ITALIA.
– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Politica economica e finanziaria. Storia. Architettura. Bibliografia. Letteratura. Bibliografia. Cinema
Demografia e geografia economica di Fabio Amato. – All’ultimo censimento (2011), la popolazione residente era di 59.433.744 ab., raggiungendo nel 2014 la cifra di 60.782.668 ab. (dato ISTAT) e ribadendo un rallentamento nella crescita ormai più che ventennale. Le aree costiere e pianeggianti si confermano quelle a più elevata concentrazione e, in generale, l’I. risulta ancora uno dei Paesi europei a più alta densità (201 ab/km2). Alla fine del 2013 la gerarchia della distribuzione regionale della popolazione non è variata, con la Lombardia al primo posto (9.973.397 ab.); unica eccezione di rilievo è il sorpasso del Lazio (5.870.451 ab.) sulla Campania (5.869.965 ab.) per il secondo posto, a seguito soprattutto di un’accelerazione delle immigrazioni interne e internazionali, a partire dal 2000, nella regione laziale. Il profilo che emerge è quello di un Paese sempre più invecchiato (età media di 44,4 anni e speranza di vita di 82,5 anni, stimate nel 2014) e sostenuto nel suo ricambio generazionale soprattutto dalla presenza degli stranieri. In particolare, l’indice di vecchiaia, ossia il rapporto tra la popolazione anziana (da 65 anni in su) e quella più giovane (fino a 14 anni), ha raggiunto al 1° gennaio 2014 il valore di 154,1 (il 20,8% della popolazione ha più di 65 anni), impattando sull’indice di dipendenza strutturale, che vede sempre più maggioritaria la popolazione non attiva (54,6% al 1° gennaio 2014, a fronte del 48,4% del 2001). La popolazione al di sotto dei 14 anni, sempre al 1° gennaio 2014, è risultata in leggera crescita (8,4 milioni), rappresentando il 14% del totale. Come da alcuni decenni, anche negli ultimi anni è all’andamento del movimento naturale che si può imputare la crisi demografica italiana. La natalità è, infatti, inferiore alla mortalità ininterrottamente dal 1993 e nel 2014 la forbice è cresciuta ancor di più: a fronte di un tasso di natalità dell’8,4‰ (il più basso mai registrato, con la Liguria a 6,9‰), quello di mortalità era del 9,8‰. Il saldo negativo ha interessato quasi tutte le regioni anche nel 2013, con l’eccezione del Trentino-Alto Adige (unica regione che tocca il 10‰ nella natalità, con un saldo di +1231) e della Campania (9,15‰ e un saldo di +551). Su questo aspetto, il divario tra il Mezzogiorno e il resto d’I. sembra colmato con un leggero miglioramento della natalità delle regioni centro-settentrionali (1,45 figli per donna nel 2012), che hanno finito per superare quelle meridionali, in calo continuo (1,34). In generale, la leggera ripresa della fecondità cui si è assistito a partire dagli anni Novanta (ma sempre lontano dal valore di sostituzione di 2,1) – dovuta al significativo contributo della fecondità delle donne immigrate (nel 2012 era di 2,37 figli per donna) – ha subito un assestamento (1,39 figli per donna nel 2013), dopo che nel 2010 si era raggiunto il valore di 1,46 (valore più alto dal 1984). La fotografia dell’ultimo censimento restituisce tipologie familiari sempre più individualistiche, con il crescere del numero delle famiglie senza nucleo (8,3 milioni) e l’incremento del numero di coppie senza figli (quasi 5 milioni).
La crescita della popolazione straniera è stata particolarmente significativa nello scorcio del nuovo millennio, raddoppiando nel computo censuario tra il 2001 e il 2011 (4.027.627), per raggiungere, secondo l’ISTAT, 4,37 milioni nel 2013. Secondo le stime del Centro studi e ricerche IDOS, gli stranieri regolarmente presenti sarebbero 4,9 milioni (e circa 600.000 irregolari, secondo la Fondazione ISMU, Iniziative e Studi sulla MUltietnicità), rappresentando così l’8,1% della popolazione totale. Nell’ultimo decennio la distribuzione di queste presenze ha accentuato il peso specifico delle regioni settentrionali (30% del totale) e di quelle centrali (25%), con in testa la Lombardia (1.129.185 presenze), seguita da Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna, tutte regioni con oltre mezzo milione di stranieri. Sono ormai 27 le province in cui la pressione migratoria supera il 10%. Si tratta di un fenomeno prevalentemente urbano, con una grande presenza nelle città dove si concentra la domanda inevasa di attività dequalificate rifiutate dalla forza-lavoro italiana (edilizia, servizi alla persona, piccolo commercio), ma anche nei piccoli comuni l’incidenza dei migranti è significativa, una presenza che, in alcuni casi, vivifica realtà dell’entroterra destinate alla desertificazione demografica. Il policentrismo delle provenienze caratterizza ancora la presenza straniera in I., ma l’Europa orientale come area d’origine rappresenta la maggioranza, e i primi cinque Paesi di provenienza (Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina) aggregano il 52% delle presenze.
Il profilo socioculturale italiano sta pertanto rapidamente cambiando, come dimostra il milione di minori presenti (di cui 802.785 iscritti alla scuola nell’anno scolastico 2013-14) e l’incidenza dei lavoratori stranieri per l’11% sulla ricchezza del Paese. La ripresa della mobilità interna dal Mezzogiorno verso le altre regioni è un fenomeno che da diversi anni viene segnalato dalla SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno): nel periodo 1995-2012 sono partiti 2,3 milioni di persone. Pur in presenza di condizioni recessive nelle regioni centro-settentrionali, le migrazioni interne non sono diminuite negli ultimi anni, raggiungendo 202.250 trasferimenti nel 2012. Si tratta di un fenomeno dalle caratteristiche selettive: un numero contenuto rispetto alle migrazioni degli anni 1950-70, ma riguarda giovani con un più elevato livello di istruzione e con una significativa componente femminile.
Il progressivo e per certi versi caotico sviluppo urbano di questi ultimi decenni conferma la distribuzione irregolare degli abitanti, segnalando la crescita della popolazione urbana (68,5% nel 2012), a fronte di una parcellizzazione amministrativa ancora marcata (secondo l’ultimo censimento, il 70,5% dei comuni italiani ha una popolazione inferiore a 5000 ab.). Le principali città registrano un declino progressivo dei residenti, con la significativa eccezione di Torino, che continua a guadagnare popolazione. Nondimeno, l’accentuazione del processo di urbanizzazione travalica i confini dei comuni centrali e si dirige verso aree transcomunali sempre più vaste. In tal senso, nell’ottica della riforma delle autonomie locali, nel 2015 sono state istituite dieci città metropolitane (Milano, Roma, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Genova, Bari, Venezia, Reggio Calabria), identificandone i confini con il perimetro delle relative province. Questa riforma ripropone il tema delle interdipendenze nelle aree metropolitane (introdotte nominalmente nel 1990). Con la scelta del governo centrale di creare le ‘città metropolitane’, se si eliminano i complessi processi di negoziazione politica locale, sono stati, però, creati dei perimetri che non corrispondono – se non in rari casi – alle densità relazionali e spaziali funzionali che caratterizzano oggi il territorio italiano.
