Urbanistica
Interpretazioni
All'inizio del 21° sec. appare più che mai aperta e positivamente ambigua la definizione di ciò che s'intende per u., il suo campo di applicazione, le sue strategie di intervento e il suo stesso ruolo nei processi di mutamento del territorio. Espressione di un lungo processo di costruzione disciplinare che affonda le proprie radici nella seconda metà dell'Ottocento, l'u. si configura come un insieme variegato di attività cognitive e pratiche di azione alla confluenza di tradizioni di studio e saperi disciplinari sempre più diversificati, con un ampio ventaglio che va dalle scienze della natura e del paesaggio alle strategie del benessere quotidiano, dalle scienze sociali alle politiche pubbliche di organizzazione dello spazio, dall'economia urbana alle strategie dello sviluppo locale. La 'proliferazione semantica' rilevata da F. Choay (Dictionnaire de l'urbanisme et de l'aménagement, 1988) si riflette nella difficoltà di tracciare confini di appartenenza disciplinari condivisi, e rende problematica l'affermazione di una visione unitaria. Tuttavia restituisce bene il processo di costante innovazione dei quadri concettuali e delle strategie d'intervento che contraddistingue positivamente l'evoluzione dell'u. dentro e fuori dell'Europa. Così essa può ancora essere declinata come scienza dell'urbano, finalizzata a orientare le azioni di varia natura (politica, legislativa, amministrativa, tecnica) che modificano la realtà di un territorio, secondo la prospettiva già enunciata da L. Quadroni e G. Astengo; o più riduttivamente, tornare a essere concepita come arte della trasformazione dello spazio urbano, secondo una interpretazione che fa capo a una rinnovata considerazione dei valori e delle qualità dell'ambiente insediativo; o ancora diventare una forma specifica di progettazione delle politiche pubbliche applicata allo spazio, che mira a offrire le condizioni per uno sviluppo locale sostenibile, competitivo e solidale, come invece vorrebbe chi cerca nuove risposte al governo del territorio contemporaneo.
La varietà dei profili dell'urbanista, dal pianificatore dello spazio all'architetto-urbanista, al policy planner, riflette la molteplicità dei suoi campi di applicazione, articolandosi in funzione della specificità delle tradizioni nazionali e delle congiunture del tempo. Se si fa riferimento alla situazione europea, è possibile assumere l'u. come insieme di pratiche e saperi sulla città e sul territorio, accomunati dall'obiettivo di contribuire al governo delle trasformazioni delle forme fisiche e funzionali del territorio, nella prospettiva di un costante miglioramento dei profili di competitività economica, di coesione sociale e di sostenibilità ambientale-paesaggistica. Un'u. caratterizzata da "un 'nocciolo indiscutibile' e da un'estensione possibile e opportuna" (Palermo 2006, p. 208), che continua a evolvere sotto l'impulso dei mutamenti territoriali e delle nuove domande che emergono dalla cultura, dalla società e infine dall'economia. I suoi obiettivi di fondo sono ancora quelli tradizionali di migliorare la funzionalità e conferire qualità agli assetti fisici dello spazio, nonché di favorire la gestione equa e socialmente qualificata dei processi di rendita fondiaria e più complessivamente una corretta distribuzione dei beni posizionali offerti dalla città. Altri obiettivi più innovativi provengono dall'applicazione dei principi di rafforzamento della competitività territoriale e della coesione sociale ribaditi in sede comunitaria.
I metodi di intervento sono molteplici. In comune hanno la tendenza all'elaborazione di una visione d'insieme del territorio e del suo futuro, alla progettazione delle azioni, degli strumenti, dei processi e delle politiche di intervento, alla valutazione delle fattibilità di ordine tecnico, economico, sociale e amministrativo. Per giungere alla visione guida, il percorso metodologico combina variamente le fasi della conoscenza, dell'ideazione e della valutazione. Abitualmente si richiede dapprima un'interpretazione che passi attraverso l'individuazione e la descrizione delle forme esistenti, emerse dal lungo processo di stratificazione e di accumulazione selettiva della storia. Poi un'attribuzione di valori che tenga conto della molteplicità delle domande e dei punti di vista degli attori e degli interessi in gioco.
