intelletto
Insieme delle facoltà mentali che ci permettono di pensare e di giudicare
Se nel linguaggio comune intelletto e ragione sono termini sinonimi, nella storia del pensiero filosofico sono stati in genere distinti. Alcuni hanno ritenuto l'intelletto superiore alla ragione, perché in grado di cogliere la verità in modo intuitivo o perché capace di produrre, insieme alla sensibilità, l'unico sapere valido. Altri, invece, hanno visto in esso una facoltà astratta, incapace di cogliere la vita nel suo movimento
Per Platone l'intelletto (nòus) è la facoltà che consente di raggiungere il grado più alto della conoscenza: mentre la ragione (diànoia) coglie la verità in modo discorsivo ‒ ossia tramite una serie di dimostrazioni, come avviene nella matematica ‒ l'intelletto coglie la verità in modo intuitivo e immediato. La conoscenza intellettuale consiste nella capacità di contemplare direttamente il mondo delle idee, che per Platone rappresenta la realtà vera, rispetto alla quale il mondo delle cose sensibili è soltanto una copia imperfetta.
Aristotele non condivide la teoria platonica delle idee, ma concorda nel ritenere l'intelletto la più importante facoltà conoscitiva. Esso coglie infatti in modo intuitivo, senza bisogno di dimostrazioni, i principi primi del sapere, come il principio di non-contraddizione (in virtù del quale è impossibile che una stessa cosa, nello stesso momento, sia e non sia). Se non ci fossero questi principi primi ‒ la cui verità non può essere dimostrata, ma soltanto intuita ‒ ogni verità dovrebbe essere derivata da una verità anteriore e ciò produrrebbe un processo all'infinito che renderebbe impossibile ogni sapere certo.
La concezione dell'intelletto come suprema facoltà conoscitiva ‒ in virtù della sua natura intuitiva ‒ fu ripresa, nel Medioevo, dal grande filosofo e dottore della Chiesa san Tommaso (13° secolo) e, in epoca moderna, dal pensatore olandese Baruch Spinoza (17° secolo).
Ma Spinoza, tra i filosofi moderni, è stato un'eccezione, perché la maggior parte di essi non considera più l'intelletto come una facoltà intuitiva. Per Locke esso rappresenta la facoltà della conoscenza in generale, che si distingue non dalla ragione, ma dalla volontà; tanto è vero che la sua opera principale, volta a stabilire entro quali limiti la conoscenza umana sia valida, si intitola Saggio sull'intelletto umano (1690). Kant, che si pone lo stesso problema di Locke, giunge a una riflessione assai articolata sul rapporto tra le facoltà conoscitive, che a suo parere sono la sensibilità, l'intelletto e la ragione.
La sensibilità è essenzialmente passività: essa consiste nella capacità di ricevere i dati provenienti dal mondo esterno tramite i sensi, dando luogo a intuizioni sensibili (il colore giallo, per esempio). L'intelletto è invece attività: esso consiste nella capacità di produrre concetti o categorie, come quella di causa, che permettono di unificare i dati dell'esperienza. L'intelletto pensa, ma non può intuire nulla; la sensibilità intuisce, ma non può pensare. Tuttavia, è proprio dal loro incontro che scaturisce, secondo Kant, l'unica conoscenza valida di cui dispone l'uomo: la sensibilità fornisce quel materiale senza il quale l'intelletto rimarrebbe vuoto (come un computer dotato di programmi, ma privo di qualsiasi dato); l'intelletto fornisce quelle forme universali senza le quali i dati rimarrebbero un ammasso caotico. E la ragione? La ragione, per Kant, è anch'essa una facoltà del pensiero logico, come l'intelletto, ma pretende di fare a meno dell'esperienza, perché tende all'assoluto. Nel far ciò, però, cade in una serie di contraddizioni, producendo un sapere falso e illusorio. L'esperienza costituisce infatti ‒ secondo Kant ‒ il limite e, al tempo stesso, il sostegno di ogni sapere valido.
I filosofi dell'idealismo tedesco ‒ e, in particolare, Hegel ‒ riprendono la distinzione kantiana tra intelletto e ragione, ma ne rovesciano il significato: l'intelletto rappresenta per loro una facoltà astratta, che irrigidisce le opposizioni presenti nella realtà e nel pensiero, trasformandole in dualismi inconciliabili; la ragione, invece, è in grado di cogliere la profonda connessione dialettica che esiste tra gli opposti, i quali ‒ entrando continuamente in contraddizione tra loro e dando luogo a continue sintesi ‒ provocano quell'incessante movimento nel quale consiste la vivente realtà.