Carlomagno
Il fondatore del Sacro Romano Impero
Il mattino di Natale dell'anno 800 Carlomagno veniva incoronato imperatore a Roma dal papa. Rinasceva così l'impero, il Sacro Romano Impero d'Occidente. A differenza di quello antico, questo era molto più piccolo, i sudditi erano tutti cattolici e il suo centro non era più a Roma, ma assai più a nord, ad Aquisgrana (oggi Aachen, in Germania), la sede preferita da Carlomagno. Inoltre il titolo di imperatore era diventato un titolo legato alla Chiesa, perché da quel momento in poi per diventare imperatore sarebbe sempre stata indispensabile la consacrazione papale
Nel 9° secolo ‒ e così sarebbe stato ancora per molti secoli ‒ il ritratto non doveva rappresentare la vera fisionomia di una persona: si preferiva sottolinearne i caratteri spirituali o il rango nella società. Per questa ragione possiamo soltanto immaginare il volto di Carlo, al quale i posteri, ammirati, aggiunsero il titolo di magno, dal latino magnus "grande".
Lo storico Eginardo scrisse la Vita di Carlo Magno poco dopo la morte di questi, avvenuta nell'814 ad Aquisgrana, e ci ha lasciato una descrizione del suo volto, del suo modo di vivere e di vestire, delle sue imprese. Eginardo descrive Carlomagno già in età matura, con i folti capelli bianchi e gli occhi molto grandi e vivaci. Il sovrano era alto e piuttosto corpulento (gli piaceva moltissimo mangiare una quantità impressionante di varie carni). Amava cacciare e cavalcare, apprezzava i bagni di vapore delle acque termali e si teneva in allenamento con frequenti nuotate: "invitava ai bagni" scrive Eginardo "non solo i figli, ma anche i nobili e gli amici, e talvolta anche la folla del suo seguito e delle guardie del corpo, tanto che non di rado si bagnavano insieme cento uomini e più". Carlo era molto orgoglioso di essere un franco e si vestiva come la sua gente: portava biancheria di lino, brache, una camicia e una corta tunica. D'inverno si copriva con un farsetto di pelli di lontra o di martora. Solo durante le cerimonie ufficiali e in circostanze eccezionali metteva la corona e si vestiva come gli imperatori romani. Negli altri giorni il suo modo di vestire era simile a quello comune del suo popolo.
Carlo, destinato a diventare imperatore, era il figlio primogenito di Pipino il Breve, re dei Franchi, e di Bertrada. Dopo pochi anni dalla morte del padre (768) invase i territori toccati al fratello Carlomanno ‒ scomparso a sua volta nel 771‒ e, chiamato in Italia da papa Adriano I, s'impossessò anche di tutta l'Italia settentrionale, sconfiggendo i Longobardi.
Occupata Pavia, si fece incoronare nel 774 re dei Franchi e dei Longobardi; in precedenza aveva ripudiato la moglie longobarda, quella che Alessandro Manzoni avrebbe poi cantato nel poema Adelchi come l'infelice Ermengarda. Carlomagno, in quegli anni, combatté con successo contro i musulmani di Spagna. Un episodio di questa guerra è rimasto celebre: la battaglia di Roncisvalle, nella quale la retroguardia dell'esercito franco sarebbe stata sorpresa e vinta dai musulmani (si trattava in realtà di guerrieri baschi, cristiani). Secondo una leggenda, che si sviluppò però tre secoli dopo, morì nell'agguato anche Orlando, uno dei più valorosi paladini (i 'conti palatini', conti del palazzo) di Carlomagno. Nella Chanson de Roland ("Canzone di Orlando") si narra che Orlando morì per il tradimento del perfido zio Gano; prima di spirare aveva però fatto strage di musulmani.
Carlo fu un grande capo militare; passò tutto il periodo del suo lungo regno in guerra. Combatté vittoriosamente per circa trent'anni (dal 772 all'804) i Sassoni, che occupavano i territori a nord della Germania, e poi ancora i Bàvari, stanziati nell'attuale Baviera, e gli Àvari, popolazioni mongole di razziatori e allevatori di cavalli, che muovendosi dall'odierna Ungheria minacciavano la Baviera e il Friuli.