Infine una valutazione dei rischi e delle potenzialità associate ai processi di mutamento e ai diversi scenari che accompagnano l'azione. Su questa base si definiscono quindi gli obiettivi da raggiungere, sia per le prestazioni funzionali attese dal territorio sia per le qualità prefigurate per gli spazi. Obiettivi e strategie di intervento sostanziano la visione guida, un'idea d'insieme del territorio che rinvia ai successivi approfondimenti sui progetti, gli strumenti e i processi con i quali dare forma ai mutamenti che si vogliono attuare. Prefigurare, rappresentare, organizzare, differenziare, distribuire, regolamentare, valorizzare, qualificare, infine valutare gli esiti rappresentano gli atti più significativi i quali caratterizzano generalmente, alle diverse scale, le attività di conoscenza, di pianificazione, di progettazione e di regolazione che danno sostanza all'urbanistica.
Nuovi orientamenti
Questo corpus di saperi e di attitudini operative in movimento, chiamati convenzionalmente urbanistica, viene sospinto continuamente dall'incalzare di profondi mutamenti nei processi di uso del territorio e nelle forme fisiche delle città. Ne scaturiscono nuovi temi e domande che chiedono un'incessante riformulazione degli statuti disciplinari e delle prospettive di azione. Le domande d'innovazione riguardano, in particolare, la sostenibilità ambientale di fronte ai rischi crescenti di distruzione delle risorse e di compromissione degli equilibri della natura; l'accesso alle reti, soprattutto quelle digitali che stanno rivoluzionando sia l'economia sia il modo di vita delle società urbane; l'integrazione sociale degli individui e delle comunità nel segno del multiculturalismo, in un mondo sempre più segnato da flussi migratori e dalla compresenza di diversità etniche, razziali, religiose e culturali; infine lo sviluppo locale, di fronte a un'economia sempre maggiormente internazionalizzata che impone una forte capacità di protagonismo alle società locali che non vogliano perdere la propria identità. Sollecitati da queste domande e dal cambiamento più complessivo delle condizioni di produzione e consumo nella 'società delle reti' (Castells 2000), vanno prendendo forma i nuovi modi di intendere e di praticare l'urbanistica.
Urbanistica del paesaggio
La forte domanda di ambiente si è andata traducendo nella ricerca di un nuovo rapporto tra natura e città, che tende a modificare le stesse basi teoriche della pianificazione e trova riscontro nella nascita di nuove discipline volte a incorporare lo studio delle trasformazioni urbane all'interno delle scienze ecosistemiche. Si va delineando così un'u. della sostenibilità, che si propone soprattutto di contribuire alla salute ambientale delle città agendo sui metabolismi energetici complessivi, limitando per quanto possibile il consumo delle risorse non riproducibili (Hough 1995). Al tempo stesso però sta prendendo corpo un'interessante prospettiva, l'u. del paesaggio, che tematizza in modo innovativo il rapporto tra città, ambiente e paesaggio (The landscape urbanism reader, 2006). Muovendo dall'osservazione che i processi di frammentazione e dispersione dei territori urbani, subentrati allo spazio totalizzante della città del 19° sec., si rispecchiano nella proliferante frammentazione del paesaggio aperto, l'attenzione si rivolge soprattutto verso gli orizzonti dell'urbano, ossia le frontiere spaziali e concettuali dove un mondo si dissolve nell'altro ridefinendosi a vicenda (Pope 2003, p. 166). Questo paesaggio ambiguo, che per ora è definibile solo in negativo, né città né campagna né ambiente naturale, caratterizza gran parte della crescita urbana contemporanea, senza trovare adeguate risposte nelle pratiche urbanistiche correnti. Si avverte la necessità di nuove interpretazioni capaci di intrecciare più strettamente u. e paesaggio, per donare senso e qualità a uno spazio per ora residuale ma in realtà determinante per la città della nostra epoca. Ma l'u. del paesaggio allude anche a qualcosa d'altro, di maggiore portata nonostante sia ancora allo stato nascente: il tentativo di far convergere le rispettive logiche disciplinari, integrando processi naturali e sviluppo urbano nella costruzione di una nuova 'ecologia artificiale' che bene incarna il senso dell'ambiente urbanizzato nel territorio contemporaneo. Così il landscape urbanism viene teorizzato come un nuovo approccio che tende a "incorporare i processi e le tecniche che hanno storicamente modulato il paesaggio nel campo dell'urbanistica, potenziandone la capacità di misurarsi con una varietà di scale, di diversità di temi e di vincoli, di rapidità delle trasformazioni" (Landscape urbanism, 2003, p. 9). Assumendo la metropoli contemporanea come "uno spesso groviglio vivente di patches accumulati e di sistemi stratificati, senza una singola autorità di controllo" (Corner 2003, p. 59), questa disciplina ancora liminale tende a elaborare nuovi quadri cognitivi e metodi d'azione alla confluenza delle ingegnerie ambientali e degli studi sul paesaggio con le strategie di sviluppo urbano e produttivo. In questa prospettiva tende a mutare anche il modo di pensare la progettazione, dal suo configurarsi come proiezione verso le visioni di futuro a stimolo operativo per trasformazioni autopoietiche del contesto. La stessa nozione di forma è riconcettualizzata come "il risultato di processi conformativi piuttosto che un fine in sé" (Mostafavi, Najle 2003, p. 136) che viene imposto attraverso il progetto.
