Gran Bretagna
In contrasto dialettico tra ipotesi di realismo e invenzione fantastica, il cinema britannico ha coltivato, accanto a una produzione con profonde esigenze civili e morali, una propensione per determinati filoni: il melodramma, il racconto gotico, il film storico e le trasposizioni letterarie e teatrali (soprattutto shakespeariane). In perenne lotta con il potere di Hollywood, ha vissuto diverse crisi produttive, dalle quali si è risollevato senza mai recedere dalle costanti di una solida tradizione culturale e di una prestigiosa e ammirevole scuola di attori.Uno dei periodi più fecondi fu quello delle origini. Nel 1895 Robert W. Paul brevettò (insieme a Birt Acres) la prima macchina da proiezione britannica e il 25 marzo 1896 proiettò le riprese di una competizione sportiva in quello che è considerato il primo spettacolo per un pubblico pagante effettuato da un inglese. Nel 1897 fondò la prima casa di produzione della G. B., la Paul's Animatograph Works, e fino al 1910 girò film destinati ai music hall. Nel campo del linguaggio le principali innovazioni furono dovute alla cosiddetta scuola di Brighton, un gruppo di cineasti (i principali dei quali furono George A. Smith e James Williamson) che tra il 1896 e il 1907 effettuarono esperimenti pionieristici sul montaggio, sul piano ravvicinato e sui trucchi cinematografici. Tra i produttori spiccano i nomi di Cecil Hepworth e dello statunitense Charles Urban. Hepworth, ex assistente di Paul, dopo aver girato nei primi anni del secolo alcune brevi storie melodrammatiche che ebbero grande successo, nel 1904 fondò la Hepworth Manufacturing Company, per vent'anni la principale casa di produzione inglese, con la quale si cimentò soprattutto in adattamenti da opere letterarie. Urban si garantì lo sfruttamento commerciale di gran parte dei documentari girati in quegli anni, e ne produsse molti lui stesso, dal 1898 con la Warwick Trading e dal 1903 con la Charles Urban Trading; fu inoltre uno dei pionieri del cinema a colori e di quello scientifico. Negli anni Dieci si attuò un'inversione di tendenza sul piano tematico ed estetico: se il cinema dei pionieri aveva cominciato a svilupparsi a partire dalla scoperta di un linguaggio autonomo delle immagini, ben presto i registi vollero sperimentare la propria autonomia narrativa distinguendo il loro lavoro da tutto ciò che fino a quel momento lo aveva accomunato al divertimento da fiera o alla diffusione dell'attualità. Il risultato di queste riflessioni si concretizzò nel 'film d'arte', dominante fino alla metà del decennio, che non seppe distaccarsi dalla tradizione letteraria, e in cui stile, struttura drammatica e interpretazione degli attori poggiavano interamente su basi teatrali. Tipici rappresentanti di questa tendenza furono i registi della Hepworth, come Thomas Bentley (Oliver Twist, 1912; David Copperfield, 1913) e Hay Plumb (Hamlet, 1913), e della Cooperative, come Francis R. Benson (Macbeth, 1911).
In questa sostanziale omogeneità si distinse il regista e produttore William G. Barker, che nel 1902 fu il primo ad aprire degli studi nel quartiere londinese di Ealing (destinato a diventare in seguito uno dei maggiori centri della produzione britannica), fondando la Barker Motion Photography. Egli tentò di uguagliare le produzioni straniere più ardite, realizzando imponenti e fastose ricostruzioni storiche come Henry VIII (1911), da W. Shakespeare, e Sixty years a queen (1913), biografia della regina Vittoria, film da lui stesso diretti, e Jane shore (1915) di Bert Haldane e F. Martin Thornton, ambientato durante la guerra delle Due rose (1455-1485), fortemente ispirato a The birth of a nation (1915) di David W. Griffith. Le epopee storiche, i cui modelli narrativi offrivano numerose possibilità di sviluppo estetico (non sempre colte dai cineasti dell'epoca), esaltavano gli ideali patriottici: gran parte di quel materiale, composto di gesta e personaggi eroici, servì infatti per la produzione di propaganda bellica nel periodo della Prima guerra mondiale. Un'altra figura di rilievo, che pur rimanendo nell'ambito dell'ispirazione letteraria riuscì a ritagliarsi uno spazio di autonomia creativa, fu quella di George Pearson, che attinse ampiamente alla tradizione popolare (adattando i romanzi polizieschi di A.C. Doyle ed E. Wallace) e diresse il serial in sette episodi Ultus (1915-1917), ispirato al Fantômas (1913-14) del francese Louis Feuillade; realizzò in seguito alcuni film ambientati nello scenario della guerra, il più noto dei quali è The kiddies in the ruins (1918).All'inizio degli anni Venti il mercato inglese si trovò ancor più dominato dai film stranieri; tra questi, quelli statunitensi superavano ormai di gran lunga quelli francesi. Questo predominio fu una delle cause della profonda crisi che colpì il settore, portando tra il 1920 e il 1924 al fallimento della maggior parte delle case di produzione (tra cui la Hepworth). Vi furono comunque anche alcuni segnali positivi. Michael Balcon, uno dei produttori più importanti dei successivi trent'anni, produsse con la sua Victory Motion Pictures Woman to woman (1923; Da donna a donna) di Graham Cutts, che fu l'unico grande successo