urbanistica
Progettare città e territori
L’analisi dell’ambiente e la sua progettazione hanno impegnato l’uomo sin dalle sue origini. L’urbanistica si è sviluppata attraverso i millenni: dai primi insediamenti sumeri alle città minoiche, dalla pòlis greca alle successive elaborazioni della civiltà romana, riprese in età rinascimentale, fino alle metropoli moderne. Fondare e sviluppare una città, organizzando al meglio lo spazio – sia artificiale sia naturale – ha rappresentato l’azione principale di culture differenti in qualsiasi parte del mondo
L’urbanistica è il complesso delle attività di studio e di progettazione (attraverso misure tecniche, amministrative ed economiche) dell’ambiente nel quale si è insediata una collettività umana. La progettazione urbanistica riguarda non solo l’arte di costruire le città, ma anche la predisposizione di piani territoriali che dovranno regolare gli sviluppi futuri della collettività, tutelando zone di particolare interesse storico-naturalistico.
La progettazione urbanistica è quindi molto complessa e prevede una collaborazione tra differenti figure professionali: ingegneri, architetti, sociologi, avvocati, esperti di scienze ambientali ed economisti.
L’urbanistica è divenuta una disciplina solo in Età moderna, ma tutta la storia dell’umanità è stata caratterizzata dalla progettazione dello spazio fisico della città e dalla pianificazione del territorio.
I villaggi preistorici hanno origini legate alle condizioni naturali favorevoli: la vicinanza di un corso d’acqua, il suolo fertile, la possibilità di difesa. Quando queste condizioni si stabilizzarono, i nuclei di aggregazione divennero insediamenti permanenti: per esempio i nuraghi in Sardegna o i villaggi su palafitte dell’Europa settentrionale.
Le più antiche città conosciute vennero realizzate in Mesopotamia dalle civiltà sumera, assira e babilonese. La città sumera di Ur presentava un impianto stradale già disciplinato dalla gerarchia dei percorsi principali e delle limitrofe vie secondarie e, per la prima volta, una cinta di mura separava l’ambiente abitato da quello naturale. Su uno schema analogo, con doppia cinta rettangolare di mura, si sviluppò Babilonia, posta a cavallo del fiume Eufrate.
Nell’antico Egitto (Egizi) la pianificazione di città e territorio dipendeva essenzialmente dalle concezioni religiose. Le città egizie erano disposte lungo il corso del Nilo secondo le fasi del Sole, il dio Ra degli Egizi: a oriente del fiume – dove il Sole nasce – erano poste le città dei vivi, mentre a occidente – dove il Sole tramonta e quindi, secondo gli Egizi, muore – vi erano le città dei morti, delle quali conosciamo i famosi monumenti, dalle piramidi alla Sfinge.
Le città dei vivi, cioè quelle abitate, avevano una struttura spontanea, in continuo rinnovamento e in qualche caso con quartieri regolari, come a Tell-el-Amarna; quelle dei morti invece dovevano durare nel tempo ed essere ammirate da lontano: per questo erano costruite in pietra e con edifici monumentali.
La cultura minoica, sviluppatasi a Creta verso la fine del 4° millennio a.C., basava i suoi insediamenti urbani su grandi complessi di palazzi reali, affacciati su un vasto spazio aperto, come nel caso di Cnosso, attorno al quale si sviluppavano le abitazioni. Nasce in questa cultura uno degli elementi spaziali che caratterizzeranno le città sino ai giorni nostri: la piazza.
Le città della civiltà micenea, come Micene e Tirinto, presentavano uno schema analogo, situando però su un’altura il centro civile e religioso, con a valle i quartieri abitativi, cinti da mura ciclopiche: questo schema sarà sviluppato dai Greci nelle città-acropoli.
Le prime città greche proponevano lo schema della città-acropoli, erano realizzate cioè su alture naturali. Come accadde ad Atene, dal primo nucleo dell’acropoli – città sacra ma all’occorrenza anche rifugio – iniziò a svilupparsi un sistema di quartieri ai piedi della collina, che avrebbe costituito la cosiddetta àstu – la città bassa –, dove si svolgeva la vita quotidiana.
