oro
Il re dei metalli
L’oro è probabilmente uno dei primi metalli conosciuti dall’uomo; la sua esistenza allo stato nativo, il suo colore, la facilità con cui può essere manipolato, la sua stabilità agli agenti atmosferici attirarono certo l’attenzione dell’uomo sin dai tempi preistorici, e in ogni caso la sua presenza è stata riscontrata in civiltà antichissime. Considerato come il più nobile tra i metalli, è stato adottato come simbolo di perfezione e come valore di scambio nell’economia; la ricerca dei giacimenti auriferi ha segnato diverse epoche della storia
L’oro è un metallo detto nobile per la sua scarsa reattività chimica. È di colore giallo lucente, molto duttile e malleabile, è raro e quindi prezioso. Oggi sappiamo che si può combinare con molte sostanze – cloro, bromo, iodio, cianuri e così via – mediante le quali viene estratto dai minerali che lo contengono, ma secoli fa si pensava che solo una particolare miscela di acidi poteva attaccarlo: l’acqua regia, così chiamata, appunto, proprio per la sua capacità di dissolvere quello che è da sempre considerato il re dei metalli.
Fino al 17° secolo i metalli venivano ordinati secondo una gerarchia di tipo monarchico, a capo della quale vi era appunto l’oro. Seguivano poi, in ordine d’importanza, l’argento, il rame, il ferro, lo stagno, il mercurio e il piombo. All’oro erano legati anche significati simbolici: infatti veniva collegato sia al Sole – al principio, cioè, della vita del cosmo – sia al cuore, cioè al principio della vita dell’essere umano.
Esso era anche considerato il simbolo della perfezione naturale e spirituale, mentre il piombo, ultimo in gerarchia, era il simbolo della massima imperfezione umana. Secondo l’alchimia, che spesso mescolava sapere pratico e misticismo, nelle viscere della Terra la materia indistinta primordiale, grazie alla luce solare, iniziava un percorso di continua trasmutazione che, attraversando tutta la scala ascendente dei metalli, terminava al suo vertice con la produzione dell’oro, stadio finale del processo. Nella nostra cultura, la regalità – di ogni tipo, terrena e celeste – è stata collegata molto spesso all’oro. I Vangeli, per esempio, narrano che esso fu uno dei tre doni che i Re Magi portarono dall’Oriente a Gesù di Nazareth, appena nato a Betlemme e da essi considerato un re.
A partire dalla rivoluzione chimica di Antoine-Laurent Lavoisier (1789), contemporanea della Rivoluzione francese, l’oro cominciò a diventare un comune ‘cittadino’ della natura, senza particolari privilegi. Per Lavoisier, infatti, esso era sì un metallo particolare, ma solo per le proprietà distintive rispetto agli altri metalli e alle altre sostanze altrettanto semplici ricavate nei laboratori. Per il chimico e fisico inglese John Dalton, ai primi del 19° secolo, questo metallo possedeva solo un atomo un po’ più grosso e un po’ più schivo di molti altri. Nel 1869 il chimico russo Dmitrij I. Mendeleev, infine, lo inserì senza riguardi nella sua celebre Tavola periodica degli elementi come un qualsiasi altro elemento chimico, dopo il platino e prima del mercurio, dove sta ancora oggi.
Tuttavia nel linguaggio comune o nelle arti l’antico privilegio dell’oro rimane intatto. Infatti, quando si vuole indicare un oggetto, una persona, un pensiero o un affetto di gran valore, si dice che esso «è d’oro». L’oro entra, in particolare, nella valorizzazione estetica del color biondo dei capelli: «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi» (Petrarca), oppure «Son fili d’oro i tuoi capelli biondi» (canzone popolare). Perfino nel gioco delle carte, il seme degli ori spesso ha un valore particolare rispetto agli altri. E ciò anche perché questo metallo, grazie alla sua relativa inattività chimica, è stato scelto per realizzare monete – si pensi al celebre zecchino d’oro, all’aureo della Roma imperiale o al doblone d’oro! – o altre forme di riserve di valore; come i lingotti delle banche; quindi ha costituito e costituisce il mezzo di scambio e di pagamento universale.