commerciale inglese degli anni Venti, e con la Gainsborough Pictures i film nei quali emerse il talento di Alfred Hitchcock, The pleasure garden (1925; Il labirinto della passione) e The lodger ‒ A story of the London fog (1926; Il pensionante). Nel 1926 il regista e produttore Herbert Wilcox creò per la sua azienda, la British National Films, degli studi a Elstree (dove in seguito si aprirono studi di altre aziende, tanto che la località venne soprannominata 'la Hollywood britannica'), e diresse film di successo come Nell Gwyn (1926). Il 1925 vide la nascita del primo cineclub, la London Film Society, creato dallo scrittore Ivor Montagu e dall'attore Hugh Miller, e della rivista "Close up", che contribuirono a rafforzare il valore culturale del cinema. Intanto la crisi spinse i rappresentanti di diverse categorie professionali a richiedere appoggio e aiuti economici al governo. L'importanza accordata dal governo alle comunicazioni di massa e il riconoscimento del loro potere di persuasione si concretizzarono nel 1926 nella nascita della BBC (British Broadcasting Corporation) e dell'EMB (Empire Marketing Board), organismo preposto a promuovere e pubblicizzare i prodotti dell'Impero. L'anno successivo fu poi emanato un decreto, il Cinematograph Films Act, meglio conosciuto come Quota Act, che sanciva l'obbligo per le sale di programmare una quota di film inglesi non inferiore al 20%, limitava l'acquisto selvaggio di quelli stranieri e stanziava dei fondi per le aziende. Si registrò un immediato incremento di queste ultime (che raddoppiarono di numero in soli tre anni) e della produzione (che nello stesso periodo si quintuplicò), anche se il livello qualitativo rimase piuttosto basso: furono infatti gli anni dei famigerati quota quickies, film realizzati in fretta e a basso costo per alimentare una programmazione che continuava a basarsi principalmente su opere straniere. Il decennio si chiuse con l'esordio nella regia di Anthony Asquith, che realizzò Shooting stars (1927), insieme ad A.V. Bramble, e Underground (1928), e che in poco tempo divenne uno dei più significativi registi inglesi. Nel 1929 alcuni film vennero presentati in versioni parzialmente sonore, mentre Blackmail di Hitchcock, sempre dello stesso anno, fu il primo interamente sonorizzato.
Negli anni Trenta il cinema britannico visse un'autentica rinascita, evidente nell'ulteriore incremento della produzione e del pubblico e nella varietà delle personalità e dei generi, che raggiunsero livelli qualitativi fino allora impensabili. Si svilupparono anche gli organismi preposti alla cultura cinematografica, con la nascita nel 1932 del trimestrale "Sight and sound", che divenne la principale rivista inglese del settore, nel 1933 del British Film Institute, ente statale destinato a incoraggiare l'arte del film, e nel 1935 della National Film Library (in seguito National Film Archive).
Si sviluppò il documentario, che assolse una funzione sociale ed estetica essenziale per la costituzione di un'identità nazionale del cinema. La personalità più forte fu John Grierson, uno scozzese che, presa coscienza del potere dei media durante un soggiorno negli Stati Uniti, ne teorizzò un uso prevalentemente sociale. Per il settore Film Unit dell'EMB nel 1929 diresse Drifters, che impressionò fortemente per il crudo realismo delle immagini. Energico e polemico animatore di una vera e propria scuola, negli anni successivi fece emergere talenti diversissimi tra loro come quelli di Paul Rotha, Humphrey Jennings, Len Lye. Aprì inoltre le porte a prestigiose collaborazioni con cineasti stranieri come lo statunitense Robert J. Flaherty (Industrial Brit-ain, 1931-32) e il brasiliano Alberto Cavalcanti (Coal face, 1935). Nel 1933 il settore Film Unit passò alle dipendenze del GPO (General Post Office), cui vennero perciò affidate le sorti del cinema documentaristico. Tra i numerosi prodotti di quest'ultimo, testimoni di un grande fervore creativo, vale la pena ricordare almeno Night mail (1936) di Basil Wright e Harry Watt, caso esemplare di fusione tra le esigenze propagandistiche del servizio postale e una ricerca estetica che mirava a legare strettamente ‒ attraverso una scansione ritmica del montaggio ‒ l'immagine, il suono e la parola poetica. L'istanza sociale sottesa, in diversa misura, all'intera produzione documentaria contribuì a far conoscere le condizioni di vita della classe lavoratrice.Tale tendenza realistica ebbe un riflesso anche nella produzione di film di finzione: passò infatti attraverso il prezioso lavoro dei documentaristi la nascita del social problem film, che sarebbe in seguito diventato, accanto al thriller, il filone più tipico e fecondo della cinematografia britannica; ne furono un significativo esempio le prime regie di Carol Reed, Laburnum grove (1936) e The stars look down (1939; E le stelle stanno a guardare), dal romanzo di A.J. Cronin. Nel campo del thriller la personalità di maggior rilievo restò Hitchcock, che diresse nel corso del decennio almeno un film all'anno, tra cui The man who knew too much (1934; L'uomo che sapeva troppo), The 39 steps (1935; Il club dei trentanove) e The lady vanishes (1938; La signora scompare).
