Patriota còrso (Stretta di Morosaglia, Bastia, 1725 - Londra 1807). Guidò la lotta per l'indipendenza della Corsica da Genova (1755). Esule dopo l'intervento dei francesi, cui era stata ceduta l'isola (1769), P., rimpatriato dopo la Rivoluzione francese, fece approvare dalla Consulta (1794) l'unione della Corsica all'Inghilterra, ma non ottenne l'ambito titolo di viceré e abbandonò l'isola.
Figlio minore di Giacinto, accompagnò il padre nell'esilio a Napoli, dopo che il generale Maillebois, con gli inganni e con le seduzioni, più che con le armi, ebbe ridotto nuovamente i Còrsi in soggezione della repubblica di Genova. Aveva allora quattordici anni (1739), e già, in patria, aveva ricevuto la sua prima istruzione, ma certo scarsa e manchevole, a causa dei continui rivolgimenti interni dell'isola. Studiò a Napoli, dove seguì le lezioni di A. Genovesi ed entrò a far parte dell'esercito napoletano; nella primavera del 1755 tornò in Corsica, dove l'assemblea di S. Antonio della Casabianca il 15 luglio dello stesso anno lo proclamava capo e generale. Ma P., prima di poter dare inizio al suo programma di rinnovamento politico-amministrativo, dovette superare l'accanita resistenza di vari gruppi politici separatisti. Con l'appoggio degli organi politici rappresentativi (Consulta e Consiglio supremo), egli mise in atto una serie di efficaci riforme, specie nell'ordinamento giudiziario (in cui sveltì la procedura) e nel settore economico; contribuì notevolmente, con l'introduzione di nuove colture (fra le altre quella delle patate), a iniziarela bonifica di terreni paludosi, a incrementare la produzione agricola e diede grande impulso (per danneggiare, di riflesso, il commercio genovese) alla marina mercantile. Né va dimenticata la sua politica culturale: così l'istituzione, nella capitale Corte, della prima università isolana. Passato poi all'azione militare nella lotta contro Genova, riportò successi sul mare con la guerra di corsa, sicché nel maggio 1761 poté respingere le profferte di pace avanzate dalla potenza occupante. I Genovesi, impotenti a fronteggiare la situazione, nel 1764 si rivolsero per aiuto alla Francia che, per il trattato di Compiègne (agosto 1764), sbarcava truppe nell'isola per presidiare le piazzeforti in luogo dei Genovesi. P. deplorò quell'intervento, affermando il diritto dei Còrsi all'indipendenza, e proseguì nelle ostilità contro Genova, cui riuscì a togliere l'isola fortificata di Capraia (1767). Fu l'ultima impresa militare importante perché ormai Genova era stanca della lotta che durava da circa 40 anni, e col trattato di Versailles (1768) fece cessione alla Francia dei suoi diritti sull'isola. I patrioti còrsi opposero alle forze francesi un'accanita resistenza ma, nonostante l'appoggio dell'Inghilterra, i Francesi prevalsero nelle battaglie di Borgo (1768) e di Pontenuovo (1769). P. si rifugiò allora a Londra. Scoppiata la Rivoluzione francese tornò in Corsica, apparentemente conciliato col governo di Parigi; ma le ripercussioni del Terrore (1793), specie nel campo religioso, lo indussero presto alla ribellione e alla resistenza; si appoggiò nuovamente al governo britannico e fece approvare dalla Consulta (1794) l'unione all'Inghilterra e una nuova costituzione. Rimasto deluso nelle sue aspirazioni di essere nominato viceré di Corsica (carica che fu affidata a G. Elliot, conte di Minto), e invitato da Giorgio III a tornare a Londra, visse ivi gli ultimi anni dedicandosi a studi e a opere di soccorso ai suoi compatrioti esuli. Nel 1889 la sua salma fu trasportata in Corsica e tumulata nella casa paterna di Morosaglia. P., rimasto sempre in grande amore presso i Còrsi, specialmente presso gl'italianizzanti, è stato assunto quasi a vessillifero del moderno autonomismo isolano e a uomo rappresentativo della vera Corsica.