Nel diritto romano, antiche consuetudini, di matrice per lo più rituale, che regolavano ogni aspetto della vita cittadina, tanto sul piano religioso quanto su quello profano. Per lungo tempo rappresentarono l’unica fonte del diritto ed erano tramandati oralmente, di generazione in generazione, con la convinzione che solo attività compiute nello scrupoloso rispetto di essi potessero acquisire un qualche rilievo, sul piano giuridico. Custodi dei m., della loro memoria e della loro preservazione nel tempo, erano sacerdoti patrizi esperti di usi rituali, i pontifices, che presto ne monopolizzarono lo studio e l’interpretazione, anche al fine di apportarvi gli aggiornamenti indispensabili a disciplinare i nuovi casi che l’evoluzione della dinamica sociale poneva all’attenzione. Ai pontefici bisognava rivolgersi per sapere quale norma presiedesse alla celebrazione di una cerimonia di culto, alla conclusione di un negozio, all’esercizio di un’azione processuale: essi davano i responsi attingendo alla conoscenza di un ordinamento che, non essendo scritto, risultava inconoscibile ai più.
Un primo passo avanti, verso una maggior trasparenza del diritto e della sua possibile applicazione, si ebbe quando un pontefice, Papirio, raccolse le cosiddette leges regiae, ossia, con ogni probabilità, le ordinanze emanate dai re che con l’efficacia e la pubblicità proprie di atti d’autorità avevano recepito, nel loro contenuto, parte dei mores.
L’evento decisivo, ai fini della trasformazione dello ius civile da ordinamento consuetudinario non scritto in ordinamento in gran parte scritto e legalizzato, ebbe luogo con la codificazione decemvirale, quando, intorno metà del 5° sec. a.C., su pressione della parte plebea della popolazione, i patrizi consentirono all’elezione di magistrati incaricati di raccogliere in un corpus di leggi (le dodici tavole) gli usi della fase arcaica. Si ritiene però, a ragione, che non tutti i m. siano stati trasfusi nel codice scritto, che sembra in più parti dare per scontata la loro esistenza, limitandosi a regolare alcune implicazioni derivanti dalla loro applicazione. Quindi i m. continuarono a essere oggetto di studio e di interpretazione da parte della giurisprudenza, la quale, nell’adattarli continuamente alle esigenze della vita pratica, finì per assorbirli quasi completamente.