Questo è lo schema della pòlis, la città-Stato dei Greci, che dominava un territorio a volte molto esteso. Il cuore della pòlis greca era l’agorà, luogo di riunione e di scambio, vicino al quale si trovavano gli edifici nei quali si amministrava la democrazia, come il buleutèrion, il consiglio dei nobili rappresentanti dei cittadini. Gli spazi e la struttura della città greca erano quindi in stretta relazione con la vita sociale e politica.
Il filosofo greco Aristotele ci racconta che l’inventore del disegno regolare della città fu Ippodamo da Mileto, che potremmo considerare il primo vero urbanista. Ippodamo progettò la sistemazione del porto di Atene – il Pireo – e di altre città, caratterizzate da una maglia di strade che si incrociano ad angolo retto e formano una griglia regolare, all’interno della quale erano dislocati gli spazi pubblici. Secondo quanto scrive Aristotele la concezione urbanistica di Ippodamo prevedeva una città ideale di 10.000 abitanti, divisa in tre parti: zona pubblica, zona privata e zona sacra.
Il sistema cosiddetto ippodameo fu impiegato per realizzare l’impianto di nuove città, come Olinto e Piene, e influenzò anche le città del periodo ellenistico.
I Romani, all’apice della potenza imperiale, modificarono il territorio con interventi che potremmo indicare come i primi tentativi di pianificazione urbanistica su larga scala. Realizzarono infatti una serie di infrastrutture, come strade, acquedotti, ponti, fortificazioni, lasciando un segno indelebile sul territorio, che in tal modo poteva essere controllato e amministrato.
Lunghi tratti delle maggiori vie consolari – per esempio Appia, Cassia, Flaminia – sono ancora oggi riconoscibili e praticabili. Dal tracciamento delle strade derivò poi la divisione dei terreni agricoli, detta centuriazione dal nome delle centurie, i lotti assegnati ai coloni. Anche di questa operazione resta traccia nel territorio: i confini dei poderi di vaste zone della Pianura Padana seguono ancora oggi la centuriazione.
I Romani adottarono lo schema della città regolare introdotto da Ippodamo, ma con una variazione fondamentale: al centro delle città fondate si aprivano due larghe strade ortogonali – il cardo e il decumano – che si incontravano nell’area del foro, zona della vita politica, economica e religiosa. Questo schema di città è chiamato castrum («campo militare») perché deriva, secondo il latino Vitruvio Pollione, trattatista di architettura, dall’impianto degli accampamenti militari. In molti centri storici di città fondate dai Romani – fra cui possiamo ricordare Torino, Aosta e Firenze – ancora oggi risulta evidente la traccia di tale schema.
Con la caduta dell’Impero Romano e le invasioni barbariche molte delle città fondate dai Romani si impoverirono, subendo un arresto del loro sviluppo. Il sistema feudale permise lo sviluppo dell’economia agraria, favorendo gli insediamenti nelle campagne, che si svilupparono attorno a fattorie, monasteri (abbazie) o castelli. I nuclei urbani si adattavano alle condizioni orografiche della località e presentavano forme spontanee e irregolari, diverse a seconda della situazione del terreno. Molto diffuso fu lo schema radiocentrico: attorno a un castello o a un monastero, di solito posti in cima a un’altura, si formava un tessuto abitativo con viuzze strette e tortuose.
Dopo l’anno Mille, in età comunale, per le città iniziò un lungo periodo di rinascita e riorganizzazione, attraverso interventi urbanistici imperniati sulla creazione di sistemi di piazze urbane, simboli delle autorità. Ai tre elementi fondamentali della vita della comunità – comune, chiesa e mercato – furono riservate tre piazze distinte: esempi interessanti in tal senso sono a Siena e Firenze, che pur nella loro diversità testimoniano il grado di complessità raggiunto dagli interventi urbanistici nel tardo Medioevo.
In particolare a Siena si percepisce l’abilità dei costruttori medievali nello sfruttare la particolare situazione altimetrica della città, con vallette e crinali, per organizzare il sistema collegato di piazze, che culmina nel Campo: non siamo di fronte a uno schema prestabilito, ma a un disegno urbano adattato al luogo e alla funzione.
