Vedi Cile dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Dopo 17 difficili anni di dittatura militare guidata dal generale Augusto Pinochet, il Cile, a partire dagli anni Novanta, ha potuto riprendere il cammino intrapreso prima del 1973, l’anno del colpo di stato: quello di una democrazia rappresentativa solida, nella quale il regime presidenziale trova un efficace contrappeso in un parlamento che gode di legittimità popolare, e il potere giudiziario può esercitare il suo ruolo in modo indipendente.
Quella cilena è una democrazia stabile, riuscita a transitare senza scossoni dal lungo dominio della coalizione post-Pinochet di centrosinistra chiamata ‘Concordancia’ a quello delle destre, ormai liberatesi dell’eredità della dittatura e giunte al potere con Sebastián Piñera con le elezioni del 2010. La vittoria della socialista Michelle Bachelet, al suo secondo mandato, a fine 2013, ha riconfermato l’alternanza. La storia cilena degli ultimi decenni è stata anche caratterizzata da una robusta e costante crescita economica, basata sia su un’economia estremamente aperta e competitiva sui mercati internazionali sia sull’attenzione agli equilibri macroeconomici. Una serie di scandali politici avvenuti tra il 2014 e il 2015 ne ha rallentato la crescita, senza però contrarla. I risultati e l’elevato grado di affidabilità che il Cile ha guadagnato a livello globale non sono stati intaccati nelle fondamenta facendo sì che possa continuare a godere di un’influenza regionale e internazionale di gran lunga superiore a quanto farebbero presupporre le sue ridotte dimensioni e la sua posizione geografica.
Il Cile fa parte dell’Alianza del Pacífico (un progetto di integrazione economica panregionale con Perù, Colombia e Messico) e intrattiene solidi legami commerciali con quasi tutti i paesi dell’America Latina. Persistono però tensioni con alcuni di essi, come l’Argentina (per l’approvvigionamento di riserve di gas naturale), la Bolivia (a causa di una disputa territoriale di lunga data) e il Perù, a causa di una controversia su un confine marittimo risoltasi con un verdetto della Corte dell’Aia a favore di Lima. Al di là della regione di appartenenza, il Cile cura molto anche i legami con le maggiori economie che ne possano sostenere la crescita economica basata sulle esportazioni, come Usa e Cina, e prevede di ampliare la sua vasta rete di accordi di libero scambio con Malaysia, Vietnam e India. Non è dunque un caso che Santiago sia tra i principali promotori dell’area di libero scambio tra Asia e America denominata Trans-Pacific Partnership (Tpp).
La maggior parte della popolazione cilena ha remote radici europee: sia quelle spagnole dell’epoca coloniale, sia quelle di varie zone d’Europa risalenti alle grandi migrazioni dei secoli 19° e 20°, compresa una nutrita e assai influente comunità di origine tedesca. Durante la seconda metà del 19° secolo è stato eccezionale il numero di ebrei orientali, cristiano-siriani e palestinesi approdati in Cile in fuga dall’Impero ottomano. La comunità palestinese si è ingrandita in seguito ai conflitti arabo-israeliani e costituisce oggi in Cile la più grande colonia al di fuori del mondo arabo.
L’originaria popolazione nativa, invece, si concentra perlopiù nel sud del paese e corrisponde a circa il 5% dei cileni: il suo maggiore gruppo etnico è composto dai Mapuche. Appartenenti a una fascia della popolazione assai vulnerabile e collocata al livello più basso della piramide sociale, negli ultimi anni i Mapuche hanno iniziato a condurre una strenua battaglia per rivendicare i propri diritti sulla terra. La lotta ha assunto connotati così aspri che alcuni Mapuche sono accusati di episodi di violenza e sottoposti alla legge anti-terrorismo. Di recente, vari leader Mapuche hanno annunciato di voler invocare al diritto all’auto-determinazione dei popoli per rendersi indipendenti da Santiago.
