rock
La colonna sonora del nostro tempo
Il termine rock viene utilizzato per indicare la varietà di stili musicali nati dall’evoluzione del rock and roll. È a partire dalla prima metà degli anni Sessanta del Novecento che il rock inizia a costituire un’identità musicale distinta da quella nata e proliferata dal pionieristico rock and roll, anche se a essa strettamente legata. Oggi, dopo almeno un cinquantennio dal suo utilizzo sistematico da parte dei media e della critica musicale specializzata, è possibile considerare il termine rock come una sorta di parola-ombrello che copre molteplici stili di musica leggera o di consumo e, per estensione, anche quel rock and roll che ne sta alla base
La linea di confine che separa il generico ribellismo adolescenziale del rock ’n’ roll di Elvis Presley e la nuova consapevolezza del rock come forma d’arte a sé venne tracciata all’alba degli anni Sessanta da Bob Dylan.
La sua musica d’autore e di protesta che partiva dalla tradizione folk pose, infatti, le fondamenta di una musica moderna, che venne poi messa a punto nel corso del decennio da band come – soltanto per citarne alcune – quelle dei Beatles, dei Rolling Stones e degli Who in Inghilterra, e dei Byrds, dei Beach Boys e dei Jefferson Airplane negli Stati Uniti.
Due fenomeni popolari attraversarono con prepotenza la prima metà degli anni Sessanta, la surf music (letteralmente «musica del surf»), rappresentata dai californiani Beach Boys, e la British invasion, con in testa i Beatles. Questi ultimi si avvalsero del talento di John Lennon e di Paul McCartney per guidare, a partire dal 1964, una nutrita avanguardia di band britanniche verso la notorietà internazionale. Tra queste furono i Rolling Stones, guidati – dall’istrionico cantante Mick Jagger –, che, con i loro atteggiamenti provocatori, costituirono il contraltare aggressivo dei Beatles.
Nel 1963 con l’album The times they are a-changin’ il cantautore Bob Dylan varò negli Stati Uniti la stagione dell’emancipazione musicale dal rock ’n’ roll con una forma di intrattenimento più matura, adulta e conscia della propria natura ‘politica’: il rock, appunto. È la stagione del folk revival che prese piede dal Greenwich Village di New York. La sintesi di due versanti musicali, il folk revival e il rock della British invasion si ebbe con i californiani Byrds, guidati da David Crosby, che reinterpretarono nel 1965 Mr. Tambourine Man di Bob Dylan, incrociando ritmica beat a trame chitarristiche di folk elettrico, e diedero così vita al folk rock.
Fu in California che i diversi filoni si fusero per dare corpo al rock vero e proprio. A San Francisco nacque la cosiddetta controcultura, stile di vita alternativo attraverso il quale soprattutto i giovani bianchi della classe media elessero la musica a motivo della loro esperienza esistenziale, prediligendo la vita comunitaria in opposizione alla famiglia tradizionale, condividendo il lavoro della terra e le esperienze fatte attraverso vari tipi di droghe.
Il suono della grande famiglia hippy divenne il rock psichedelico, dove al folk rock elettrico si unì un misticismo di sapore orientale in cui risultavano evidenti i richiami alla tradizione afroamericana del blues e del jazz e persino ai raga indiani. I Jefferson Airplane e i Grateful Dead furono gli esponenti più in vista del genere.
Nel 1967 Jimi Hendrix, chitarrista al tempo stesso virtuoso e anticonformista, radicalizzò e distorse il suono psichedelico in Are you experienced?, mentre i Doors, nel loro debutto, piegarono le divagazioni ‘acide’ del periodo (dove la parola acido alludeva a droghe allucinogene, in particolare l’acido lisergico, o LSD) alla poesia del loro carismatico leader Jim Morrison.
Non fu invece la cannabis, droga socializzante della California, a ispirare a New York i Velvet Underground di Lou Reed – primo esempio di unione multimediale tra musica e arti figurative – nel debutto nel 1966, ma l’eroina e l’ossessione artistica della loro guida artistica, il pittore Andy Warhol.
Il punto più alto della stagione d’oro del rock venne toccato nell’agosto del 1969 a Woodstock, festival ribattezzato per l’occasione «tre giorni di pace, amore e musica», dove si riunirono gruppi come Crosby, Stills, Nash & Young, Santana, Blood Sweat & Tears, Who, Creedence Clearwater Revival e cantanti come Jimi Hendrix e Janis Joplin.
