falconerìa Arte d'allevare e ammaestrare alla caccia i falconi e dell'andare a caccia con essi. Vi è chi ritiene la f. d'importazione germanica; ma è certo, per testimonianza di Marziale, che non era sconosciuta ai Romani. Questo esercizio divenne un privilegio della classe signorile durante il periodo feudale, dapprima in Francia e poi anche in Italia.
Alla corte di Federico II furono letti e apprezzati i trattati di f. attribuiti agli arabi Ghatrif e Moamin. Lo stesso imperatore compose un Tractatus de arte venandi cum avibus, che ebbe larghissima diffusione e molte traduzioni, insieme con varî altri di diversi autori. La caccia col falco ebbe in Italia grande sviluppo nei secc. 12°-16° e fu, insieme a quella col ghepardo, uno dei maggiori passatempi delle corti più lussuose. Il più ambito degli uccelli da caccia era il girifalco. Molto stimato era anche il sacro o sagro. I cultori della falconeria dividevano i falconi da caccia in due gruppi: i falconi (f. di Groenlandia, di Islanda, girifalco, pellegrino) e gli accipitrini (astore e sparviero); i falconi, detti anche falchi da logoro, insidiano la preda volando ad alta quota e precipitandosi violentemente su di essa; gli astori e gli sparvieri, detti falchi da basso volo o da pugno, cacciano volando a fior di terra dopo aver avvistato la preda da un punto d'osservazione sopraelevato.
Attualmente la falconeria è di fatto caduta in disuso, almeno nei paesi occidentali, dove i falchi sono protetti: infatti sono assolutamente vietate la raccolta delle uova e la cattura dei nidiacei e degli adulti. Tuttavia in altri paesi, come in Arabia ed in alcune zone del Nordafrica, la falconeria è ancora praticata attivamente ed anzi la richiesta di falconi che ne deriva alimenta illecite attività di vendita ed esportazione.