SIRIA E LIBANO
Stati dell'Asia occidentale, indipendenti dopo la seconda guerra mondiale.L'attuale S. comprende le regioni steppiche tra le catene montuose del Libano, della Turchia e di Israele, tra la valle del Giordano e il deserto dell'Iraq, e la stretta fascia verdeggiante lungo la costa mediterranea fino al Libano settentrionale. Il Libano attuale coincide invece con il territorio dell'antica Fenicia: una fascia di terreno fertile lungo la costa marina tra Tiro, a S, e Tripoli, a N, che comprende a E le montagne del Libano e dell'Antilibano. Tra le due catene montuose si trova l'altopiano della Biqā῾, da cui nascono l'Oronte, a N, e il Litani a S.Nell'Antichità con il nome S. si indicavano anche la Palestina, la Fenicia e il territorio che si estendeva fino all'Eufrate.Il significato storico della regione è legato alla sua posizione geografica all'estremità orientale del Mediterraneo, allo sbocco dei grandi assi commerciali verso l'Oriente e in particolare della via della seta. Tale posizione conferì alla regione un ruolo fondamentale nello scambio artistico tra Oriente e Occidente, cruciale per il diffondersi delle idee attraverso il Mediterraneo; da questo punto di vista, S. e Libano raggiunsero la loro massima influenza sotto i Bizantini, nel sec. 6°, sotto gli Omayyadi nei secc. 7° e 8°, e di nuovo all'epoca delle crociate, nel 12° e nel 13° secolo.In epoca tardoantica e protobizantina, la prosperità della regione siriana attrasse popolazioni nomadi dalle aree circostanti, dando vita a una società multiculturale, dove i nuovi residenti parlavano l'aramaico e, in seguito, il siriaco, mentre gli abitanti delle città ellenizzate erano di lingua greca.In quest'epoca, dal sec. 4° al 7°, il pensiero cristiano si diffuse in tutta la S. greco-romana dando origine a una tra le più raffinate espressioni della cultura e dell'arte paleocristiana. I più importanti pensatori e scrittori dell'impero romano d'Oriente, tra cui i Padri della Chiesa Ignazio d'Antiochia e Giovanni Crisostomo, erano siriani. Nei nuovi centri urbani e monastici si sviluppava il dibattito circa la natura di Cristo e allo stesso tempo gli scriptoria conservavano gelosamente e traducevano i testi classici. Le controversie religiose si moltiplicavano, gettando i semi del dissenso: mentre gli antichi centri urbani di lingua greca restavano più o meno fedeli all'ortodossia imperiale, le popolazioni nomadi provenienti dalle regioni desertiche, che parlavano una lingua diversa, finirono per non accettare l'autorità di Costantinopoli, dando origine a innumerevoli eresie. A questi gruppi si univano coloro che erano stati banditi dalla Chiesa ortodossa o che si spostavano verso le province orientali per sfuggire alla persecuzione per le loro convinzioni religiose. Tra le varie sette fiorite in questo primo periodo e tuttora esistenti, molte ebbero un'origine siriana, come gli ariani e i giacobiti: questi ultimi devono il proprio nome a Giacomo Baradeo, che nel sec. 6° organizzò la Chiesa monofisita in S., la cui dottrina si diffuse presso gli Armeni nel Nord e presso i Copti in Egitto. I maroniti - che traggono il loro nome dal monaco asceta Marone (sec. 5°), cui era dedicato un monastero sull'Oronte - nel sec. 6°, dopo essere giunti a un conflitto con i loro vicini giacobiti, si stabilirono sulle montagne del Libano.In Libano i primi cristiani fondarono le loro ville e le loro chiese nelle antiche città romane, lungo le coste, a Beirut (v.), a Gibelet (Byblos), a Sidone e a Tiro e, nell'entroterra, a Baalbek (v.). Questi centri erano collegati a strade romane molto frequentate lungo la costa e alle piste carovaniere che, attraversando le montagne, giungevano all'altopiano della Biqā῾, per risalire fino ad Aleppo, a Ḥimṣ, a Damasco e oltre, verso Oriente. Nei grandi centri urbani si conservano poche vestigia di una certa consistenza, ma sulle prime pendici del Libano sono numerosi i resti di abitazioni e di chiese del sec. 6°; per es. a Ma῾ād, presso Batrūn, oppure ad Amyūn, presso Tripoli. A Khān Kaldé, sulla costa, presso Beirut, è stata scavata una città di considerevoli dimensioni con diverse chiese e bei mosaici pavimentali; nei pressi dello stesso centro si trovano pavimenti musivi, ugualmente splendidi, nelle chiese di Khaldé, Ouza῾i, Jenah e Zahrānī. Muri e pavimenti musivi di una grande città medievale si ritrovano a Beyt Mery, a N di Beirut. Più vicine a Sidone sono le consistenti rovine della città fenicia di Eshmoun, che comprendono anche una chiesa del sec. 6° e mosaici. Presso Tiro si trovava il singolare pavimento musivo della chiesa di Qabr Ḥirām, ora a Parigi (Louvre). A Baalbek, i primi cristiani fondarono nel grande tempio di Giove una bella chiesa dedicata a s. Pietro. Un certo numero di mosaici provenienti dai pavimenti delle ricche ville di questa città si conserva ancora a Beirut (Mus. Nat.).La prosperità dell'intera area era anche più evidente nei monumenti della S., nelle città grandi e piccole, nelle ville e nei caravanserragli edificati nel periodo tra il 4° e il 7° secolo. Questa era l'area in cui le carovane provenienti dalle vie commerciali del deserto si raccoglievano, sostavano nei caravanserragli e scambiavano le loro merci con i mercanti sedentari della costa. Molti di questi villaggi, ville e centri urbani furono precocemente abbandonati, ma le strutture si sono conservate straordinariamente intatte dando vita alle c.d. città morte della S. settentrionale (v. Belus). Nel Sud si conservano grandi costruzioni in pietra vulcanica nera a Bosra (v.), Chabba, Ezra῾, Qanawāt, Dera῾a e Salkhad. Qaṣr Ibn Wardān (v.), sebbene risalente alla stessa epoca di queste città, era un avamposto militare istituito dall'imperatore bizantino e rientra in una categoria architettonica e culturale a sé stante. Queste città in rovina, descritte dai viaggiatori dei secc. 18° e 19°, sono rimaste abbandonate fino a epoca recente; nell'ultimo cinquantennio vi sono stati costruiti pozzi e vi si sono insediate tribù nomadi dedite all'agricoltura.Come le chiese del Libano, le prime chiese della S. erano decorate da mosaici parietali e pavimentali. Oltre alle rovine monumentali dei centri urbani, dei monasteri e delle chiese, gli scavi recenti hanno portato alla luce un gran numero di mosaici pavimentali, molti dei quali in situ, come ad Apamea (v.) e a Halawe, altri ora conservati a Damasco (Mus. Nat.). Alcuni di questi esemplari provengono da ville cristiane o appartengono a strati successivi di pavimentazioni di chiese: un pavimento musivo di questo tipo è stato recentemente scoperto presso Raqqa, l'antica Nicephorium, sull'Eufrate.Per quest'epoca non si è conservato alcun mosaico parietale, ma a Ruṣāfa la presenza di tessere musive sparse sul pavimento della chiesa dei Ss. Sergio e Bacco, alcune dorate con pietre semipreziose, indica l'uso di una decorazione di qualità che può sostenere il confronto con i migliori mosaici bizantini del sec. 6°, attestati dagli esempi di Cipro, di Ravenna e del monastero di S. Caterina al monte Sinai. La magnificenza dei mosaici parietali siriani può inoltre essere ricostruita grazie all'accurata descrizione fatta da Coricio di Gaza (Laudatio Marciani, I, 17-76) della decorazione musiva della chiesa di S. Sergio a Gaza (Palestina), realizzata all'epoca di Giustiniano (527-565) e che dovette costituire un modello seguito in tutta la regione della S. (Mango, 1972, pp. 60-68).A Ḥāma la cattedrale è scomparsa, ma i pavimenti del complesso paleocristiano che circondava la chiesa sono conservati in situ; anche questa cattedrale venne costruita all'interno di un complesso romano e fu in seguito trasformata in moschea, ora totalmente distrutta. Un'importante pavimentazione musiva, quella della chiesa di S. Giorgio a Dayr al-῾Adas, sulle alture del Golan - oggi conservata nella cittadella di Bosra -, datata al 721-722, testimonia la continuità del mosaico cristiano nell'8° secolo.Laddove i mosaici risultavano eccessivamente costosi gli edifici erano decorati da pitture murali: frammenti di affreschi del sec. 7° si trovano nella cella del tempio di Bel a Palmira e in parti della cattedrale dei Ss. Sergio e Bacco a Ruṣāfa, anche se queste pitture, esposte alle intemperie, si stanno rapidamente deteriorando. Resti di affreschi in rosso e bianco si conservano nella cattedrale di Bosra, mentre nella cattedrale di Ezra῾ rimangono lacerti di pitture a vivaci colori.Da queste prime chiese provengono inoltre oggetti in oro, argento, bronzo, avorio e vetro, appartenenti a tesori ecclesiastici, realizzati principalmente in Siria. Calici in argento, croci, turiboli, patene, lampade, candelieri e frammenti di rivestimenti di ciborio, tutti relativi a chiese siriane, sono sparsi nelle collezioni europee e americane. Coperte di codici in argento dorato e manoscritti come il Vangelo di Rabbula (v., Firenze, Laur., Plut. 1.56) costituiscono la prova della ricchezza delle chiese e dei monasteri siriani nel 6° secolo. Splendidi gioielli sono stati ritrovati nelle tombe.La conquista della regione siriana da parte degli Arabi fu assai rapida: Damasco venne occupata nel settembre del 635 e subito dopo caddero Baalbek, Ḥimṣ, Aleppo e Ḥāma, seguite da Tiro, Sidone, Beirut, Byblos e Tripoli.Mu῾āwiya (661-680), fondatore della dinastia omayyade, venne proclamato califfo di Gerusalemme, ma stabilì la propria capitale a Damasco, da dove poteva più facilmente controllare le principali correnti commerciali provenienti dall'Oriente.Gli Omayyadi eressero palazzi e moschee di uno splendore senza uguali, utilizzando spesso parti di edifici ecclesiastici bizantini, oppure semplicemente adeguando l'orientamento delle chiese cristiane per adattarle alle esigenze del nuovo culto, come accadde a Damasco, Aleppo, Ma῾arrat al-Nu῾mān, Baalbek e Ḥāma. Sembra che la moschea del Venerdì di Bosra sia stata costruita su un edificio più antico e certamente utilizzò capitelli e colonne provenienti dai templi vicini, così come avvenne per la moschea di Dera῾a.Ciò che ha maggiormente stimolato l'interesse degli storici dell'arte occidentale è stata la costruzione delle grandiose strutture residenziali nel deserto fuori Damasco. Questi palazzi furono edificati lungo le antiche vie carovaniere che conducevano dall'Oriente al Mediterraneo, attraverso regioni della S. e della Giordania che erano diventate prospere. I palazzi di Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī, Qaṣr al-Ḥayr al-Sharqī, Qasr al-Bayıa e ῾Anjar erano tutti a due o tre giorni di viaggio da Damasco. Essi furono eretti al di sopra di resti di edifici di età imperiale, per lo più avamposti militari, il cui approvvigionamento idrico era garantito dagli acquedotti romani (Poidebard, 1934). I palazzi di Jabal Says, Raqqa e Ruṣāfa furono costruiti lungo le vie commerciali che seguivano l'Eufrate fino al mare. Questi palazzi potrebbero essere più propriamente definiti postazioni di controllo in aree vitali per l'interscambio commerciale, che, in cambio di tasse e pedaggi, offrivano protezione al commercio minacciato dalle tribù locali e controllavano lo scambio e il trasferimento dei beni ai mercati locali. Essi costituivano inoltre splendide residenze per il governatore locale ed erano dotati di bagni e caravanserragli a uso delle carovane. Centinaia di centri commerciali, che consistevano di palazzi, bagni e caravanserragli, alcuni più estesi e altri piccoli, sorsero per incoraggiare ulteriori commerci attraverso il deserto. Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī, Qaṣr al-Ḥayr al-Sharqī e il palazzo di Ruṣāfa furono costruiti dal califfo Hishām (724-743), con uno splendore senza uguali. ῾Anjar, posta in un punto nevralgico, all'incrocio delle strade che percorrevano la valle della Biqā῾ e quelle che andavano da Damasco a Beirut, era frutto di un elaborato progetto che comprendeva infrastrutture quali cisterne per l'acqua, fognature, mercati, bagni, una basilica e un ampio caravanserraglio, così come due residenze principesche.Con gli anni, gli Arabi svilupparono uno stile e un'iconografia in grado di rappresentare una propria visione del mondo, ma tale trasformazione non fu immediata. Le prime imponenti strutture omayyadi furono splendidamente decorate in uno stile che non può essere immediatamente distinto da quello delle chiese della S. paleocristiana. La Grande moschea omayyade di Damasco era rivestita da mosaici che ricordavano quelli delle chiese bizantine: l'intento doveva essere quello di rivaleggiare con i mosaici della Santa Sofia di Costantinopoli. Gli Arabi ripresero gli stessi motivi utilizzati dai cristiani per indicare il paradiso: alberi, fiori, frutti, fiumi e palazzi. Luce, acqua, candele, corone, perle e gioielli, che avevano un preciso significato simbolico in ambito cristiano, furono ugualmente evidenziati nell'Islam e si sono conservati in quel repertorio fino a oggi. I soli elementi assenti nei mosaici della Grande moschea di Damasco sono i simboli peculiari del cristianesimo - la croce, il trono, gli uccelli, i pesci - e le figure dei santi.La decorazione dei primi monumenti omayyadi pervenuti, la Cupola della Roccia a Gerusalemme, la Grande moschea di Damasco e la piccola sala di preghiera di Mshattā (Giordania), corredata da un'elaborata lavorazione a stucco, costituisce una prova del fatto che, fin dall'inizio, l'Islam non avrebbe tollerato figure umane o animali in ambito religioso.Tale proibizione tuttavia non si estendeva agli edifici profani, come i grandi palazzi. ῾Anjar, Raqqa e Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī, così come i palazzi del deserto della Giordania, erano splendidamente decorati con immagini a carattere figurativo di ogni genere, vivaci ed espressive. Esempi innumerevoli di questo tipo nelle arti minori - intaglio ligneo, metallistica, avori, lavorazione del vetro, tessuti, manoscritti e ceramica - costituiscono la prova dell'esistenza di una vivace iconografia figurata nella storia dell'arte islamica.La S. omayyade soccombette agli Abbasidi nel 750. Marwān II, l'ultimo dei califfi omayyadi, fuggì in Egitto, lasciando Damasco e le restanti grandi città della S. e del Libano ad arrendersi dopo una debole opposizione al nuovo potere. Nello stesso anno Marwān II venne catturato e ucciso insieme ai suoi partigiani, a eccezione di un nipote di Hishām, che fuggì in Spagna dove fondò una dinastia omayyade che conservò il potere per duecentocinquanta anni. Nel frattempo, il centro del potere si era spostato dalla S. all'Iraq.Poco dopo la sua successione, nel 762, il secondo califfo abbaside al-Manṣūr intraprese un progetto edilizio pubblico senza precedenti, con la costruzione di Baghdad, la nuova capitale sull'Eufrate. Ad al-Manṣūr si deve anche la ricostruzione di Raqqa (772), nella quale si possono ancora osservare molte delle idee architettoniche introdotte a Baghdad, sia nelle rovine ancora in piedi sia nelle parti riportate alla luce dagli scavi.Per i tre secoli successivi la S. e il Libano furono oggetto di dispute locali e contese tra diverse fazioni che lottavano per ottenere il controllo di parti dell'antico impero omayyade; di quest'epoca restano pochi monumenti di un certo significato. La dinastia abbaside sopravvisse, soltanto nominalmente, fino al 1258, quando venne ucciso dai Mongoli l'ultimo califfo, ma già due secoli prima i turchi Selgiuqidi comandati da Alp Arslan, nipote di Tughril, si erano spinti fino ad Aleppo e quindi proseguirono verso l'Asia Minore, dove nel 1071 sconfissero l'imperatore bizantino a Manzikert.La richiesta d'aiuto rivolta in questa occasione al papa da parte dell'imperatore bizantino Alessio Comneno diede origine alla prima crociata. In questo frangente, la S. restò per qualche tempo in uno stato di anarchia, contesa tra Arabi, Selgiuqidi, Turcomanni e Fatimidi, fino a che non fu infine occupata dal selgiuqide Amīr nel 1075. Durante questo periodo gran parte del Libano restò sotto il controllo dei Fatimidi, anche se Tripoli godette di una sorta di indipendenza sotto il protettorato fatimide. Nel 1097, prima che i Selgiuqidi avessero potuto consolidare il proprio potere sulla regione costiera, giunsero i crociati.I Selgiuqidi di Rūm stabilirono la loro capitale a Konya, in Asia Minore, ma anche in S. si conservano testimonianze peculiari del loro stile. Nel campo dell'arte e dell'architettura i Selgiuqidi operarono una sintesi delle idee già sviluppate nelle