Poeta (Milano 1776 - ivi 1821). Anticlassicista, P. rappresenta, insieme con G. G. Belli, un momento essenziale, e artisticamente dei più alti, del primo Romanticismo italiano. Egli ha saputo descrivere alcuni aspetti della vita contemporanea in quadri ricchi di sfumature, animati da uno spirito che non si può chiamare lepido o satirico se non dimenticando l'indefinibile umanità del grande poeta, per il quale il maggiore interesse fu quello di ritrarre la vita in tutta la sua potenza e in tutta la sua varietà contraddittoria. La qualità fondamentale della sua poesia è la vitalità gagliarda e comunicativa.
Studiò prima a Monza, poi nel seminario di Milano. Sono queste le prime esperienze di quel mondo ecclesiastico, che diventerà poi uno dei temi dominanti della sua poesia. Sui sedici anni fu mandato ad Augusta, in Germania, perché si avviasse alla mercatura. Ma non si sentiva adatto a questa vita: perciò ben presto si fece richiamare a Milano. Priva di eventi esteriori la sua vita, trascorsa dietro lo sportello di un piccolo impiego, a quotidiano contatto con gente modesta, afflitta da dissimulate o palesi angustie, miserie e vergogne. E impiegato rimase sempre, prima alle Finanze, a Milano, e poi per due anni a Venezia, infine al Debito pubblico. Nel 1806 sposò Vincenza Prevosti vedova Arauco, che teneva e continuò a tenere un salotto; col matrimonio la sua vita prese definitivamente un andamento regolare e tranquillo. Pure, egli fu il centro della «cameretta», un'adunanza di amici letterati (L. Rossari, G. Torti, T. Grossi), e partecipò alle polemiche anticlassicistiche del suo tempo; portato a esse, peraltro, più dal suo equilibrato buon senso che da convincimenti teorici meditati e severi.
pirito di romantico e di verista, P. aveva una cultura modesta, una innata tendenza alla concezione bene equilibrata e all'espressione finita dei classici; e perciò, come il Manzoni, fu insieme romantico e classico. I suoi argomenti rientrano solo apparentemente nel cerchio dei temi abituali alla letteratura dialettale moderna d'Italia. L'uso in poesia del suo dialetto, liberandolo d'un colpo dal peso della tradizione antirealistica dell'alta letteratura italiana, gli fece imboccare subito la via che il nostro Romanticismo doveva trovare solo assai più tardi: quella d'un realismo corposo e risentito. P. neppure concepisce come possibile velare, lessicalmente e figurativamente, l'energico altorilievo in cui la sua fantasia componeva il mondo delle apparenze e degli affetti intorno a lui: un mondo spesso turpe, quasi sempre triste; ma talvolta la critica dolorosa si risolve anche in ilare canzonatura nata da una fondamentale indulgenza, da una sperimentata saggezza. E mentre Manzoni avvertiva, sì, il grande imperativo romantico, quello di affrontare la vita attuale, ma ancora, per obbedienza alla tradizione, ricorreva al compromesso del romanzo storico, P. assumeva coraggiosamente a protagonisti della sua poesia preti, nobili e prostitute del suo tempo, e i suoi don Rodrigo li trovava nella vita quotidiana, non nella storia di due secoli prima. Egli non fa il quadretto di genere ma il quadro di costumi, non la macchietta ma il ritratto; sicché, pur rimanendo indissolubilmente legato a un periodo storico, ne supera l'interesse effimero con un largo e forte interesse umano. In pochi componimenti egli ci ha lasciato l'immagine immortale della Milano della rivoluzione francese e della reazione austriaca, osservata nelle sue tre classi: il clero, i nobili e il popolo: il clero, perseguitato dai decreti napoleonici; i nobili, detronizzati dai principi rivoluzionari; i poveri diavoli, malmenati dagl'invasori. Tra le sue opere principali, composte nell'ultimo decennio di vita, sono da ricordare le Desgrazzi e Olter desgrazzi de Giovannin Bongee, popolano che è continuo bersaglio di soprusi e di beffe, il Lament del Marchionn di gamb avert, storia di un illuso e di un diseredato, La Ninetta del Verzee, una prostituta, La guerra di pret, incompiuta rappresentazione fortemente rilevata del mondo clericale contemporaneo.