Con Woodstock si chiuse la stagione eroica degli anni Sessanta. In seguito, nel giro di pochissimo tempo, alcuni dei principali eroi del rock morirono stroncati dalla droga, come Jimi Hendrix e Janis Joplin.
La Gran Bretagna fu invece la culla del rock ‘progressivo’, contaminazione di un rock che abbracciava di volta in volta jazz, folk, avanguardie colte ed extracolte. La riscoperta delle radici folk europee, con il loro suggestivo percorso mitologico, affascinarono formazioni come Pentangle e Jethro Tull, mentre il rapporto con la musica classica e il jazz animarono i lavori di Genesis e King Crimson, di Yes ed Emerson, Lake & Palmer.
Nati sull’onda del rock psichedelico e sulla spinta di Syd Barrett, loro motore creativo durante gli anni Sessanta, il complesso dei Pink Floyd abbracciò, nel decennio successivo, un rock ‘concettuale’ che ragionava sul tema della psiche dell’uomo moderno, come testimonia The dark side of the moon nel 1974, uno degli album più venduti e più longevi in termini di permanenza in classifica della storia del rock, e più tardi, nel 1979, The wall.
In un primo momento riconducibili al filone progressivo, i Queen si trasformarono in una hard rock band e poi, lungo i decenni successivi, praticarono un pop dalle mille sfaccettature, anche per gli atteggiamenti istrionici del loro leader, Freddy Mercury. Mentre gli Who, emersi con la British invasion, diventarono autori della prima opera rock, Tommy.
Negli Stati Uniti il fenomeno progressivo non attecchì, anche per la minore vicinanza dei musicisti americani con il repertorio della musica colta europea, fatte salve alcune significative realtà come i Vanilla Fudge, i Blood Sweat & Tears e i Rush.
Esula dalla scena del rock progressivo un fuoriclasse come Frank Zappa, autore dalla seconda metà degli anni Sessanta con i Mothers of invention di una sintesi di linguaggi musicali eterogenei: musica colta, jazz, funk, rock, pop, avanguardia, con risultati anche più sofisticati e stimolanti di quelli ottenuti da tanti protagonisti europei.
In America, nel frattempo, il rock, complice anche la modernizzazione delle tecnologie degli studi di registrazione, divenne sempre di meno una creazione collettiva. Cambiavano le tematiche nelle canzoni dei nuovi cantautori: non più testi apertamente politici o di protesta, ma che affrontavano temi del privato e privilegiavano la dimensione personale.
Fu sempre dalla California che arrivò la maggior parte della musica migliore di quegli anni, con i personaggi che avevano avuto un ruolo determinante nella nascita del rock della Baia, come David Crosby e Neil Young.
Jackson Browne rappresentò, invece, un punto di riferimento della rinascita folk in una dimensione romantica e al tempo stesso amara, assai simile – per certi versi – a quella di James Taylor e della cantautrice canadese Joni Mitchell.
Nella seconda metà degli anni Settanta, un’ulteriore evoluzione portò però il rock a spogliarsi dei toni più intimi.
In Inghilterra le prime avvisaglie di rinnovamento si erano avute già all’inizio degli anni Settanta con formazioni e artisti come i Roxy Music, dalle cui fila provenivano Brian Ferry e Brian Eno, entrambi successivamente interpreti solisti di prim’ordine di un pop colto, e David Bowie, il quale proponeva un pop-rock eclettico e in perenne rinnovamento.
Marc Bolan, Gary Glitter e gli Slade fondavano l’estetica glam rock (da glamorous «affascinante») e riscoprivano contemporaneamente il gusto per il travestimento e il ritorno a un rock più diretto, debitore del primo rock ’n’ roll.
Negli anni Settanta New York tornò a essere protagonista del rock e tra il 1975 e il 1977 emerse da lì la new wave (la «nuova onda») musicale di artisti come la poetessa rock Patti Smith, i Television e i Ramones.
Il punk vero e proprio nacque in Inghilterra con i Clash e soprattutto con i Sex Pistols, formazione guidata da un leader furioso e sfrontato, Johnny Rotten, che pubblicò nel 1977 l’unico album della sua storia, Never mind the bollocks – Here’s the Sex Pistols, rock violento e debitore in un punk avanti lettera di formazioni americane come gli MC5 e gli Stooges.