regioni da loro attraversate, dall'Asia centrale, alla Persia e alla Siria. Le loro opere in S. e in Asia Minore dimostrano come essi adattarono le loro tradizioni artistiche, in buona parte legate all'edilizia in laterizio, alla tecnica costruttiva locale, in pietra; tale processo di traduzione produsse un piacevole stile architettonico e decorativo, vivace e ancora 'islamico'. Tra i monumenti di epoca selgiuqide in S. vanno ricordate numerose moschee con straordinari minareti, in particolare quello della Grande moschea (1089-1094) di Aleppo (v.), il minareto di Ma῾arrat al-Nu῾mān, il vivace minareto bianco e nero della cattedrale di Ḥāma (di recente distrutto) e un gruppo di minareti che si conservano in centri lungo l'Eufrate: Meskene, Qal῾at Jabar e le c.d. tre sorelle di Abū Hurayra. I minareti di Meskene e Abū Hurayra sono stati spostati su di una collina adiacente in occasione della costruzione di una moderna diga sull'Eufrate, il cui lago artificiale ha sommerso i resti dell'antica Balis (presso l'od. Meskene).La potenza dei Selgiuqidi si dissolse nella disputa tra i vari rami della famiglia. Il controllo della S. passò quindi nelle mani dell'aristocrazia militare e ben presto si affermò la figura dell'atabeg Zangī (1127-1146), che, con il figlio Nūr al-Dīn Maḥmūd (1146-1174), si distinse per le battaglie contro i crociati. Nūr al-Dīn Maḥmūd inviò uno dei suoi generali, Ṣalāḥ al-Dīn (Saladino), in Egitto per porre fine alla guerra civile tra i Fatimidi del Cairo. L'amichevole aiuto si trasformò in annessione e Ṣalāḥ al-Dīn divenne virtualmente signore dell'Egitto (1169), per spostarsi poi nuovamente in S. (1174), vincendo l'opposizione delle truppe fedeli ai precedenti sovrani, prendendo Damasco e spazzando via ogni resistenza fino all'Eufrate. Nel 1183 egli conquistò Aleppo e nel 1187, con la battaglia di Ḥaṭṭīn, distrusse l'esercito del regno cristiano di Gerusalemme, occupò la città santa, mentre soltanto il castello di Tiro riuscì a resistergli.Durante questo periodo turbolento, l'architettura della S. fu modesta, ma i successori dei Selgiuqidi diedero contributi imponenti al patrimonio artistico di Aleppo e di Damasco (v.). In S. sorge la più antica madrasa conservata nel mondo islamico, quella di Gümüshtegin a Bosra, costruita dal governatore di Damasco sotto gli atabeg, nel 1135-1136. Il piccolo edificio era semplice, ma mostrava già lo schema architettonico essenziale delle madrase successive, con i quattro īwān e una corte che sembra fosse coperta da un tetto ligneo. Tra i più begli esempi dell'architettura di questa tormentata epoca sono l'ospedale di Nūr al-Dīn a Damasco, del 1154, e la sua madrasa, edificata nel 1167.Mentre la S. era interessata dai problemi cui si è appena accennato, la regione libanese prosperò sotto i Fatimidi fino all'arrivo dei crociati, che scesero da Costantinopoli e dall'Asia Minore e restituirono all'impero bizantino gran parte delle terre lungo la costa che erano state conquistate dai Selgiuqidi. Non appena raggiunta la costa, il conte Raimondo di Saint-Gilles occupò la fortezza di Ḥiṣn al-Akrād, da cui dipendeva il passaggio strategico tra le pianure marittime e quelle della Biqā῾. Qui sorse il grande Crac des Chevaliers (v.), attualmente il meglio conservato tra i castelli crociati della Siria. Goffredo di Buglione occupò Tortosa, dove ancora si trova un'imponente cattedrale crociata. I Franchi si impossessarono ben presto dell'intera costa, da Antiochia ed Edessa a N, fino a Gerusalemme a S, con l'eccezione di Tripoli.Le città di Aleppo, Ḥāma, Damasco e Baalbek pagarono saltuariamente un tributo, ma non furono mai conquistate dai Latini. Lungo la costa vennero edificate fortificazioni destinate a fornire un appoggio alle navi e inoltre castelli collegati da torri di guardia a protezione dei porti strategici di Acri, Tiro, Sidone e Gibelet. Come il Crac des Chevaliers controllava i passi settentrionali verso la Biqā῾, nella zona dell'Oronte, così il castello di Beaufort controllava l'estremità meridionale, nella zona del Leonte. Vestigia di questi castelli testimoniano lo straordinario