Petrarca, Francesco
Il trionfo della poesia amorosa
La grandezza di Francesco Petrarca, poeta italiano del 14° secolo, si affermò presto, e non solo nell’ambito della poesia. Già i contemporanei ne esaltarono l’erudizione classica e lo considerarono il maggior esponente del primo umanesimo. Appassionato dell’antichità greco-latina, fu un instancabile ricercatore di manoscritti. Scrisse numerose opere in latino oltre che in volgare, sia in prosa sia in versi. Il suo capolavoro resta la raccolta detta Canzoniere; si tratta di poesie in massima parte amorose, composte in volgare dal 1335 fino alla morte del poeta
Francesco nacque ad Arezzo nel 1304 dal notaio fiorentino ser Petracco e da Eletta Canigiani. In seguito alla decisione del padre notaio di trasferirsi in Francia ad Avignone, sede in quel tempo del papa, la famiglia si stabilì nelle vicinanze, a Carpentras. Qui Francesco fu affidato a un dotto grammatico, alla cui scuola manifestò una precoce inclinazione letteraria; ma ser Petracco lo indirizzò agli studi giuridici, inviandolo prima a Montpellier e poi a Bologna.
Tornato in Francia nel 1326, partecipò ad Avignone alla vita elegante della città, sede – come si è detto – della corte pontificia. Il 6 aprile 1327, nella chiesa di S. Chiara, incontrò Laura, la donna che sarebbe stata al centro del suo amore. Di lei non sappiamo nulla, tranne quello che ne dice lo stesso poeta. Laura, che non contraccambiò mai l’amore, fu oggetto di un sentimento che sarebbe durato oltre la morte della donna, avvenuta durante la terribile pestilenza del 1348.
L’esiguità del patrimonio familiare costrinse Petrarca a intraprendere la carriera ecclesiastica, prendendo gli ordini minori. Nel 1330 entrò al servizio del cardinale Giovanni Colonna come cappellano e ne divenne ben presto amico. Di qui la possibilità per lui di visitare molti paesi e di arricchire le proprie esperienze umane e culturali. Fu a Parigi, a Gand, a Liegi, ad Aquisgrana, a Colonia, a Lione; nel 1337 visitò per la prima volta Roma.
Di ritorno lo stesso anno ad Avignone, scelse di ritirarsi nella vicina Valchiusa dove possedeva una casa e dove si rifugiava nei momenti dedicati allo studio e al raccoglimento, al riparo dalla mondanità e dalle passioni terrene, che pure costituivano una componente essenziale della sua personalità.
Andava crescendo intanto la notorietà del Petrarca. Nel 1340 ricevette l’offerta dall’Università di Parigi e dal Senato di Roma di essere incoronato poeta, secondo l’usanza classica. Scelse Roma e l’8 aprile del 1341, in Campidoglio, ricevette l’ambito riconoscimento dalle mani del senatore Orso dell’Anguillara; in precedenza era stato esaminato a Napoli, alla presenza di Roberto II d’Angiò, intrattenendosi su temi attinenti all’arte poetica e leggendo alcuni episodi dell’Africa: un poema in esametri latini, rimasto interrotto al nono libro, in cui Petrarca intendeva esaltare la vittoria dei Romani nella seconda guerra punica, sulle tracce dello storico latino Tito Livio e con l’ambizione di rinnovare l’epica di Virgilio.
Dopo un soggiorno a Parma, ritornò a Valchiusa; ma la sua permanenza nel luogo prediletto fu interrotta per incarico del papa, che lo inviò di nuovo a Napoli da re Roberto. Durante un viaggio a Verona la scoperta di importanti testi di Cicerone (tra cui i primi sedici libri delle Epistole ad Attico) consolidò la sua fama in Europa. Nel 1347 fu attratto dal tentativo riformatore del tribuno Cola di Rienzo, conosciuto ad Avignone; ma il suo fallimento, l’anno seguente, gli impedì di raggiungerlo a Roma come avrebbe voluto.
Si fermò a Parma, dove venne a sapere della scomparsa di Laura; di qui fino al 1351 proseguì nelle sue peregrinazioni, accolto dovunque con grande onore. Fu tra l’altro a Ferrara, a Padova su invito di Francesco da Carrara e poi a Firenze. Rientrato quindi in Provenza, scrisse alcune lettere all’imperatore Carlo IV di Boemia, esortandolo a scendere in Italia per sedare le guerre cittadine da cui era afflitta la penisola.