Condizioni economiche. – La crisi finanziaria, iniziata negli Stati Uniti nel 2007 ed esplosa l’anno successivo configurandosi come una recessione globale, ha colpito tutti i Paesi occidentali, ivi inclusa l’I., la cui economia già in precedenza viveva una condizione di relativa fragilità a causa della bassa crescita e delle difficoltà di aggiustamento alle trasformazioni mondiali. Il Paese, attraverso timide oscillazioni, dal 2008 al 2014 non è, di fatto, uscito da una condizione di recessione, e tra le principali economie europee risulta quella che stenta di più a riavviarsi su un sentiero di crescita. Gli effetti sono leggibili nei conti pubblici, con il debito pubblico che ha superato il 132% del PIL nel 2013, e, soprattutto, questa condizione di affanno complessivo ha orientato le scelte di governo (soprattutto durante il biennio 2011-12 a guida Monti) all’insegna del rigore, al fine di rassicurare gli organismi finanziari internazionali attraverso piani di riduzione della spesa pubblica, un incremento dell’imposizione sulle case e agendo sulla riforma del sistema previdenziale e della legislazione del lavoro.
Dall’inizio della crisi, il PIL italiano ha fatto registrare un andamento altalenante e, dopo un calo drastico nei primi anni, si è avuta una minima crescita nel primo e secondo trimestre del 2011, per poi ridiscendere per un intero semestre, proseguendo in negativo anche per l’intero 2012 e per il 2013, documentando uno stato di recessione anche peggiore rispetto agli altri Stati nell’area euro dell’Europa meridionale. Nel 2014 la crescita dei Paesi dell’eurozona, pur contenuta, ha dato segnali positivi anche nei Paesi fino a poco prima sull’orlo del default (Spagna e Grecia), mentre in I. prosegue ancora una condizione di stasi dell’economia.
Il declino del PIL pro capite in termini assoluti è una misura ancor più evidente dell’affanno dell’economia italiana: nel 2014 si registravano 35.284 $ a testa, 4246 $ in meno rispetto al 2008. Si tratta, nonostante la crisi permanente, di un reddito medio per abitante che conferma un ruolo di primo piano per l’I., che resta tra le otto potenze economiche mondiali (G8) ed è membro del G20. Conserva un alto livello di sviluppo umano, benché in decremento (26° posto mondiale con lo 0,872, nel 2013, al di sotto della media dei Paesi OCSE).
Questi dati aggregati a scala nazionale, tuttavia, celano le rilevanti differenze nella distribuzione sociale e regionale della ricchezza. Il PIL del Mezzogiorno, secondo una stima della SVIMEZ, è calato nel periodo 2007-13 del 13,3% (−7% nel resto d’I.) e dovrebbe risultare ancora in diminuzione negli anni a venire, a fronte di una ripresa delle regioni centro-settentrionali. Nel corso dell’ultimo decennio, le diverse categorie sociali hanno fatto registrare dinamiche reddituali molto differenti: se, da una parte, operai e impiegati hanno visto ridursi i redditi in maniera significativa, con conseguenti cali dei consumi, i dirigenti e gli imprenditori sono stati colpiti molto meno dall’austerity. Secondo il Censis, i 10 uomini più ricchi del Paese hanno un patrimonio pari a quello di quasi 500.000 famiglie operaie messe insieme. Nel 2013, secondo i dati del-l’ISTAT, il 12,6% delle famiglie (3.230.000) era in condizione di povertà relativa e il 7,9% (2.028.000) lo era in termini assoluti. Tali condizioni si acuiscono nelle regioni meridionali. Stesse diseguaglianze si leggono nei valori della disoccupazione, un tasso che dal 6,1% del 2006 è raddoppiato, raggiungendo il 12,7 nel 2014, con le regioni Calabria, Sicilia e Campania con valori superiori al 20%.
La terziarizzazione dell’economia si è consolidata nei primi anni del nuovo millennio, rappresentando il 73% del valore aggiunto e occupando il 68% degli attivi. In particolare, il turismo (l’I. è il quinto Paese più visitato al mondo, con il maggior numero di siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO), il commercio e i servizi sono l’ossatura del sistema nazionale. La crisi ha colpito tutti i settori produttivi, a cominciare dall’agricoltura, con un rallentamento che tocca anche le aziende agricole multifunzionali (il boom che ha caratterizzato l’agriturismo è lontano). Le specializzazioni delle coltivazioni, viceversa, continuano ad assicurare nicchie di mercato: l’I. resta in testa in Europa per eccellenza di produzioni agroalimentari come numero di DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta), oltre ad avere il primato per numero di aziende biologiche (49.700 nel 2012). I settori principali della struttura produttiva sono stati tutti colpiti duramente dalla crisi: cantieristica, siderurgia primaria, elettrodomestici, chimico-farmaceutico, metallurgico, tessile, abbigliamento, moda e automobilistico, quest’ultimo con la FIAT che è ancora un’azienda quasi monopolistica. Anche la FIAT, icona industriale del Paese, ha subito delle trasformazioni: completando nel 2014 la fusione con l’americana Chrysler, è diventata FCA (Fiat Chrysler Automobiles), una società di diritto olandese che ha Londra come sede fiscale. Questa azienda si è progressivamente disimpegnata dalla produzione industriale in I.: alla fine del 2011 è stato chiuso lo stabilimento di Termini Imerese e, in generale, si è passati da circa 44.000 addetti nel settore auto del 2003 a meno di 23.000 all’inizio del 2015. Anche la capillare struttura di piccole e medie imprese, che caratterizza il settore industriale italiano, è stata colpita dalla crisi, cui spesso si è reagito attraverso delocalizzazioni produttive. In complesso, nel periodo 2009-13, secondo il centro studi della CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa), le imprese chiuse sono state oltre 1,7 milioni, con una quota significativa di imprese artigiane. Nel contempo, la resistenza alla crisi di alcuni dei gioielli del made in Italy (soprattutto i marchi dell’agroalimentare e dell’alta moda) ha significato la perdita di titolarità nazionale: dal 2008 al 2012 sono state acquisite da imprese straniere ben 437 aziende italiane. Le opportunità di una ripresa a partire dal 2015 non paiono legate soltanto alla reattività dell’economia reale, quanto anche alle possibili azioni di riforma del sistema complessivo del Paese, colpito negli ultimi anni da episodi di corruzione e di espansione dell’azione criminale anche nelle aree centrali, come dimostrato dalle inchieste della magistratura dal 2012 al 2014 (MOSE, MOdulo Sperimentale Elettromeccanico, di Venezia, Expo di Milano, corruzione a Roma).
Politica economica e finanziaria di Giulia Nunziante. – Nel corso del 2005, il Consiglio dell’Unione Europea ha accertato nei confronti dell’I. il configurarsi di una situazione di disavanzo eccessivo, chiedendo alle autorità nazionali l’adozione di un’adeguata politica di consolidamento fiscale. Il governo Prodi, insediatosi nel 2006, ha quindi avviato una manovra di bilancio con tagli alla spesa, riguardanti, tra l’altro, i consumi delle amministrazioni centrali, i trasferimenti alle imprese, le erogazioni agli enti locali e la spesa sanitaria, e interventi sul lato delle entrate quali l’ampliamento della base imponibile e l’inasprimento del contrasto all’evasione e all’elusione fiscale. In merito alla spesa sanitaria, sono stati adottati interventi normativi volti a disincentivare la formazione di squilibri nei bilanci sanitari regionali. Sul mercato finanziario, il governo è intervenuto con una legge di tutela del risparmio che ha riformato il sistema di vigilanza all’insegna di una chiara distinzione delle competenze in materia di concorrenza (attribuita all’Autorità garante), stabilità finanziaria (affidata alla Banca d’Italia) e trasparenza dei mercati finanziari (delegata alla Consob, Commissione nazionale per le società e la borsa). In questi anni è stata inoltre promossa l’apertura del mercato interno alla concorrenza in diversi settori economici: in particolare sono stati rimossi alcuni vincoli regolamentari all’accesso e alla condotta degli operatori, è stata garantita maggiore protezione ai consumatori e consolidato il potere dell’Antitrust. Nel corso del 2007, a fronte di alcune norme di inasprimento fiscale tra cui l’innalzamento dei contributi sociali a carico dei lavoratori autonomi e dei lavoratori atipici, l’incremento della progressività del prelievo sul reddito delle persone fisiche per promuovere l’equità sociale, il rafforzamento del sistema fiscale locale e l’aumento dell’aliquota sui redditi finanziari, le autorità competenti sono intervenute sul mercato del lavoro introducendo sgravi fiscali per la riduzione del cuneo fiscale. In seguito all’affacciarsi della crisi finanziaria e generale internazionale, il governo Berlusconi, insediatosi nel 2008, ha adottato una politica economica volta a contrastarne gli effetti sul sistema produttivo e sull’occupazione.
