Movimento ed energia
Di che cosa è fatto il nostro Universo? Le cose che lo compongono sono molto diverse tra loro. Possiamo immaginare che, nonostante le loro diversità, esse abbiano qualcosa che le accomuna tutte? Sì, ma per scoprire che cos'è ci sono voluti millenni.
Gli antichi Greci, per primi, si sono posti la domanda: "Da cosa è composto tutto quanto noi vediamo e tocchiamo?". I primi filosofi pensavano che esistesse un solo tipo di materia che poteva prendere forme diverse, dalla pianta alla montagna, dagli esseri viventi al mare. Uno di loro, Talete, che possiamo considerare il primo scienziato della storia, supponeva che fosse tutto formato da acqua, dato che l'acqua è presente in moltissime cose. Oggi sappiamo che l'idea di Talete era sbagliata. Tuttavia la ricerca di un principio unificatore di tutte le cose, sotto le apparenti diversità osservate in natura, è proseguita da allora fino ai nostri giorni.
La prima differenza che salta agli occhi è che la materia può essere solida, liquida o gassosa. Si dice che la materia si presenta in diversi stati. Solido è ciò che ha una sua propria forma e un proprio volume (per esempio, una pietra). Liquido è ciò che prende la forma del recipiente che lo contiene, ma ha un suo proprio volume (l'olio). Gas è ciò che prende sia la forma sia il volume del recipiente che lo contiene (l'aria, il gas metano). I gas sono spesso contenuti in recipienti chiusi e possono anche essere molto compressi. Per esempio, possiamo immettere l'aria in un recipiente rigido comprimendola sempre di più.
Sulla Terra esiste una sola sostanza presente in tutti e tre gli stati: l'acqua. Per lo più è allo stato liquido, ma se la temperatura scende sotto lo zero, l'acqua si solidifica e diventa ghiaccio. Se invece la temperatura sale a 100 °C, l'acqua inizia a bollire, evapora e passa allo stato gassoso. Anche le altre sostanze presenti in natura allo stato solido possono passare a quello liquido o gassoso, ma in genere sono necessarie temperature molto alte. Per rendere solide, invece, sostanze che in natura si trovano allo stato liquido o gassoso, occorre raggiungere temperature molto basse.
Un'altra importante proprietà della materia, oltre al suo stato, è il fatto di essere vivente o non vivente. Si capisce a prima vista che una pietra ha davvero poco in comune con un organismo vivente come un fiore o un animale. Tutto ciò che non è vivente appartiene a quello che viene chiamato mondo minerale; ma anche all'interno del mondo minerale sono grandi le differenze tra una sostanza e l'altra.
Cosa hanno in comune una pietra e l'acqua del mare? Una pepita d'oro grezza e opaca, con una pietra preziosa, luminosa e trasparente? Oltre che nell'aspetto, le sostanze sono diverse anche nelle proprietà. Per esempio, alcune bruciano e altre no. Ma non solo: proviamo a immergere in una tazzina di caffè bollente un cucchiaino di legno e uno di argento. Poco dopo il manico del cucchiaino di argento scotterà, mentre quello del cucchiaino di legno rimarrà freddo: ciò accade perché alcuni materiali sono capaci più di altri di trasmettere il calore.
Già gli antichi Greci avevano scoperto l'esistenza di due sostanze che presentano comportamenti molto particolari. La prima è l'ambra, una specie di resina trasparente, ancora oggi usata per fare collane e gioielli. Se una bacchetta di ambra viene strofinata con un panno di lana, essa attira a sé piccole pagliuzze. La stessa cosa accade se strofiniamo una penna di plastica sul nostro golf di lana e la mettiamo vicino a piccoli pezzetti di carta. L'altra sostanza 'magica', che già i Greci avevano individuato, è la magnetite: è una strana pietra che si trovava in grande quantità presso la città greca di Magnesia. A differenza dell'ambra, la magnetite attira a sé piccoli pezzi di ferro anche senza essere strofinata.
Di fronte a tutte queste grandi diversità sembra quasi impossibile poter trovare un principio unificatore per tutta la materia, che presenta caratteristiche così diverse. Eppure questo principio esiste.
Nel Novecento è stato trovato il principio unificatore della materia: si è scoperto che tutto è formato da atomi. All'inizio quella degli atomi era soltanto una buona ipotesi che spiegava molti fatti, ma in seguito si è potuto scoprire non solo che gli atomi esistono ma la loro struttura.
La parola atomo significa 'indivisibile' (dal greco atomós). L'esistenza di microscopiche particelle indivisibili, già ipotizzata nell'antica Grecia da Democrito ed Epicuro, è rimasta per molti secoli solo argomento di discussione tra i filosofi. Poi, a partire dalla fine del Settecento, sono entrati in azione gli scienziati. Nel Settecento, un chimico francese, Antoine-Laurent Lavoisier, scoprì che esistono sostanze che non si scompongono e le chiamò elementi. Uno scienziato scozzese, John Dalton, pensò che gli elementi fossero diversi tra loro perché fatti da atomi di tipo diverso. Per Dalton gli atomi erano semplici sferette molto piccole: l'unica differenza tra atomi diversi era la loro massa. Per esempio gli atomi dell'elemento idrogeno hanno tutti la stessa massa, e questa è diversa dalla massa degli atomi dell'elemento ossigeno. I composti sono invece fatti da atomi diversi: così l'acqua è fatta da atomi di idrogeno e di ossigeno.
Malgrado queste scoperte, non si avevano ancora prove certe dell'esistenza degli atomi. Le cose troppo piccole come gli atomi possono a volte essere rivelate da tracce indirette. Una talpa si fa vedere raramente, ma le buche nel terreno sono tracce del suo passaggio. In molti casi le tracce vanno cercate accuratamente: per gli atomi è stato così. Per avere informazioni sull'esistenza degli atomi e sulla loro natura si è operato nello stesso modo con cui si cerca di scoprire come è fatto un oggetto contenuto in una scatola di cartone ermeticamente chiusa. Possiamo provare a scuotere la scatola per capire dal rumore se l'oggetto è fatto di metallo, di legno o di carta. Ma per avere informazioni sulla sua forma possiamo bucare la scatola con qualche spillone: in qualche caso lo spillone passerà da parte a parte, in altri casi no. Dagli spilloni che passano e da quelli che non passano possiamo capire se l'oggetto è piatto, tondo, regolare o irregolare. Certo non capiremo tutto, ma qualcosa sì.
