Complesso di istituti e attività, gestiti e svolti direttamente dallo Stato (previdenza sociale obbligatoria) o da organismi autorizzati (previdenza complementare o integrativa) che hanno per obiettivo quello di assicurare ai cittadini la possibilità di far fronte a particolari situazioni di necessità (infortunio, malattia, invalidità, disoccupazione involontaria ecc.), o i mezzi necessari di sussistenza al termine della vita lavorativa (pensioni di anzianità e di vecchiaia). La previdenza copre perciò diversi settori: le cosiddette assicurazioni sociali (che cautelano dagli infortuni sul lavoro e dall’invalidità), il trattamento pensionistico di specifiche categorie professionali, alcuni trattamenti di fine lavoro: tutti settori, questi, finanziati dai contributi versati durante l’arco di vita lavorativa dagli stessi cittadini beneficiari e dai loro datori di lavoro. Concepita inizialmente come sistema sostitutivo dell’assistenza e beneficenza pubblica nei riguardi dei lavoratori, la previdenza si è gradualmente evoluta attraverso fasi successive di assicurazione volontaria, di assicurazione obbligatoria dei lavoratori subordinati dapprima, dei lavoratori autonomi poi, e nel senso di predisporre per i lavoratori, e in una fase successiva per tutti i cittadini, mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di necessità (in aderenza ai principi dell’art. 38 della Costituzione: («i lavoratori hanno diritto che siano preveduti mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria»). Il principio su cui si basa la previdenza consiste nella formazione periodica obbligatoria di quote di risparmio che, convogliate verso appositi istituti, formano le disponibilità necessarie per assicurare la copertura finanziaria della situazione protetta. Le modalità di copertura degli oneri previdenziali variano dunque in base all’oggetto di tutela; essa si attua sul piano della collaborazione e pertanto (escluse le forme previdenziali per gli infortuni sul lavoro e per le malattie professionali, i cui contributi sono a carico dell’imprenditore) grava, anche se in misura diversa, su tutti i soggetti della produzione. L’evoluzione del sistema e il miglioramento delle prestazioni hanno portato però a un’assunzione da parte dello Stato di una quota dell’onere dei contributi (cosiddetta fiscalizzazione degli oneri sociali). Tutti i cittadini sono finanziati attraverso la fiscalità generale. In un primo tempo, la previdenza si manifesta nelle forme mutualistiche (Cassa invalidi della marina mercantile; l. n. 360/28 luglio 1861; associazioni di mutuo soccorso; l. n. 3818/15 aprile 1886) con carattere volontario e affidata all’iniziativa privata. Poi, con un processo diretto a escludere la volontà privata, viene promossa dallo Stato e resa obbligatoria. La più antica istituzione previdenziale obbligatoria può considerarsi l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro industriale, cui si è aggiunta l’assicurazione contro le malattie professionali. In Italia la più vasta organizzazione previdenziale è rappresentata dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS), ente in cui, con r.d. n. 1827/4 ottobre 1935, sul coordinamento e sul perfezionamento della previdenza, è stata trasformata, con più ampia sfera di azione, la preesistente Cassa nazionale per la previdenza sociale. Le pensioni sono finanziate attraverso due metodi: il sistema a ripartizione e quello a capitalizzazione. Il finanziamento a ripartizione è un meccanismo secondo il quale il gettito contributivo riscosso in un periodo è destinato al pagamento delle prestazioni erogate nello stesso periodo. Vige un accordo sociale tra le generazioni: i prelievi sulle retribuzioni di coloro che sono occupati alimentano le gestioni previdenziali che pagano le pensioni a coloro che nello stesso periodo non lavorano più per motivi di età o anzianità contributiva. Il finanziamento a capitalizzazione è invece un meccanismo secondo il quale i contributi versati da ogni lavoratore durante il periodo della sua attività lavorativa vengono investiti nel mercato dei capitali e i proventi di tale operazione costituiscono il montante con cui viene finanziata la pensione del lavoratore stesso. Ciò significa che, per ciascun singolo lavoratore, i suoi contributi di oggi pagano, capitalizzati, la sua pensione di domani. È questo il sistema meno invasivo, perché opera come un risparmio privato e non modifica le allocazioni di consumo e risparmio dell’individuo lungo il suo ciclo vitale. Per quanto riguarda l’ammontare di pensione erogata in un sistema a ripartizione o a capitalizzazione obbligatoria, in generale esistono due metodologie di calcolo: il metodo retributivo e quello contributivo. Nel primo caso l’importo della pensione è legato al livello del salario percepito dal lavoratore: la pensione può essere calcolata in relazione all’ultimo salario (come avveniva nel nostro paese per i dipendenti pubblici prima delle riforme del sistema previdenziale degli anni 1990), in base alla media dei salari relativa ad alcuni anni, oppure in base alla media dei salari dell’intera vita lavorativa. Nel secondo caso l’importo della pensione è legato all’ammontare dei contributi versati: la pensione viene determinata in funzione del rendimento di tutti i contributi previdenziali (virtualmente) accantonati dal lavoratore. Il rendimento applicato all’ammontare dei contributi versati viene definito a priori dalla legge nella ripartizione (ed è perciò garantito e non derivante dal rendimento di mercato). Negli ultimi 50 anni, la legislazione in materia previdenziale è stata oggetto di un’incessante evoluzione, di grande