In particolare sono state introdotte detrazioni fiscali, erogati incentivi sugli acquisti e abrogata l’imposta comunale sulla maggior parte delle abitazioni principali. La politica industriale ha promosso la competitività delle imprese italiane con agevolazioni fiscali volte a ridurre i costi di produzione e a incentivare gli investimenti e la crescita delle aziende. A sostegno delle banche e delle altre istituzioni finanziarie esposte alla volatilità dei mercati, il governo è intervenuto con provvedimenti finalizzati a rafforzare la loro ricapitalizzazione e nel 2010 ha emanato norme sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari a tutela della clientela e per la promozione della concorrenza. Sul mercato del lavoro, le autorità hanno esteso l’accesso agli ammortizzatori sociali alle persone solitamente escluse. Il deterioramento dei conti pubblici che è conseguito alla flessione dell’attività economica e alle politiche espansive adottate, ha concorso nel 2009 all’apertura, nei confronti dell’I., della procedura per eccessivo disavanzo.
All’inizio del decennio è stata avviata la riforma del federalismo fiscale caratterizzata dal passaggio da una finanza derivata alimentata dai trasferimenti permanenti e generali dello Stato centrale, a una finanza autonoma con forme di entrate proprie delle amministrazioni locali. Tale intervento, articolato in una legge delega e in successivi decreti attuativi di disciplina dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, intendeva promuovere il coinvolgimento degli enti nel processo di consolidamento dei conti pubblici, avvicinare le amministrazioni fiscali ai contribuenti e ai beneficiari dei servizi locali, e contestualmente razionalizzare il complesso ordinamento fiscale. Nello stesso periodo sono stati realizzati ulteriori interventi di politica economica di contenimento delle uscite dello Stato: il congelamento dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici per il triennio 2010-12, la riduzione di quelli più elevati, l’adozione di misure di contrasto alle inefficienze del settore pubblico. Anche il sistema previdenziale è stato oggetto in questo periodo di provvedimenti miranti, in particolare, a un progressivo incremento dell’età pensionabile in linea con l’allungamento dell’aspettativa di vita. Il governo Monti, insediatosi alla fine del 2011, ha adottato diverse misure di politica economica volte a far fronte al peggioramento delle prospettive di crescita e alle gravi tensioni sui mercati del debito sovrano. Sul lato delle entrate, la nuova amministrazione ha incrementato con il decreto Salva Italia la tassazione sulla proprietà immobiliare con l’estensione della base imponibile alla prima casa, aumentato le aliquote di altre forme impositive, tra le quali, a partire dal 2011, l’aliquota ordinaria dell’IVA, e introdotto alcuni sgravi in favore delle attività produttive con l’obiettivo di rafforzare la struttura patrimoniale delle imprese. Dal lato delle spese, i principali risparmi hanno riguardato la flessione dei trasferimenti agli enti locali e la complessa riforma del sistema previdenziale, con il graduale passaggio da un sistema retributivo a un sistema contributivo. Il governo ha inoltre dato impulso al processo di revisione della spesa con la nomina di un commissario straordinario cui è stato affidato il compito di razionalizzare gli acquisti dei beni e dei servizi da parte delle amministrazioni pubbliche. Altre importanti misure per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, la rimozione delle barriere all’ingresso per le piccole imprese, l’internazionalizzazione delle aziende, l’occupazione giovanile, la dotazione di infrastrutture sono contenute nel decreto Cresci Italia del 2012. Nello stesso periodo, il governo ha altresì provveduto allo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione al fine di concorrere a una progressiva distensione delle condizioni di liquidità delle imprese, ha favorito il ricorso delle imprese al capitale azionario per incentivare lo sviluppo di fonti di finanziamento alternative a quelle bancarie tradizionali, ha migliorato il contesto istituzionale per l’attività d’impresa anche mediante la semplificazione normativa e amministrativa, ha promosso l’efficienza del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita economica. Nel 2013 è stata chiusa la procedura per deficit eccessivo contro l’I., mentre altre misure strutturali sono state avviate al fine di ridurre gli oneri amministrativi, incrementare l’efficienza della giustizia civile, rilanciare lo sviluppo delle infrastrutture anche mediante interventi in partenariato pubblico-privato.
Nel 2014, con l’insediamento del governo Renzi, è stato dato nuovo impulso alla politica economica per fare fronte al peggioramento delle prospettive macroeconomiche e stimolare l’economia mediante manovre fiscali, in parte temporanee, e misure strutturali. Tra i principali interventi si annoverano la semplificazione della normativa relativa ai contratti a termine e di apprendistato, lo stanziamento del le risorse per accelerare il pagamento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche, il sostegno al reddito disponibile delle fasce più deboli dei lavoratori dipenden ti con l’erogazione di un bonus, la riduzione del cuneo fiscale perseguita con sgravi fiscali, la legge delega di rifor ma del mercato del lavoro con il cosiddetto Jobs act che introduce il contratto di lavoro a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio e modifica le condizioni di reintegro dei lavoratori licenziati. Per quanto riguarda l’ordinamento fiscale, nel 2014 è stata inoltre ridotta la tassazione sulle imprese e varata la legge delega di riforma per la semplificazione delle norme tributarie e la garanzia di una maggiore stabilità e certezza del diritto.
Storia di Vittorio Vidotto. – La lunga transizione legata al crollo del sistema dei partiti della prima Repubblica sembrava aver trovato una soluzione stabile nel bipolarismo tra il centrodestra e il centrosinistra che si erano alternati al governo tra il 1994 e il 2011. L’erosione di credibilità del governo Berlusconi, in carica dal 2008, unita alla persistente crisi economica, rese indispensabile la nascita, promossa nel novembre 2011 dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di un esecutivo, presieduto da Mario Monti e sostenuto dalle maggiori forze politiche, interrompendo così l’alternanza bipolare. Inoltre il risultato delle elezioni politiche del 2013 presentò uno scenario diverso da quello che aveva caratterizzato il decennio precedente, in seguito al successo del Movimento 5 Stelle (M5S), la formazione fondata dall’ex comico Beppe Grillo, che, con il 25,6%, raccolse il maggior numero di voti presentandosi come l’unica alternativa alla partitocrazia espressa tanto dal centrodestra quanto dal centrosinistra.
L’esito inaspettato, per le sue dimensioni, del M5S segnalava alcuni fenomeni di grande rilievo: da un lato lo sgretolamento della tradizionale forma di partito con ampio insediamento territoriale, già avviato con la nascita del partito personale incentrato sulla figura di Silvio Berlusconi e confermato dalla difficile aggregazione unitaria delle formazioni di centrosinistra (anch’esse alla faticosa ricerca di una leadership durevole), dall’altro il diffuso fenomeno dell’antipolitica che si esprimeva anche nella progressiva riduzione della partecipazione elettorale. A ciò si aggiungevano la novità e la particolare struttura del M5S, fondato su una militanza diversa e interamente mediatica dei suoi adepti, che decidevano con consultazioni in rete sia le scelte politiche sia le candidature, ma sempre sotto il vigile controllo del fondatore e leader. Erano tutti segnali di una politica in difficoltà a conservare una presa durevole sulla società e incapace di fornire risposte convincenti nell’immediato e soluzioni a lungo termine non solo alla crisi economica mondiale che toccava anche l’I., ma anche alle cause della recessione produttiva italiana, alla crescente disoccupazione, soprattutto giovanile, al gigantismo del debito pubblico e a un declino etico-politico misurabile nella diffusa e crescente corruzione e nei malsani intrecci tra amministrazione e malaffare.