Per capire come sono fatti gli atomi, e come si combinano tra di loro, gli scienziati dovevano trovare gli 'spilloni' adatti. La grande svolta c'è stata quando si è scoperta la radioattività, cioè la capacità di alcune sostanze di emettere spontaneamente radiazioni. Queste radiazioni hanno permesso di capire sia che gli atomi esistono sia come sono fatti. Per esempio, attraverso i raggi X (quelli che si usano nelle radiografie) è stato possibile capire che gli atomi dei cristalli sono disposti come in una figura geometrica. Grazie alle radiazioni alfa, fatte di particelle velocissime e molto piccole, è stato possibile dimostrare che l'atomo non è una piccola sfera ma ha una struttura complicata, fatta di zone vuote e zone piene. Così, quando le radiazioni incontrano le zone vuote, passano indisturbate, ma quando trovano le zone piene vengono deviate: proprio come gli spilloni nella scatola.
Agli inizi del Novecento, si è capito che l'atomo è fatto da una parte con carica elettrica negativa e una parte con carica elettrica positiva. La parte carica negativamente pesa molto meno di quella carica positivamente. Si è visto che nell'atomo queste cariche occupano zone diverse: le cariche positive sono al centro, nella parte dell'atomo chiamata nucleo, quelle negative all'esterno. In mezzo c'è un grande spazio vuoto: ecco perché molti 'spilloni' radioattivi passano indisturbati. La carica negativa esterna è dovuta a particelle leggerissime, gli elettroni, quella positiva a particelle più pesanti, i protoni.
Per capire come è fatto il nucleo è stato fondamentale riuscire a romperlo. Si è così scoperto che, insieme ai protoni, nel nucleo, ci sono particelle aventi la stessa massa ma carica elettrica nulla e si chiamano neutroni. In un atomo ci sono tanti elettroni quanti sono i protoni: la carica degli elettroni neutralizza quella dei protoni e perciò l'atomo è neutro.
Uno dei primi fenomeni fisici a cui l'uomo ha trovato una spiegazione è stato il galleggiamento. Il ferro pesa più dell'acqua e va a fondo; eppure le navi sono fatte di ferro, e anche se sono pesantissime rimangono a galla. Fu uno scienziato greco, Archimede, a scoprire più di 2.000 anni fa il segreto del galleggiamento:
Ci troviamo in Sicilia, nella splendida Siracusa, alla fine del 3° secolo a.C. Gerone, signore della città, vuole una nuova corona d'oro. L'orefice la realizza per lui. La corona è bellissima, ma Gerone dubita che sia veramente d'oro, e sospetta che l'orefice l'abbia fatta mescolando dell'argento all'oro per tenersi un po' di oro da parte. Gerone convoca Archimede, il più grande scienziato dell'epoca, per scoprire, anche senza rompere la corona, se l'orefice lo abbia ingannato o no. Si narra che Archimede, deciso a risolvere il mistero della corona, abbia trovato la soluzione mentre faceva un bel bagno. In realtà Archimede studiava da anni il problema del galleggiamento dei corpi, e arrivò a formulare una legge attraverso la quale è possibile determinare se un oggetto può galleggiare oppure no: la legge detta, appunto, di Archimede.
Per capire come ragionò Archimede per arrivare a formulare la sua legge facciamo un semplice esperimento. Prendiamo due piccoli cubi di uguali dimensioni, uno di legno e uno di ferro. Il cubo di legno pesa meno di quello di ferro. Se li immergiamo in una bacinella, il primo galleggia e il secondo no. Perché? Quando immergiamo un cubo, l'acqua della bacinella si sposta per fargli posto. L'acqua spostata cerca di tornare al suo posto, e quindi spinge il cubo verso l'alto. Archimede scoprì che questa spinta era uguale al peso dell'acqua spostata. I due cubi hanno lo stesso volume, quindi spostano la stessa quantità di acqua e ricevono la stessa spinta. Nel caso del ferro, più pesante, la spinta dell'acqua non basta a mantenerlo a galla, mentre nel caso del legno la spinta è sufficiente. La differenza sta nel fatto che, a parità di volume, il ferro pesa più del legno: per indicare questo fatto, i fisici dicono che il ferro ha una densità maggiore del legno. Più un materiale è denso più tende ad affondare. È per questo che un grosso tronco di legno sta a galla e un chiodo di ferro, anche se piccolo, affonda.
Che cosa ha a che fare la legge di Archimede con la corona di Gerone? Per capire di che cosa era fatta la corona, Archimede prese una quantità di argento e una di oro che pesavano come la corona. Le immerse una alla volta in una bacinella colma d'acqua, raccolse l'acqua che ne usciva e la misurò. Notò che la quantità di acqua uscita quando veniva immerso l'argento era quasi uguale a quella uscita quando veniva immersa la corona. Invece la quantità di acqua fuoriuscita dalla bacinella quando veniva immerso l'oro era minore. Infatti l'oro è più denso dell'argento e perciò, a parità di peso, l'oro occupa meno spazio dell'argento. La corona era dunque fatta prevalentemente d'argento, o comunque non era fatta di oro puro! L'orefice che aveva cercato di imbrogliare Gerone, una volta scoperto, fece una brutta fine!
Per far immergere un sommergibile alcuni settori vengono riempiti d'acqua; invece, quando vengono svuotati tramite pompe, l'aria prende il posto dell'acqua e la densità totale del sommergibile diminuisce, permettendogli di tornare in superficie. Allo stesso modo una corazzata fatta di centinaia di tonnellate di ferro galleggia tranquillamente sull'acqua perché il suo scafo di ferro è cavo e 'pieno' di aria, cosicché la densità complessiva della corazzata è inferiore a quella dell'acqua.
Quando lasciamo andare un oggetto che teniamo in mano, l'oggetto cade a terra. Ma non tutti gli oggetti cadono alla stessa velocità. Perché? Ai nostri occhi sembra un fenomeno normale, eppure ci sono voluti secoli per capire quali sono le leggi che spiegano perché i corpi cadono e perché si muovono.
Il primo grande pensatore che ha cercato di capire come cadono i corpi è stato il greco Aristotele, il maestro di Alessandro Magno. Egli fu uno scienziato, oltre che un grande filosofo, ma le sue idee sul movimento dei corpi, anche se sembravano molto ragionevoli, erano sbagliate. Aristotele pensava che più è grande la massa di un corpo, più il corpo cade velocemente.
Ci sono voluti quasi 2.000 anni per capire che la convinzione di Aristotele (e con lui quella di molti altri) era sbagliata. C'è voluto tanto tempo perché le idee di Aristotele sembravano confermare l'esperienza di tutti i giorni. Per esempio, se lasciamo cadere un pezzetto di carta e una penna, la penna arriva a terra prima della carta. Questo, secondo Aristotele, dipende dal fatto che la penna ha una massa più grande, cioè pesa di più della carta. Non è così. Prendiamo infatti due carte da gioco identiche, che hanno lo stesso peso. Facciamole cadere una di taglio e l'altra di piatto. Se quella in verticale cade dritta, arriva a terra prima di quella che scende di piatto. Eppure le due carte sono identiche!