interscambio tra l'Europa e l'Oriente: Marqab, Ṣahyūn, Sāfīthā, Apamea a N, Beaufort e Niha a S. Come esempio di architettura militare araba si conservano i castelli di Maṣyāf, Musaylaha, Chaizar, Bosra e Baalbek. Oltre alle installazioni militari, si conservano anche le cattedrali di Beirut, Tortosa e Gibelet, che testimoniano la presenza in questa area di grandi comunità cristiane, occupate, oltre che in attività belliche, nel commercio, nell'insegnamento o nello studio. Il numero di piccole chiese rurali intorno a questi centri principali eretti nella regione montuosa a ridosso della costa sta a indicare la presenza di fiorenti comunità locali di cristiani dipendenti dalle città crociate. A testimonianza del fatto che il commercio costituiva la linfa vitale sia dei cristiani sia dei musulmani rimangono inoltre i giganteschi caravanserragli di Tripoli e di Sidone e altri più piccoli lungo le strade di grande percorrenza.Le fonti scritte descrivono la splendida decorazione delle chiese e dei palazzi crociati, ma oggi si conserva molto poco di queste pitture (frammenti a Marqab e al Crac des Chevaliers). Resti di pitture murali di quest'epoca rimangono anche in piccole chiese e cappelle rupestri, un tempo appartenute agli anacoreti, nelle profonde valli dei monti del Libano. Ne sono esempi gli affreschi delle chiese di Ma῾ād e di Bahdeidat, sopra Gibelet, di Amyūn e Bziza, sopra Tripoli, di Dayr Ṣalīb e Mart Shmouneh nella c.d. valle santa del Kadisha. Si conservano anche esempi di pitture delle comunità siro-ortodosse: gli affreschi di Qar῾a Deyr e dei monasteri dei Ss. Sergio e Bacco a Qar῾a, di Mar Elian a Ḥimṣ e di Mār Mūsā el-Ḥabashī presso Nebeq, che indicano come anche le comunità cristiane fossero ben sopravvissute in Siria.Dopo la perdita di Gerusalemme, le crociate continuarono e, nonostante le rivalità interne tra gli stessi crociati, tra crociati e musulmani e tra le diverse fazioni musulmane, le regioni di S. e Libano produssero splendidi monumenti, insieme con pitture, ceramiche e oggetti in metallo, gran parte dei quali venne inviata via mare in Europa.La conflittualità nella regione fu alimentata ancora dalla seconda e dalla terza crociata, mentre alla metà del sec. 13° fecero la loro comparsa i Mongoli. Nel 1260 Hülegü, nipote di Genghiz Khān, distrusse Aleppo massacrando cinquantamila abitanti; la stessa sorte subirono subito dopo Ḥāma, Baalbek e Sidone. Gli Ayyubidi ne restarono così indeboliti che dovettero cedere il controllo sull'Egitto ai Mamelucchi, i quali a loro volta riuscirono ad arginare l'avanzata dei Mongoli e a cacciarli dalla Siria. Il sultano mamelucco Baybars I alBunduqdārī (1260-1277) rapidamente sottomise i sovrani di S. ed Egitto e procedette quindi nella conquista delle fortezze crociate lungo la costa, impresa che fu poi completata da uno dei suoi successori, Qalāwūn al-Alfī (1280-1290), che prese Tripoli nel 1289. Acri cadde nel 1291, rapidamente seguita da Tiro e Beirut. Ebbe così termine un'epoca di violenza che era stata per la S. senza precedenti.La S. e il Libano restarono sotto il forte governo dei Mamelucchi egiziani fino alla loro sconfitta a opera dei turchi Ottomani a Marj Dābiq, a N di Aleppo, nel 922 a.E./1516; essi comunque lasciarono splendide testimonianze architettoniche e artistiche. Sebbene i monumenti mamelucchi in S. e in Libano siano di minori dimensioni e meno imponenti rispetto a quelli dell'Egitto, essi sono più originali e meritano una particolare attenzione: ad Aleppo, Damasco e Tripoli (v.) i governatori mamelucchi costruirono splendide moschee, madrase, ospedali, bagni e caravanserragli e allo stesso tempo fecero di queste città i centri più raffinati di produzione nella tecnica dello smalto, della ceramica, della metallistica, dei tessuti e del vetro. Gli oggetti mamelucchi realizzati in S. erano molto richiesti e continuarono a essere importati in Europa dai mercanti di Genova, Pisa e Venezia, come testimonia la loro presenza nelle più importanti collezioni di arte islamica del mondo occidentale.
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