Sia il governo presieduto da Romano Prodi, in carica dal 2006, sia quello Berlusconi succedutogli nel 2008, espressione entrambi di una coalizione, avevano dovuto fare i conti con gravi divisioni interne. Il ministero Prodi – risultato di una composita alleanza (l’Unione) che comprendeva oltre alla Margherita e ai Democratici di sinistra (DS) coalizzati nell’Ulivo, la sinistra radicale (Partito della rifondazione comunista, PRC; Partito dei comunisti italiani, PdCI), l’Italia dei valori (IdV) di Antonio Di Pietro, l’Unione democratici per l’Europa (UDEUR) di Clemente Mastella, i Radicali e i Socialisti (La rosa nel pugno), la Federazione dei Verdi (FdV) – attraversò una prima crisi nel febbraio del 2007 quando due senatori del PRC e del PdCI non votarono le decisioni di politica militare del governo. Ma le dimissioni di Prodi furono respinte dal presidente Napolitano e il governo riottenne la fiducia.
Alla debolezza del governo contribuiva di fatto anche la nascita, nell’autunno del 2007, del Partito democratico (PD) – risultato della fusione dei DS, della Margherita e di altre formazioni minori – che mirava a riunificare in un solo partito le componenti del fronte progressista, ex comunisti ed ex democristiani di sinistra. Il suo promotore e leader Walter Veltroni, allora sindaco di Roma, aveva deciso di superare il sistema delle alleanze dell’Unione rifiutando in particolare la difficile convivenza tra le forze radicali e quelle riformiste del centrosinistra, proprio il connubio su cui si reggeva a fatica il ministero Prodi. A questa decisione rispondeva in tempi strettissimi Berlusconi che, nel novembre del 2007, annunciò la nascita del Popolo della libertà (PdL, costituito formalmente in partito nel marzo 2009) in cui convergevano Forza Italia e Alleanza nazionale.
All’inizio del 2008 una nuova crisi, determinata dalle dimissioni del ministro della Giustizia Clemente Mastella, indagato per concorso esterno in associazione per delinquere e concorso in concussione, portò all’uscita dalla maggioranza dell’UDEUR obbligando Prodi alle dimissioni e rendendo inevitabile il ritorno alle urne. La tornata elettorale dell’aprile 2008 vide un vistoso successo del centro-destra: la coalizione guidata da Berlusconi formata dal PdL, dalla Lega Nord e dal Movimento per l’autonomia, ottenne un’ampia maggioranza con 344 seggi alla Camera e 174 al Senato. L’alleanza di centrosinistra, guidata da Veltroni e formata dal PD e dall’IdV, raccolse, invece, solo 246 e 134 seggi. Oltre a questi partiti, solo l’UdC superò la soglia di sbarramento mentre nessun partito dell’estrema sinistra entrava in Parlamento: la lista La Sinistra l’Arcobaleno, che univa PRC, PdCI, FdV e Sinistra democratica – formazione in larga parte costituita da esponenti della corrente di sinistra dei DS che non avevano aderito al PD – ottenne solo il 3,2% dei consensi. La sconfitta del centrosinistra fu confermata dalla vittoria di Gianni Alemanno del PdL (ma proveniente da Alleanza nazionale) nelle elezioni comunali di Roma, dopo quindici anni di sindaci di sinistra.
Alla guida del nuovo governo, Berlusconi si impegnò a rilanciare l’economia puntando a una riduzione del carico fiscale. Ma questi impegni rimasero al livello di intenzioni (solo l’imposta comunale sull’abitazione principale fu abolita, in omaggio alle promesse elettorali, salvo essere reintrodotta in seguito sotto altro nome) date le persistenti difficoltà della finanza pubblica aggravate dalla crisi economica che stava colpendo tutti i Paesi avanzati e che in I. avrebbe determinato una vera recessione. La crisi non investì, come altrove, il settore bancario, ma incise duramente sulla produzione e sulle esportazioni manifatturiere nonché sui consumi interni. La riduzione delle entrate, effetto della flessione delle attività economiche, obbligò il governo a drastici tagli, in particolare nella sanità e nell’istruzione, soprattutto universitaria, senza riuscire a rallentare l’incremento del debito pubblico. Uno dei primi e più significativi atti del governo era stata l’approvazione (agosto) del cosiddetto Lodo Alfano (dal nome del ministro della Giustizia, Angelino Alfano), un provvedimento che sottraeva le più alte cariche dello Stato (presidente della Repubblica, presidenti delle Camere, presidente del Consiglio) al giudizio dei tribunali per tutto il periodo del loro mandato. La norma, volta in realtà a tutelare il solo Berlusconi dalle numerose pendenze giudiziarie che lo vedevano imputato da anni, sarebbe stata giudicata incostituzionale nell’ottobre 2009. Le vicende giudiziarie del presidente del Consiglio, accompagnate da un costante conflitto con la magistratura, e le sue disinvolte e ostentate frequentazioni di giovani donne (oggetto di una dura presa di distanza della moglie) ebbero, in quegli anni, una larga eco critica in parte rilevante dell’opinione pubblica, ma non sembrarono indebolire il centrodestra che ottenne brillanti risultati tanto nelle elezioni europee del 2009, quanto nelle regionali del 2010, quando sottrasse Lazio, Piemonte, Campania e Calabria al centrosinistra. Un picco di popolarità aveva raggiunto Berlusconi dopo il terremoto che distrusse L’Aquila il 6 aprile 2009, provocando 300 morti e rendendo inagibile quasi la metà delle abitazioni della zona più colpita. La decisione di tenere all’Aquila la riunione del G8, previsto originariamente nell’isola della Maddalena (dove erano state quasi ultimate tutte le strutture), rispondeva all’esigenza tutta propagandistica di mostrare la straordinaria efficienza italiana nel risolvere i problemi posti da una così grave calamità.
L’opposizione era invece in difficoltà: successivamente alle dimissioni di Veltroni presentate in seguito alla sconfitta del partito nelle regionali in Sardegna (febbr. 2009), il Partito democratico era alla ricerca di una leadership forte e autorevole in grado di indicare una prospettiva unitaria alle diverse culture politiche (comunista, cattolica di sinistra, socialista, liberaldemocratica) confluite nel PD dove tendevano a rimanere divise aggregandosi in base alle antiche appartenenze o intorno a leader di debole rappresentatività. Il nuovo segretario Pier Luigi Bersani, indicato attraverso elezioni primarie, non sembrava in grado di conferire nuovo dinamismo al suo partito, mentre il centrodestra riusciva, in una prima fase, a superare la crisi derivata dalla rottura tra Berlusconi e Gianfranco Fini (leader di Alleanza nazionale e presidente della Camera). Le critiche di quest’ultimo alle reiterate prese di posizione berlusconiane contro la magistratura e alla gestione monocratica del partito, determinarono un duro confronto personale senza possibilità di conciliazione. Fini e i ‘finiani’ (35 deputati e 10 senatori del PdL), di fatto estromessi dal PdL (luglio 2010), fondarono prima un gruppo parlamentare separato e poi un nuovo partito (febbr. 2011), denominato Futuro e libertà per l’Italia (FLI), che scelse di decidere caso per caso se accordare i propri voti al governo.
Nei mesi seguenti, l’esecutivo tentò di tamponare l’acuir si della crisi economica con ulteriori tagli alla spesa pubblica: questa politica di riduzione delle spese, fortemente voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, determinò una serie di scioperi e manifestazioni di sindacati, movimenti sociali e studenti e contrasti nella stessa maggioranza, soprattutto con la Lega.
