(ar. Alf laila wa laila) Titolo di una celebre raccolta anonima di novelle in arabo, ma di lontane origini indo-persiane, conosciuta in Europa ai primi del 18° sec. attraverso la libera traduzione francese di A. Galland. Il testo canonico si è formato, nella sua redazione attuale, in Egitto tra il 15° e il 18° secolo. Una storia-cornice, secondo l’uso di molte opere narrative sanscrite, inquadra l’intera opera: il re Shahriyār, dopo aver ucciso la moglie infedele, sposa ogni sera una nuova donna che la mattina successiva viene fatta morire. La figlia del vizir, Shahrazād, escogita un piano: intrattenere il re ogni notte con un nuovo racconto. Dopo mille e una notte il re sposa Shahrazād, che diviene regina. Il materiale incluso in questa cornice è disparato: alcuni racconti appartengono all’antico fondo indiano dell’opera, altri rivelano l’apporto persiano (una raccolta persiana di «Mille storie» Hazār afsāne è infatti considerata lo stadio prearabo delle «Notti»), altri sono ispirati alla civiltà arabo-musulmana, presso cui le Mille notti arie sembra fossero già note, in traduzione araba, nel 9° secolo. Entro questo strato arabo si suole distinguere a sua volta un fondo iracheno (con la figura del califfo abbaside Ḥarūn ar-Rashīd) e uno più recente egiziano, formatosi al Cairo in epoca mamelucca (13°-16° sec.).
Le M., oltre a presentare una serie di racconti e aneddoti brevi, conglobano romanzi e cicli narrativi autonomi poi incorporati nella raccolta, fra cui il romanzo cavalleresco di ‛Omar an-Nu‛mān, il gruppo dei sette Viaggi di Sindbād, e altri cicli che compaiono anche separatamente nella narrativa orientale. Di altissimo valore documentario, comparativistico e folcloristico, le M. sono esteticamente assai disuguali: accanto a novelle universalmente celebri, come Aladino e la lampada incantata e ‛Alī Bābā e i 40 ladroni (che però sono escluse dalla vulgata egiziana corrente), ve ne sono altre meno famose ma di pregio non inferiore (imperniate sulla vita del popolo egiziano nel tardo Medioevo), altre ancora di scarso valore. Benché l’opera non rifletta in realtà il più autentico arabismo antico e medievale, la raccolta ha avuto in Europa immensa fortuna e resta comunque un classico della letteratura universale.