Dal 1353 al 1361 visse a Milano, ospite dei Visconti, e accettò di porsi al loro servizio, contro il parere di alcuni amici fiorentini tra i quali era Giovanni Boccaccio; fu poi a Padova e nel 1362 a Venezia, dove ebbe un aspro contrasto con quattro giovani seguaci di Averroè, un filosofo arabo del 12° secolo assai noto nel Medioevo per le sue teorie condannate come eretiche.
Il tiepido appoggio dei veneziani lo indusse a lasciare la città alla volta ancora di Padova e quindi di Arquà sui colli Euganei. Qui possedeva una modesta villetta donatagli da Franceso da Carrara; vi trascorse anni sereni, continuando ad attendere ai suoi studi, in compagnia della figlia e del genero, fino alla morte avvenuta nel 1374.
Oltre all’Africa, spicca l’amplissimo epistolario: una raccolta di lettere, sul modello di Cicerone e di Seneca, divise tra le Familiari (indirizzate perlopiù agli amici, ma anche a personaggi dell’antichità), le Sine nomine (senza i nomi dei destinatari, omessi per ragioni di prudenza, fortemente polemiche contro la Curia avignonese), le Senili (fra le quali è quella Posteritati, diretta cioè ai posteri e contenente il racconto della sua vita fino al 1371) e infine le Varie (su diversi argomenti d’interesse eminentemente pratico).
Numerosissime le opere erudite e storiche (in particolare, De viris illustribus, iniziata intorno al 1339) volte a indagare l’età classica, o quelle di polemica culturale e politica.
Un particolare rilievo assumono gli scritti morali e di meditazione spirituale: De vita solitaria, De otio religioso (dedicato al fratello Gherardo, monaco all’abbazia di Montrieux), Psalmi poenitentiales; fra i quali una speciale importanza riveste il Secretum, un vero e proprio resoconto – tre libri in forma di dialogo con s. Agostino – delle preoccupazioni che agitavano l’animo di Petrarca, diviso tra l’imperativo religioso e le irresistibili tentazioni del mondo.
A differenza di quanto pensava lo stesso Petrarca, il suo capolavoro rimangono le rime in volgare (cioè in lingua italiana). Del resto, al Canzoniere (o, più esattamente, Rerum vulgarium fragmenta) il poeta dedicò le massime cure, ampliandolo e correggendolo per tutta la vita, dal 1335 alla morte. Esso consta in prevalenza di sonetti e canzoni, che l’autore distribuì in due parti (ponendo all’inizio della seconda la canzone I’ vo pensando e nel pensier m’assale), all’interno di uno studiato ordinamento volto ad assicurare al racconto della sua storia interiore uno svolgimento coerente e organico.
Quel racconto gravita intorno all’amore per Laura, ma tocca anche temi di carattere diverso, politico (Italia mia, Spirto gentil) e religioso (Padre del ciel dopo i perduti giorni, Vergine bella, che di Sol vestita), immediatamente coinvolti, soprattutto questi ultimi, nella passione amorosa in cui il poeta dà fondo a tutta la sua esperienza umana oltreché culturale e letteraria.
Petrarca scava nell’intimo del sentimento ritraendone magistralmente i caratteri e le inquietudini: il bisogno di appartarsi sfuggendo alla moltitudine (Solo e pensoso i più deserti campi, Di pensier in pensier, di monte in monte); la presenza della donna, sullo sfondo di un paesaggio impreziosito dal suo ricordo (Chiare fresche e dolci acque, Per mezz’i boschi inospiti e selvaggi); il senso del rapido concludersi delle cose umane, che circola dappertutto nell’opera (a partire dal sonetto introduttivo, Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono) e che ne è forse il motivo dominante, al centro della riflessione petrarchesca sul destino dell’uomo.
Vanno ricordati, infine, i Trionfi: un ambizioso poema in terzine, che intendeva competere con la Divina commedia. Petrarca ne intraprese la composizione forse intorno al 1340 ultimandolo nel 1374. Vi trattò nell’ordine: il trionfo dell’Amore, della Pudicizia, della Morte, della Fama, del Tempo, dell’Eternità secondo uno sviluppo che intendeva fissare il grado gerarchico, dal più basso al più alto, dei valori cui s’ispirava il comportamento degli uomini.