Urbanistica delle reti
Anche la crescente domanda di connettività porta a rilevanti conseguenze sul modo di intendere l'urbanistica. Sotto l'incalzare di reti che hanno il potere di disgiungere le distanze del tempo da quelle fisiche, si sta modificando il nostro stesso modo di esperire lo spazio. Si avverte la necessità di ricorrere ad altre rappresentazioni, che aiutino a percepire meglio la nuova territorialità che va emergendo. Tutta l'architettura e l'u. della modernità sono ancorate all'immagine di reti che collegano tra loro aree distinte, rappresentata in modo magistrale dalla irrigazione del territorio mediante le differenti vie di terra, d'acqua e d'aria avanzata da Le Corbusier oltre mezzo secolo fa. Il territorio delle reti lascia ormai il campo a un vero territorio-rete, dove ciascun polo "si definisce come punto di incrocio e di commutazione di reti multiple, nodo di densità dentro una gigantesca intersezione di flussi che è una realtà altrettanto concreta, anche se rappresenta una sfida alla immaginazione" (Veltz 1996, p. 65). Questo nuovo territorio appare ben più difficile da cogliere e rappresentare. L'incontro (e lo scontro) tra i territori-rete globali e i territori-area identitari diventa in effetti la posta in gioco del progetto della città, il conflitto da elaborare per offrire risposte commisurate alle nuove condizioni della contemporaneità. Anche sotto questo profilo i confini tra città e non città si vanno facendo sempre più labili. Dappertutto s'intersecano flussi di informazioni e merci. L'accesso ai consumi quanto alle reti pervade territori sempre più ampi, e sempre più eguali per le tendenze all'omogeneizzazione dei mercati e dei comportamenti dei consumatori. Ciò che nel passato era una località, la città, sta diventando soprattutto un marchio, un logo. La metropoli non è più una località chiaramente identificabile: essa assume la forma di un campo di relazioni urbane, un complesso di attività multilivello coesistenti piuttosto che una struttura fisica e funzionale identificabile per i suoi valori di spazialità (Transurbanism, 2002). Tutto ciò porta alle fortune crescenti dell'u. delle reti, una nuova visione della disciplina che al primato tradizionale della territorialità areolare oppone quello di una reticolarità capace di scardinare i valori di prossimità spaziale a favore delle nuove interdipendenze funzionali dentro le reti lunghe dei grandi circuiti sovranazionali (Dupuy 1991; Veltz 1996).
Urbanistica della solidarietà
Anche la domanda di riconoscimento delle differenze e di rafforzamento dei legami sociali induce conseguenze rilevanti per l'urbanizzazione.
Naturalmente lo spazio contemporaneo non può essere concepito soltanto come incrocio di mobilità e condensazione di flussi elettronici. Esso è soprattutto espressione di identità individuali e sociali che si alimentano della fisicità delle esperienze, della materialità dei modi di abitare il quotidiano, e infine della capacità di autoorganizzare i cammini dello sviluppo. In una epoca che ha visto il progressivo affermarsi dell'autonomia dell'individuo all'interno di una società sempre più aperta, e anche diversificata e instabile, lo spazio urbano va diventando espressione di un'identità multiforme, popolata da una moltitudine di individui che cercano di resistere all'affermarsi di una territorialità illimitata e sempre eguale. L'inedita esplosione delle libertà individuali, insieme al diffondersi delle tecnologie di comunicazione interindividuali e interculturali, si ripercuote sulla forma della città.