I generi che trionfarono negli anni Trenta furono però i musical e i film esotici e in costume, per i quali i produttori inglesi presero a modello i loro antagonisti hollywoodiani; a volte riuscirono a esportare i loro prodotti sui mercati esteri, ma per lo più ottennero solo significativi successi locali, capaci comunque di tenere testa all'invasione statunitense.La Gaumont British, dal 1931 diretta da Balcon, fu molto attiva nella produzione di musical in grado di sostenere il confronto, sul piano dell'immaginazione visiva come su quello del richiamo divistico, con gli omologhi hollywoodiani; alcuni mantennero la struttura ritmica e narrativa dell'operetta, mentre in altri casi si sperimentarono soluzioni psicologicamente più moderne e maggiormente autonome rispetto al modello teatrale. Tra i registi più noti del genere va ricordato Victor Saville, dal gusto raffinato ed elegante (Evergreen, 1934, Paradiso in fiore; It's love again, 1936, Ho inventato una donna). Autentici divi dell'epoca furono George Formby e Gracie Fields, ingaggiati dagli Ealing Studios (fondati nel 1931 da Basil Dean) e interpreti della commedia musicale più popolare, che attingeva al repertorio del music hall: molto amati dal pubblico, i due attori recitarono in numerosi film appositamente scritti per mettere in risalto le loro maschere popolaresche. Il regista e produttore Alexander Korda, di origine ungherese, fondò nel 1932 la London Film Productions, mediante la quale cercò di mettersi in concorrenza con Hollywood, soprattutto nel genere storico. Con il costosissimo The private life of Henry VIII (1933; Le sei mogli di Enrico VIII) ottenne un grande successo internazionale; la formula fu ripetuta nei successivi Rembrandt (1936; L'arte e gli amori di Rembrandt) e That Hamilton woman, noto anche come Lady Hamilton (1941; Lady Hamilton o Il grande ammiraglio). Lo seguì Wilcox con Nell Gwyn (1934; La favorita di Carlo II), remake del suo film omonimo del 1926. Korda partecipò anche a numerose coproduzioni internazionali, tra cui le commedie The ghost goes West (1936; Il fantasma galante) di René Clair e To be or not to be (1942; Vogliamo vivere) di Ernst Lubitsch, e il film di avventure esotiche The thief of Bagdad (1940; Il ladro di Bagdad), che porta tra le altre la firma dell'inglese Michael Powell; quest'ultimo aveva esordito nel lungometraggio con The spy in black (1939; La spia in nero).
Nel campo industriale l'avvenimento più importante però fu l'ascesa di Arthur J. Rank, che a partire dal 1935 acquisì progressivamente una posizione dominante nella produzione, nella distribuzione e nell'esercizio: sei anni dopo la Rank Organisation era l'unica azienda inglese integrata verticalmente, la sola paragonabile per struttura e dimensioni alle majors statunitensi.
Nel 1938 il cinema britannico conobbe una nuova crisi, che mise in difficoltà numerose aziende e nel giro di due anni dimezzò il numero dei film realizzati; durante la Seconda guerra mondiale questi diminuirono ancora, fino ai 44 del 1945. Nel 1939, allo scoppio della guerra, fu creato il Ministry of Information, preposto alla propaganda, con al suo interno una Film Division che l'anno seguente varò un programma per la produzione di film che dovevano enfatizzare la coesione e il coraggio del popolo britannico in lotta contro la Germania nazista, o la solidarietà cameratesca delle truppe. Opere come The next of kin (1942) di Thorold Dickinson e Went the day well? (1942) di Cavalcanti mettevano in guardia dal pericolo delle spie e dei traditori. Anche la produzione documentaristica si diversificò: oltre a brevi film d'informazione destinati alle truppe e ai civili furono realizzati veri e propri documentari, tra i quali London can take it (1940) di Jennings e Watt, che restituisce la cronaca della vita londinese nel periodo dei bombardamenti, e World of plenty (1943) di Rotha, sul problema della fame nel mondo. Questi film furono realizzati in parte attraverso il montaggio di documenti e in parte mettendo in scena persone che recitavano nel ruolo da loro ricoperto nella vita: è il caso di Fires were started (1943), sempre di Jennings, sull'attività svolta dai vigili del fuoco londinesi durante i bombardamenti.