impatto economico-sociale. Il sistema ‘tradizionale’, introdotto con il d. lgs. n. 488/1968 e la l. n. 153/1969, si fonda unicamente sul sistema di calcolo retributivo, che, nella sua misura massima, prevede una pensione pari all’80% dell’ultima retribuzione. In tale sistema erano consentite le cosiddette pensioni baby nel pubblico impiego (settore che già godeva di prestazioni più vantaggiose, quali il pensionamento anticipato dopo 20 anni per gli statali, dopo 25 anni per i dipendenti degli enti locali): in particolare, le donne coniugate con prole potevano ottenere il trattamento dopo 14 anni, sei mesi e un giorno. La crescita abnorme della spesa pensionistica, conseguente al succedersi di provvedimenti legislativi tesi a migliorare la tutela in termini reali, al mutare della popolazione in termini di età e alla presenza di sperequazioni e anomalie (pensioni baby erogate ai dipendenti pubblici, ma anche prepensionamenti nel settore privato), ha evidenziato la necessità di una riforma del sistema, cui si è fatto fronte negli anni 1990. Il primo concreto intervento si è avuto con il d. lgs. n. 503/1993 (cosiddetta “riforma Amato”), in attuazione della delega contenuta nell’art. 3 della l. n. 421/1992, e ha avuto come obiettivo principale quello di riavvicinare le diversificate normative in vigore nei vari regimi pensionistici attraverso una serie di misure: a) elevazione, estesa a tutti i regimi pensionistici, dell’età della pensione di vecchiaia da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini, in via graduale e con esclusione di alcune categorie; b) elevazione del requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia, in via graduale, da 15 a 20 anni per tutte le forme assicurative obbligatorie; c) allineamento al settore privato del requisito contributivo per la pensione di anzianità (superamento delle cosiddette pensioni baby); d) rideterminazione del periodo di riferimento per l’individuazione della retribuzione pensionabile, al fine di renderlo gradualmente uguale per tutti i regimi pensionistici (nel settore pubblico si faceva riferimento all’ultima retribuzione e non alla media degli ultimi 5 anni) e di allungarlo progressivamente all’intera vita lavorativa; e) valutazione anche del reddito del coniuge ai fini dell’integrazione al trattamento minimo; f) nuova disciplina del cumulo delle pensioni con i redditi da lavoro; g) dal 1994, perequazione automatica delle pensioni con adeguamenti alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo, non più alla dinamica salariale; h) predisposizione di una disciplina organica della previdenza complementare. Per recuperare gli equilibri finanziari delle gestioni previdenziali, e attuare il risanamento del sistema, è quindi intervenuta la l. n. 335/1995 (cosiddetta “riforma Dini”), la quale ha segnato il passaggio al sistema di calcolo basato sulla formula contributiva (solo per i soggetti assicurati per la prima volta a partire al 1° gennaio 1996 e per coloro che, pur essendo già assicurati a tale data, optino per il calcolo della pensione con tale sistema). Tale sistema di calcolo pone in correlazione più stretta il livello delle prestazioni con quello delle contribuzioni: ai fini della determinazione della pensione, si applica al montante individuale dei contributi (ottenuto moltiplicando la retribuzione annua per l’aliquota di computo (33% per i lavoratori dipendenti, 20% per i lavoratori autonomi) un coefficiente di trasformazione che varia in base all’età del lavoratore al momento del pensionamento e all’aspettativa di vita. La riforma del 1995 ha inoltre introdotto regole in materia di: a) armonizzazione della normativa tra settore pubblico e privato; b) flessibilità dell’età pensionabile (tra i 57 e i 65 anni); c) introduzione, per i lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996, dell’unica ‘pensione di vecchiaia’, che si consegue a 57 anni d’età con almeno 5 anni di anzianità contributiva, oppure a qualsiasi età con almeno 40 anni di anzianità contributiva; d) istituzione presso l’INPS della gestione separata per il lavoro parasubordinato. La l. 243/2004 (cosiddetta riforma Maroni) si è posta quindi l’obiettivo di ridurre l’incidenza della spesa pensionistica sul PIL mediante l’elevazione dell’età media di accesso al pensionamento. A decorrere dal 1° gennaio 2008 sono mutate le regole di accesso al pensionamento di anzianità con il sistema retributivo, le regole di accesso alla pensione unica di vecchiaia con il sistema contributivo, nonché le decorrenze delle pensioni. Da tale disciplina restano escluse le forme pensionistiche gestite dagli enti privatizzati. Successivamente, la l. n. 247/2007 ha reso più graduale l’inasprimento, a decorrere dal 2008, dei requisiti per le pensioni di anzianità, confermando l’impianto della riforma del 2004. Ulteriori interventi sono stati introdotti con il d. lgs. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008, che ha previsto, tra le altre cose, l’abolizione del divieto di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro, a decorrere dal 1° gennaio 2009, al fine di consentire il raggiungimento di più elevati livelli di reddito. La mancata attuazione di una riforma organica degli ammortizzatori sociali ha comportato, inoltre, il varo di misure anticrisi (l. n. 2/2009, l. n. 102/2009 e l. n. 191/2009), finalizzate a potenziare ed estendere gli strumenti di tutela del reddito in caso di sospensione dal lavoro o di disoccupazione, per assicurare forme di sostegno del reddito anche a categorie escluse dalle tradizionali coperture previdenziali.
Assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali