Giurista ed economista (Milano 1738 - ivi 1794). Tra i massimi rappresentanti dell'illuminismo italiano, la sua fama è legata al trattato Dei delitti e delle pene (pubblicato anonimo a Livorno nel 1764), che pose le fondamenta della scienza criminale moderna. B. fonda i criteri per la misura dei delitti e la proporzione delle pene sui princìpi della filosofia illuministica francese e sulla teoria contrattualistica (in particolare di J. Locke) e utilitaristica: egli intende quindi il delitto come violazione dell'ordine sociale (e del primitivo "contratto") e la pena come una difesa di questo: di qui la polemica contro la pena di morte "né utile né necessaria" e in contraddizione con il principio contrattualistico (giacché nessuno ha rinunciato al diritto alla vita).
Educato a Parma dai gesuiti, si laureò in giurisprudenza nell'univ. di Pavia. A 22 anni, in seguito alla lettura delle Lettres persanes di Montesquieu si entusiasmò per i problemi filosofici e sociali: entrato nel cenacolo di casa Verri, e spronato a dedicarsi agli studî di scienza politica ed economica, scrisse, dietro consiglio di Pietro Verri, il saggio Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1762 (1762). In casa di Pietro, sede della redazione del Caffè, essendo venuto a discussione, fra i tanti, il problema dello stato deplorevole della giustizia penale, il B. fu designato a trattare questo argomento e scrisse (1763-1764) il famoso libro Dei delitti e delle pene. Il successo di esso fu immenso: esaltato dalle più alte personalità del tempo, fu commentato da Voltaire. Non mancarono le critiche tra cui quelle del padre F. Facchinei che in certe sue Note ed osservazioni accusò il B. di avere offeso la religione e l'autorità sovrana, ma i Verri lo sostennero con una Risposta, erroneamente attribuita allo stesso Beccaria. Nel 1768 ebbe la cattedra di economia politica (detta allora di scienze camerali), creata per lui, nelle Scuole palatine di Milano. Nel 1771 fu eletto consigliere del Supremo consiglio dell'economia e finalmente nel 1791 entrò nella Giunta per la riforma del sistema giudiziario civile e criminale. La sua fama resta legata all'opera Dei delitti e delle pene, che - oltre a quanto già esposto - eccelle anche per la lucida critica ai metodi giudiziarî del tempo (come per esempio la tortura) dominati dall'arbitrio, e non rispondenti ai loro stessi fini. I legislatori non vi rimasero indifferenti: Caterina II di Russia promosse una riforma del cod. pen. nettamente ispirata all'opera del Beccaria. Come economista, il B. seguì l'indirizzo dei fisiocratici, ma sentì pure, per quanto in polemica, l'influenza dei colbertisti. Egli vide nella libera concorrenza il principio fondamentale di una buona economia, ma non rigidamente, ché anzi se ne scostò talvolta, soprattutto in materia di commercio internazionale. Altra opera interessante sono le Ricerche intorno alla natura dello stile (1770), in cui sostenne doversi abbandonare, nell'esame dello stile, il criterio dell'aderenza a norme fisse tradizionali, dedotte dalle opere del passato, per sostituire a esso un'indagine filosofica sull'essenza dell'attività artistica.