Caratteristica della popolazione cilena è la sua concentrazione nella fascia centrale del paese, corrispondente al nucleo territoriale dove dapprima si è consolidato lo stato cileno e a cui si aggiunsero nella seconda metà del 19° secolo i territori meridionali popolati dai Mapuche e quelli settentrionali sottratti a Bolivia e Perù nella Guerra del Pacifico (1879-83).
La società cilena è ancora caratterizzata da marcate disuguaglianze, tipiche dell’area latinoamericana, ma la crescita economica e le politiche attuate dal governo ne hanno attenuato la gravità. La percentuale di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà si è ridotta drasticamente e si è attestata intorno al 14%. In questo rilancio socio-economico anche l’educazione gioca un ruolo di primo piano: il paese gode di livelli di istruzione tra i più alti dell’intero subcontinente latino, benché proprio il malcontento sulle scelte del governo in tema di scuola abbiano suscitato, e suscitino tutt’oggi, estese proteste di piazza.
Il Cile si colloca dunque ai vertici delle graduatorie dei paesi latinoamericani pressoché in ogni campo ed è sempre più vicino agli standard sociali dei paesi occidentali: lo dimostra la posizione che occupa nella classifica dell’indice di sviluppo umano (è al 41° posto su 187 paesi). I diritti civili e politici, infine, sono rispettati, benché la Costituzione sia ancora quella varata dalla dittatura nel 1981: con frequenti emendamenti si stanno eliminando anche le ultime forme di autoritarismo.
L’economia cilena, storicamente dipendente dall’esportazione di rame, di cui il Cile è il primo produttore al mondo, è cresciuta nell’ultimo ventennio a ritmi superiori a quelli di qualsiasi altro paese latinoamericano, uscendo perlopiù indenne dalle crisi economiche succedutesi negli ultimi anni. Alla base di tale successo vi sono stati numerosi fattori, sia locali sia internazionali. Tra quelli locali spiccano la legittimità dei governi, il consenso nazionale per una politica di disciplina fiscale e di stabilità macroeconomica e gli effetti di un modello economico liberista che fa di quella cilena una delle economie più aperte al mondo, basata sul commercio estero e su accordi di libero scambio con i maggiori partner internazionali, soprattutto Usa e Cina. Proprio con Pechino, nel 2012, Santiago ha siglato un accordo di associazione per favorire la crescita del commercio e degli investimenti; parallelamente, al fianco degli Stati Uniti, dedica notevoli sforzi in sostegno della creazione del Tpp.
Tuttavia, tra il 2013 e il 2014, è stato registrato un rallentamento della crescita del pil, passata dal 4% al 2% a causa della sfiducia innescata da un susseguirsi di scandali politici interni e dalle scelte socio-economiche del governo Bachelet, il quale, con l’obiettivo di ridurre la povertà, ha deciso di aumentare le tasse alle aziende per poi redistribuire le entrate, con progetti in fase di conclusione, al settore delle infrastrutture, della sanità e dell’istruzione. Le proiezioni, comunque, fanno presumere che il Cile tornerà rapidamente a crescere con tassi del 3-4% nel medio periodo.
La dipendenza dal rame rimane significativa e i suoi prezzi elevati hanno recentemente contribuito in modo consistente alla crescita, ma sia il sistema produttivo sia la struttura delle esportazioni si sono con il tempo rafforzati e in parte differenziati.