Che cos'è che rallenta la corsa della carta che scende di piatto? Nel Seicento, lo scienziato Galileo Galilei capì che è la resistenza dell'aria a opporsi alla caduta dei corpi. Quindi, se vogliamo capire qualcosa su come un corpo cade, dobbiamo riuscire a eliminare questa resistenza. Se facciamo cadere in assenza di aria (per esempio all'interno di un recipiente da cui l'aria è stata aspirata) oggetti diversi per forma, dimensione e peso, ci accorgiamo che arrivano tutti sul fondo nello stesso momento!
Per capire da che cosa dipende questo fatto, e come ha ragionato Galilei per arrivare alle sue conclusioni, dobbiamo imparare qualcosa di più sul moto degli oggetti.
Il moto di un oggetto è descritto dalla sua velocità e dalla sua accelerazione. Vediamo cosa intendono per velocità gli scienziati. Marco e Carlo devono correre per un minuto. Vince chi arriva più lontano. Marco in un minuto percorre 240 metri, mentre Carlo solo 180. Marco è stato più veloce e ha vinto la gara, ma di quanto è stato più veloce? Per misurare la velocità basta vedere quanto spazio viene percorso in una quantità di tempo determinata, per esempio in un secondo. Marco ha percorso 240 metri in un minuto; quindi ha percorso 240 : 60=4 metri in un secondo. Di solito si scrive che la sua velocità è di 4 m/s (si legge 4 metri al secondo). La velocità di Carlo, invece, è di 180 : 60=3 m/s (3 metri al secondo). Adesso sappiamo che Marco è stato più veloce rispetto a Carlo di 4−3= 1m/s. Se la velocità di Carlo e Marco non è cambiata durante la gara (cioè se non hanno né frenato né accelerato) si parla di velocità costante.
Quando un oggetto cade a terra, la sua velocità non è costante. Infatti nell'istante in cui noi lo lasciamo è fermo e quindi ha una velocità uguale a 0 m/s. Da quando inizia a muoversi, l'oggetto acquista man mano una certa velocità. Il cambiamento di velocità si chiama accelerazione: per esempio, quando l'accelerazione è di 2 m/s2 (metri al secondo per secondo) vuol dire che in 1 secondo la velocità è cambiata di 2 m/s. Galilei capì che il modo in cui i corpi cadono verso terra non dipende dalla loro massa. La loro velocità aumenta sempre di più durante la caduta, e quindi il loro moto è accelerato. Galilei fece delle misure e scoprì che, per qualunque corpo, l'accelerazione è sempre la stessa! Questa accelerazione è di 9,8 m/s2.
L'accelerazione di un corpo che cade è chiamata accelerazione di gravità: essa è l'aumento di velocità che ogni corpo subisce cadendo sulla Terra. L'accelerazione sarebbe sempre di 9,8 m/s2 per tutti gli oggetti (di qualunque dimensione, forma e peso) se non ci fosse l'aria a frenare la caduta.
Secondo Galilei, un oggetto in moto tende a muoversi sempre alla stessa velocità e nella stessa direzione. Eppure di solito osserviamo che quando diamo una spinta a un oggetto su un tavolo, dopo un po' si ferma. Oppure, se andiamo in bicicletta e smettiamo di pedalare, la bicicletta rallenta. Che cosa fa frenare gli oggetti? E perché l'idea di Galilei è corretta, nonostante questi fatti?
Immaginiamo un oggetto che non cambia mai la sua velocità e va sempre dritto. Di questo oggetto si dice che si muove con moto rettilineo (perché va sempre dritto) e uniforme (perché ha sempre la stessa velocità). Attraverso esperimenti simili a quello della caduta dei corpi, Galilei ha stabilito che se un corpo si muove con moto rettilineo uniforme tenderà a muoversi sempre in questo modo, senza cambiare mai la sua velocità e la sua direzione. Eppure di solito osserviamo che quando diamo una spinta a un oggetto su un tavolo, dopo un po' l'oggetto si ferma. A prima vista potremmo pensare, come diceva Aristotele, che un corpo per continuare a muoversi ha sempre bisogno di essere spinto e quando finisce la spinta, si ferma. Non è così!
Dobbiamo ricordarci dell'esempio della caduta delle due carte da gioco: in quel caso dovevamo eliminare la resistenza dell'aria, qui dobbiamo pensare a cosa ostacola il moto di un corpo su un piano. Prendiamo un pallone e andiamo su una spiaggia. Diamogli un calcio: vedremo che la sua velocità diminuisce subito, e che presto il pallone si ferma del tutto perché la sabbia e le sue cunette lo hanno frenato. Se invece diamo un calcio al pallone su una strada liscia, il pallone ci metterà più tempo a perdere velocità e a fermarsi, perché la strada liscia lo frena di meno. Su un piano ghiacciato, più liscio dell'asfalto, il pallone impiegherà molto più tempo a perdere velocità. Possiamo immaginare che se calciassimo il pallone su un piano perfettamente liscio ed eliminassimo anche la resistenza dell'aria, allora il pallone continuerebbe a muoversi con la stessa velocità. Questo è un esempio di esperimento ideale, cioè un esperimento che si fa nella propria testa, ragionando sulle osservazioni e sull'esperienza. La tendenza di un corpo a conservare la propria velocità e la propria direzione rettilinea si chiama inerzia.
Se quando siamo in macchina freniamo bruscamente, ci proiettiamo con il corpo in avanti perché tendiamo a mantenere la velocità che avevamo, cioè quella della macchina prima della frenata. Per questo dobbiamo usare la cintura di sicurezza: secondo il principio d'inerzia di Galilei, se non portassimo la cintura continueremmo nel nostro moto rettilineo uniforme e sbatteremmo contro il vetro!
Gli ostacoli al moto (per esempio le imperfezioni del terreno o la resistenza dell'aria, di cui abbiamo parlato) vengono detti attriti. La loro presenza diminuisce la nostra velocità e ci fa rallentare. Quando tiriamo il freno della bicicletta, due morsetti di gomma si stringono attorno alla ruota e la bloccano. I morsetti di gomma creano un elevato attrito: la ruota rallenta e poi si ferma, tanto più rapidamente quanto più forte stringiamo i freni. L'attrito genera molto calore. Per verificarlo, tocchiamo i morsetti dei freni della bicicletta dopo una lunga frenata, magari in discesa: li sentiremo scottare. L'energia che la nostra bicicletta aveva perché si stava muovendo si trasforma nel calore della ruota e dei freni che l'hanno fermata. Ma di questo parleremo più avanti.
Gli oggetti si fermano, accelerano, cambiano direzione. Eppure, se niente intervenisse a modificare il moto, un oggetto fermo rimarrebbe fermo e uno in moto si muoverebbe dritto, sempre alla stessa velocità. Sono le forze che provocano le variazioni del moto.
