nō Genere teatrale giapponese che combina elementi drammatici, canto e danza, nato verso la fine del 14° sec. dalla fusione di precedenti forme di spettacolo. Un ruolo fondamentale nella sua evoluzione ebbero due attori, Kan´ami (1334-1384) e il figlio Zeami (1363-1443): al primo va ascritto il merito di aver saputo fondere in modo originale i diversi generi preesistenti, mentre il secondo codificò le strutture essenziali del nō, compose molti fra i drammi migliori ancor oggi rappresentati e scrisse importanti trattati che analizzano le condizioni tecniche, psicologiche ed estetiche dell’arte drammatica. Sin dall’epoca Tokugawa (1603-1867) il nō assunse, rispetto agli altri generi teatrali, il carattere di spettacolo riservato alle classi colte e aristocratiche. Elementi costitutivi sono, oltre al testo (yōkyoku), la declamazione (utai), la danza (mai), l’accompagnamento dell’orchestra (hayashi), composta da flauto e tamburi, e il coro (jiutai), che in particolari momenti interviene per dar voce alle parole e ai pensieri del protagonista. I personaggi principali sono lo shite (protagonista), il waki (secondo attore) e gli tsure (accompagnatori). Più che azione di personaggi, il nō è una suggestiva evocazione di sentimenti attraverso una tecnica d’interpretazione altamente virtuosistica; gli interpreti sono esclusivamente uomini e indossano ricchi costumi; gli attori principali hanno il volto coperto da una maschera. I testi in repertorio sono circa 240 (poco meno della metà attribuita a Zeami), divisi in generi convenzionali (dramma di divinità, di battaglia, con protagonista femminile, di follia, di chiusura); ogni rappresentazione comprende da 3 a 5 drammi, ciascuno di durata inferiore a un’ora, inframezzati da brevi farse (kyōgen).