Le principali case discografiche tentarono con successo di ‘acquistare’ il punk mettendone sotto contratto i protagonisti, contribuendo però al tempo stesso ad affievolire il fenomeno.
All’inizio degli anni Ottanta un pugno di musicisti tra l’Inghilterra e l’America si mise al lavoro sull’ipotesi di una nuova musica, e tra questi erano i geniali reduci della precedente generazione: l’ex Genesis Peter Gabriel, Brian Eno, Robert Fripp, David Bowie e giovani band tra le quali i Cure, i Siouxie and The Banshees, i New Order, i Police (guidati da Sting) – tutti inglesi – e un gruppo americano in particolare, che fondeva le esperienze di tutti in un nuovo affascinante progetto musicale, quello dei Talking Heads. Dall’esteso bacino del post punk provenivano gli irlandesi U2, quartetto guidato da Bono Vox, che esordì nel 1980 e che nel 1987, con The Joshua tree, diede una propria rilettura del rock americano intrisa di una forte spiritualità e di impegno civile, e restò per i successivi venticinque anni in vetta alle classifiche del rock.
Gli anni Ottanta hanno registrato la consacrazione commerciale del cantautore rock Bruce Springsteen, che in Born in the U.S.A. canta l’America della classe media, tra orgoglio e disillusione. Ma sono anche gli anni effimeri di George Michael e della material girl Veronica Ciccone, in arte Madonna, interprete di un pop ballabile che ottiene incredibile risonanza internazionale.
In Inghilterra si è riproposto il conflitto mediatico tra Beatles e Rolling Stones, ma questa volta i protagonisti sono due pop band dal vasto seguito femminile, i Duran Duran e gli Spandau Ballet.
Prince e Michael Jackson si sono contesi in America la palma dell’artista pop di colore più importante del decennio. Il primo ha dato vita a un connubio di grande effetto di funk, rock psichedelico, soul music, elettronica e disco-music, che attingeva da Beatles, Hendrix e James Brown con pari intensità, un suono ben rappresentato da Sign of the times del 1987. Michael Jackson ha rappresentato l’altro importantissimo fronte della black music, quello della conquista dell’universo pop. Bambino prodigio con i fratelli nella soul funk band Jackson 5 alla fine degli anni Sessanta, Jackson nel 1979 si è messo in proprio e nel 1982 ha venduto quaranta milioni di copie del suo secondo disco, Thriller, un album in grado di conquistare sia il pubblico nero sia quello bianco.
Negli anni Ottanta la musica rock è diventato il mezzo per la sensibilizzazione delle coscienze sui grandi temi dell’umanità, quasi a voler sferzare l’opinione pubblica verso un maggiore impegno civile. In questo senso l’evento rock del decennio è il Live Aid, primo atto di una nuova era che prevede una rinnovata e contraddittoria dimensione collettiva di solidarietà, cementata da collegamenti mediatici. Il megaconcerto è stato organizzato nel 1985 da Bob Geldof, leader del gruppo pop inglese dei Boomtown Rats.
Corpo a sé stante nella storia del rock è l’heavy metal (termine usato per la prima volta nel 1964 dallo scrittore William Burroughs nel racconto Nova Express), che negli anni Ottanta, in varie forme, conobbe un costante successo commerciale. Per convenzione si vuole individuare nell’hard rock il progenitore dell’heavy metal, essendo i due generi accomunati da un suono fondato su massicce distorsioni del suono della chitarra, sull’utilizzo di volumi imponenti, sulla precisione esecutiva del chitarrista solista e sulla centralità delle parti vocali aggressive.
Tre album hard rock in particolare vengono considerati fondanti del genere: Led Zeppelin II (1969) dei Led Zeppelin, Paranoid (1971) dei Black Sabbath e Deep Purple in rock (1970) dei Deep Purple. Prima delle band citate negli Stati Uniti dalla fine degli anni Sessanta alcune formazioni – come gli Steppenwolf, i Blue Cheer e gli Iron Butterfly – erano caratterizzate da una propensione a suonare un rock particolarmente robusto dalle forti connotazioni blues, che avevano aperto le porte al suono hard. Ereditando quel suono i Kiss, gli Aerosmith e Alice Cooper hanno reso negli anni Settanta spettacolare e appetibile dal punto di vista radiofonico quelle sonorità, facendo da ponte al pop metal di Van Halen, Bon Jovi, Mötley Crüe, Twisted Sister e Guns ’n’ Roses.
