tenore In ambito musicale, la più acuta delle voci maschili: il termine indica il corrispondente registro e, estensivamente, il cantante che ne è dotato. In relazione alle famiglie strumentali, in funzione appositiva, designa lo strumento che all’interno della propria famiglia suona nel registro di t. (per es. sax t.).
Nei primi due secoli della storia del melodramma italiano il t. non ebbe i caratteri e la funzione protagonistica (affidata a castrati e a voci femminili) che assunse poi nel 19° secolo. Uno dei primi ruoli in cui si definì il mito del t. romantico fu quello di Arnoldo nel Guglielmo Tell (1829) di G. Rossini, contemporaneamente a fondamentali contributi di V. Bellini e G. Donizetti. L’identificazione del t. come primo amoroso e protagonista, spesso in rivolta contro un ordine iniquo, si definisce anche con una trasformazione dell’impostazione della voce nel registro acuto, con l’abbandono del falsetto e l’uso dell’emissione di petto, valorizzata nella vocalità tenorile verdiana; un diverso tipo di tenore propose W.R. Wagner nella maturità (Heldentenor) e ulteriori trasformazioni di questo tipo vocale – sempre mantenuto su un piano protagonistico – vennero determinate dagli operisti francesi e italiani della fine del 19° secolo. Nel 20° sec. si assiste a un uso assai vario della voce tenorile, con una tendenza a demitizzare la posizione privilegiata ottocentesca, conferendole tratti ironici, grotteschi, malvagi o imbelli.
Il termine del latino medievale tenor designa sia la voce di t. sia la parte che in una polifonia esegue il cosiddetto ‘canto fermo’, le note del quale debbono di solito essere lungamente ‘tenute’ quali basi dei contrappunti svolti dalle altre parti.