spirito
Il soffio vitale
Il significato originario del termine spirito – derivante dal latino spiritus, a sua volta ricalcato sul greco pnèuma – è «respiro, aria, soffio vitale». Ben presto di questo termine vennero date due interpretazioni opposte: mentre per i filosofi stoici lo spirito era un principio vitale di natura fisica, per i cristiani esso rappresentava qualcosa di distinto e opposto rispetto alla materia. E fu questa seconda concezione – sia pure declinata in accezioni molto diverse tra loro – a prevalere nella cultura occidentale moderna
I filosofi dello stoicismo vedevano nello spirito (pnèuma) il principio vitale delle cose e lo concepivano come un’entità materiale composta da atomi sottilissimi e mobilissimi. Tale concetto venne fatto proprio dalla medicina antica e medievale, che teorizzava l’esistenza nel corpo umano di diversi spiriti vitali, alcuni con sede nel cuore, altri nel cervello, altri ancora nel fegato. La concezione dello spirito come principio vitale di natura fisica riaffiorò nel pensiero magico e alchimistico del Rinascimento, soprattutto nelle opere di alcuni medici-filosofi tedeschi come Cornelio Agrippa (15°-16° secolo) e Paracelso (16° secolo).
L’idea dello spirito come qualcosa di opposto alla materia si affermò invece con la versione greca del Nuovo Testamento, dove lo spirito – considerato un principio immateriale – caratterizzava sia la divinità (lo Spirito Santo) sia ciò che è proprio dell’uomo, separato dalla materialità del corpo. Nella teologia cattolica, il termine spiriti venne in seguito usato anche per indicare gli angeli e le anime dei defunti.
Per estensione, tale significato diverrà sinonimo – nella cultura anglosassone dell’Ottocento – di fantasma o spettro, dando luogo allo spiritismo, cioè alla credenza secondo la quale le anime dei defunti agiscono sulla realtà provocando fenomeni paranormali.
Anche la filosofia moderna, a partire da Cartesio, distinguerà lo spirito dalla materia, ma lo identificherà con le facoltà razionali, facendone un sinonimo di intelletto, ragione, mente o io e quindi privandolo di ogni valenza religiosa.
Tra il 17° e il 18° secolo, il termine spirito assunse un ulteriore significato, che si riallacciava alla distinzione di Paolo di Tarso tra lo spirito e la lettera, ossia tra il significato autentico delle cose e la loro mera superficie. Il termine spirito venne quindi usato sia per indicare una particolare capacità di cogliere la complessità delle cose umane – lo spirito di finezza di cui parlava il filosofo francese Blaise Pascal (17° secolo) – sia il nucleo più profondo e significativo di un qualsiasi fenomeno. Il pensatore francese Charles-Louis de Montesquieu, per esempio, intitolò il suo capolavoro Lo spirito delle leggi (1748) perché si proponeva non di descrivere i vari sistemi legislativi, ma di coglierne l’essenza o principio ispiratore.
Voltaire parlò invece di spirito delle nazioni per indicare il loro specifico ‘carattere’, e i pensatori romantici elaborarono in seguito la nozione di spirito del popolo intendendo con esso la sua ‘anima’, che si esprime nella lingua, nelle tradizioni popolari, nei costumi e nella letteratura.
È tuttavia con i filosofi dell’idealismo tedesco che il concetto di spirito assume un’importanza cruciale. Per Hegel tutta la realtà è espressione dell’Idea, cioè di un principio spirituale di carattere infinito, che diviene altro da sé nella Natura e torna presso sé stesso nello Spirito. Il filosofo tedesco distinse tra spirito soggettivo (che coincide con lo sviluppo della ragione individuale), spirito oggettivo (il mondo delle istituzioni storico-sociali) e spirito assoluto (che si realizza attraverso l’arte, la religione e la filosofia).
La concezione hegeliana dello spirito fu ripresa dai teorici del neoidealismo. Per Croce tutta la realtà storica è manifestazione dello spirito, che realizza la sua unità passando incessantemente attraverso forme distinte, teoriche e pratiche (arte, filosofia, economia, etica). Per Gentile, invece, ogni realtà è risolta nello spirito pensante, ossia nell’atto stesso del pensiero, e ogni distinzione (teoria/pratica, pensiero/volontà) è fittizia e artificiosa.
Un filone completamente diverso è rappresentato da alcuni autori dello storicismo tedesco, come Wilhelm Dilthey (19°-20° secolo), il quale distinse per primo tra scienze della natura e scienze dello spirito, senza mettere in discussione – a differenza dei neoidealisti – il valore delle prime, ma cercando di fondare – alla maniera di Kant – la validità delle seconde.