Al protagonismo delle microindividualità autocentrate fa riscontro un territorio urbanizzato in maniera estensiva, povero di luoghi della socialità e anche snaturato nei suoi spazi pubblici, ma a suo modo più democratico, dove la forma del costruito riflette sgradevolmente sia un'etica sia un'estetica che sono figlie del contemporaneo. Mentre l'economia diviene sempre più fluida e più incerta, crescono in modo preoccupante i problemi relativi alla sicurezza sociale e individuale. Si acuiscono, anche nelle città europee, i problemi della coesistenza di fronte all'inusitata dimensione dei processi di immigrazione. Il trapianto di intere comunità sradicate dai loro Paesi si traduce spesso in un preoccupante ritorno ai processi di segregazione spaziale e alle conflittualità che investono soprattutto le periferie. Nelle situazioni di maggior rischio, la città tende allora a trasformarsi in un arcipelago di isole chiuse, sovente fortificate, di vuoti e spazi residuali, tutti attraversati da corridoi infrastrutturali iperprotetti per garantirne l'uso comune. Tutto questo porta a rivisitare l'importante tradizione delle politiche del welfare e della coesione a cui l'u. moderna aveva offerto contributi originali e rilevanti, con l'offerta visibile di quartieri popolari, infrastrutture, servizi collettivi e spazi comuni che hanno spesso modellato il volto delle città del dopoguerra.
Tende a emergere una nuova forma di u. della solidarietà, che, insieme alla partecipazione attiva delle parti sociali, si preoccupa di garantire condizioni di benessere, sicurezza ed eguaglianza nelle opportunità di accesso ai diritti di cittadinanza. Il suo scopo principale è facilitare l'assimilazione delle diversità e la mescolanza sociale, stemperando i conflitti attraverso il rilancio dell'offerta di beni pubblici primari (housing e servizi collettivi) insieme con il ripopolamento degli spazi della convivialità sociale e culturale.
Urbanistica strategica
Più sfumata appare la ridefinizione dei contenuti disciplinari che scaturiscono dalle richieste di convergenza tra strategie urbanistiche e strategie economiche, anche al fine di favorire l'indispensabile coinvolgimento degli attori rilevanti nei processi di sviluppo locale. La nuova u. strategica s'iscrive nella logica dello sviluppo competitivo, nella convinzione che la pianificazione debba diventare un vettore di creazione del valore ben oltre i tradizionali processi di formazione della rendita fondiaria e immobiliare. Concepita come leva per lo sviluppo, questa u. cerca di coniugare le forme della programmazione negoziata con quelle più tradizionali dell'intervento urbanistico, dando vita alla pianificazione strategica che si propone di contribuire al governo selettivo del mutamento urbano. Nella varietà delle esperienze in corso, ormai emancipate dagli approcci improntati inizialmente alle filosofie del management d'impresa, sono rintracciabili alcuni tratti comuni. In particolare: l'interdipendenza, vale a dire la costruzione di coalizioni tra gli attori dello sviluppo mirate alla realizzazione progressiva di una visione e di un progetto comune; il contrattualismo, ossia il ricorso ad accordi multilaterali di natura volontaria, piuttosto che a decisioni codificate; la centralità del soggetto pubblico, che oltrepassa il ruolo tradizionale del provider per assumere quello dell'enabler, che libera capacità innovative nell'affrontare i problemi, nell'immaginare soluzioni e nel costruire consenso, producendo al tempo stesso attori istituzionali e sociali più capaci di elaborare i conflitti a favore della fattibilità degli interventi.
Questa nuova u. si caratterizza in definitiva per la sua attitudine a orientare la trasformazione dei territori urbani, producendo visioni condivise, concentrando le risorse su pochi progetti prioritari a forte capacità di trascinamento e facilitando la formazione di coalizioni di attori e interessi in grado di realizzarli. La sua utilizzazione pone urgenti problemi di raccordo con le altre forme di pianificazione vigenti, nell'augurabile prospettiva sintetizzata dalla formula 'un territorio, un piano, un contratto'.
Pratiche in azione
La crescente differenziazione delle pratiche urbanistiche non sembra intaccare un principio costitutivo dell'u. moderna: la volontà di regolare istituzionalmente i processi d'uso dello spazio. Questo 'nocciolo identitario' permane ancora, combinando in una varietà crescente di forme, procedure e strumenti l'originario riferimento alle strategie di configurazione dello spazio con quelle di governo dei processi di sviluppo e trattamento delle domande sociali. Ma intanto emergono altre forme di azione pubblica sia sulle città sia sul territorio. Le iniziative maggiormente significative provengono da nuove progettualità volte alla migliore organizzazione e qualificazione dello spazio, integrate con azioni che sono necessarie al potenziamento del networking istituzionale. Sono nate così delle forme innovative di progettualità pubbliche integrate, orientate alla creazione di contesti più efficaci, cui ha fatto riscontro la comparsa di nuovi strumenti d'intervento che tendono a soppiantare i piani urbanistici tradizionali.
