Matematico (Milano ultimi anni 16º sec. - Bologna 1647). Entrato giovanissimo nell'ordine dei gesuati, agli iniziali studî umanistici e teologici unì ben presto un vivo interesse per la matematica, che coltivò dapprima come autodidatta e poi, allorché fu inviato a Pisa dal suo ordine nel 1617, sotto la guida di B. Castelli. I risultati non si fecero attendere e il Castelli presentò il suo allievo a Galileo: iniziò così un cordiale proficuo rapporto tra i due, appena offuscato da una lieve polemica nel 1633, destinato a durare fino alla morte del maestro; testimonianza ne è l'epistolario, con 102 lettere indirizzate a Galileo. E fu per l'interessamento di Galileo che C. ottenne, nel 1629, la cattedra di matematica all'università bolognese. All'insegnamento, al quale si formarono allievi di valore (S. Degli Angeli, M. Ricci, P. Mengoli, U. Davisi), accompagnò un'intensa attività scientifica, occupandosi di astronomia, di trigonometria sferica e calcoli logaritmici (da lui per la prima volta introdotti in Italia). La sua opera fondamentale resta la Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota (1635), nella quale, sviluppando intuizioni giovanili, espose la teoria degli indivisibili. Il principio degli indivisibili consiste nel rappresentare le grandezze geometriche come totalità di elementi primordiali (indivisibili): la linea come totalità di punti, la superficie come totalità di linee, di solito come totalità di superfici. Le misure di lunghezze, aree, volumi sono così ricondotte alla somma d'infiniti indivisibili, cioè all'operazione oggi detta integrazione definita. A buon diritto il C. è quindi considerato, insieme a I. Newton e G. W. Leibniz, uno dei fondatori della moderna analisi infinitesimale