Dopo un voto di fiducia nel dicembre 2010 in cui il governo ottenne la maggioranza per soli tre voti (determinanti si rivelarono i voti di FLI e quelli di alcuni parlamentari passati rapidamente nella maggioranza, per opportunismo o tornaconto personale), il 2011 si apriva con una situazione di profonda incertezza, aggravata da un nuovo scandalo che coinvolse Berlusconi, accusato questa volta di aver avuto rapporti con una prostituta minorenne e di aver abusato dei suoi poteri per sottrarre la ragazza a un fermo di polizia.
La vicenda dominò per mesi le pagine dei giornali indebolendo fortemente l’immagine pubblica del premier (che tuttavia il successivo processo mandò assolto nel marzo 2015). Nel frattempo le elezioni amministrative del 2011 evidenziarono una crisi di consensi per il PdL, che perse la tradizionale roccaforte di Milano, mentre il centrosinistra manteneva il comune di Torino e a Napoli si affermava una coalizione costituita da IdV, Federazione della sinistra e liste civiche guidata da Luigi de Magistris. Un ulteriore segno di cambiamento venne dai referendum abrogativi del 2011 – che per la prima volta dal 1995 raggiunsero il quorum – con la scelta degli italiani di mantenere in mano pubblica il servizio dell’acqua e di reiterare l’opposizione all’energia nucleare.
La crisi dell’esecutivo fu accentuata ulteriormente, nei mesi successivi, dalla grave situazione finanziaria del Paese: una condizione che sollecitò una serie di pressioni internazionali – e una vera e propria ingiunzione dell’Unione Europea – affinché l’I., a rischio default, adottasse drastiche misure di rigore. Messo alle strette dalle pressioni europee e dagli stessi partiti della sua maggioranza in via di sfaldamento, Berlusconi annunciò che si sarebbe dimesso dopo l’approvazione della legge di stabilità. Nel frattempo il presidente della Repubblica Napolitano – considerato dall’opinione pubblica interna e internazionale come l’unico garante della credibilità nazionale – prese l’iniziativa, insolita e per alcuni aspetti irrituale, di sollecitare la formazione di un governo tecnico di emergenza con il sostegno di tutti i maggiori partiti. Monti, professore di economia, presidente dell’Università Bocconi di Milano, già commissario europeo al Mercato e alla concorrenza, nominato senatore a vita appena qualche giorno prima, fu incaricato di formare il nuovo governo immediatamente dopo le dimissioni di Berlusconi (nov. 2011), con il compito di risanare la situazione finanziaria e di guidare il Paese fino alle elezioni del 2013. Appoggiato da una larga maggioranza trasversale (PD, PdL, UdC, FLI, Radicali e l’Alleanza per l’Italia-ApI, il movimento fondato nell’ottobre 2009 da Francesco Rutelli in contrasto all’elezione di Bersani come segretario del PD), il governo Monti mirò all’obiettivo prioritario di ridare fiducia ai mercati varando una serie di misure per il rientro del deficit (manovra Salva Italia, dicembre 2011): esse prevedevano la reintroduzione dell’imposta sui beni immobili (Imposta municipale unica, IMU), una riforma delle pensioni che prolungava l’età lavorativa e una del mercato del lavoro, che consentiva una maggiore flessibilità, soprattutto in uscita. Le misure di austerità del governo, nonostante il successo nella riduzione del divario (spread) fra Italia e Germania dei tassi di rendimento sui titoli di Stato che consentiva di ridurre il peso degli interessi sul bilancio pubblico, non parvero sufficienti ad arginare la crescente disoccupazione, soprattutto giovanile, e a fornire strumenti per la ripresa dell’economia che rimaneva stagnante. Cresceva intanto la sfiducia nella politica, alimentata da numerosi scandali relativi in particolare all’uso improprio dei finanziamenti garantiti dallo Stato ai partiti per i rimborsi delle spese elettorali (scandali che coinvolsero soprattutto la Lega, il cui leader Umberto Bossi fu costretto alle dimissioni), e a questa sfiducia si legava il progressivo rafforzarsi del M5S che, nelle elezioni amministrative del 2012, si affermò in molte città; un suo esponente fu eletto sindaco di Parma.
Nei mesi seguenti, mentre Berlusconi, nonostante la condanna in primo grado a 4 anni di reclusione per frode fiscale (ott. 2012), dichiarava di volersi presentare nuovamente alle successive elezioni politiche, il PdL, in disaccordo con il governo sulle riforme giudiziarie, ritirò la sua fiducia e Monti fu costretto a dimettersi (dic. 2012) annunciando poco dopo la nascita di un suo movimento, Scelta civica, con l’obiettivo di sottrarre al PdL l’elettorato centrista e moderato.
Il 24-25 febbraio 2013 si tennero le nuove elezioni politiche: il PD, che candidava Bersani, raccolse alla Camera il 25,4% dei voti e, con i suoi alleati di SEL, Sinistra Ecologia e Libertà (3,2%) – il partito fondato nel dicembre 2009 dalla corrente del PRC che si riuniva intorno a Nichi Vendola, da Sinistra democratica e da alcuni esponenti dei Verdi – e altre formazioni minori, ottenne, in virtù delle legge elettorale che premiava la coalizione vincente, la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (340, a cui si aggiungevano 5 deputati eletti all’estero). In Senato, dato il diverso meccanismo di voto, non emerse alcuna maggioranza e, quindi, non fu possibile al centrosinistra formare un governo da solo. Mentre i risultati del centrodestra – PdL 21,6%, Lega Nord 4,1%, Fratelli d’Italia (il partito costituito da ex esponenti di AN usciti dal PdL) 1,9% – e quelli della coalizione che sosteneva la candidatura di Monti (il suo partito Scelta civica prese l’8,3%, l’UdC l’1,8% e FLI di Fini lo 0,5%) furono deludenti, vistosi furono i consensi ricevuti dal M5S (25,6%), il partito più votato. Il pessimo risultato elettorale indusse Fini alle dimissioni dalla carica di segretario di FLI che, nei mesi seguenti, smise, di fatto, di esistere.
Il rifiuto del M5S rese vano il tentativo di Bersani di formare il nuovo governo, mentre anche nelle prime votazioni per l’elezione del presidente della Repubblica i candidati del PD (Marini e Prodi) non trovarono la maggioranza necessaria per le divisioni interne al partito che li aveva designati. Solo alla sesta votazione i principali partiti si accordarono sul nome di Napolitano che, per la prima volta nella storia della Repubblica, ottenne un secondo mandato. Rieletto a larghissima maggioranza, chiarì subito di voler restare in carica solo per il tempo necessario a varare le più urgenti riforme, anche istituzionali. In seguito a questi sviluppi, Bersani si dimise da segretario del PD e Napolitano incaricò Enrico Letta (esponente dell’ala moderata del PD) di formare un nuovo governo di coalizione, con ministri del PD, del PdL, di Scelta civica e altri minori.
Nell’agosto 2013 si concluse il processo Mediaset, con la condanna definitiva di Berlusconi in Cassazione per frode fiscale determinando l’ineleggibilità, l’incandidabilità e, infine, la decadenza di Berlusconi come senatore (ott. 2013), mentre la Corte d’appello di Milano lo condannò a due anni di interdizione dai pubblici uffici. Berlusconi decise allora di uscire dalla maggioranza di governo, di sciogliere il PdL e di ricostituire nuovamente Forza Italia (nov. 2013): la parte moderata del PdL non aderì a FI e fondò il Nuovo centrodestra (NCD), rimanendo nella maggioranza di governo mentre FI passava all’opposizione. Nei mesi successivi continuarono i tentativi del governo Letta di far uscire il Paese dalla crisi, approvando nuovi tagli delle spese e introducendo una serie di privatizzazioni (genn. 2014) miranti ad appianare il debito pubblico.
