Disegno, pittura, scultura che riproduce più o meno fedelmente un’opera d’arte.
Il complesso fenomeno della c., legato alla fortuna di un artista o di un’opera, rientra nella storia del gusto e del collezionismo. L’uso di c. di originali famosi in scultura, in pittura, in toreutica, si diffonde soprattutto dal periodo ellenistico, parallelo al sorgere di collezioni come quelle di Pergamo e di Alessandria, e si accresce dopo la conquista romana della Grecia. Fra i capolavori greci più copiati sono quelli di Prassitele e Lisippo. Raramente le c. antiche derivano da calchi; presentano invece una certa libertà in vari dettagli.
Nel Medioevo come nell’arte moderna, la c. è stata mezzo di divulgazione di modelli, invenzioni o prototipi (c. di libri di disegni e schizzi, di taccuini), costituendo occasione di lettura interpretativa di opere esemplari. C. di altri artisti da celebri originali possono costituire vere e proprie reinterpretazioni; d’altra parte c. coeve di opere del passato possono essere di non facile distinzione. Da sottolineare la differenza tra c. e replica, ripetizione, da parte dello stesso autore, di una propria opera, anche apportandovi varianti, uso diffuso anche in età contemporanea; la c. va distinta inoltre dal falso, per la sua intenzionalità non fraudolenta.
Si dice che un codice manoscritto è c. di un altro, quando è esemplato su di esso.
Copista o amanuense era colui che, prima dell’invenzione della stampa, trascriveva codici. Fino al 13° sec. i copisti erano pressoché esclusivamente monaci, che nelle abbazie si dedicavano a realizzare per intero i libri, dalla preparazione della pergamena alla sua rilegatura. In seguito si aggiunsero anche laici.