Carlo era convinto che suo dovere fosse imporre dovunque la religione cattolica con conversioni in massa dei popoli vinti, imposte in maniera spietata. Chi non si convertiva veniva decapitato, e molti Sassoni furono decapitati da Carlomagno in persona. Ovviamente il risultato di queste lunghe guerre fu anche l'accumulo di enormi ricchezze a spese dei vinti. Quando Carlo e i suoi armati riuscirono ad abbattere il Ring, ossia l'accampamento fortificato degli Àvari presso il Danubio, conquistarono un favoloso bottino d'oro che fu posto su quindici carri, tirati ognuno da quattro buoi.
Dopo tante guerre e vittorie, il dominio di Carlomagno si estendeva dall'Elba all'Atlantico, all'Ebro, al Danubio: il re si presentava come il vero e solo capo della cristianità. In Occidente il titolo di imperatore era cessato nel 476 con la deposizione di Romolo Augustolo, ma era continuato in Oriente dove l'imperatore bizantino si considerava e veniva considerato l'unico legittimo imperatore romano. Al tempo di Carlomagno vi regnava una donna, Irene, un fatto inaccettabile per un guerriero franco come Carlomagno, che riteneva che solo un uomo potesse reggere un impero. Approfittando di questa situazione, si fece incoronare imperatore a Roma il mattino di Natale dell'800.
I conti e i marchesi. Per amministrare meglio il suo territorio, Carlomagno lo divise in comitati presieduti dai conti (in latino comites "compagni"): i conti erano funzionari pubblici del re, spesso suoi parenti, che riscuotevano le imposte nel territorio che era stato loro assegnato, amministravano la giustizia e convocavano l'esercito quando il re lo chiedeva. Lungo il confine, che andava particolarmente protetto, più comitati vennero riuniti in marche, con a capo un marchese che aveva più o meno gli stessi poteri del conte, anche se più ampi. Carlomagno stabilì anche che periodicamente alcuni suoi messi, in latino missi dominici, cioè gli "inviati del signore", di solito un laico e un ecclesiastico, girassero per l'impero controllando l'operato dei conti.
I vassalli. Per Carlomagno era molto importante potersi fidare completamente dei suoi collaboratori, così come dei suoi guerrieri. E questa era l'esigenza di ogni potente che avesse al suo comando dei guerrieri. Per tale ragione si sentì il bisogno di ufficializzare il rapporto di fedeltà attraverso una cerimonia pubblica detta omaggio. Chi prestava l'omaggio si impegnava a restare fedele al suo signore o al sovrano per tutta la vita e a combattere da quel momento in poi per lui, cioè a combattere a cavallo con un armamento completo; si inginocchiava e metteva le mani giunte in quelle del signore ‒ questi gli consegnava così, quasi magicamente, la sua forza ‒ e poi pronunciava un giuramento solenne, toccando le reliquie o i Vangeli. Terminata la cerimonia, colui che aveva compiuto l'atto di omaggio era diventato vassallo del suo signore.
I grandi vassalli di Carlomagno potevano ricevere a loro volta l'omaggio di altri vassalli di importanza minore, i valvassori; è invece una pura invenzione che esistesse un altro anello della catena, i valvassini, vassalli dei valvassori!
Il re o il signore, in cambio, si impegnavano a difendere il loro vassallo nei processi e nelle liti e, soprattutto, a mantenerlo. Le guerre di quel tempo però cominciavano soltanto con la bella stagione e si interrompevano sempre con l'arrivo dell'inverno. Sarebbe stato complicato e molto costoso per un signore o per il re mantenere per tutto l'anno tutti i suoi vassalli. Era più semplice assegnare loro una specie di stipendio di mantenimento, che era quasi sempre rappresentato dalle rendite di una terra.
Il feudo. La terra non veniva però ceduta in proprietà, bensì in beneficio. Il signore (o il re) manteneva cioè la proprietà della sua terra: poteva sempre riprenderla, se il vassallo fosse morto o avesse tradito. Cedeva però al vassallo il possesso, cioè il diritto di sfruttare ogni risorsa di quella terra per tutto il tempo che fosse durato il rapporto di vassallaggio. La cerimonia dell'assegnazione del beneficio ‒ chiamato, dal Mille in poi, feudo (feudalesimo) ‒ si chiamava investitura ed era accompagnata da gesti simbolici, come la consegna da parte del signore o del re di una spiga di grano o di una zolla di terra, per indicare la terra concessa.