Nel gennaio 2014 il sindaco di Firenze Matteo Renzi, neosegretario del PD (era stato eletto con l’abituale sistema delle primarie nel dicembre 2013) – noto come il rottamatore a causa della sua opposizione alla vecchia politica del suo partito –, superando con disinvoltura le tradizionali contrapposizioni, strinse con Berlusconi il cosiddetto Patto del Nazareno (dal nome della sede del PD): l’accordo prevedeva una serie di riforme costituzionali, la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie senza elezione diretta dei senatori (riservando alla sola Camera dei deputati il potere di legiferare) e la riforma della legge elettorale. Comunicatore brillante, diretto ed efficace, estraneo alle posizioni della sinistra tradizionale, Renzi fu molto critico nei confronti dell’esecutivo Letta, sollecitato a un maggior dinamismo sui temi delle riforme, a cominciare da quella elettorale. Nel febbraio 2014, si accentuò il dissenso interno al PD sul tema delle riforme: Renzi propose allora un documento, approvato a larghissima maggioranza nella direzione del partito, in cui chiedeva un nuovo governo che adottasse una più incisiva politica di riforme, sfiduciando di fatto il governo Letta che infatti dopo poco si dimise.
Renzi ottenne da Napolitano l’incarico di formare un nuovo governo, che giurò il 22 febbraio 2014. Esso era sostenuto, oltre che dal PD, dal NCD (Alfano fu confermato ministro dell’Interno), dall’UdC e da Scelta civica. Immediatamente presentò un pacchetto di misure che prevedevano tagli alla tassazione (con conseguente aumento di 80 euro in busta paga per tutti i lavoratori dipendenti e assimilabili ai dipendenti che percepivano meno di 1500 euro al mese), una riforma del mercato del lavoro, l’abolizione delle province, oltre a una serie di parziali privatizzazioni. Il dinamismo di Renzi e i primi interventi del suo governo suscitarono molte speranze, confermate dalle elezioni europee del maggio 2014, in cui il PD ottenne il 40,8% dei voti, risultato mai raggiunto da un partito della sinistra. Nell’agosto 2014 il Senato avviò la riforma costituzionale che riduceva le dimensioni e i poteri di questa Camera, superando di fatto il bicameralismo perfetto: la proposta di legge fu trasmessa quindi alla Camera dei deputati che l’approvò nel marzo successivo, prima di tornare al Senato per la seconda lettura prevista per le riforme costituzionali.
Nel dicembre 2014 fu approvata in via definitiva la riforma del lavoro (Jobs act) che rendeva più mobile il sistema delle assunzioni e dei licenziamenti. La proposta di legge era stata criticata all’interno del PD, oltre che dai sindacati. Per il 2015 si preannunciavano altre due importanti sfide politiche: l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica (a fronte dell’annunciata decisione di Napolitano di dimettersi all’inizio dell’anno) e l’approvazione della riforma elettorale (Italicum), che prevedeva la reintroduzione del sistema proporzionale su base nazionale con soglie di sbarramento e un ballottaggio tra i due partiti più vota ti. Renzi riuscì abilmente a imporre il suo candidato, Sergio Mattarella, giudice costituzionale e politico di origine democristiana che fu proposto e subito eletto al quarto scrutinio il 31 gennaio 2015.
Molti nodi rimanevano tuttavia aperti. Se la riforma elettorale (limitata alla sola Camera dei deputati) venne definitivamente approvata nel maggio 2015 pur con l’opposizione di una parte dello stesso PD e di Forza Italia che aveva posto fine al Patto del Nazareno dopo la non gradita elezione di Mattarella, l’iter della riforma del Senato procedeva lentamente. In un quadro che vedeva l’affacciarsi di timidi segni di ripresa economica, forti tensioni si venivano manifestando tra le forze politiche di fronte al problema degli immigrati clandestini che continuavano a sbarcare sulle coste italiane e sui criteri di gestione di un problema di accoglienza che non era solo italiano. Un’ulteriore impennata avevano intanto avuto le rivelazioni di numerosi episodi di corruzione e di malaffare diffusi in tutta Italia e in particolare, per la loro capillarità, nell’amministrazione della capitale. Ne derivava un’ancora più marcata disaffezione per la politica che si misurò nel diffuso astensionismo in occasione delle amministrative parziali della primavera 2015. Una tornata elettorale che metteva in luce le impreviste difficoltà del PD – attraversato da molte divisioni interne – che perdeva alcuni suoi tradizionali capisaldi, come Venezia, Arezzo e la regione Liguria. Si apriva poi una sfida tra il nuovo dinamismo connotato da ricorrenti enunciazioni razziste della Lega, ora guidata da Matteo Salvini, e Forza Italia per la conquista dell’egemonia sul centrodestra. Non meno incerto era il quadro internazionale con l’ipotesi dell’uscita della Grecia dall’euro, una minaccia alla tenuta dell’Unione Europea e agli altri Paesi ad alto debito pubblico come l’Italia.
Architettura di Livio Sacchi. – Nonostante la grave crisi dovuta al numero esorbitante di architetti (v. architettura) e alle difficoltà esperite dall’industria delle costruzioni, molti sono gli esempi di qualità, per lo più ascrivibili a una condivisa linea progettuale che ha trovato nella sobria ed essenziale rivisitazione della modernità il proprio principale carattere invariante. Protagonista della scena nazionale è Renzo Piano, progettista di fama internazionale e autore di un’eccezionale serie di edifici. Unico italiano a risultare fra i cento personaggi più influenti al mondo secondo la rivista «Time», dopo la nomina a senatore della Repubblica, Piano ha assunto un importante ruolo di riferimento: in tale contesto si colloca la battaglia culturale a favore della riqualificazione delle periferie. Molto esposto a livello mediatico appare anche Massimiliano Fuksas con la moglie Doriana, cui si deve una produzione sperimentale, diversificata e altrettanto internazionale: il Centro congressi nel quartiere romano dell’EUR, un progetto del 1998 che, dopo molte polemiche e ritardi, si appresta a essere inaugurato. Fra gli studi più qualificati si segnala poi quello di Antonio Citterio che, con Patricia Viel, è stato molto attivo sia in ambito architettonico sia in quello legato al design, apparendo l’erede della migliore tradizione progettuale milanese: si pensi, per es., alla trasparente sede del gruppo Ermenegildo Zegna (2007) a Milano (con Beretta Associati). Mario Cucinella, noto per la costante attenzione alla questione del risparmio energetico (da cui il progetto per la Casa 100k € del 2008), si è segnalato, infine, con il complesso alberghiero e il Centro congressi (2007) a Capoliveri nell’Isola d’Elba.
La scena romana è ricca di qualificati esempi realizzati o in corso di realizzazione. Si segnalano: il completamento (1995-2013) della Biblioteca Hertziana, magistralmente eseguito da Juan Navarro Baldeweg per il Max Planck Institute all’interno di uno storico edificio di via Gregoriana; il complesso residenziale di Giustiniano imperatore (200410) di ABDR; la torre Eurosky (2010-13) di Franco Purini e Laura Thermes all’EUR. Ancora in corso di realizzazione sono la sede BNL-BNP Paribas (progetto del 2012) del gruppo 5+1AA, nei pressi della stazione Tiburtina, e l’articolato complesso polifunzionale Città del sole dello studio Labics (progetto del 2007).