Semplificando molto, si può ricondurre l'evoluzione delle pratiche urbanistiche europee a due tendenze di fondo concomitanti: da una parte, una organizzazione più flessibile delle forme e dei contenuti dei sistemi di pianificazione, spesso assecondata dall'evoluzione del quadro legislativo; dall'altra parte, la maturazione di forme di progettualità sempre più complesse, mirate a catalizzare gli investimenti pubblici e privati nel territorio per elevarne l'efficacia ai fini dello sviluppo. Ancora problematico appare peraltro il raccordo tra quadri d'insieme della pianificazione e singole azioni affidate ai progetti. I diversi modi di declinare questo raccordo si traducono in differenti stili di governo del territorio, dando luogo sempre più spesso a dispute tra ortodossi, riformatori e innovatori.
Piani
In generale si assiste all'evoluzione dei sistemi istituzionali di pianificazione verso forme più flessibili e complesse, che fanno dei piani 'macchine non banali', capaci di adattarsi alla specificità dei contesti. In una prospettiva di questo tipo, il piano tende a configurarsi come dispositivo aperto in cui interagiscono almeno le seguenti articolazioni: un quadro conoscitivo condiviso, che interpreta il territorio allo stato di fatto con la diagnosi sulle potenzialità e i rischi; una visione guida per il territorio al futuro, con l'individuazione delle strategie appropriate per il governo delle trasformazioni; uno schema strutturale che definisce gli assetti fisici e funzionali dello spazio, i valori da rispettare, le scelte qualificanti per l'utilizzo delle risorse e gli obiettivi, relativamente alle prestazioni, da conseguire; gli apparati normativi per l'attuazione e gestione del piano; i sistemi di valutazione necessari per accompagnare l'evoluzione del piano e gli effetti generati. Questa impostazione si applica alle diverse scale, generalmente attraverso piani territoriali regionali che fungono da quadro per le diverse politiche di settore, dal paesaggio alle grandi reti e ai servizi di livello regionale; piani provinciali oppure di area vasta che specificano in particolare le tutele paesistico-ambientali, delle acque e del suolo, e definiscono gli orientamenti generali relativi all'organizzazione degli spazi produttivi, degli ambienti insediativi e delle reti infrastrutturali; infine, piani urbanistici comunali che articolano la disciplina d'uso del suolo insieme alle previsioni per lo sviluppo sostenibile.
Un buon esempio della maggiore complessità raggiunta è Paris 2020, il nuovo piano urbanistico comunale per Parigi in attuazione della legge urbanistica nazionale SRU (Solidarité et Renouvellement Urbain), entrata in vigore nel 2000. Diversamente dal precedente piano, orientato al controllo delle destinazioni d'uso, Paris 2020 enuncia la politica che il comune intende condurre, integrando una varietà di azioni rese coerenti all'interno di un Projet d'aménagement et de développement durable. Il piano nasce dal processo di concertazione con le diverse istituzioni, con gli attori dello sviluppo e con le popolazioni locali intorno ad alcuni temi prioritari: le diverse scale del policentrismo parigino, da quella europea a quelle delle municipalità locali; lo sviluppo economico e le condizioni di accessibilità del territorio; la coesione sociale; l'offerta di casa nonché di servizi collettivi; il paesaggio urbano e l'ambiente. Il piano appare significativo anche al confronto con alcune importanti esperienze di rinnovamento della pianificazione in Italia, come nel caso del recente Piano regolatore generale di Roma (adottato nel 2003 e approvato nel 2006), innovativo anche se condizionato dalla legislazione vigente oltre che da una cultura poco aperta alla gestione strategica del mutamento urbano; oppure del nuovo Documento di inquadramento per Milano (2000), orientato positivamente alla promozione dei progetti urbani ma con debole capacità d'inquadramento prospettico da parte della amministrazione pubblica.
