Giureconsulto romano (n. 140 circa - m. 82 a. C.), figlio del giureconsulto Publio; pontefice (115), questore (110), tribuno (106), console (95), poi (94) proconsole d'Asia; pontefice massimo (89). Con L. Licinio Crasso fece approvare (95) la legge Licinia Mucia, che, ponendo limiti rigidi all'acquisto della cittadinanza da parte dei Latini, contribuì a preparare la guerra sociale. Amministrò in maniera esemplare (94) la provincia d'Asia, guadagnandosi quindi l'ostilità dei cavalieri. Benché minacciato durante le guerre di Mario e Silla, non lasciò Roma. Già nell'86 ferito da sicarî di Mario, nell'82 fu fatto uccidere da Mario il Giovane. Fu il maggiore dei giuristi repubblicani, il primo che ridusse a sistema lo ius civile, definendo e classificando i diversi negozî e i rapporti giuridici che ne derivavano e ordinando sistematicamente tutto il complesso degli istituti giuridici. Il suo trattato in 18 libri iuris civilis ebbe tanta rilevanza scientifica e pratica che era commentato ancora nel 2º sec. d. C. Si discute se appartenga a lui il Liber singularis ὄρων sive definitionum, di cui qualche brano è stato accolto nel Digesto giustinianeo. Notevole anche il suo contributo all'interpretazione giurisprudenziale, come in tema di legato sottoposto a condizione potestativa negativa, del quale rese possibile l'esazione con la cautio detta Muciana, e in tema di appartenenza al marito di cose in possesso della moglie, di cui non si potesse stabilire la provenienza, con la praesumptio Muciana.