Una situazione fortemente in divenire si è registrata in Lombardia. Fra gli esempi di maggiore interesse vi sono il relais San Lorenzo (2009-13) di Adolfo Natalini a Bergamo; la nuova sede Matteograssi (2008-10) a Giussano (Monza) di Piero Lissoni con Paolo Volpato; la casa unifamiliare (2007-11) a Casatenovo (Lecco) dello studio Liverani/ Molteni; il Centro natatorio (2005-13) di Camillo Botticini a Mompiano (Brescia). A Milano, in particolare, si segnalano: l’Arsena le (2012-13), una serie di spazi polifunzionali e laboratori artigiani derivanti dal recupero di volumi preesistenti, progettato da Sonia Calzoni; l’edifico per uffici La Serenissima (2008-12), frutto di un concorso bandito dalla Morgan Stanley e vinto da Park Associati; la torre residenziale Bosco verticale (2009-14) di Boeri Studio (con Hines Italia sgr), che nel 2014 ha ricevuto l’International highrise award; la sede di Dolce & Gabbana (2006-12) in via Broggi, interamente vetrata, dello studio Piuarch. Nell’area della ex fiera, all’interno del masterplan per City life – il concorso vinto nel 2004 insieme ad Arata Isozaki – Daniel Libeskind e Zaha Hadid nel 2014 hanno realizzato due vistosi complessi residenziali, dai volumi più spigolosi il primo, più fluidi il secondo, entrambi inseriti in una sequenza di interessanti spazi pubblici. Ancora si ricordano la torre Unicredit (2009-13; la maggiore, con i suoi 231 m, è attualmente la più alta d’Italia) a Porta Nuova Garibaldi dello studio statunitense Pelli Clarke Pelli; le torri Solaria e Aria (2010-14) a Porta Nuova-Varesina di Arquitectonica.
Il tema dello housing sociale ha trovato nel capoluogo lombardo alcune interessanti applicazioni con le case al Nuovo Portello (2002-08) di Cino Zucchi, il quartiere Sanpolino (2002-08) di Mauro Galantino (con Marco Frusca) a Brescia e il comparto Campari (2010) di Mario Botta a Sesto San Giovanni. Non senza polemiche è stata infine portata avanti l’attività edilizia legata all’Expo 2015 a Milano (v. EXPO); fra i molti padiglioni si segnala quello italiano progettato dallo studio romano Nemesi.
Fra le non molte realizzazioni nell’Italia meridionale spiccano alcune fortunate eccezioni siciliane, fra cui si ricordano: le poetiche ville di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo – la casa FCN 2009 (2011) a Noto ha ricevuto nel 2012 il RIBA award for architectural excellence – e il padiglione di accesso all’Artemision di Ortigia (2005-12) di Vincenzo Latina a Siracusa.
Numerosi i progettisti italiani chiamati a realizzare all’estero. È il caso, fra gli altri, di Gregotti Associati international con il Grand Théatre de Provence (2007) ad Aix-en-Provence, in Francia; di Renato Rizzi con il Teatro elisabettiano di Danzica, in Polonia (2005-14); dello studio Barozzi/Veiga con la sede della Filarmonica (2007-14) di Szczecin in Polonia, sul sito della Konzerthaus distrutta durante la Seconda guerra mondiale.
Simmetricamente, sono molte le opere di stranieri nel nostro Paese: oltre alle numerose già citate, si ricordano gli spettacolari Tre ponti (2002-07) di Santiago Calatrava a Reggio nell’Emila; l’essenziale asilo-nido della Benetton (2007) di Alberto Campo Baeza a Ponzano Veneto; la sede dell’Università Luigi Bocconi (2008) a Milano di Grafton Architects; il piccolo, ma significativo, Auditorium di Ravello (2000-10) ideato da Oscar Niemeyer – grande maestro della modernità brasiliana scomparso nel 2012 – ed edificato, non senza difficoltà, in un contesto paesaggistico di grande rilevanza; il teatrino di Palazzo Grassi (2014) a Venezia realizzato da Tadao Ando per François Pinault.
Bibliografia: CNAPPC (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori), Festa dell’architetto13, Premio architetto italiano 2013, Premio giovane talento dell’architettura italiana 2013, Roma 2014; Innesti - Grafting, a cura di C. Zucchi, 3 voll., Venezia 2014.
Letteratura di Giulio Ferroni. – Nel decennio 2005-15 è andato come assestandosi l’orizzonte letterario già profilatosi nel passaggio del nuovo millennio: sempre più netta la neutralizzazione dello stile, la dissoluzione delle gerarchie di valore, la sottoscrizione di modelli imposti dal mercato, da target a cui si riconduce una produzione che privilegia le storie, il loro rilievo comunicativo e ‘creativo’. Si disegnano nozioni del mondo e dell’esistenza corrispondenti all’immagine di realtà definita dai media, entro una sorta di senso comune che, quanto più è comune e banale, tanto più tende ad atteggiarsi, a esibire la propria singolarità. La letteratura che più si vede e si vende resta perlopiù subalterna ai modi di comunicazione e agli orizzonti di senso veicolati dai media: e spesso si appoggia a un’esposizione della figura dell’autore e della sua stessa persona, tra festival e apparizioni mediatiche, o semplicemente al suo atteggiarsi su un personale sito Internet. Le storie vengono a porsi come oggetti di consumo, confezioni in cui si coniugano le modalità correnti dell’esistere; si configura la praticabilità dello scambio comunicativo, tra sentimenti doverosi, referti sociologici, provocazioni e trasgressioni a vuoto. L’informatica e la rete moltiplicano le scritture, la loro velocità e intercambiabilità; rendono più rapida la scrittura e più indifferente la cura stilistica, piegano il linguaggio verso una standardizzazione che spesso viene ulteriormente definita dal lavoro di editing. Si affacciano stili (o piuttosto modi di scrittura) casuali e provvisori. La critica è ormai del tutto espropriata dai suoi compiti tradizionali: per lo più sostituita da promozione editoriale e giornalistica, trova sempre meno spazio nei media e, anche quando resiste, è guardata con ostilità e indifferenza.
Mentre nei blog e nei social network circolano esercizi critici autoreferenziali, in libero corso di umori, risentimenti, gelosie, rancori, il solo valore riconosciuto dai media è in realtà quello del mercato, invaso da libri di politici, di giornalisti, di gente di spettacolo. Quando per il Salone di Torino del centocinquantenario del 2011 si è elaborata la lista dei 150 libri che hanno fatto l’Italia, l’anno 2008 è stato segnato con due best seller di desolante mediocrità, ricchi di buoni sentimenti e di corrive metafore.
In questa situazione, nonostante tante pretese di rappresentare il presente dell’I. e del mondo, di toccare da vicino la realtà, gran parte delle immagini che ne dà la letteratura più corrente restano evanescenti, incapaci di scavare in profondità, di far scaturire quella realtà dalla forza del linguaggio: i romanzi esibiscono ciò che già si sa, ciò che è già veicolato dal gran calderone dei media e della rete. Mancanza di coraggio, adattamento ai mots de la tribu, a quelle che si ritengono le attese del pubblico e del mercato, fragilità delle eventuali intenzioni critiche, sottoscrizione dello spazio marginale che sulla scena pubblica tocca oggi alla letteratura, perdita del suo legame con quella del passato: e al contempo effetto della saturazione del linguaggio e dell’esperienza, di quella costipazione della comunicazione che costituisce uno dei dati più inquietanti dello spazio culturale contemporaneo e che richiederebbe dal mondo intellettuale una radicale ecologia del linguaggio e delle immagini (di cui del resto economia, tecnologia, sistema dei media sembrano rintuzzare ogni possibilità). Mentre arretra il rilievo sociale della letteratura, si accresce sempre più la quantità di ciò che viene scritto, su tutti i più vari supporti: ed è sempre più difficile riconoscere le voci più autentiche, sepolte e nascoste sotto l’accumulo quantitativo e la velocità della produzione. Non si vedono o non si riescono a vedere esperienze capaci di scavare nelle pericolose derive in cui il mondo sembra precipitare, di estrarne parole essenziali, emblemi di destino.