Progetti
Ciò che caratterizza le pratiche urbanistiche contemporanee è soprattutto il ricorso crescente al progetto, più adatto a misurarsi con le condizioni di incertezza e di complessità delle trasformazioni urbane. Il progetto non è solo lo strumento per far convergere una varietà di azioni e investimenti su uno stesso territorio. Diventa anche un rivelatore delle reali disponibilità al mutamento, il metodo per promuovere il partenariato tra le istituzioni, lo strumento per negoziare tra pubblico e privato.
Il progetto di cui si parla assume forme molteplici. La forma del progetto urbano, che è coltivata soprattutto nell'esperienza francese e recentemente anche in quella italiana (Ingallina 2001). Ovvero quella dei progetti territoriali come nei PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio) sperimentati in Italia come progetti di area in grado di mobilitare investimenti pubblici e privati a partire dalla realizzazione di una grande opera pubblica. Ovvero quella dei Programmi Urban nati su iniziativa comunitaria, destinati alla rigenerazione dei quartieri in crisi. In comune queste diverse forme del progetto hanno la loro capacità di applicarsi a interventi di rilevante complessità per i quali appare indispensabile approfondire le valutazioni di fattibilità tecnica ed economico-finanziaria, provvedendo al tempo stesso a concertare in forma negoziale l'insieme delle risorse necessarie per realizzare le trasformazioni previste. Il progetto si estende così oltre l'accezione convenzionale di insieme coerente di interventi edilizi e opere pubbliche corredate da procedure di reperimento delle risorse. Tende piuttosto ad acquistare il significato di una combinazione finalizzata di azioni per lo sviluppo e il welfare locale, per l'ambiente, per la mobilità, insieme a quelle per l'u., l'edilizia e le opere pubbliche. Una combinazione a geometria variabile, con un grado di intersettorialità tra la dimensione spaziale, economica e sociale che dipende, di volta in volta, dal contesto, dalla complessità e dalla rilevanza dei problemi da affrontare localmente e dalla disponibilità degli attori in gioco.
Articolazioni regionali
La ricostruzione delle molte anime dell'u. non può prescindere dalla diversità dei contesti di applicazione, e dalle profonde differenze che si riscontrano nelle esperienze dei diversi Paesi e regioni continentali. In Europa pianificare le città, le reti e il territorio vuol dire misurarsi con una molteplicità di scale, che vanno dallo spazio interno all'Unione, alle 'piccole Europe' degli spazi transnazionali definiti dai programmi Interreg 3B, agli spazi transfrontalieri dei programmi Interreg 3A, fino agli spazi dell'allargamento a est e verso i Paesi del Mediterraneo. Vuol dire anche misurarsi con la pluralità degli attori in gioco ai diversi livelli istituzionali, essendo ormai da condividere secondo i principi del partenariato e della sussidiarietà la stessa sovranità territoriale rivendicata in passato dalle singole istituzioni nazionali locali. Ciascuno di questi contesti genera condizioni che si riflettono sulle pratiche e sui modi d'intendere l'urbanistica. Così, per il primo livello, funge da riferimento la rete dei TEN-T (Trans-European Network Transports) insieme allo SSSE (Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo), il quale affida il mantenimento dell'identità europea a tre principi: la competitività dei territori, la coesione economica e sociale, e infine lo sviluppo sostenibile. Questi principi si traducono in altrettanti obiettivi: sistemi urbani attrattivi, equilibrati e policentrici; accesso diffuso alle infrastrutture e alle conoscenze; gestione rispettosa del patrimonio culturale e ambientale. Si chiede d'ispirare i diversi piani a questi indirizzi, che, per quanto generici, possono portare a conflitti dovuti alla sovrapposizione delle politiche. È il caso, per es., delle grandi infrastrutture della mobilità, quando si scontrano con le resistenze dei territori attraversati, come sta accadendo in Italia ma anche altrove.