Molte idee sull’urbanistica rinascimentale emersero dai trattati scritti a metà del Quattrocento. Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria (1452) cerca di far coesistere l’esperienza medievale con i nuovi canoni estetici della prospettiva: prevede per esempio tracciati rettilinei per le strade principali, ma ritiene ancora valide le strade secondarie ad andamento curvo.
Altri architetti, come Antonio Averlino detto il Filarete, Leonardo e Francesco di Giorgio Martini, proposero città ideali, caratterizzate da schemi rigidamente geometrici (a stella, esagonali, ottagonali). Questi progetti, anche se non vennero realizzati, influenzarono le città militari cinquecentesche, come Palmanova, dove il rigido impianto geometrico permetteva di organizzare con efficacia la difesa.
Gli interventi realizzati tra la seconda metà del Quattrocento e il secolo successivo raramente misero in opera le teorie e i progetti ideali dei trattatisti. Nella ristrutturazione di Pienza, voluta da papa Pio II Piccolomini, venne inserito un nuovo centro prospettico, formato da una piazza trapezoidale, senza alterare il carattere medievale della piccola città. Un vero e proprio piano urbanistico di ampliamento si ebbe a Ferrara, su progetto di Biagio Rossetti: la città raddoppiò la sua estensione attraverso la cosiddetta addizione, incentrata su due grandi assi rettilinei, al cui incrocio venne costruito il celebre Palazzo dei Diamanti.
Dalla metà del Quattrocento alla fine del Cinquecento Roma venne interessata da una serie di sistemazioni urbanistiche che culminarono nel grande piano di papa Sisto V, concepito e realizzato dall’architetto Domenico Fontana tra il 1585 e il 1590.
Una rete di assi stradali rettilinei collegò le basiliche di S. Maria Maggiore, di S. Giovanni in Laterano, di S. Lorenzo e di S. Croce in Gerusalemme; le lunghe prospettive stradali furono segnate alle loro estremità da obelischi egizi, eretti con funzioni rappresentative e simboliche. Tali strade costituirono l’ossatura principale sulla quale crescerà Roma, dal Barocco fino all’Ottocento.
Nel Seicento la cultura del Barocco espresse anche nell’urbanistica i suoi caratteri distintivi e la scenografia e la magnificenza divennero diretta espressione del potere assolutistico delle monarchie.
L’esempio più eclatante è rappresentato dalla Reggia di Versailles, la residenza alle porte di Parigi realizzata per Luigi XIV, il Re Sole: si conquistarono e disegnarono gli spazi aperti con lunghi viali rettilinei che si dipartono a raggiera dalla residenza, collegandola a Parigi. Nel gigantesco cantiere di Versailles furono impegnati quasi 35.000 uomini: solo gli antichi Romani nelle loro grandi opere territoriali erano stati capaci di tanto!
Il 18° secolo si aprì con la fondazione di San Pietroburgo, la capitale dell’Impero russo (1703), e si chiuse con il piano regolatore di Washington (1793), la capitale della giovane nazione degli Stati Uniti d’America. Entrambi i piani di queste città nuove ricalcavano schemi urbani già sperimentati in precedenza.
A San Pietroburgo, fondata dallo zar Pietro il Grande, l’impianto si struttura intorno a tre strade a raggiera convergenti verso il Palazzo dell’Ammiragliato, con uno schema a tridente già applicato a Roma – in Campo Marzio – e a Versailles.
Washington presenta uno schema a scacchiera, già impiegato da Greci e Romani, ma arricchito da una serie di strade diagonali che si dipartono dai due edifici-simbolo dello Stato: il Campidoglio e la Casa Bianca.
La nascita della città moderna va collocata a metà dell’Ottocento, periodo in cui l’urbanistica iniziò a divenire una vera e propria disciplina autonoma, grazie a ricerche teoriche e applicazioni pratiche che proseguirono fino alla Prima guerra mondiale.