Nei primi anni del dopoguerra si assistette soprattutto al consolidamento di alcuni generi collaudati come la commedia e il melodramma: la concorrenza da battere era sempre quella hollywoodiana, alla quale la cinematografia britannica opponeva storie dal sapore locale che esaltavano i tratti tipici della nazione. Ne sono un esempio commedie come Whisky galore! (1949; Whisky a volontà) di Alexander Mackendrick, Passport to Pimlico (1949; Passaporto per Pimlico) di Henry Cornelius, The Lavender hill mob (1951; L'incredibile avventura di Mr Holland) di Charles Crichton. Tutti film realizzati dalla Ealing che, passata dal 1938 sotto la direzione di Balcon, nel dopoguerra si specializzò in questo genere, imprimendo alla propria produzione un marchio di fabbrica riconoscibile: su uno sfondo realistico si determinava una situazione anomala che veniva spinta fino al parossismo; il tutto permeato da uno humour che spesso si colorava di satira. La Ealing tentò anche altre strade, portando sugli schermi storie che attingevano alla letteratura gotica, la più celebre delle quali è Dead of night (1945; Incubi notturni o Nel cuore della notte), un film a episodi diretto da Cavalcanti, Crichton, Basil Dearden e Robert Hamer.
Altra produzione tipica di quegli anni fu il melodramma che, meno acquiescente nei confronti dei valori tradizionali del Paese, mise in risalto l'anomalia dei rapporti di coppia e della condizione femminile. In aperto contrasto con l'idealismo dei film bellici, questo genere diede voce agli impulsi più passionali, ai desideri repressi, alla vitalità e all'individualismo all'interno di un contesto dichiaratamente romanzesco, e fu un efficace terreno di affermazione in particolare per attori come James Mason e Margaret Lockwood e per sceneggiatori e registi come Sidney Gilliat e Frank S. Launder. Al melodramma di ambientazione contemporanea si accompagnò quello in costume, per lo più adattato dalla sensation novel vittoriana. Tra gli autori che portarono il cinema britannico sulle ribalte internazionali vanno ricordati gli esordienti David Lean e Laurence Olivier, e i già affermati Reed e Powell. Lean, che aveva debuttato nella regia in coppia con lo scrittore Noël Coward nel dramma bellico In which we serve (1942; Eroi del mare ‒ Il cacciatorpediniere Torrin), firmò Brief encounter (1945; Breve incontro), tratto da un atto unico dello stesso Coward: intimista e sentimentale, rappresentò nell'immaginario cinematografico dell'epoca un ritorno, seppure malinconico, alla sfera privata, troppo a lungo sacrificata a favore di eventi collettivi. Anche Blithe spirit (1945; Spirito allegro), una ghost story in veste di commedia tratta ancora da una pièce di Coward, si inseriva in questa tendenza. Alla fine degli anni Quaranta Lean si dedicò invece alle riduzioni cinematografiche dei romanzi dickensiani (Great expectations, 1946, Grandi speranze; Oliver Twist, 1948, Le avventure di Oliver Twist).
Olivier, grande attore sia in teatro sia sullo schermo, si cimentò nella regia con due riduzioni shakespeariane costruite tenendo conto delle peculiarità del mezzo cinematografico: Henry V (1944; Enrico V), di tale efficacia sul piano linguistico da diventare subito un caso per la critica internazionale, e Hamlet (1948; Amleto), che, nel 1949, vinse l'Oscar come miglior film, e in cui Olivier ruppe la fissità dell'impostazione teatrale utilizzando i movimenti della macchina da presa, impiegò la voce off per i monologhi del protagonista e seppe sfruttare creativamente le profondità di campo.
Reed si confrontò con il noir, ritraendo con efficacia il lato oscuro di un'umanità segnata dall'evento bellico, prostrata dalle fatiche di una difficile ricostruzione e spesso vittima dei propri impulsi più rovinosi. In collaborazione con lo scrittore Graham Greene in veste di sceneggiatore, diresse The fallen idol (1948; Idolo infranto), un thriller psicologico che pone un bambino al centro della vicenda, e The third man (1949; Il terzo uomo), intrigo spionistico nel clima del dopoguerra, tratto dal romanzo di Greene, che consacrò il suo successo internazionale. Invece Powell, in virtuoso equilibrio tra contesto realistico ed elaborazione fantastica, realizzò in coppia con Emeric Pressburger film di generi diversi come The life and death of colonel Blimp (1943; Duello a Berlino), A matter of life and death (1946; Scala al Paradiso) e soprattutto The red shoes (1948; Scarpette rosse), che fu il più grande successo della Rank.