Isaac Newton, nato in Inghilterra nel 1642, nello stesso anno in cui in Italia moriva Galilei, è stato il primo a capire che l'accelerazione di un oggetto (cioè la sua variazione di velocità) dipende dalla forza che a questo oggetto viene applicata. Facciamo un esempio: per far muovere un pallone dobbiamo dargli un calcio, cioè una spinta. In altre parole, dobbiamo applicare una forza. A causa della forza che applichiamo, in un secondo il pallone passerà da una velocità di 0 m/s (quando sta fermo) a una velocità, per esempio, di 20 m/s: quindi subirà una variazione di velocità, cioè un'accelerazione di 20 m/s2. Secondo Newton, questa accelerazione è tanto più grande quanto maggiore è la forza che applichiamo. Più forte è il calcio, più la variazione di velocità del pallone aumenterà. La variazione di velocità dipende anche da quanto pesa il pallone: più il pallone è pesante, più piccola sarà la sua accelerazione. Dopo il calcio, il pallone continuerebbe ad andare sempre alla stessa velocità se non ci fosse l'attrito, che fa diminuire la velocità fino a fermarlo. Dunque anche l'attrito è una forza, ma una forza che si oppone al moto anziché favorirlo.
Prendiamo un secchiello, riempiamolo d'acqua e facciamolo ruotare velocemente. Quando il secchiello si trova in alto capovolto l'acqua non cade. Come mai? Che cosa si oppone alla sua caduta? Se lasciassimo la presa, per il principio di inerzia il secchiello proseguirebbe dritto. Questo vuol dire che stiamo esercitando una forza sul secchiello, costringendolo a girare in cerchio. Anche l'acqua se ne andrebbe nella stessa direzione del secchiello, ma rimane imprigionata dentro premendo sulle pareti: ecco perché non cade. La forza che tiene legato il secchiello (e l'acqua) al nostro braccio, costringendolo a ruotare intorno a noi invece di andare dritto, si chiama forza centripeta. Questa forza impedisce ai corpi di allontanarsi con moto rettilineo uniforme e li fa muovere in cerchio, attirandoli proprio verso il centro di questo cerchio.
I pianeti girano intorno al Sole invece di andarsene dritti per lo spazio. Questo vuol dire che deve esistere una forza che li attira verso il Sole, come il nostro braccio che gira attira verso il centro del cerchio il secchiello, e non lo lascia andare dritto. La forza che attira i pianeti verso il Sole si chiama forza gravitazionale. La forza gravitazionale esiste fra tutti i corpi che hanno una massa. È una forza di attrazione , perché tende a tenere vicini i corpi. è questa la forza che attira noi e quello che ci circonda verso la superficie della Terra, cioè verso il suolo. Newton scoprì che la forza gravitazionale tra due corpi è tanto più grande tanto più grandi sono le masse dei due corpi e tanto più essi sono vicini. La forza gravitazionale attira la Terra verso il Sole ma allo stesso modo attira il Sole verso la Terra. Perché allora diciamo che è la Terra a girare intorno al Sole, e non viceversa?
In realtà, sia la Terra sia il Sole girano entrambi intorno a un centro comune. Tutti i corpi celesti che si attraggono girano attorno a un centro comune (detto centro di gravità), ma questo centro è spostato verso il corpo che ha la massa più grande; se due corpi sono uguali, esso si troverà esattamente a metà strada. Il Sole ha invece una massa tanto più grande di quella della Terra che questo punto è in pratica vicinissimo al centro del Sole stesso. Per questo diciamo che è la Terra a girare intorno al Sole.
Il vento o una cascata d'acqua possono essere usati per far funzionare un mulino, cioè per compiere lavoro. Per questa ragione l'uomo ha imparato a utilizzare l'energia presente in natura e a trasformarla in altri tipi di energia.
Energia è una parola che usiamo spesso: quando siamo stanchi diciamo che "siamo privi di energia", o che riposiamo "per accumulare energia". Gli scienziati usano questa parola con un significato più preciso: per loro l'energia è la capacità di compiere un lavoro. Un lavoro viene fatto, per esempio, dalla pala del mulino che gira quando l'acqua le cade sopra dall'alto, oppure dall'enorme gru che carica un container su una nave. Ma è lavoro anche quello che facciamo la mattina, quando camminiamo per andare a scuola. L'energia esiste in natura in tante forme e queste diverse forme si possono trasformare l'una nell'altra.
L'acqua che si trova in cima a una cascata, per esempio, possiede una certa energia. Supponiamo che l'acqua sia trattenuta da una diga, e che sotto ci sia un mulino. Se l'acqua non viene fatta cadere, le ruote del mulino non girano. Se apriamo la diga, l'acqua cade e le mette in moto. Diciamo che l'acqua in cima alla cascata possiede energia potenziale, ha cioè la capacità di compiere un lavoro, sia che questo venga poi compiuto o meno. Più in basso si trova l'acqua, meno essa sarà in grado di far girare le ruote del mulino: l'energia potenziale dell'acqua cresce con l'altezza a cui si trova prima di cadere.
Pensiamo adesso a un mulino a vento. L'aria possiede energia sufficiente per far muovere le pale del mulino solo se c'è vento, cioè se l'aria si muove con una certa velocità. Questo tipo di energia dovuta al movimento si chiama energia cinetica. Il suo nome deriva dalla parola greca kinema, che vuol dire proprio 'movimento'. L'energia cinetica è quella posseduta da ogni corpo che si muove: più un corpo è veloce, maggiore è la sua energia cinetica. L'energia cinetica è legata anche alla massa di un corpo: se un moscerino sbatte contro il nostro viso a 20 chilometri all'ora avvertiamo solo fastidio, ma se ci arriva in faccia alla stessa velocità un pallone…
Quando il pallone che si muove su un piano orizzontale rallenta a causa dell'attrito, la sua energia cinetica diminuisce. Dove è andata a finire l'energia cinetica del pallone? Sembra sparita, ma non è così! A causa degli attriti, infatti, questa energia si è trasformata in calore, cioè in energia termica. Lo stesso accadeva quando abbiamo frenato la bicicletta all'improvviso: i freni si erano riscaldati. Anche in quel caso l'energia cinetica si era trasformata in calore.