Alla formazione della città moderna contribuirono tre fattori determinanti: l’affermazione dei grandi Stati nazionali, i nuovi mezzi di trasporto e la nascita dell’industria. Con la delimitazione dei grandi Stati attraverso le frontiere le città capitali non avevano più bisogno della difesa diretta attraverso le cinte murarie, che vennero demolite permettendo l’espansione urbana. L’avvento del treno consentì un rapido processo di urbanizzazione, nonché la nascita di nuovi quartieri attorno alle stazioni. Lo sviluppo industriale creò nuovi poli urbani e attirò popolazione nelle città, favorendone lo sviluppo.
A metà Ottocento le capitali europee richiamavano folte schiere di immigranti, il che rese sempre più urgente il bisogno di miglioramenti igienici e viari: una profonda ristrutturazione, specialmente nei centri storici, era necessaria per sopportare questo rilevante fenomeno di urbanizzazione.
L’esempio di Parigi, con il programma urbanistico che Napoleone III affidò al prefetto Georges E. Haussmann, è esplicativo dei metodi di intervento sulle città ottocentesche: si tracciano larghi viali di scorrimento – i boulevards –, si demoliscono ampie zone centrali, si collegano le maggiori piazze con strade rettilinee, si pianificano vaste zone verdi, si costruiscono nuove reti fognarie. Con interventi analoghi a quelli parigini, in alcuni casi – come a Vienna – meno drastici, il volto di molte capitali europee cambiò.
Nell’Ottocento vennero sviluppate molte proposte di città alternative, in opposizione al modello della città industriale, già allora caotica. Dopo una serie di progetti per comunità agricole e industriali, sul finire del secolo l’inglese Ebenezer Howard promosse l’idea della città giardino. Si trattava di città completamente autosufficienti, con una superficie per 1/3 destinata alla città abitata e per 2/3 a usi agricoli.
I singoli lotti dovevano essere occupati solo per 1/4 dalle case e per il resto da giardini. Il primo esempio di città giardino fu Letchworth, che fu iniziata nel 1904 e influenzò nel Novecento molte realizzazioni a livello urbano in Gran Bretagna.
Nell’ampio ventaglio di proposte redatte nel Novecento in campo urbanistico spiccano quelle di tipo funzionalista, che videro protagonisti alcuni dei maggiori architetti del secolo. Le Corbusier propose progetti di città attraversate da grandi arterie viarie a più livelli, con pochi edifici altissimi, distanziati uno dall’altro seguendo uno schema a scacchiera e immersi in ampie zone verdi. Secondo Le Corbusier la città funzionale doveva soddisfare le tre funzioni principali dell’esistenza umana: lavorare, abitare, divertirsi. Di contro, Frank L. Wright immaginò una città diffusa nel territorio, chiamata Broadacre City, basata sull’assegnazione di un acro di terra a ogni abitante. Entrambe le proposte cercavano di dare una risposta al disordine delle città moderne.
La programmazione dell’assetto di una città passa attraverso la redazione del piano regolatore generale, che deve indicare la rete delle principali vie di comunicazione e la divisione del territorio comunale in zone destinate all’espansione, in altre zone di uso pubblico, in altre ancora da tutelare. Queste indicazioni sono messe in atto attraverso il piano regolatore particolareggiato, che deve contenere tutti gli elementi di dettaglio necessari alla definizione delle opere da compiersi: altezza delle costruzioni, spazi destinati a opere pubbliche, suddivisione degli isolati in lotti fabbricabili.
Le nuove problematiche relative all’uso del territorio e allo sviluppo delle città, prime fra tutte quelle relative all’inquinamento e al traffico veicolare, hanno inciso sulle teorie urbanistiche degli ultimi decenni del Novecento. È necessario incrementare la rete dei trasporti su rotaia (treni, metropolitane) per contribuire alla qualità ambientale delle città. Nell’urbanistica contemporanea, e specialmente nella cultura europea, le ultime tendenze cercano di valorizzare i centri storici, che testimoniano l’evoluzione di una cultura bimillenaria, concentrandosi – come è avvenuto a Berlino – sulla rivalutazione del quartiere per abitazioni a isolati, e puntano sul rapporto tra città e natura, per esempio attraverso la valorizzazione dei fiumi che attraversano le maggiori capitali. Si va affermando inoltre l’importanza del recupero delle vaste aree industriali dismesse, situate a ridosso dei centri storici, zone degradate e abbandonate che possono essere reintegrate nel tessuto delle città.