L’oro è stato – ed è – anche la fonte di grandi miti, come quello dell’età aurea, cioè l’epoca della perfezione e della massima felicità del genere umano, posta agli inizi della sua storia, una sorta di paradiso terrestre, cantata per la prima volta dal poeta greco Esiodo nell’8°-7° secolo a.C.: «Prima una stirpe aurea di uomini mortali/fecero gli immortali che hanno le olimpie dimore./Erano ai tempi di Crono, quand’egli regnava nel cielo;/come dei vivevano, senza affanni nel cuore.». Altri celebri miti sono quello di Giasone e degli Argonauti che fecero un lungo e periglioso viaggio verso la lontana Colchide alla ricerca del vello d’oro, e quello della pioggia d’oro con la quale la leggenda vuole che Zeus (divinità corrispondente al romano Giove) ricoprì Danae prigioniera del padre, facendo nascere da questa l’eroe Perseo; oppure, nel 17° e nel 18° secolo, la ricerca dell’Eldorado, il paese dell’America del Sud dove si sosteneva che l’oro fosse presente in gran quantità e a disposizione di tutti.
Ma al di là del mito la corsa all’accaparramento di questo metallo, cioè la ricerca e lo sfruttamento intensivo delle miniere d’oro, ha coinvolto nel tempo numerose popolazioni, soprattutto in epoca moderna. Intere epoche, culture ed economie sono state segnate – anche in maniera tragica – dalle vicende legate alla ricerca dell’oro, ben narrate non solo dai libri di viaggi e da quelli di storia, ma anche dai romanzi e dai racconti d’avventura e anche più recentemente dai film.
Vero e falso oro. Rispetto allo stato o alla forma con cui si presenta e alla lavorazione che ha subìto, l’oro può essere nativo sotto forma di grani, di pepite, di pagliuzze, di polvere. Oppure può essere grezzo, lavorato, massiccio, in verghe, in lingotti, in gettoni, battuto, filato, placcato, in fogli (o in foglia) e così via. Essendo così prezioso e molto utilizzato in vari campi, è ovvio che ci siano molti tentativi di imitarlo o falsificarlo: di qui l’oro falso o matto, il similoro, il princisbecco (una lega di rame, zinco e stagno) e via dicendo; il falso oro è talvolta chiamato oro di Bologna (cui s’aggiunge per scherzo la rima «che diventa rosso per la vergogna», forse perché fatto con una lega di rame).
I giacimenti auriferi primari. L’oro è largamente distribuito in natura, anche se poco abbondante. I giacimenti auriferi si distinguono in primari e secondari. Quelli primari sono di origine idrotermale e sono presenti all’interno di rocce derivate dalle eruzioni vulcaniche (quarzo aurifero, pirite aurifera). Giacimenti di questo tipo, per quanto non molto ricchi, sono presenti in Italia sulle Alpi; al contrario importantissimi sono i giacimenti del Canada (Ontario), del Brasile (Minas Gerais) e dell’Australia occidentale. Altri giacimenti primari sono inoltre quelli degli Stati Uniti d’America (Colorado, California).
I giacimenti auriferi secondari. I giacimenti secondari sono di origine alluvionale e derivano dall’erosione meteorologica di quelli primari. I più importanti sono quelli del Sudafrica; altri sono presenti in America Settentrionale (Alaska, California) e Russia (Urali e Siberia). In Italia sono blandamente auriferi i depositi alluvionali del Po, della Dora Baltea e della Dora Riparia, della Sesia, del Ticino, del Serio. Una parte notevole dell’oro si ottiene come sottoprodotto nella lavorazione di altri metalli (piombo, zinco, rame, nichel) o di altri metalli nobili (argento, platino).
In realtà la maggiore quantità di oro si trova disciolta nell’acqua dei mari e degli oceani: si calcola infatti che essa contenga in soluzione circa 70 milioni di tonnellate di metallo; la sua estrazione, tuttavia, non è ancora economica, ma l’attuale esaurimento relativo dei giacimenti tradizionali potrebbe spingere verso la ricerca di nuovi metodi per l’estrazione dall’acqua marina.
L’oro, per le sue caratteristiche, da solo o in lega con altri metalli, può essere adoperato in numerose applicazioni di tipo tecnologico: nella oreficeria, nella fotografia, nella medicina.