Tuttavia c'è da chiedersi se esista davvero un'u. europea, al di là delle formulazioni istituzionali. Si possono riconoscere almeno due tradizioni influenti, che orientano diversamente i quadri d'azione: un'u. latino-mediterranea e un'u. dell'Europa centro-settentrionale. Al riguardo appaiono illuminanti le osservazioni di G. De Carlo (Tortuosità in Domus, 2004, 866) sulla città mediterranea, che con la sua tortuosità e anche il suo intreccio indivisibile in spazi elementari, "è dotata di una straordinaria capacità di cambiare, di modificarsi, di adattarsi, di estendersi, di estinguersi, continuando però a generare percezione ed esperienza di spazio" (p. 24). Questa città sfugge ai principi di razionalità lineare e di equità sociale che hanno guidato la formazione del modello urbano del Centro-Nord, regolato da schemi funzionali ordinati e prevedibili. Qui l'u. dello zoning e degli standard stenta a far presa, di fronte alla ricchezza delle configurazioni che non è facile tradurre in norme per l'azione. La sua trasformazione si affida a una varietà di progetti che esaltano l'individualità quanto la mescolanza delle forme nello spazio, frutto di processi di lunga durata che nel Mediterraneo hanno dato luogo a una transurbanistica generatrice di identità locali e di ciclici conflitti che si sono incuneati fin dentro il cuore delle città.
L'u. latino-mediterranea non è affatto secondaria nella costruzione dell'identità europea. Al contrario i suoi successi, a Barcellona come a Lisbona e a Genova, hanno portato nel tempo a bilanciare l'influenza del town planning anglosassone, a favore di un urbanismo attento alla qualità degli spazi e all'attrattività dell'esperienza urbana, risorse riconosciute per la competizione e la coesione delle città.
D'altra parte cominciano ad affiorare significative convergenze nelle pratiche e nelle strumentazioni dei Paesi europei, che tendono a rafforzare la coerenza delle strategie regionali, in sintonia del resto con le politiche di assegnazione dei fondi strutturali comunitari. Anche in Italia la situazione va evolvendo in una direzione non dissimile. Dapprima con una vivace stagione di 'prove d'innovazione' che, soprattutto sotto l'impulso del Ministero dei Lavori pubblici, ha visto affermarsi il metodo della programmazione per progetti con nuovi strumenti partenariali, quali i Programmi urbani complessi e i già citati Programmi Urban e PRUSST (Palermo 2001). Poi con la predisposizione del Quadro strategico nazionale per la politica di coesione 2007-2013, secondo l'impostazione integrata tra territorio ed economia richiesta dalla Commissione europea. In queste esperienze sono nuovamente confluite sia le previsioni di sviluppo di reti e servizi, sia le iniziative regionali di pianificazione, sia infine un'ampia varietà di 'programmi innovativi' lanciati dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Tra questi vanno ricordati Porti e Stazioni, per la riqualificazione dei tessuti urbani compresi tra nodi infrastrutturali complessi; SISTEMA (Sviluppo Integrato Sistemi Territoriali Multi Azione), destinato a rafforzare le complementarietà di territori e di città adiacenti ai corridoi transeuropei; Piani strategici e Piani urbani della mobilità, mirato a stimolare la competitività delle città medie attraverso una nuova interpretazione dei piani strategici a scala intercomunale. Il bilancio sull'esperienza italiana è per la verità a tinte contrastate. Le azioni di progettualità integrata e partenariale per il territorio hanno spiazzato un dibattito asfittico sulle forme del piano, mettendo a nudo i limiti di un'u. della modernità troppo orientata verso le tradizionali regolazioni funzionali dell'utilizzo del suolo e del mercato immobiliare. Tuttavia le innovazioni introdotte non sono riuscite a modificare la cultura urbanistica e neppure i processi formativi nelle università, né a farsi metabolizzare dentro le pratiche locali e la legislazione vigente.
Le prospettive più promettenti riguardano comunque il sostanziale avvicinamento tra i temi della trasformazione e quelli dello sviluppo, con progetti-pilota mirati a far convergere politiche di programmazione e politiche spaziali su contesti di area vasta; il rapporto tra infrastrutture e territorio, assumendo i progetti infrastrutturali come progetti urbani o territoriali inseriti nel paesaggio; il partenariato tra attori istituzionali multilivello nel governare la trasformazione di piattaforme territoriali cruciali, in particolare attraverso nuovi 'quadri territoriali' e 'piani strategici'; infine, il rinnovamento delle forme del piano urbanistico, finalmente assunto come quadro di coerenza ai progetti strategici della trasformazione urbana piuttosto che come sistema di norme e vincoli mirato alla regolazione degli usi del suolo. Questi profili d'innovazione in atto trovano ancora una debole eco nella evoluzione legislativa nazionale e regionale. Ma forse è proprio questo il carattere singolare dell'u. italiana, che di frequente ha saputo trovare le vie più fertili del cambiamento nelle sperimentazioni sul campo, codificate in ritardo dagli strumenti di legge.
bibliografia
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