L'ambra è capace di attirare a sé delle pagliuzze. Oggi sappiamo che non c'è nessuna vera magia in questo. Abbiamo anche visto che se strofiniamo una penna di plastica su un indumento di lana, possiamo sollevare un pezzetto di carta semplicemente avvicinando la penna! Come si spiegano questi fatti? Sappiamo che gli elettroni si muovono piuttosto distanti dal nucleo del loro atomo: questo significa che possono facilmente spostarsi da un atomo all'altro. Quando strofiniamo la penna sulla lana avviene il trasferimento di cariche negative, cioè di elettroni, sulla lana. A questo punto la penna rimane carica positivamente, perché i suoi atomi hanno perso elettroni. Le cariche negative e positive si attraggono. Quando avviciniamo la penna al pezzetto di carta, gli elettroni della carta vengono attratti dalla carica positiva che c'è sulla penna. Le cariche positive presenti sulla penna attirano la carta e, spostandola, fanno del lavoro. Questo lavoro dovuto a una forma di energia che dipende dalle forze elettriche è chiamato energia elettrica.
Durante i fenomeni elettrici gli elettroni vanno e vengono dagli atomi. Invece i protoni e i neutroni presenti nel nucleo di un atomo sono tenuti insieme da forze molto più grandi: le forze nucleari. L'energia nucleare è quella che si libera rompendo un nucleo, ed è grandissima: infatti le esplosioni atomiche sono proprio dovute alla rottura dei nuclei degli atomi.
C'è una relazione molto stretta tra le varie forme di energia: quando sembra che una di esse sia scomparsa, in realtà scopriamo che si è soltanto trasformata. La scoperta di queste trasformazioni ha reso possibili invenzioni che hanno segnato tappe importanti del progresso scientifico e sociale.
Saliamo in cima a uno scivolo e prepariamoci a scendere. In questo momento siamo fermi, quindi non abbiamo nessuna energia cinetica. Solo per il fatto di trovarci a un certa altezza dal suolo abbiamo però una certa energia potenziale. Quando iniziamo a scendere, la nostra energia potenziale diminuisce perché diminuisce l'altezza dal suolo a cui ci troviamo. Contemporaneamente aumenta la nostra energia cinetica, perché aumenta la velocità con cui scendiamo. Dunque l'energia che avevamo all'inizio non è scomparsa: si è solo trasformata! Arrivando a terra, la nostra energia potenziale calerà a zero, ma la nostra energia cinetica sarà massima. Trascurando l'attrito, la massima velocità che possiamo raggiungere dipende soltanto dall'altezza da cui siamo partiti.
Dall'esempio dello scivolo possiamo ricavare un principio importante: l'energia può trasformarsi e passare da una forma all'altra, ma non può scomparire. Quando scendiamo su uno scivolo la nostra energia si trasforma da potenziale in cinetica, ma la quantità totale di energia non cambia. I trenini delle montagne russe sfruttano proprio l'energia cinetica acquistata durante una discesa per salire sulla gobba successiva. Se non ci fossero attriti a frenarlo, il trenino potrebbe salire su una gobba della stessa altezza di quella da cui è partito, convertendo ogni volta l'energia potenziale in energia cinetica e l'energia cinetica in potenziale... e non si fermerebbe mai.
Quando un oggetto frena a causa dell'attrito viene liberato calore (i freni della bicicletta). Anche quando un oggetto cade per terra fermandosi per attrito cede calore al terreno. Questo significa che possiamo trasformare l'energia in calore. Nel secolo scorso si comprese che il calore è esso stesso una forma di energia. Come l'energia si trasforma in calore, anche il calore può trasformarsi in energia, ma solamente a certe condizioni. Quindi il calore può essere usato per fare del lavoro! Questo importante concetto fu presto usato per costruire i primi treni, che erano trainati da locomotive a vapore. Queste locomotive erano azionate dal calore prodotto dalla combustione del carbone. Il vapore prodotto bruciando il carbone, dilatandosi, esercitava una pressione sui pistoni, e metteva in moto la locomotiva.
Anche l'energia elettrica si può convertire in energia cinetica, e viceversa. Per esempio, l'energia elettrica che proviene dalla linea elettrica è in grado di far muovere i treni trasformandosi in energia cinetica. Può avvenire anche il contrario: si può convertire energia cinetica o potenziale in energia elettrica. Per esempio, nelle centrali idroelettriche l'elettricità viene prodotta sfruttando l'energia potenziale dell'acqua che cade da una certa altezza.
I motori a scoppio delle automobili bruciano un combustibile (come la benzina) per ottenere energia, ma i prodotti della combustione inquinano l'ambiente (v. inquinamento), mentre nei motori elettrici non c'è bisogno di bruciare combustibili. Solo recentemente questi motori sono diventati abbastanza efficienti e pratici da muovere un'automobile.
La temperatura è la grandezza che permette di sapere in che direzione fluisce il calore: tra due corpi a diversa temperatura il calore fluisce da quello a temperatura maggiore a quello a temperatura minore. Quindi più è elevata la temperatura di un corpo (cioè più grande è l'energia cinetica dei suoi atomi) più il corpo è in grado di trasmettere calore. La temperatura di un oggetto è dovuta al movimento (e cioè all'energia cinetica) degli atomi che lo costituiscono: più gli atomi si muovono velocemente, maggiore è la temperatura dell'oggetto.
Un meteorite viaggia nello spazio. Man mano che si avvicina alla Terra, viene sempre più deviato verso il nostro pianeta dalla forza gravitazionale. Per descrivere questo fatto diciamo che la Terra, come ogni altro corpo celeste, è circondata da un campo gravitazionale e che questo campo influenza il moto dei corpi che le passano accanto.
Secondo la legge di Newton, tutti i corpi dotati di massa si attirano, quindi esercitano l'uno sull'altro un'azione a distanza. Questa è una cosa un po' strana: noi non riusciamo a muovere gli oggetti con la sola forza del pensiero, a distanza, senza toccarli. Come è possibile, allora, che i corpi celesti, per esempio la Terra e la Luna, si attirino da così grandi distanze? Che differenza c'è tra lo spazio lontano dalla Terra e quello più vicino a essa?
Per capirlo pensiamo di sederci al centro di un letto molto morbido, su cui è poggiata una pallina. A causa del nostro peso si forma un avvallamento: se la pallina è poggiata nelle vicinanze dell'avvallamento, scivola verso di noi. La nostra presenza ha modificato lo spazio intorno a noi. I fisici chiamano campo la 'deformazione' dello spazio. Nel caso del letto morbido il campo è l'avvallamento del letto prodotto dal nostro corpo: palline, libri, matite che si trovano lì vicino cadono verso di noi senza scampo. Allo stesso modo, se un meteorite passa vicino alla Terra, la sua velocità e la sua direzione cambieranno a causa dell'attrazione terrestre. Anche la Terra crea una specie di avvallamento nello spazio circostante e il meteorite cambia direzione e velocità perché si trova nel campo gravitazionale terrestre.
