Nella politica moderna, si chiamano c., abbiano o no ufficialmente questo nome, i partiti che, di contro alle ideologie più radicali di progresso, affermano il valore della tradizione e dell’esperienza storica. La nascita dei partiti c. è legata alla tradizione del parlamentarismo inglese, al cui interno già nel 1680 si formò una fazione politica denominata spregiativamente tory (dal nome delle bande di briganti che infestavano le regioni irlandesi nel 17° sec.), per via del fatto che i suoi membri approvarono la successione di un erede cattolico al trono di Carlo II. Successivamente i tories divennero fedeli sostenitori degli interessi della Corona; dal 1832 si denominarono conservatives.
Il conservatorismo come ideologia dell’ordine costituito sorse nel 18° sec. per reazione al fallimento degli ideali di riforma e di progresso impliciti nella filosofia illuminista e nei movimenti rivoluzionari che a questa si ispiravano. A livello politico si affermò con il programma di restaurazione intrapreso dagli Stati europei nella prima metà dell’Ottocento, a livello concettuale in quei sistemi di pensiero, il cui tratto comune è rappresentato dalla visione della storia come processo immanentistico e necessario, sottratto al controllo dell’uomo. Il precursore di queste teorie è E. Burke.
I moderni partiti c. si distinguono per incorporare uno o più elementi della tradizione di cultura politica nel cui contesto si trovano a operare (per es., il confessionalismo, il nazionalismo, il liberalismo ecc.). Almeno nell’esperienza europea questi partiti presentano tuttavia, come caratteristica in qualche modo unificante, la composizione della propria base sociale ed elettorale, costituita da interessi collegati prevalentemente agli strati medio-alti della borghesia.