Sul piano energetico, il Cile mostra un profilo potenzialmente più vulnerabile. All’aumento della domanda interna di energia non è corrisposta un’uguale valorizzazione delle fonti, di cui il Cile è poco fornito. Ciò ha determinato una forte dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas naturale. A tal proposito, le tensioni croniche con la Bolivia e la scarsa affidabilità argentina hanno indotto il Cile a puntare sulla massima diversificazione dei fornitori. Anche l’utilizzo delle fonti rinnovabili ha accresciuto la sua importanza nelle politiche di governo, soprattutto di quello della Bachelet: l’obiettivo dichiarato è di portare entro il 2025 al 45% il consumo energetico da fonti rinnovabili. Allo stato attuale, comunque, l’energia prodotta da rinnovabili è pari al 5,8%. Sul piano ambientale, infine, il livello di inquinamento che si registra in Cile non si discosta dalle medie regionali, anche se tocca punte preoccupanti nella capitale. A destare proteste e polemiche è soprattutto lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, causa talvolta di gravi incidenti nelle miniere, come quello avvenuto a San José nell’agosto 2010, e del rapido processo di deforestazione di alcune aree.
La forte crescita economica, il peso corporativo esercitato dalle forze armate e le croniche ostilità con i vicini spiegano il fatto che il bilancio militare del Cile (pari a oltre 5,4 miliardi di dollari e con un’incidenza sul pil pari al 2%) sia relativamente alto, inferiore (in termini assoluti) in Sudamerica solo a quello del Brasile, la maggiore potenza regionale, e a quello della Colombia, che da decenni è impegnata in un conflitto armato interno.
La forza aerea cilena (circa 8000 unità), in particolare, rappresenta oggi un temibile strumento di sicurezza. La notevole modernizzazione delle forze armate ha suscitato timori presso i governi dei paesi confinanti, che non riescono a tenere il passo del Cile a causa delle ristrettezze del bilancio. Ciononostante, si è innescata una sorta di corsa regionale agli armamenti. A loro volta i governi e le forze armate cilene hanno sempre sostenuto di non avere intenzioni aggressive e di essersi limitati a rinnovare un apparato di sicurezza ormai obsoleto. Resta però il fatto che il Cile gode di una netta superiorità militare nei confronti dei vicini andini e per molti aspetti anche della ben più grande Argentina.
Per la prima volta nella sua storia, il 4 luglio 2015 il Cile ha vinto la Coppa America di calcio battendo ai rigori la più quotata Argentina in un match particolarmente sentito dal popolo cileno. Il calcio, infatti, oltre ad essere uno sport assai seguito in Sud America, in passato è stato più volte in grado di ridare orgoglio e dignità a nazioni latino-americane che, per differenti motivi, hanno attraversato momenti delicati (si pensi, ad esempio, al Mondiale in Argentina del 1978). I cileni, che hanno motivi di storica rivalità con gli argentini, avevano riposto particolare speranza nella competizione calcistica organizzata per l’occasione proprio in Cile, sia per ragioni sentimentali quanto per motivi di immagine ed economici. Alla vigilia del calcio d’inizio della competizione, in un sondaggio condotto a livello nazionale dalla Fundación Imagen de Chile, è risultato che la Coppa America era vista dai cileni come un importante strumento per promuovere il paese all’estero rendendolo attraente per attività vitali per l’economia, prima fra tutte il turismo. Un’opinione condivisa dal governo di Santiago che, nella persona del ministro dell’Economia, dello Sviluppo e del Turismo, Luis Felipe Céspedes, ha poi reso noto che l’evento internazionale ha portato circa cinquanta milioni di dollari di entrate supplementari nelle casse del paese spesi dagli oltre settantamila stranieri (altre stime parlano di centomila) lì recatisi per assistere alle partite. In particolare, il settore alberghiero e quello della ristorazione hanno visto i profitti crescere rispettivamente del 20% e del 10% rispetto alla media abituale. Quello più beneficiato dalla manifestazione sportiva, però, è stato il commercio al dettaglio, che ha aumentato i guadagni di circa un terzo. In totale, rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, nelle settimane della Coppa America il Cile ha registrato un incremento del 30% del flusso di turisti e oltre trenta tra testate giornalistiche, televisive e radio hanno trasmesso al mondo le immagini del paese impegnato in uno sforzo organizzativo di notevoli dimensioni.