Nella Grecia antica, chiunque possedesse la sapienza e fosse in grado di comunicarla (sophistès). In questo senso venivano chiamati s. i Sette saggi, poeti come Omero ed Esiodo, filosofi come Pitagora. È soltanto nel corso del 5° sec. a.C. che il termine assunse un significato specifico, andando a indicare coloro i quali insegnavano - a pagamento - l'arte della retorica. Accusati di essere interessati più al successo e al guadagno che alla verità (giacché insegnavano a sostenere tesi opposte), i s. passarono alla storia come falsi sapienti: il termine si caricò così di un significato negativo che è rimasto persino nel linguaggio corrente, nel quale 'sofisticato' è sinonimo di artificioso o falso. In realtà, oggi gli studiosi tendono a rivalutare il ruolo dei s., per l'attenzione che questi rivolsero ai problemi dell'uomo e della società e per la concezione laica e antidogmatica del sapere. Del resto, tali caratteristiche rispondevano alle esigenze politiche e culturali della democrazia ateniese, il che spiega anche il grande successo incontrato (almeno inizialmente) da essi. Tra i s. si suole distinguere due generazioni: alla prima appartengono gli esponenti più importanti (Protagora, Gorgia, Prodico di Ceo, Ippia di Elide), mentre nella seconda (Callicle, Antifonte, Trasimaco e Crizia) l'arte della retorica poteva dirsi ormai trasformata in eristica, ossia in abilità verbale fine a se stessa.