Scrittore (Modena 1565 - ivi 1635). La sua figura di autore si impose nella letteratura italiana soprattutto con la composizione de La secchia rapita (1621), poema eroicomico con il quale T. tentò di dare all'Italia un nuovo genere, misto di comico e di serio.
Di nobile famiglia, venne avviato allo studio del diritto; frequentò le università di Bologna, Pisa e Ferrara, e a Ferrara, probabilmente, si laureò. Divenuto accademico della Crusca nel 1589, si trasferì a Roma dove fu al servizio (1599-1604) del card. Ascanio Colonna, che seguì in Spagna e da cui fu largamente ricompensato; per qualche anno si occupò poi di cose letterarie, finché credette di far fortuna rivolgendosi ai Savoia. Informatore politico della corte torinese, nel 1619 fu nominato gentiluomo del card. Maurizio, e nello stesso anno si recò a Torino; ma la gelosia di altri segretari e l'avversione alla politica filospagnola allora seguita dal duca gli resero amaro il soggiorno, finché nel 1621 fu rimandato a Roma col cardinale, che egli poco dopo lasciò bruscamente (intorno alle sue relazioni coi Savoia stese, ma non pubblicò, un Manifesto che è un violento atto di accusa). Fu poi al servizio (1626-32) del card. Ludovisi, quindi si trasferì a Modena come gentiluomo di belle lettere del duca Francesco I, conservando fino all'ultimo il suo umore bizzarro, vendicativo e litigioso.
La sua opera sua più famosa è certamente La secchia rapita, poema in ottave in 12 canti (pubbl. 1621, con data 1622, col tit. La secchia; edd. riviste, col tit. defin., 1624 e 1630). Essa prende le mosse da un umile fatto storicamente avvenuto: nella battaglia di Zappolino del 1325 i Modenesi, inseguendo i Bolognesi fin dentro la porta S. Felice, portarono via come trofeo una secchia. T. non si attenne alla storia e alla cronologia, ma ne fece un disinvolto guazzabuglio, immettendo nell'opera, travestiti, anche personaggi e fatti contemporanei. Argomento è la guerra tra Bolognesi e Modenesi in seguito al rifiuto di questi ultimi di restituire appunto la secchia rapita; alla guerra partecipano gli dèi dell'Olimpo dall'una e dall'altra parte. Sebbene le intenzioni di T. fossero quelle di creare un nuovo genere letterario in cui le parti comiche fossero mescolate a quelle serie, in realtà queste ultime valgono assai poco; gustose, invece, quasi sempre, quelle comiche e sarcastiche (le stesse attitudini alla satira e al comico appaiono in un suo gruppo di sonetti); e in definitiva il poema non fa che continuare la tradizione satirico-burlesca che dai trecentisti, attraverso Pulci, aveva trovato in Berni e in Folengo le più singolari espressioni, anche nello schema del poema eroico. Ma con questo poema la cavalleria come istituzione e come ideale è definitivamente dissolta nella beffa, senza rammarichi, e conseguentemente esso dà il colpo di grazia al poema cavalleresco. Altre opere di T. sono i Dieci libri di pensieri diversi (ed. defin. 1620), caratteristico miscuglio di idee nuove e retrive, di acutezza d'ingegno e di bizzarria o irriverenza o leggerezza, dei quali particolare interesse ha il 10º, perché vi è già delineata la famosa questione sulla superiorità degli antichi o dei moderni; le Considerazioni sopra le Rime del Petrarca, di cui lasciò quattro redazioni (due pubbl. nel 1609 e nel 1611), opera originale, piena di arguzie, digressioni, raffronti, nella quale sono colpiti petrarchisti e marinisti, ma non è risparmiato lo stesso Petrarca, donde una vivace polemica con Giuseppe degli Aromatari; il primo canto di un poema giovanile sulla scoperta dell'America, l'Oceano; vivaci e interessanti lettere. Gli si attribuiscono inoltre due Filippiche (1614-15), veementi orazioni politiche sulle tristi condizioni d'Italia, in cui si esortano i principi italiani ad aiutare Carlo Emanuele I di Savoia a liberare l'Italia dal dominio spagnolo, e la sarcastica Risposta (1617) al discorso di un Soccino genovese, che aveva sostenuto essere giusto il dominio degli Spagnoli in Italia.