Nota maschera napoletana e una tra le più popolari italiane (v. fig.). S. Fiorillo, ritenuto inventore del tipo, lo tratteggiava gobbo e allampanato, con camiciotto e calzoni bianchi da facchino, spatola alla cinta, cappello bicorno, baffi e barba: ma già alla fine del Seicento il volto di P. è pulito e il cappello s’è fatto a pan di zucchero. Quanto al nome, chi lo vuole suggerito dalla voce chioccia o dal naso a becco (piccolo pulcino), chi lo dice corruzione di un cognome molto in voga nella regione: Pulcinello o Polsinelli. Pigro, vorace, perennemente affamato, opportunista, sfrontato, chiacchierone, bastonatore spesso bastonato, P. è la personificazione comica dell’abbandono popolaresco a tutti gli istinti. Ma col tempo la maschera subisce una significativa evoluzione trasformandosi in un simbolo universale della napoletanità, di cui incarna l’esuberanza, il virtuosismo mimico e canoro, lo spirito ironico, canagliesco e generoso, la filosofia pratica e disincantata.
Le più antiche testimonianze letterarie e iconografiche risalgono al 1621-22: Viaggio di Parnaso di G.C. Cortese e I balli di Sfessania di J. Callot. P. famosi furono nel Seicento C. Baldo, A. Calcese e M. Fracanzani (cui si deve forse l’introduzione di P. in Francia), nel Settecento B. Cavallucci e V. Cammarano, nell’Ottocento S. e A. Petito. Nel Novecento, sebbene la maschera sia passata quasi esclusivamente al teatro dei burattini, si trovano ancora grandi P. quali E. Petrolini e E. De Filippo. In Francia sembra che Polichinelle fosse già noto al tempo di Enrico IV; poi fu protagonista degli spettacoli della Comédie Italienne e della foire (➔). Intorno alla metà del Seicento si trovano P. italiani a Norimberga, Francoforte e Berlino, in Inghilterra (Punch) e Spagna (Pulchinelo).