L'avvallamento fatto sul letto ha la massima profondità proprio sotto di noi: man mano che aumenta la distanza da noi, l'avvallamento diventa sempre meno profondo. Un campo gravitazionale (v. gravitazione) è fatto un po' nello stesso modo. Quando il meteorite è lontano dalla Terra viene attratto solo debolmente, ma poi, avvicinandosi, viene attratto con forza sempre maggiore. I fisici dicono che la Terra crea intorno a sé una buca di potenziale all'interno della quale 'cade' qualunque oggetto che le si avvicina. Quando il meteorite cade nella buca di potenziale la sua energia potenziale diminuisce, come succede all'acqua che cade dall'alto della cascata.
Per far uscire il meteorite dalla buca di potenziale bisognerebbe 'tirarlo via' dalla Terra esercitando una forza e compiendo un lavoro uguale all'energia potenziale che il meteorite ha perso avvicinandosi. Ecco perché quando un razzo viene sparato nello spazio bisogna usare motori potentissimi: essi devono compiere un lavoro sufficiente a far uscire il razzo dalla buca di potenziale dovuta all'attrazione della Terra.
L'Universo è pieno di stelle e pianeti. Ogni stella e ogni pianeta deformano lo spazio che li circonda con il loro campo gravitazionale. Per questo motivo lo spazio risulta quindi pieno di … buche di potenziale! Quando si manda in esplorazione un satellite o un'astronave bisogna tenerne conto, altrimenti corrono il rischio di venire risucchiati. L'astronave può avanzare a motori spenti soltanto quando si trova lontana dai corpi celesti: in questa situazione infatti non sente la loro forza gravitazionale e la sua inerzia è sufficiente a farla procedere dritta. Ma quando l'astronave si trova nelle vicinanze di un corpo celeste è necessario accendere i motori per non cadere nella famelica buca di potenziale che quel corpo crea attorno a sé.
Al buio non si vede: per vedere abbiamo bisogno della luce, e con la luce appaiono i colori. Che cos'è la luce? A lungo si è pensato che fosse soltanto un fascio di particelle, ma ci sono alcuni fenomeni che si spiegano soltanto pensando che i raggi luminosi siano anche onde
Gli oggetti mostrano tanti colori diversi. Ma il colore è una caratteristica propria dell'oggetto? Al buio i colori continuano a esistere? In una discoteca, sotto l'effetto di luci particolari, i colori dei nostri vestiti non sono gli stessi che alla luce del sole. Ciò vuol dire che i colori di un oggetto dipendono dalla luce che li colpisce: senza la luce non ci sono i colori. Cartesio fu il primo a sostenere che i colori dipendono dalla luce. Fu però Newton a fare un esperimento decisivo: fece passare un raggio di sole attraverso un prisma di vetro e vide che il raggio si scomponeva nei sette colori dell'arcobaleno (si può ottenere lo stesso effetto con un portacenere di cristallo o, per riflessione, con un cd-rom). Si può anche fare l'esperimento inverso: prendiamo un dischetto diviso in sette spicchi colorati con i colori dell'arcobaleno. Facciamo girare il dischetto: se il cartoncino ruota abbastanza velocemente, risulterà di colore bianco. Questo accade perché i colori si sono sovrapposti nel nostro occhio. Quindi il colore bianco è semplicemente la somma di tutti i colori.
Prendiamo un foglio di carta con al centro un buco grande e tondo e, al buio, accendiamo una lampadina dietro il foglio proiettandone l'ombra su una parete. La luce che passa attraverso il foro proietta un cerchio sul muro, più grande o più piccolo a seconda di quanto cambiano la distanza tra il foglio e la parete. La figura che osserviamo è dovuta al fatto che i raggi luminosi sono rettilinei: infatti la linea che unisce la lampadina all'ombra è proprio una linea retta. Newton ha spiegato questo fatto sostenendo che la luce è fatta di raggi formati da particelle che si muovono in linea retta, come tutte le cose in moto non soggette a forze.
Un contemporaneo di Newton, Christiaan Huygens, invece, ha sostenuto che i raggi luminosi sono onde, simili alle onde del mare. Prendiamo un catino pieno d'acqua e facciamoci cadere un sassolino: vedremo l'acqua incresparsi e formare onde che si propagano in cerchio. Ora buttiamo nel catino due sassolini, uno vicino all'altro: si formano così due serie di onde. Nella parte centrale, dove si accavallano, i cerchi formati dalle onde si rompono e formano particolari figure, chiamate figure d'interferenza. Huygens notò che in molti fenomeni luminosi la luce si comporta come se fosse fatta di onde. Prendiamo un cartoncino con un buco molto piccolo, e proiettiamo come prima l'immagine di questo piccolo buco. Vedremo non un piccolo cerchio, ma una serie di cerchi chiari e scuri che si alternano, simili a quelli fatti da un sasso nell'acqua. Se facciamo un altro buco vicino al primo, i cerchi chiari e scuri si sovrappongono e formano figure d'interferenza simili a quelle che osserviamo nell'acqua.
Un raggio luminoso viaggia come un'onda, ma si comporta anche come se fosse composto da particelle. Quando un raggio di luce colpisce un metallo, questo emette elettroni. Questo fenomeno (effetto fotoelettrico) può essere spiegato immaginando che la luce sia fatta di singole particelle in grado di colpire gli elettroni come una palla di biliardo. Albert Einstein, nel 1921, vinse il premio Nobel proprio per aver intuito l'esistenza del fotone, la particella elementare da cui è composta la luce. Si affacciava nella fisica un nuovo concetto: le particelle elementari che costituiscono la materia si comportano sia come onde sia come particelle.
Nella vita quotidiana non ci accorgiamo di questo fatto perché i fenomeni che riguardano oggetti di grandi dimensioni sono spiegabili pensando alla materia fatta o di particelle o di onde, ma non le due cose insieme. Però, quando si cerca di capire come sono fatti un atomo o un nucleo atomico, queste idee così singolari diventano veramente essenziali.
I messaggi che inviamo o riceviamo con il telefono cellulare, il computer, la radio o la televisione viaggiano tutti tramite onde elettromagnetiche. Anche quello che sappiamo sulle stelle e sugli atomi ci è stato insegnato in gran parte dalle onde elettromagnetiche.
I raggi luminosi sono onde elettromagnetiche, cioè particolari radiazioni emesse dagli atomi quando un elettrone si avvicina o si allontana dal nucleo. Le onde elettromagnetiche (come tutte le onde) hanno una loro lunghezza d'onda, che è la distanza tra un picco (cioè la 'cresta') dell'onda e quello successivo. A lunghezze diverse corrispondono i diversi colori percepiti dall'occhio umano. Noi non siamo in grado di vedere tutti i tipi di onde. Nel nostro occhio ci sono cellule specializzate che vengono eccitate dalle onde della luce. Se le onde sono troppo lunghe o troppo corte per eccitare le nostre cellule, il cervello non vede niente. Quindi i colori non sono una proprietà delle cose, ma il modo in cui il cervello interpreta le onde della luce. Tanto è vero che altri animali non vedono gli stessi colori che vediamo noi. Alcuni vedono il mondo in bianco e nero: solo luci e ombre!
