Uomo di stato serbo (Zaječar 1845 - Belgrado 1926). Raggiunto il timone dello stato, P. impresse alla politica estera serba un orientamento russofilo. La sua politica era di tendenza nettamente antiaustriaca e appoggiata invece alla Russia; per quanto poi abbia dato prova più volte di moderazione e buon senso nei riguardi di Vienna e abbia cercato anche di migliorare i rapporti austro-serbi. Fu certo una politica coronata dal successo: quattro anni dopo la crisi della Bosnia-Erzegovina, che aveva costituito un momentaneo trionfo dell'Austria, P. condusse alla vittoria il suo paese in quelle guerre balcaniche del 1912-13, in cui egli ebbe gran parte. Debellata la Turchia nella prima guerra, con la seconda guerra, contro la Bulgaria, riuscì ad acquistare alla Serbia la Macedonia; sicché riuscì a raddoppiare quasi il territorio del suo paese. Era presidente del Consiglio nel 1914, allo scoppio della guerra con l'Austria. Accettò la prova, soffrì i disagi della ritirata attraverso l'Albania, ma trionfò su tutta la linea, sull'Austria, la Bulgaria, il Montenegro. Il patto di Corfù segnò il compromesso tra le sue ideologie panserbe e le conseguenze dello sfacelo dell'Austria (iugoslavismo). L'opposizione dei Croati lo costrinse a cedere ad altri il governo per due anni (1918-20), durante i quali fu a Parigi, presidente della delegazione iugoslava alla Conferenza per la pace; ma riprese il sopravvento, impose lo statuto di S. Vito e fece piegare i suoi avversari davanti alla supremazia serba. Assicurò il nuovo stato verso l'estero con il Trattato di Rapallo, con i Patti della Piccola Intesa, col Patto di amicizia con l'Italia, verso la quale dimostrò un diffidente rispetto.
Vinta una borsa di studio, andò a perfezionarsi a Zurigo (1868-1872), donde uscì ingegnere agronomo. In Svizzera strinse amicizia con M. Balunin e s' imbevette d'idee rivoluzionarie. Visse sobrio e modesto anche quando, nella seconda metà della vita, divenne ricco. La sua cultura generale, malgrado molti viaggi, rimase incompiuta. Dotato di fine intuito politico, deve la sua fortuna all'eccezionale padronanza e controllo di sé stesso; intimamente serio, positivo, equilibrato, era nei contatti esterni taciturno, impassibile, temporeggiatore, enigmatico. Nutrito di idee socialiste e contrario alla politica degli Obrenović, creò (1877) il giornale Samouprava («L'autonomia»), che fu l'organo del partito radicale serbo, di cui P. divenne il capo. Costretto all'esilio (1883) per aver complottato contro re Milan Obrenović, tornò in patria (1889) all'abdicazione del re, assumendo le cariche di presidente del Consiglio e ministro degli Esteri (1891-92). Ma per i suoi atteggiamenti russofili dovette lasciare presto il potere, passando a rappresentare la Serbia a Pietroburgo (1893-94). Saliti sul trono i Karađorđević (1903), P. fu nuovamente presidente del Consiglio e ministro degli Esteri (1904-05; 1906-08; 1909-11 e 1912-18). Tenendo fermo il suo atteggiamento russofilo e antiaustriaco, P. perseguì il disegno di unire gli Slavi del sud sotto l'autorità di Belgrado e riuscì, grazie a due vittoriose guerre nei Balcani (1913), ad assicurare alla Serbia grandi vantaggi territoriali. Dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale e l'occupazione del paese a opera degli Imperi Centrali (1915), P. trasferì il governo a Corfù; indebolito dalla caduta dell'impero zarista, dovette rivedere le sue posizioni panserbe e accordarsi (patto di Corfù, 20 luglio 1917) con il comitato iugoslavo di A. Trumbić per la creazione di uno stato in cui Serbi, Croati e Sloveni godessero di pari dignità sotto la dinastia dei Karađorđević. Primo ministro del nuovo stato iugoslavo dal 1921 al 1926 (salvo una breve parentesi dal luglio all'ott. 1924), P. riuscì a imporre con la costituzione di S. Vito (1921) un forte potere centrale e la supremazia serba sul paese; in politica estera, aderendo alla Piccola Intesa (ag. 1920), garantì la Iugoslavia dal revisionismo magiaro e col Patto di Roma (27 genn. 1924) regolò con l'Italia la questione di Fiume.