(ingl. Dzungaria, russo Džungarija) Regione dell’Asia centrale, in gran parte costituente la sezione settentrionale della provincia cinese del Xinjiang Uygur, formata da un altopiano limitato a S dai monti Tian Shan e a N dall’Altaj mongolo: zona di steppe che si estende a N, tra le ultime pieghe dell’Altaj, a un’altezza media di 500 m e a S, ai piedi del Tian Shan, di 300 m. Il clima, meno aspro che in Mongolia, con il periodo estivo più lungo, permette la coltura di grano, orzo, sorgo, cotone, riso, granturco, sesamo, papavero, tabacco e piante da frutta varie. Tutta l’area è endoreica, con brevi fiumi che alimentano laghi salati o si disperdono nella steppa, a eccezione della parte più settentrionale, dove scorre l’Irtyš. Città principali sono Ürünqi, capoluogo della provincia, e Kuqa, importante centro commerciale.
Nel 15° sec. la popolazione mongola degli Zungari (in mongolo classico: je’ūn-yar «mano sinistra») faceva parte, con il nome di Coros, della confederazione degli Oirati. Dissoltasi la confederazione, si spostarono nell’odierna Z., dove divennero noti con i nomi di Ölöt e, più tardi, di Zungari. Dopo il 1630 costituirono un forte Stato a economia pastorale e semi-nomade, di religione lamaista. Sotto Galdan (1676-97) divennero una delle grandi potenze dell’Asia; padroni anche del Turkestan orientale, disputarono per un certo tempo l’egemonia in Asia centrale agli imperatori mancesi di Cina; ma sconfitti, dovettero abbandonare la Mongolia vera e propria alla sovranità mancese (1696). Con Cewang Arabtan (1697-1727), nipote di Galdan, ristabilirono la loro potenza, impadronendosi del Tibet (1717-20) ed estendendo la loro influenza al Kazakistan. Poi subentrò una rapida decadenza, e infine, esauriti da decenni di lotta, gli Zungari accettarono la sovranità cinese (1755). Un’ultima disperata rivolta fu soffocata nel 1757, con tante e tali stragi da causare la distruzione del popolo zungaro, di cui sono rimasti solo pochissimi rappresentanti.