In diritto civile l’equità indica sia un criterio di integrazione del contratto (a norma dell’art. 1374 c.c., il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità), sia un criterio di correzione degli effetti del contratto predisposti dalle parti e che tuttavia risultino concretamente ingiusti (ad esempio, l’art. 1384 c.c. dispone che la clausola penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento). A tale proposito è oggi assai dibattuto il problema del rapporto tra autonomia privata e giustizia contrattuale, per cui il legislatore si richiama sempre più frequentemente al concetto di equità (v. ad esempio l’art. 7 d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231), mentre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato (sent. n. 18128/2005) che il giudice può modificare la clausola penale manifestamente eccessiva anche d’ufficio.
Riduzione ad equità. - La riduzione ad equità è l’operazione attraverso cui, per evitare la rescissione (art. 1450 c.c.) o la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), si modificano le condizioni del contratto in modo da contemperare equamente gli interessi dei contraenti.