A partire dalla fine degli anni Quaranta sopraggiunse una nuova crisi, che ebbe numerose cause: il ristagno delle idee incoraggiò un lavoro di pura routine; la stessa critica, troppo miope e moderata per poter essere di stimolo, contribuì a far regredire il gusto del pubblico; infine i provvedimenti governativi che, nel tentativo di sbarrare la strada alla concorrenza statunitense, dall'agosto 1947 avevano tassato fortemente i film d'importazione, nel marzo 1948 furono incautamente ritirati, danneggiando chi aveva investito su un modello autarchico di produzione. La conseguente crisi economica di una figura come quella di Rank, che l'anno seguente fu costretto ad abbandonare l'attività di produttore, fu davvero scoraggiante. Si fermò di conseguenza la curva ascendente della produzione, la cui quota sul mercato interno ritornò, a causa dell'invasione dei prodotti statunitensi, ai bassissimi livelli dei primi anni Venti.
Mentre sopravviveva un cinema di solido artigianato come quello dei fratelli John e Roy Boulting (con una serie di commedie inaugurate da Private's progress, 1956, Operazione fifa, diretto da John e prodotto da Roy), il modello delle Ealing comedies (per le quali v. anche commedia) funzionò fino al 1955, quando Balcon fu costretto a vendere gli studi alla BBC proprio all'indomani di uno dei maggiori successi del genere, The ladykillers (La signora omicidi) di Mackendrick. Nel frattempo si affermavano produzioni seriali come quella di Launder e Gilliat ambientata nel St. Trinian's College, iniziata con The belles of St. Trinian's (1954) diretto da Launder, o come Doctor, ambientata nel St. Swithin's Hospital, il cui capostipite fu Doctor in the house (1954; Quattro in medicina) di Ralph Thomas. A partire dai luoghi di perpetuazione della tradizione britannica (il college, l'università), tali film volgevano in farsa gli stereotipi più diffusi, e grazie a ciò entrarono in sintonia con il gusto del pubblico, soprattutto di quello giovanile. Una piccola società attiva nel campo della produzione dal 1949, la Hammer Film Productions, conobbe a partire dalla metà degli anni Cinquanta un enorme successo, anche internazionale, grazie alla specializzazione in film a basso costo del genere fantastico che riproponevano, su piccola scala, la science fiction in voga negli Stati Uniti. Val Guest e Roy Ward Baker ne furono i registi più noti grazie al ciclo di Quatermass ‒ a partire da The Quatermass Xperiment (1955; L'astronave atomica del dottor Quatermass) di Guest ‒ legato alle tematiche delle invasioni aliene, delle angosce quotidiane e dell'incubo nascosto, che sublimava il clima di tensione generato dalla guerra fredda. L'altro genere di successo della Hammer fu l'horror, che conobbe una vera e propria rinascita grazie a film che attingevano alla tradizione gotica, riproponendo i personaggi di Frankenstein e Dracula in opere che rielaboravano il genere con sfumature ambigue e perturbanti e il cui prototipo fu The curse of Frankenstein (1957; La maschera di Frankenstein) di Terence Fisher; quest'ultimo, insieme agli attori Christopher Lee e Peter Cushing, legò il proprio nome all'horror per circa un ventennio. Nello stesso periodo Lean raggiunse la maturità espressiva con tre film, improntati a un idealismo romantico non disgiunto da un'amara consapevolezza, che ottennero un grande successo internazionale: The bridge on the river Kwai (1957; Il ponte sul fiume Kwai), Lawrence of Arabia (1962; Lawrence d'Arabia) e Doctor Zhivago (1965; Il dottor Zivago).
