della logica, cioè di un metodo di affrontare i problemi basato sul rigore della ragione.
La colonia greca che ancora oggi non cessa di stupire i visitatori di tutto il mondo con l’imponenza dei suoi templi è Paestum, l’antica Poseidonìa, «la città di Poseidone», fondata dai coloni della Sibari ionica intorno al 600 a.C.
Un proverbio greco recita: «essere più sano di uno di Crotone». La città, colonia achea, era infatti famosa nell’antichità per la salubrità del clima che faceva dei suoi abitanti i più robusti del mondo greco.
Crotoniati, come il leggendario Milone, sono gli atleti di cui si ricordano le imprese più spettacolari, in ogni disciplina ginnica. Oggi sono ancora visibili solo poche rovine della città che probabilmente si estendeva persino oltre l’attuale abitato. Crotone ebbe il suo periodo di splendore nel 6° secolo a.C., quando a guidarla fu chiamato il filosofo Pitagora, esule dall’isola greca di Samo: egli fondò una scuola di grande prestigio ispirata a profondi ideali morali e culturali, legando per sempre il suo nome alla città italica.
Il grande tempio dedicato a Era – la romana Giunone –, di cui oggi è possibile vedere solo alcuni tratti, divenne la sede di una confederazione di città achee della Magna Grecia che costituì un punto di riferimento culturale e politico guardato con ammirazione anche dai Greci del continente.
Durante la guerra combattuta da Sparta contro i Messeni le donne spartane, stanche dei lunghi anni di assedio e preoccupate per l’assenza di figli, decidono con il consenso dei mariti di far unire tutte le vergini della città ai ragazzi rimasti in patria: da quelle unioni nasce una generazione di Spartani che in seguito, poiché illegittima, viene allontanata dalla città e inviata a fondare una colonia in Italia, l’unica spartana.
Taranto, che prende il nome dal vicino torrente Taras, diviene in poco tempo la più potente colonia greca del golfo e più in generale di tutto lo Ionio. Il regime aristocratico con cui è governata riproduce per certi aspetti la società spartana, immobile e dedita soprattutto all’attività militare.
Dopo il 470 a.C., con l’avvento di un regime democratico, la città comincia ad assumere un ruolo culturale importantissimo per tutto il Mediterraneo occidentale, divenendo innanzi tutto il più importante centro di produzione delle straordinarie ceramiche dipinte a due colori (rosso e nero), che raggiungono tutti gli angoli del mondo allora conosciuto. Dalla metà del 4° secolo a.C., sotto il governo del filosofo e matematico Archita, la città attira artisti e letterati e diviene un centro dalla vita culturale assai intensa: nasce il modo di dire ‘fare il tarantino’, cioè darsi alla vita dei piaceri e delle prelibatezze. Originari della città sono personaggi come il filosofo Aristosseno, studioso di musica e di matematica; il poeta di epigrammi Leonida, che ritrae personaggi umili e momenti di vita quotidiana, spesso con riflessioni esistenziali; l’autore di mimi e di teatro Rintone, che tratta in modo burlesco gli argomenti del mito.
Da Taranto, conquistata dai Romani nel 272 a.C., arriverà a Roma un giovane letterato, Livio Andronico, che tradurrà l’Odissea di Omero nella lingua dei Romani, dando origine alla tradizione della letteratura latina.
Al contrario di quanto avviene per la costa ionica del Golfo di Taranto, colonizzata in massima parte dagli Achei e dai Dori, la Sicilia diviene la meta privilegiata delle genti eoliche e ioniche.
Tuttavia la più antica e famosa colonia della Sicilia è di origine dorica. L’esule Archia, governante di Corinto, la città dell’Istmo, è inviato nel 733 a.C. a fondare una città in Occidente. Sceglie, su invito dell’oracolo di Delfi, la ricchezza perpetua come dono per sé e per la città da fondare. Verso l’estremità della costa orientale i coloni notano un isolotto (Ortigia), con una fonte di acqua dolce (Aretusa), vicinissimo alla terraferma, pianeggiante a sud e riparato da colline e cave di marmo a nord (le famose latomie). Il luogo è ideale dal punto di vista strategico. Nasce così Siracusa, che in breve tempo diviene la più potente città greca d’Occidente, adornata di splendidi monumenti e opere d’arte, centro di una intensa vita culturale e patria di artisti e scienziati famosissimi.
La straordinaria ascesa politica e culturale di Siracusa è legata al succedersi dei tiranni, grandi personalità politiche capaci di assicurare il dominio della città sull’isola, di favorirne la crescita economica e di operare come mecenati per l’arte e la letteratura.
La prima famiglia che riesce a farsi padrona della città è quella degli Emmenidi, provenienti da Gela: Gelone, il fratello maggiore, assume la carica di tiranno e getta le basi per la sicurezza politica e militare di Siracusa vincendo in una battaglia navale, a Imera (480 a.C.), la flotta di Cartagine.