Inscritti impropriamente nella categoria metal gli australiani AC/DC e gli inglesi Motörhead hanno proposto rispettivamente un hard rock dalle forti connotazioni blues, e un violento rock and roll che mutuava aspetti dal punk e dal metal.
In Inghilterra la modernizzazione del genere è avvenuta attraverso i gruppi della new wave dell’heavy metal, su tutti gli Iron Maiden e i Judas Priest che, all’inizio degli anni Ottanta, hanno proposto un metal ‘muscolare’ e veloce. La rivoluzione dell’heavy metal avvenne nel 1983 con la pubblicazione, da parte dei californiani Metallica, dell’album Kill ‘em all, punto di incontro tra hardcore punk e metal.
L’inizio degli anni Novanta ha riproposto un ricorso storico: il ritorno del guitar-oriented rock, il ritorno a un ‘roccioso’ rock delle chitarre dopo un decennio di musica pop affidato ai sintetizzatori. Le radici del rinnovamento del rock sono nella ricca scena della musica indipendente che si sviluppa negli anni Ottanta, fuori dai circuiti delle grandi compagnie discografiche.
Quando nel 1991 i tempi sembrano maturi per l’esplosione mondiale del rock di Seattle, ufficialmente uscito allo scoperto con il primo major album dei Nirvana, Nevermind, il grande pubblico scoprì in ritardo il panorama del rock indipendente, quello che nel decennio precedente si era nascosto nelle pieghe del mercato discografico, accolto da piccole etichette battagliere e da un circuito alternativo nato dalle ceneri del punk del primo storico periodo.
I suoi eroi si chiamano Hüsker Dü, Sonic Youth, Pixies e Big Black, e alcuni tra questi, come i REM e i Red Hot Chili Peppers, hanno avuto modo di farsi conoscere a livello mondiale.
Alla fine degli anni Ottanta nel Nord-Ovest americano, a Seattle, si stava sviluppando una famiglia di gruppi – i Green River, i Soundgarden, i Mudhoney – che sembravano guardare con la stessa attenzione all’hardcore punk, all’hard rock e alla new wave inglese, intrecciandone gli stili e creando un nuovo ibrido che la critica specializzata ha chiamato grunge.
La Geffen, allora marchio della MCA, scrittura nel 1990 una band proveniente da poco lontano, da Aberdeen, nello Stato di Washington. Si chiamano Nirvana e sono guidati da un personaggio schivo e al tempo stesso carismatico di nome Kurt Cobain. Con alle spalle una serie di singoli e un album realizzano un disco come Nevermind, che si rivela un’opera di svolta della musica rock, perfetta mescolanza di pop, punk e hard rock. È stata la musica della ‘generazione X’.
L’Inghilterra ha risposto alla massiccia American invasion con un catalogo di band che riprendono a padroneggiare con un certo orgoglio il rock come non accadeva dai tempi del punk, con band come gli Oasis, i Verve, i Blur e soprattutto i Radiohead.
Quella del rock in Italia è una storia piccola ma avvincente, che iniziò alla fine degli anni Cinquanta con Adriano Celentano, Mina e altri giovani che, colpiti dai suoni che arrivavano dagli USA, iniziarono una importante opera di rinnovamento della musica italiana. Fu con il beat, comunque, che la scena rock nazionale prese corpo e conquistò un grande successo, con decine e decine di formazioni tra le quali i Nomadi, l’Equipe 84, i Camaleonti, i Corvi e i Rokes, di origine inglese. Con l’avvento degli anni Settanta il rock italiano diventò sempre più originale e interessante: la scena ‘progressiva’ vide l’arrivo di band in grado di competere ad armi pari con le formazioni inglesi e americane, come il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata Forneria Marconi e gli Area. Ma il crescente successo dei cantautori, anche se molti di loro furono fortemente influenzati dal rock, portò a un rapido declino del genere. Negli anni Ottanta il rock italiano è tornato alla ribalta soprattutto per merito dei Litfiba, ma anche grazie al lavoro di Vasco Rossi che ha messo in sintonia, come ha fatto negli anni Novanta anche Ligabue, rock e canzone.