Carlomagno mise ordine anche nelle leggi. Nelle riunioni generali, chiamate placiti, emise molte ordinanze per portare ordine nel suo impero e fare in modo che ci fossero norme valide per tutti: vengono chiamate capitolari, dal latino capitulum "capitolo", perché queste disposizioni ‒ molto minuziose ‒ erano divise in capitoli.
Lavori di scrittura. Un grande sforzo di Carlomagno e dei suoi consiglieri fu anche quello di avere sacerdoti più istruiti, migliorando il livello delle scuole che si trovavano presso le abbazie e le cattedrali: qui studiavano i futuri monaci o i futuri preti e, in minor numero, anche i figli di dignitari e potenti, destinati a ricoprire in futuro importanti cariche nella vita civile.
Carlomagno volle anche che il latino si mantenesse in una forma corretta e che fosse compreso senza errori da chi lo adoperava. Alcuino, un monaco di York molto erudito, consigliere di Carlomagno, si preoccupò di preparare una versione ufficiale della Bibbia. Vari secoli prima, nel 405-406, san Girolamo aveva terminato di tradurre la Bibbia in latino: questa traduzione importantissima si chiama Vulgata, cioè "divulgata, diffusa". Ma circolavano manoscritti con errori. Alcuino ne curò la revisione in modo che tutti, monaci e preti, si basassero sullo stesso testo. Alcuino utilizzò anche un nuovo tipo di scrittura, che è stata chiamata carolina (dal latino Carolus "Carlo"), molto semplice e leggibile, che si diffuse poi in tutto l'impero. Fu riscoperta nel 15° secolo ed è, con pochi cambiamenti, la scrittura minuscola a stampa usata ancora oggi.
Copiare i testi antichi. Per scrivere in un buon latino, come quello di Giulio Cesare e di Cicerone, bisognava continuare a leggere i loro testi. Anche i monaci (monachesimo) dovevano conoscere bene gli scrittori dell'antichità classica per capire il vero significato delle parole della Bibbia, che era in latino, e per comporre in maniera elegante le loro opere religiose. Per amore di Dio copiarono una grandissima parte delle opere degli antichi; copiarono anche le poesie d'amore dei poeti pagani e salvarono così testi di straordinaria bellezza. Il paziente lavoro dei monaci funzionò da gigantesca zattera di salvataggio, traghettando dall'antichità fino ai giorni nostri il sapere del passato. Infatti non si è salvato quasi nessun codice del tempo dell'Impero Romano e tutto quello che leggiamo è stato copiato nel Medioevo.
Carlomagno parlava la sua lingua, il 'teotisco', che assomigliava al tedesco; conosceva benissimo il latino, che parlava perfettamente, e capiva anche il greco. Ma non sapeva scrivere! Cercò di imparare: "teneva a letto sotto i guanciali tavole e fogli di pergamena per abituare la mano, quando aveva tempo libero, a tracciare le lettere, ma" annota Eginardo "intraprese questa fatica troppo tardi e ne ricavò poco". Mentre noi impariamo a leggere e a scrivere nello stesso tempo, nel Medioevo le due operazioni erano disgiunte. Fino al 12° secolo non ci fu a disposizione la carta, ma solo la costosa pergamena. I laici, perciò, avevano molte più occasioni di leggere che di scrivere.
Da Carlomagno prese il nome la dinastia carolingia, dato che Carlo fu il più illustre dei suoi membri. Pipino il Breve, padre di Carlomagno, fu il primo ad avere il titolo di re (suo padre, Carlo Martello, aveva ancora soltanto il titolo di maggiordomo). Col Trattato di Verdun nell'843, gli eredi di Carlomagno si spartirono l'impero all'incirca in tre parti: Italia, Francia e Germania. L'ultimo carolingio fu Ludovico V, morto nel 987. Dopo di lui iniziò la dinastia capetingia, che doveva giungere fino alla Rivoluzione francese (1793, anno della morte di Luigi XVI) e poi ancora riprendere dal 1814 al 1848.
Gli Àvari cavalcavano usando le staffe. Un uomo armato di spada e di lancia, saldamente appoggiato sulle staffe, è invincibile contro un avversario a piedi, perché ha una forza d'urto travolgente, dato che con le staffe fa tutt'uno con il suo cavallo. Dagli Àvari a Carlomagno, la diffusione della staffa comportò un cambiamento nel sistema di combattere. Il nucleo più importante dei guerrieri di Carlomagno divenne quello dei cavalieri, gli unici a spostarsi a cavallo e a portare le armi.