Nel linguaggio della filosofia contemporanea, il termine d., come traduzione del tedesco Verfallenheit, si è diffuso a partire dagli anni 1930 con l’esistenzialismo e in particolare con l’uso che ne ha fatto M. Heidegger in Sein und Zeit (1927). Nel quadro complessivo dell’analisi delle forme e strutture dell’esistenza, la d. indica il modo d’essere inautentico proprio dell’uomo in quanto ‘è gettato’ nel mondo, è preso nella quotidianità e nella pubblicità, ossia in quella dimensione di rapporti che è ancorata al ‘si’ come a una sorta di soggetto neutro, impersonale (‘si’ dice, ‘si’ pensa, ci ‘si’ diverte ecc.). Caratteristica della d. è quindi il muoversi nell’orizzonte della chiacchiera, della curiosità, dell’equivoco e lo sfociare in una sorta di estraneazione per cui l’uomo crede di realizzare la propria apertura al mondo e agli altri, cioè il proprio rapporto con questi, attraverso un incessante ‘aver visto tutto’, ‘aver compreso tutto’ e addirittura attraverso un’illusoria e pretenziosa sintesi delle diverse culture con la propria.
Il termine è stato in seguito usato nel dibattito filosofico in un senso più generico per indicare il limite e, per certi aspetti, i caratteri negativi della finitezza umana a cui l’esistenzialismo è stato particolarmente attento e sensibile.
Deposito dei materiali asportati e trasportati dagli agenti esterni del modellamento terrestre: si distinguono in d. fluviali, glaciali, eoliche. Per i fiumi e torrenti l’accumulo dei materiali detritici, trasportati in sospensione o per rotolamento, avviene in seguito a diminuzione di velocità delle acque e dà luogo a formazioni di settori di cono più o meno appiattiti; per i ghiacciai, l’accumulo avviene sotto forma di rilievi configurati topograficamente ad arco (morene); per azione dei venti si formano cordoni, archi (dune) ecc.