Siria
Il cinema siriano è nato contemporaneamente a quello egiziano (il più importante del mondo arabo), ma il suo sviluppo è stato molto più lento e limitato; la ristrettezza delle sue risorse tecniche, professionali e finanziarie lo hanno inoltre portato a valersi talvolta di registi, attori e produttori stranieri, mentre gli autori più creativi sono stati costretti dal predominio della produzione commerciale a ricorrere all'aiuto delle autorità statali.
La prima proiezione pubblica fu effettuata ad Aleppo nel 1908 da operatori turchi, e fu seguita da altre nel 1912 in un caffè di Damasco. La prima sala fu costruita nel 1916, sempre a Damasco, dalle autorità turche (la S. faceva allora parte dell'Impero ottomano), ma chiuse dopo un mese, e nel 1918 ne fu creata una seconda, privata; in entrambe furono proiettati prevalentemente film tedeschi. Il cinema di altri Paesi europei e quello statunitense arrivarono dopo la Prima guerra mondiale, quando in S., divenuta protettorato francese, vennero aperte altre sale.Il primo lungometraggio siriano a soggetto, il film muto al-Muttaham al-barī᾽ (L'innocente sotto accusa) di Ayyub Badri, risale al 1928. Esso tuttavia non segnò la nascita di una produzione regolare; e le principali aziende, la Harmun Film e la Hilios Film, ebbero una vita effimera. Tra i pochi film prodotti in quegli anni vanno citati Taḥta samā᾽ Dimašq (1932, Sotto il cielo di Damasco) di Ismail Anzur e Nidā' al-wāǧib (1939, Il richiamo del dovere) di Badri, anch'essi muti. Soltanto dopo l'indipendenza del Paese (1946) fu possibile realizzare un lungometraggio sonoro, Nūr wa ẓalām (1948, Luce e oscurità), con la regia di Nazih al-Shahbandar.Negli anni Cinquanta nacque, sia pur ridotta, una struttura industriale basata su piccole società (la più importante delle quali fu la Irfan-Jalek di Aleppo), che realizzavano coproduzioni con l'Egitto e che riuscirono in parte a contrastare la concorrenza dei film stranieri; ma, essendo preoccupate soprattutto del profitto, rimasero legate alle forme e alle tematiche del cinema egiziano di più basso livello qualitativo. Tra le poche opere significative dovute all'iniziativa privata si possono citare ῾Abir sabīl (1950, Il viandante) di Ahmad Erfan e i film di Zuhair al-Shawa al-Wādī al-ah̠ḍar (1950, La valle verde), Warā᾽ al-ḥudūd (1963, Oltre la frontiera) e Lu῾bat al-šayṭān (1966, Il gioco del diavolo).L'intervento dello Stato rappresentò una vera svolta. Nel 1958 fu creato il Ministero della cultura e dell'orientamento nazionale che, attraverso il suo ufficio per il cinema (trasformatosi nel 1963 nella semiautonoma al- Mu᾽assasa al-῾āmma li ᾽l-sīnimā, Organizzazione generale del cinema); finanziò numerosi documentari, realizzati per lo più dai siriani Salah Dhihni, Yusuf Fahdi, Khalid Hamada. Dal 1967 il Ministero iniziò a produrre anche film a soggetto, ponendosi subito in netta contrapposizione con l'industria privata e favorendo l'emergere di autori giovani e dalla forte personalità artistica, spesso inviati a frequentare le scuole di cinema straniere, a Parigi, Praga, il Cairo e soprattutto Mosca (i rapporti tra S. e URSS negli anni Sessanta e Settanta furono molto stretti). L'aria nuova propagatasi allora in S. spinse alcuni tra i più significativi autori arabi a stabilirsi a Damasco per realizzare i propri progetti: tra essi gli iracheni Qasim Hawal con al-Yad (1970, La mano) e Qays al-Zubaydi con al-Yāzirlī (1974), l'egiziano Tawfiq Salih con al-Mah̠dū῾ūn (1972; Gli ingannati), il libanese Bohrane Alaouié con Kafr Qāsim (1974). Gli ultimi due film erano incentrati sulla situazione politica della Palestina, come d'altronde i siriani al-Mah̠ād al-mīlād al-liqā' (1970, Le doglie, la nascita, l'incontro) di Nabil al-Malih, Marwan Muzi e Muhammad Shahin, e al-Fahd (1972, Il ghepardo) di al-Malih. Tutti questi film ricorrevano a invenzioni figurative ardite e talvolta addirittura surreali e oniriche, influenzate dall'estetica dell'avanguardia sovietica. Al cinema iniziarono a interessarsi anche i giovani scrittori, e nacquero molti sodalizi, come quello tra il regista Umar Amiralay e il drammaturgo Sadallah Wannus per il documentario al-Hayāt al-yawmiyya fī qarya sūriyya (1974, La vita quotidiana in un villaggio siriano), considerato tra i più importanti film arabi, ma del quale il governo proibì la distribuzione nelle sale. Altri ancora furono i film censurati perché davano del Paese un'immagine non conforme a quella della propaganda ufficiale, come al-Sadd (1975, La diga) di Haytan Haggi, e Furāt (1978, Eufrate) di Muhammad Malas.
Negli anni Ottanta l'impegno politico si stemperò in opere linguisticamente più elaborate e raffinate, ma al tempo stesso capaci di mettere in scena le storie della piccola gente e i cambiamenti storici del Paese. Tra esse Ḥādiṯa al-niṣf mitr (1980, L'incidente del mezzo metro) di Samir Zikra, Aḥlām al-madīna (1983, I sogni della città) di Malas, al-Taqrīr (1986, Il rapporto) di Durayd Lahham, Nuğūm al-nahār (1988, Stelle di giorno) per la regia di Usama Muhammad.All'inizio degli anni Novanta la cinematografia siriana è entrata in una grave crisi produttiva; l'attività delle aziende private si è completamente arrestata, e sono stati interamente finanziati dallo Stato i non molti film girati da allora, come al-Layl (1992, La notte) diretto da Malas, Ṣahīl al-ğihāt (1993, Rumori da più parti) di Maher Kadr, Turāb al-ġurabā᾽(1998, Terra per uno straniero) di Zikra, Ṣundūq al-dunyā (2001, Sacrificio) di Muhammad, Ruaa halema (2003, Visioni di sogno) per la regia di Waha al-Raheb.
C.-M. Cluny, L'experience du cinéma en Syrie, in "Cinéma", 1975, 197, pp. 98-115.
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Il cinema dei paesi arabi, a cura di A. Morini, E. Rashid, A. Di Martino, A. Aprà, Venezia 1993, pp. 175-84, 292-300.
Il cinema dei paesi arabi, Catalogo della quarta edizione della mostra (Roma, Palermo, Bologna, Torino, Venezia, Napoli), a cura di A. Morini, Napoli 1997, pp. 127-84.
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