Integrazione salariale di carattere previdenziale, dovuta ai prestatori di lavoro con carichi familiari, in misura variabile in relazione alla composizione del carico. Originariamente istituiti per il solo settore dell’industria, con accordo interconfederale dell’11 ottobre 1934, allo scopo di compensare i lavoratori delle perdite di retribuzione conseguenti alla riduzione settimanale dell’orario di lavoro a 40 ore, furono estesi a tutti i lavoratori subordinati dai decreti 1048/17 giugno 1937 e 1239/21 luglio 1937; furono poi disciplinati dal d. legisl. 797/30 maggio 1955, che ha riordinato le norme precedentemente in vigore. Ne sono beneficiari tutti i prestatori di lavoro sul territorio italiano, titolari di pensioni, di prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato, lavoratori assistiti da assicurazione contro malattie, dipendenti e pensionati degli Enti Pubblici, purché abbiano familiari a carico. L’importo viene quantificato in proporzione al numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare. La gestione, originariamente affidata alla Cassa nazionale per gli assegni familiari e successivamente alla Cassa unica per gli assegni familiari ai lavoratori, è passata all’INPS attraverso le prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti. Per dipendenti dello Stato e di Enti Pubblici provvedono le Amministrazioni di appartenenza. Il contributo è fissato in un’aliquota percentuale sulla retribuzione lorda del lavoratore. In tutti i settori, salvo quello agricolo, in cui provvede direttamente l’INPS, la corresponsione è effettuata dal datore di lavoro insieme al pagamento della retribuzione, successivamente viene effettuato presso l’Istituto di previdenza il conguaglio tra assegni corrisposti e contributi dovuti. Dal 1° gennaio 1978 è stabilita l’esenzione totale ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli assegni e delle quote di aggiunta di famiglia.