Va ricordata inoltre l'importanza crescente assunta dal social problem film che, a partire da tematiche affrontate già nei noir e nei melodrammi (ovvero i problemi razziali, la corruzione, la prostituzione e la violenza giovanile), sviluppò la narrazione in senso naturalistico e descrittivo, con particolare attenzione alla connotazione psicologica. In tal modo, attraverso quest'ottica rinnovata divennero meno nette le linee di demarcazione tra i vari generi, mentre si faceva profondo l'influsso dei cambiamenti economici e culturali che stavano trasformando radicalmente il Paese. Oltre a film ancora basati su una struttura classica come quelli di Dearden, vennero realizzate opere di registi come J. Lee Thompson (Yield to the night, 1956, Gli uomini condannano; Woman in a dressing gown, 1957, L'adultero) in grado di dar voce alle aspirazioni della classe lavoratrice con maggior adesione realistica.Nonostante la sopraggiunta concorrenza della televisione commerciale (1955), che in pochi anni sottrasse al cinema oltre la metà del pubblico, l'industria cinematografica fece fronte alla crisi con produzioni realizzate con capitale statunitense e con una collaborazione sinergica tra società maggiori e compagnie indipendenti. Ma a rilanciarne davvero le sorti fu, a partire dal 1956, il Free Cinema, intorno al quale si riunirono le personalità più innovative di quegli anni, con l'intento di sfidare l'ortodossia espressiva del cinema tradizionale. I suoi esponenti erano giovani autori che provenivano dalla critica più appassionata, emblematicamente rappresentata dalla rivista "Sequence" (1946-1952). Lindsay Anderson, il suo principale animatore, iniziò l'attività di regista realizzando documentari come Wakefield Express (1952), O dreamland (1953) e Every day except Christmas (1957) in cui risultava palese l'attenzione per la vita della gente comune, ritratta con affettuosa partecipazione non disgiunta da un quieto pessimismo. Nel Free Cinema tale sensibilità permeò anche film a soggetto, incentrati sulla rappresentazione della classe operaia. In Look back in anger (1959; I giovani arrabbiati) di Tony Richardson (tratto dalla pièce di J. Osborne, il più noto tra gli scrittori del movimento, Angry Young Men), i protagonisti sfidano individualmente le regole per un bisogno psicologico personale, ma influenzato dalla realtà economica e sociale nella quale si muovono. Anche nei successivi A taste of honey (1961; Sapore di miele) e The loneliness of the long distance runner (1962; Gioventù, amore e rabbia) Richardson tratteggiò con sensibilità due diverse solitudini, quella malinconica di una ragazza incinta e quella orgogliosa di un disa-dattato; e persino nel film di avventure Tom Jones (1963), tratto dal romanzo di H. Fielding, la scalata sociale del protagonista si colora di tratti di irriverenza nei confronti delle convenzioni sociali. L'apporto di Karel Reisz fu caratterizzato da una profonda capacità di analisi della società, accompagnata da un umorismo demistificante. Originale ideatore di nuove forme espressive e abile decostruttore dell'impianto narrativo tradizionale, Reisz debuttò nel lungometraggio con Saturday night and Sunday morning (1960; Sabato sera, domenica mattina), ritratto di un giovane proletario confusamente ribelle verso la società ma destinato a rientrare nei ranghi. Impareggiabile nel cogliere i mutamenti in atto nella società, con Morgan: a suitable case for treatment (1966; Morgan, matto da legare) realizzò un acuto ritratto della Londra degli anni Sessanta. John Schlesinger, dopo l'esperienza televisiva presso la BBC, passò al cinema, con penetranti, aspri e realistici ritratti della provincia inglese come A kind of loving (1962; Una maniera d'amare), Billy liar (1963; Billy il bugiardo) e Darling (1965).
Stilisticamente le maggiori innovazioni del Free Cinema furono opera di Anderson: nel suo primo film a soggetto, This sporting life (1963; Io sono un campione), storia di un ex minatore tanto abile nel gioco del rugby quanto incapace di relazioni umane, fuse il realismo dell'ambientazione con una narrazione che utilizza il linguaggio filmico in maniera assolutamente antinaturalistica. Questa libertà stilistica pervade anche If… (1968; Se…), opera apertamente sarcastica nei confronti dell'istituzione sociale ed educativa del college e della sua retorica, tra le principali testimonianze del cinema britannico sui giovani del Sessantotto.
Proprio nel corso degli anni Sessanta, mentre il cinema in G. B. continuava a perdere pubblico, si registrò una massiccia presenza di registi stranieri: i polacchi Roman Polanski e Jerzy Skolimowski, lo svizzero Alain Tanner, ma soprattutto gli statunitensi Stanley Kubrick, Richard Lester e Joseph Losey, che vi operarono stabilmente. Kubrick lavorò in sostanziale isolamento, riuscendo però a cogliere suggestioni riconducibili all'universo culturale del Paese e utilizzando genialmente il talento comico e trasformista di Peter Sellers, l'attore inglese più significativo di quegli anni, in Dr. Strangelove or: how I learned to stop worrying and love the bomb (1963; Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba). Lester sviluppò uno stile ritmato, in linea con i gusti giovanili e con lo spirito della swinging London, in A hard day's night (1964; Tutti per uno) e Help! (1965; Aiuto!), due lungometraggi con i Beatles, e nel delizioso The knack … and how to get it (1965; Non tutti ce l'hanno), fresco ritratto della gioventù degli anni Sessanta. Losey, vittima del maccartismo e in fuga da Hollywood, inizialmente diresse alcuni polizieschi che arricchì di un incisivo senso del ritmo narrativo; in seguito, grazie alla collaborazione con il drammaturgo Harold Pinter e con l'attore Dirk Bogarde, realizzò opere in grado di cogliere con sottigliezza psicologica le tensioni che animavano la società inglese, come The servant (1963; Il servo) e Accident (1967; L'incidente), tratto dal romanzo di N. Mosley.