La maggior parte dei mezzi di comunicazione che usiamo ogni giorno utilizza onde elettromagnetiche. Esse viaggiano nello spazio, anche nel vuoto, e sono più veloci di qualunque altra cosa: viaggiano alla velocità della luce! Sono quindi un ottimo mezzo per comunicare in fretta. Le onde elettromagnetiche possono essere trasmesse attraverso fili, come avviene nel caso del telefono, oppure possono essere emesse e ricevute dalle antenne. Grazie alle onde elettromagnetiche e alle loro proprietà noi disponiamo della radio, della televisione, dei computer e dei telefoni cellulari.
Le onde elettromagnetiche ci portano importanti messaggi dall'Universo. Le stelle emettono questo tipo di onde sia sotto forma di luce visibile (infatti le vediamo splendere) sia come luce invisibile (raggi X, raggi gamma, ecc.). La luce emessa da una stella ci aiuta a capire, per esempio, di quali atomi è fatta: infatti ogni atomo emette una serie di onde elettromagnetiche diverse per ogni tipo di atomo. I messaggi che ci arrivano dallo spazio possono essere partiti anche milioni di anni fa. La luce viaggia velocissima, eppure può impiegare anni o secoli ad arrivare fino a noi. Ecco perché ci può capitare, guardando il cielo di notte, di vedere una stella che magari è già morta nel momento della sua esplosione, anche se ha smesso di brillare da millenni. Sempre per questo motivo, le onde elettromagnetiche che ci arrivano dallo spazio ci permettono di studiare la storia dell'Universo più antico.
Anche la materia ci parla inviando onde elettromagnetiche. È attraverso questi messaggi che siamo riusciti a capire come sono fatti gli atomi. Gli atomi non si possono vedere direttamente, nemmeno con i più potenti microscopi! Infatti per vedere una cosa dobbiamo illuminarla: il raggio luminoso viene riflesso dall'oggetto ed entra nel nostro occhio. Ma la luce è fatta anch'essa di piccolissime particelle, i fotoni. Un atomo è così piccolo che per 'illuminarlo' non possiamo usare i fotoni: essi non rimbalzano indietro, ma vengono solo leggermente deviati (o, a volte, assorbiti), così che non riceviamo indietro nessuna informazione.
"Più veloce di un proiettile. Più potente di una locomotiva. Capace di scavalcare i grattacieli con un solo balzo. Guarda su nel cielo. È un uccello, è un aereo, è… Superman!". Eh, già… è proprio vero che non siamo tutti uguali. C'è chi va meglio in italiano e chi in matematica, c'è chi impara presto le lingue e chi fa meglio gli esercizi di ginnastica. C'è chi è bravo a inventare bugie e chi corre più veloce di un treno, spacca le montagne con un pugno, aspira nuvole intere, vola più veloce della luce. A dir la verità non ce ne sono poi molti così, anzi direi che ce n'è uno solo: Superman. Fin da piccolino, quando è stato trovato abbandonato in una strana nave spaziale dal signore e dalla signora Kent, ha dimostrato una forza straordinaria, sollevando comodini e armadi.
Crescendo, però, il giovane Clark Kent si sentiva un po' ridicolo a fare le gare con i treni o a sollevare gli alberi con il mignolo. Così, alla morte dei genitori adottivi, si è trasferito nella città di Metropolis e ha messo i suoi poteri al servizio del bene comune. Non c'è criminale, rapinatore, assassino, scienziato pazzo che non abbia dovuto fare i conti con l'inconfondibile figura in calzamaglia blu, mantello rosso e la grande S sul petto. Niente può fermarlo: le pallottole rimbalzano sul suo corpo e i suoi muscoli sono più duri dell'acciaio. Certo, non si direbbe a incontrarlo mentre è nelle vesti di Clark Kent e lavora come giornalista: fa il timido, sembra imbranato e incapace di acchiappare una mosca. Ma è costretto a fare così, altrimenti si scoprirebbe la sua identità segreta.
Prima abbiamo detto che c'è un solo Superman. In realtà, ogni epoca e ogni parte del mondo ne ha uno. Come si potrebbero salvare altrimenti tutti quelli che sono in pericolo contemporaneamente ai poli opposti del Pianeta? Uno dei più antichi si chiama Ercole. Lui non viene dallo spazio, ma ha le sue buone raccomandazioni lassù in cielo. Infatti è figlio di Zeus, il signore degli dei greci, ed è talmente forte da essere subito celebrato come eroe. Era, moglie di Zeus, ne è gelosa e lo costringe a dodici incredibili fatiche. Dovrà uccidere leoni giganteschi a mani nude, serpenti a nove teste e con il respiro velenoso, uccelli con il becco, le zampe e le piume di bronzo, tori che sputano fiamme dalle narici. A confronto, portare un pesante zaino o salire di corsa dieci rampe di scale sono fatiche da nulla, vere bazzecole.
Se Superman ed Ercole vengono dal cielo, Momonoko Tarō spunta fuori da una pesca. All'inizio è davvero piccolo, ma diventa robusto in fretta e inizia ad andare sulla montagna a tagliare la legna. A lui non servono seghe o accette: se ne sta a dormicchiare tutto il giorno e, quando è ora di andare a casa, non fa altro che afferrare un albero intero, sradicarlo e portarselo via: ""Nonna, sono tornato". La vecchia uscì a guardare: portava in spalla una pianta enorme. "Dove la metto? Nel giardino davanti alla casa?" chiese, ma per metterla lì avrebbe distrutto il giardino e così non ne fece nulla. "Allora, la metto sotto il tetto?" domandò, ma a quella maniera avrebbe distrutto il tetto e così non se ne fece nulla. Infine la scagliò nel ruscello. Don! La terra tremò e dalla montagna giunse l'eco. Gon!".
Avere i muscoli di Momonoko Tarō sarebbe una gran bella cosa. Come sarebbe bello poter sollevare ogni peso, o allungarsi a piacimento, correre più veloci del vento, diventare invisibili! Sai che scherzi in classe! Senza contare che nessuno più oserebbe prenderci in giro. Tuttavia, chi sa fare cose del genere ha un destino segnato: a grandi poteri seguono grandi responsabilità. Quirino, il giocattolaio di un piccolo villaggio con cento uomini, cento donne e cento bambini, non ha niente di tutto questo, anzi è davvero un tappo e un mingherlino. Con la sua aria trasognata e il ciuffo di capelli bianchi sulla testa viene preso spesso bonariamente in giro dai suoi amici. Ma quando compare nel villaggio un enorme gigante, c'è poco da scherzare. Le sue richieste sono assurde e ridurranno tutti alla povertà in poco più di una settimana: tre pecore ogni mattina, un pezzo di cioccolata al giorno, grande come la ruota di un filatoio, una torta fatta con mille mele, una casa nuova, un vestito e un paio di stivali giganteschi.