È con suo fratello Gerone (478-466 a.C.) che Siracusa vive il suo momento di maggiore splendore e di prestigio internazionale: la città si arricchisce di monumenti e di tesori; alla corte del tiranno vengono chiamati artisti e letterati da ogni parte della Grecia. I poeti Simonide, Pindaro e Bacchilide, spesso in una entusiasmante gara di emulazione fra loro, cantano le imprese delle scuderie del tiranno che riporta anno dopo anno splendide vittorie negli agoni sportivi più famosi della Grecia: i loro canti, commissionati da Gerone in persona, vengono eseguiti da cori di giovani nel corso di magnifiche feste offerte dal tiranno, e il nome di Gerone risuona in ogni parte del mondo grecizzato. Per la fondazione di Etnea – luogo tra l’altro assai suggestivo e carico di mistero perché si diceva che lì fosse scomparsa Persefone (Cerere) rapita da Ade –, Gerone chiama in Sicilia addirittura Eschilo, il grande tragediografo ateniese, che fa rappresentare un dramma in onore del tiranno e della nuova città.
Anche Agrigento, colonizzata da Gela nel 580 a.C., vanta una tradizione di tiranni non meno prestigiosa di quella siracusana: a cominciare dal leggendario Falaride, noto per la sua crudeltà e spregiudicatezza, fino a Terone, che nella prima metà del 5° secolo a.C. attira a corte artisti e poeti che celebrano le imprese sportive delle sue squadre equestri. Pindaro e Bacchilide, ancora una volta, si alternano nella composizione di elogi ed epinici («canti per la vittoria»), e Terone gareggia con Gelone e Gerone nell’allestimento di feste e cerimonie sfarzose. La città si riempie di monumenti e nella collina che sovrasta Agrigento sorgono uno dopo l’altro i numerosi templi che ancora oggi costituiscono uno dei più straordinari e spettacolari tesori della civiltà greca d’Occidente. Negli stessi anni ad Agrigento è attivo Empedocle, una figura singolare di filosofo e scienziato, uomo politico e poeta: dai frammenti delle sue opere emerge una visione del mondo animata dalla fede nel progresso e nella teoria della reincarnazione delle anime in diversi esseri viventi (la metempsicosi).
A Siracusa, dopo la morte di Gerone, il governo poco efficace del fratello minore Trasibulo, succedutogli, e un breve periodo di democrazia, lo splendore della città è rinnovato dall’ascesa di un nuovo, grande protagonista: Dionigi (o Dionisio).
Di umili origini, alla fine del 5° secolo a.C. Dionigi diviene capo militare della città e, quindi, tiranno. Gli storici antichi parlano spesso del carattere irascibile e sospettoso di Dionigi, che diventa quasi il tiranno per antonomasia: risoluto contro chiunque possa emergere e oscurare il suo potere, non si fida di nessuno, vivendo nel terrore di attentati o congiure. Dionigi, che rimarrà al potere fino al 367 a.C., fa circondare Siracusa di imponenti fortificazioni ed espande i suoi territori anche oltre la Sicilia.
Di nuovo artisti e letterati arrivano alla sua corte. Anche Platone, il grande filosofo ateniese, si reca dal tiranno in tre successivi viaggi, con la speranza di convincerlo a instaurare un regime politico illuminato dalla ragione e dalla filosofia della giustizia; i suoi tentativi però falliscono, e la vicenda di Dionigi e Platone rimane per sempre emblematica del rapporto tra governanti e uomini di cultura.
Il figlio del tiranno, Dionigi II, è protagonista di alterne vicende.
Sul finire del 4° secolo a.C. si impone invece un altro personaggio di notevole carisma: si tratta di Agatocle, che dal 317 al 289 a.C., divenuto il nuovo tiranno di Siracusa, fa entrare la città e i suoi domini nel novero delle grandi potenze mediterranee del tempo, alla stregua dell’Egitto tolemaico e della Siria.
L’ultimo grande tiranno siracusano è Gerone II, un generale che si impadronisce del potere nel 275 a.C. e lo mantiene per oltre cinquant’anni. Con lui prende vita una nuova stagione di splendore testimoniata dalla costruzione di monumenti spettacolari – anche grazie alle geniali trovate dello scienziato e ingegnere siracusano Archimede – e dall’opera di mecenatismo verso artisti e letterati richiamati a corte, tra i quali il poeta, anch’egli siracusano, Teocrito, ‘inventore’ del genere pastorale ambientato proprio nelle campagne siciliane.
Nel 212 a.C. Siracusa è conquistata dai Romani: benché sede del governatore della provincia di Sicilia, per la città inizia un lento declino. Diversi quartieri vengono abbandonati e anche quella che un tempo era stata la reggia dei tiranni, in Ortigia, cade in rovina. Ma chi, ancora oggi, sieda nel grande teatro greco di Siracusa assistendo a rappresentazioni di opere antiche che si svolgono in uno scenario suggestivo e unico al mondo, o chi nelle calde serate estive passeggi per i vicoli di Ortigia, pieni di luci e di colori, può sentire intatto il fascino dell’antica Siracusa, nel ricordo della splendida civiltà dei Greci d’Italia.