Anche la televisione si trasformò in una fucina di futuri talenti cinematografici: registi come Ken Loach e Ken Russell si formarono lavorando per la BBC. Loach, dopo gli esperimenti tra finzione e documentario di Cathy come home (1967), realizzato per la BBC, e Poor cow (1967), diresse Family life (1971), ferocemente critico nei confronti dell'istituzione familiare. Russell, il talento più ricco d'immaginazione emerso nel corso degli anni Sessanta, elaborò una sua cifra estetizzante in cui riversò un'iconografia romantica volutamente eccessiva. Inizialmente diresse per la BBC alcune biografie di 'artisti maledetti', un tema particolarmente congeniale al suo temperamento: anche sul grande schermo infatti, dopo Women in love (1969; Donne in amore), dal romanzo di D.H. Lawrence, si dedicò tra le altre alle biografie dello scultore H. Gaudier in Savage messiah (1972; Messia selvaggio), del musicista F. Liszt in Lisztomania (1975) e di Rodolfo Valentino in Valentino (1977), riscuotendo un notevole successo. Sul piano del cinema più commerciale vanno invece ricordate le avventure dell'agente 007, quel James Bond nato dalla penna di I. Fleming che, a partire da Dr. No (1962; Agente 007 ‒ Licenza di uccidere) di Terence Young, popolò lo schermo di spie e azione, glamour e ironia.Nel panorama degli anni Settanta spiccò il talento dei Monty Python, che passarono dalla televisione al cinema con Monty Python and the holy Grail (1974; Monty Python) di Terry Jones e Terry Gilliam, portandovi la loro comicità irriverente e aggressiva; e si affermarono nuovi registi come Ridley Scott (The duellists, 1977, I duellanti), Michael Apted (Stardust, 1974, Stardust ‒ Polvere di stelle), Nicolas Roeg (The man who fell to Earth, 1976, L'uomo che cadde sulla Terra), Alan Parker (Bugsy Malone, 1976, Piccoli gangsters). Ma una nuova crisi investì il cinema britannico: la produzione, stabile nei vent'anni precedenti, scese fortemente nel corso del decennio, mentre proseguiva anche il calo degli spettatori. Un altro segnale della crisi fu l'esodo dei nuovi talenti: Roeg, Parker e Scott lasciarono ben presto la G. B. per proseguire la loro carriera negli Stati Uniti.Solo negli anni Ottanta la tendenza sembrò in parte invertirsi: dopo l'insperato successo internazionale di Chariots of fire (1981; Momenti di gloria) dell'esordiente Hugh Hudson, sull'avventura olimpica del 1924 di due podisti britannici, si cominciò a parlare di British renaissance. La collaborazione tra televisione e cinema (per es. tra British Film Institute e il canale televisivo privato Channel Four), l'approdo al cinema di professionisti provenienti oltre che dal piccolo schermo anche dalla letteratura e dal teatro, la riscoperta della grande tradizione interpretativa inglese, concorsero a delineare questa nuova stagione, sostanziata da un atteggiamento degli autori fondamentalmente critico nei confronti dell'establishment thatcheriano e capace di cogliere le contraddizioni della cultura inglese, soprattutto ne-gli ambienti della provincia e delle periferie urbane. A questo risveglio del cinema britannico contribuirono in maniera rilevante David Puttnam, produttore della maggior parte dei più importanti film di quegli anni, e Jeremy Thomas, soprattutto per la realizzazione delle grandi coproduzioni internazionali. In quegli anni ottennero grande successo il kolossal Gandhi (1982) di Richard Attenborough e due trasposizioni da romanzi di E.M. Forster, A passage to India (1984; Passaggio in India) di Lean (il suo ultimo film) e A room with a view (1985; Camera con vista) di James Ivory, un regista statunitense da tempo operante in G. B. e raffinato orchestratore di climi letterari. Ma la renaissance ebbe breve vita, e questi successi, nonostante il ritorno degli spettatori nelle sale, non riuscirono a impedire un ulteriore calo della produzione.