Il piccolo giocattolaio sa che spesso contro la forza vale l'astuzia e si offre per andare a raccontare fiabe al gigante. Inventa così una storia in cui un altro gigante comincia ad avere una strana e pericolosissima malattia che gli fa sentire sempre solo la stessa parola: vuddli. Il gigante se la ride, lui è sano come un pesce e per dimostrarlo spacca un albero con una testata. Ma il giorno dopo gli arriva alle orecchie un suono terribile: ""Vuddli, vuddli, vuddli" ripeté. Il gigante lasciò andare Quirino e si alzò in piedi. Si precipitò verso il contadino e lo sollevò da terra. "Di' qualche parola" gridò a gran voce. "Vuddli" disse quello, e Grosso lo ributtò nel campo, rivolgendosi al bambino. "Come ti chiami?" ruggì. "Vuddli vuddli" rispose il bambino".
Tutto il villaggio si è messo d'accordo per fare questo scherzo. Il gigante comincia a sentirsi ammalato, perde l'appetito e ha paura di peggiorare. Il giocattolaio gli rivela allora che solo le acque gialle in mezzo al mare lo possono salvare. Il bestione non se lo fa ripetere due volte e via! E così sparisce in mezzo al mare.
Asterix e Obelix hanno soluzioni più sbrigative per i loro problemi. I Romani hanno conquistato tutta la Gallia e solo il loro villaggio resiste. Panoramix il druido ha scoperto una pozione magica che rende più forti e quando è il momento di difendersi la distribuisce a uomini, donne e bambini. Allora sono botte da orbi! I soldati nemici volano come piume e non c'è scudo né elmo che possa fermare i pugni e i ceffoni. I generali romani capiscono che ci deve essere un segreto. Travestono un loro soldato da Gallo e lo mandano a esplorare. Caligola Minus, detto Caligoletto, scopre il mistero. Panoramix viene catturato ed è costretto a preparare la pozione per i nemici. Il pentolone è sul fuoco, gli ingredienti ci sono tutti, la bevanda è pronta. Chi oserà assaggiarla? Non sarà velenosa?
Una pozione come quella di Asterix farebbe comodo a molti altri. Ma è parecchio complicata e gli ingredienti, anche a conoscerli, sono piuttosto rari. C'è un sistema più semplice per diventare forti: gli spinaci. È sempre utile averne un barattolo a portata di mano, in camera o nella cartella.
Parola di Braccio di ferro, chiamato anche Popeye, che è così sicuro dei suoi muscoli da iscriversi a un incontro di boxe contro il famigerato Dick Mostarda. Non l'avesse mai fatto! Anche Dick ha scoperto il segreto degli spinaci e ha comprato tutti quelli che c'erano in paese. Braccio di ferro allora agisce con astuzia, si fa invitare a pranzo dal suo avversario, che non lo ha mai visto e quindi non lo riconosce. Il menù è piuttosto prevedibile: spinaci per antipasto, primo, secondo, contorno, dolce.
""Chissà che tipo è, questo Popeye. Non l'ho mai visto, ma il mio manager me lo ha descritto. Diceva che è un marinaio". "Un marinaio? Davvero?". "E che ha un occhio solo". "Uno solo, eh?". "E fuma la pipa". "Fuma la pipa! Ma tu pensa". "E dice sempre 'che mi venga'!". "Davvero? Be' che mi venga…"". Ben presto Mostarda scopre l'inganno ma non può farci niente: è stato lui a offrirgli gli spinaci! I conti saranno fatti sul ring e, a quel punto, meglio non trovarsi tra i due.
Non tutti però desiderano essere più forti. Wile E. Coyote vorrebbe essere più veloce. Sono anni che insegue l'uccello Beep Beep, una specie di struzzo che corre come un jet. A niente servono gli stratagemmi per catturarlo: catapulte, balestre giganti, razzi per volare, skateboard a motore, pattini supersonici.
Il risultato di tutti i tentativi è sempre lo stesso: c'è una curva improvvisa, una roccia che si rompe, o un momento fatale di distrazione e il povero coyote si trova sospeso nell'aria, su un burrone profondo centinaia di metri, nelle gole dei canyon. Appena se ne rende conto, saluta con la mano e comincia a precipitare, diventando sempre più piccolo fino a scomparire in una nuvoletta di polvere. Quante volte sarà volato giù?
Gli stivali delle sette leghe sarebbero per lui una vera manna. Altro che scarpe da ginnastica aerodinamiche e molleggiate! Con questi stivali si fanno decine di chilometri a ogni respiro e senza grossa fatica. Un tempo erano di un terribile orco mangiatore di bambini, ma ora appartengono a Pollicino, tanto piccolo quanto astuto. Ha aspettato che l'orco facesse un pisolino, si è avvicinato in silenzio e pian piano gli ha sfilato gli stivali. Subito se li è messi ai piedi e quelli si sono trasformati, adattandosi perfettamente alla sua misura. E così via, ogni salto una collina! Non si sa bene dove Pollicino sia andato. C'è chi dice che è tornato alla casa del gigante per prendere il suo tesoro e chi invece sostiene di averlo visto alla corte del re, sempre pronto a correre per portare informazioni di battaglie lontane o di amori clandestini. Quello che conta, comunque, è che ora, grazie alla sua astuzia e alle sue invenzioni, è diventato ricco. Questo per dire che va bene fare flessioni o piegamenti, salto in alto o tuffi acrobatici, ma l'allenamento principale è sempre aguzzare l'ingegno! (Giordana Piccinini)
René Goscinny, Albert Uderzo, Asterix il gallico, Mondadori, Milano 1969 [Ill.]
Cecco Mariniello, Roberto Piumini, Ercole: le fatiche e la gloria, Giunti, Firenze 1993 [Ill.]
Maria Teresa Orsi, Momonoko Tarô, in Fiabe giapponesi, Einaudi, Torino 1998 [Ill.]
Charles Perrault, Pollicino, in I racconti di Mamma l'Oca, Einaudi, Torino 1957
Charles Perrault, Pollicino, Kiber, Serravalle Pistoiese 2001 [Ill.]
Elzie Crisler Segar, Braccio di ferro, Rizzoli, Milano 1999 [Ill.]
Jerry Siegel, Joe Shuster, Superman, Rizzoli, Milano 1999 [Ill.]
James Thurber, L'uomo dei giocattoli, Mondadori, Milano 1997 [Ill.]
Jaqueline Vallon, La storia delle dodici fatiche di Ercole, Edizioni EL, Trieste 1999
Warner Bros., Wile E. Coyote, in Looney Tunes Collection: All Stars (vol. I), 2003 [Ill.]