vigilia religione La notte (o l’intera giornata) antecedente a una festa. Essa è dedicata a preparativi rituali (o spirituali) per la celebrazione della festa; nel primo caso, e spesso anche nel secondo, implica riti di purificazione, astinenze ed eventualmente anche veri riti introduttori alla festa; nel secondo caso anche un’intensificazione delle preghiere e degli esercizi spirituali. Spesso però la v. diventa nella pratica un’anticipazione della festa stessa, con i caratteri gioiosi di essa (banchetti, scambio di doni ecc.).
Come termine liturgico cristiano, significava propriamente la veglia notturna che precedeva le grandi solennità (Pasqua, Pentecoste, Natale); ma forse più antica fra tutte è la v. domenicale, precedente il rito eucaristico notturno, e che poi fu anticipata al giorno precedente. Era chiamata v. (in greco παννυχίς) la veglia che i monaci passavano per tutta la notte in orazione salmodica. Nella liturgia romana, con le Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario (21 marzo 1969) la v., nel suo significato tradizionale e le connesse prescrizioni di digiuno e di astinenza sono state abolite; la sera che precede alcune solennità (Natale, Pasqua, S. Giovanni Battista, SS. Pietro e Paolo, Assunzione della Vergine al cielo) è ora considerata, nell’uso liturgico, come l’inizio della solennità stessa e gode anche di una messa vigiliare propria (a eccezione della veglia pasquale con riti particolari). storia Nell’ordinamento militare romano, forse derivato da quello macedone, la v. è la guardia e anche, per estensione, la durata del turno di guardia notturno, in contrapposizione alle excubiae, le guardie diurne. La notte (12 ore, dal tramonto all’alba) era divisa in quattro vigiliae di tre ore ciascuna; ogni squadra era composta di quattro uomini.