Tra i nuovi autori affermatisi negli anni Ottanta vanno ricordati Terence Davies, Peter Greenaway e Derek Jarman. Davies ha dimostrato sin dalle sue prime opere (una trilogia di cortometraggi, Children, Madonna and child, Death and transfiguration, raccolti sotto il titolo The Terence Davies trilogy, 1976-1983), e poi nelle successive, Distant voices still lives (1988; Voci lontane… sempre presenti) e The long day closes (1992; Il lungo giorno finisce), la sua abilità nel suscitare emozioni profonde e nel ricostruire l'atmosfera di una società scomparsa, quella dell'Inghilterra degli anni Cinquanta, attingendo ai dolorosi ricordi della propria storia familiare. Greenaway ha sviluppato la propria eccentrica visione, caratteriz-zata da un'iconografia debordante, in film come The draughtsman's contract (1982; I misteri del giardino di Compton House) e The belly of an architect (1987; Il ventre dell'architetto). Pittore come Greenaway, Jarman è stato politicamente il regista più consapevole e ha accompagnato a un assoluto rigore un'originale ricerca artistica; il suo impegno per la causa omosessuale è diventato inscindibile dal suo cinema, tecnicamente complesso e ricco di riferimenti storici e letterari. Né Greenaway né Jarman si sono sottratti al confronto diretto con le opere shakespeariane, che hanno portato sugli schermi filtrate attraverso la propria soggettività, rispettivamente con Prospero's book (1991; L'ultima tempesta) e con Edward II (1991; Edoardo II). L'interesse per Shakespeare ha caratterizzato anche la produzione di Kenneth Branagh, attore e regista che, dopo aver esordito con Henry V (1989; Enrico V), si è dedicato a numerose analoghe trasposizioni, curandone la messa in scena in funzione antiaccademica. Dal teatro viene anche Mike Leigh che, dopo una lunga carriera di regista alla BBC, si è fatto conoscere dal grande pubblico grazie a High hopes (1988; Belle speranze) e Naked (1993), due amari ed efficaci ritratti dell'Inghilterra contemporanea, e a Secrets & lies (1996; Segreti e bugie), che ha confermato il suo talento nella costruzione dei dialoghi e nella direzione degli attori. Nel corso degli anni Ottanta si è consolidata la fama di Stephen Frears, narratore di solido mestiere che, attento alle mode e abile revisore di stereotipi, è riuscito ad affrontare in My beautiful laundrette (1985) temi scottanti come quelli dell'intolleranza, del razzismo e dell'omosessualità, pur mantenendo un tono di commedia. Dopo un periodo difficile per la sua carriera, Loach è tornato al cinema all'inizio degli anni Novanta, riprendendo il filo del proprio impegno sociale e politico nei film realizzati, e caratterizzati dai toni ora tragicomici come in Riff-raff (1991; Riff-raff ‒ Meglio perderli che trovarli), ora epici come in Land and freedom (1995; Terra e libertà).
Dalla metà degli anni Novanta si sono affermati alcuni registi interessanti come Antonia Bird (Priest, 1994, Il prete), Michael Winterbottom (Jude, 1996) e Iain Softley (The wings of the dove, 1997, Le ali dell'amore), mentre si è tornati a realizzare commedie che hanno riscosso, come in passato, successo internazionale, a partire da un film come Four weddings and a funeral (1994; Quattro matrimoni e un funerale) di Mike Newell. Si è inoltre andato delineando in Scozia un cinema che rivendica la propria particolare identità, con registi come Danny Boyle (Trainspotting, 1996) e Peter Mullan (The Magdalene sisters, 2002, Magdalene), e attori come Ewan McGregor, Robert Carlyle e lo stesso Mullan. È infine emersa una generazione di autori di origine indiana o pakistana che ha contribuito a ridefinire anche nel cinema le caratteristiche di una nuova identità britannica: è il caso di Hanif Kureishi (London kills me, 1991, Londra mi fa morire), Udayan Prasad (My son the fanatic, 1997, Mio figlio il fanatico) o Gurinder Chadha (Bend it like Beckham, 2002, Sognando Beckham). La rinnovata vitalità del cinema britannico è testimoniata anche dall'ulteriore aumento del pubblico (140 milioni di spettatori nel 2000). Inoltre, nell'aprile del 2000 tutti gli enti pubblici preposti a vario titolo all'attività cinematografica sono stati riuniti nel Film Council, con lo scopo di incrementare qualità e quantità della produzione nazionale.
R. Durgnat, A mirror for England: British movies from austerity to affluence, London 1970.
Ch. Barr, All our yesterdays. 90 years of British cinema, London 1986.
E. Martini, Storia del cinema inglese, Venezia 1991.
Ph. Pilard, Histoire du cinéma britannique, Paris 1996.
Si vedano inoltre i capitoli sul cinema britannico della Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 3° vol., L'Europa. Le cinematografie nazionali, t. 1 e 2, Torino 2000, ad indicem.