Ancora in parte resiste la tradizione del Novecento, mentre sono scomparsi alcuni dei maggiori protagonisti del secolo e della sua parte finale, da Mario Luzi (2005) a Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto (2011), a Luigi Malerba (2008), a Vincenzo Consolo (2012) e Antonio Tabucchi (2012). Nel 2009 sono apparsi due libri che da punti di vista diversi sembrano registrare l’allontanarsi della grande cultura del Novecento, dei suoi sogni di speranza e di bellezza: l’ultima, intensa e lacerata raccolta poetica di Zanzotto (Conglomerati) e l’ultimo libro di racconti del più giovane Tabucchi (Il tempo invecchia in fretta). Altri autori delle precedenti generazioni, ancora in intensa attività, hanno avuto una vera e propria consacrazione, con l’ingresso nella collana dei Meridiani: Alberto Arbasino (2009-10), Claudio Magris (2012), Raffaele La Capria (dopo un primo Meridiano del 2003, una nuova edizione raddoppiata del 2014 ha dato spazio agli sviluppi del suo fervido e misurato sguardo razionale sul mondo, vivo ancora nei suoi numerosi libri dell’ultimo decennio). Da non trascurare poi il prolungarsi dell’impegno di altri scrittori nati prima del 1950, dai caratteri ancora fortemente ‘novecenteschi’: un impegno segnato da diversi modi di confronto con le contraddizioni del presente, entro la vita di personaggi che ne recano il segno nelle loro esistenze, da Gianni Celati, con i racconti Costumi degli italiani (2008) e Selve d’amore (2013), a Franco Cordelli, con il romanzo La marea umana (2010), a Sebastiano Vassalli (che ha oscillato tra negazione del romanzo, in La morte di Marx, 2006, e romanzi che continuano il suo vario quadro critico della vita italiana, passata, Le due chiese, 2010, e presente, Comprare il sole, 2012), a Ermanno Cavazzoni (con la sua stralunata, assoluta, esaltazione comica, da Storia naturale dei giganti, 2007, a Il pensatore solitario, 2015), ad Aldo Busi, con El especialista de Barcelona (2012), scatenato contro l’ottusità di un mondo che frana senza nessuna coscienza di sé stesso.
Nell’ambito della poesia è venuto come ad assestarsi il quadro delle presenze affermatesi già nei decenni precedenti, anche con nuove raccolte e sillogi complete (da Milo De Angelis a Valerio Magrelli, Eugenio De Signoribus, Jolanda Insana, Antonella Anedda, Patrizia Cavalli ecc.): ma troppo indeterminato, incerto e confuso è l’insieme delle nuove voci, perché se ne possa dare un’immagine credibile (e del resto la poesia sconta da una parte lo scarso interesse dei grandi editori e dall’altra l’espansione casuale di pubblicazioni senza mercato).
Tra le presenze di maggior interesse nell’ambito della narrativa, si è imposta in questi anni quella di Walter Siti che, presente sulla scena fin dagli anni Novanta, ha assunto un nuovo rilievo con Troppi paradisi (2006), dove la singolarità dell’eros omosessuale si espande nel vortice di un mondo dominato da desideri voraci, dal consumo dei corpi e dei rapporti, tra i «paradisi» virtuali ed evanescenti proiettati dall’ambiente televisivo; poi nei romanzi Il contagio (2008) e Resistere non serve a niente (2012) Siti registra il degradarsi e lo sfaldarsi dei rapporti sociali, in un ridursi dell’I. e del mondo a periferia, in un insinuarsi del crimine e dell’ossessione del possesso in ogni ambito dell’esperienza, con la negazione di ogni alternativa morale o politica. I libri di Siti fanno leva per lo più su di un io fittizio che ha lo stesso nome dell’autore e che traspone i dati autobiografici nelle forme di quella che si suole chiamare autofiction: un io che rappresenta la reificazione di ogni io possibile, come sottolinea proprio l’incipit di Troppi paradisi: «Mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità. Le mie reazioni sono standard, la mia diversità è di massa».
Nello stesso 2006 di Troppi paradisi si è imposto con grande risonanza pubblica Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, di Roberto Saviano, che ha fatto invece affidamento su di un io che scommette su di sé in una ricerca di verità e di giustizia, in diretta e coraggiosa verifica personale; in una forma di reportage per così dire personalizzato, in cui l’autore rischia tutto intero sé stesso. Per Gomorra si è parlato così di ‘ritorno alla realtà’ e all’impegno civile: e ne è scaturita un’immagine dello scrivere come un mettersi in gioco, subito recepita dalla cultura dei media, trasformata in una sorta di icona pubblica, a scapito di ogni approfondimento linguistico e stilistico.
Riconducibile all’autofiction è l’ultimo romanzo di un autore nato prima del 1950, ma giunto alla narrativa solo in questi ultimi anni, Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace (2013), segnato da un aggressivo risentimento verso la volgarità e la mistificazione di una vita collettiva svoltasi nella consumazione di tutto il consumabile, nel degradare degli spazi fisici e naturali. In Pecoraro e in molti scrittori più giovani la scrittura viene spesso a tracciare dei parametri spaziali, a seguire i modi in cui il presente si incardina in una nuova e contraddittoria identità dei luoghi: così per il Nord di Giorgio Falco, con L’ubicazione del bene (2009) e La gemella H (2014), e per la Sicilia di Giorgio Vasta, con Il tempo materiale (2008) e Spaesamento (2010).
Nel vario affollarsi delle scritture delle giovani generazioni non è comunque possibile elencare tutte le esperienze che, pur nel quadro indicato all’inizio, rivelano qualità che possono portare a svolgimenti interessanti. In alcuni autori si affaccia un’implicita nostalgia della grande letteratura, un’ostinata aspirazione a uno stile possibile e perduto: può essere il caso di due autori emersi nel 2005, Antonio Scurati (attento ai conflitti tra le generazioni e alla violenza della comunicazione mediatica) e Alessandro Piperno (che segue immagini ‘in negativo’ del mondo della borghesia ebraica romana), e soprattutto di un autore già attivo nei decenni precedenti, Michele Mari, che nel 2014 ha costruito un suo paradossale, ironico e nostalgico omaggio al passato del grande romanzo umoristico e d’avventura, Roderick Duddle, vivacissimo gioco di specchi letterari, nel tempo di una letteratura che stenta a ritrovare sé stessa e che ormai rischia di perdersi nell’indeterminata evanescenza del mercato e della rete.
Terreno molto praticato è quello dell’intreccio tra forma narrativa e forma saggistica (in cui del resto entra anche Gomorra), spesso con un’esasperazione dei dati personali. Molto vivace è inoltre l’uso della forma-catalogo, che sospende ogni tratto narrativo nella costruzione di piccole enciclopedie di situazioni, di personaggi, di vicende paradossali (come nei libri di Eugenio Baroncelli). Ma nuovi territori sono forse annunciati dai sempre più frequenti casi di immigrati di madre lingua diversa che assumono in proprio la lingua italiana: non mancano esiti di grande interesse, specie per gli squarci su realtà di solito trascurate dalla letteratura italiana e per gli orizzonti interculturali che disegnano, anche se non sembra che ne siano scaturiti ancora risultati davvero risolutivi.
Bibliografia: G. Antonelli, Lingua ipermedia. La parola di scrittore oggi in Italia, Lecce 2006; M. Dardano, Stili provvisori. La lingua nella narrativa italiana d’oggi (2005-09), Roma 2010; G. Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero, Roma-Bari 2010; A. Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo, Venezia 2011; D. Giglioli, Senza trauma. Scrittura dell’estremo e narrativa del nuovo millennio, Macerata 2011; D.M. Pegorari, Il fazzoletto di Desdemona. La letteratura della recessione da Umberto Eco ai TQ, Milano 2014; La terra della prosa. Narratori italiani degli anni zero (1999-2014), a cura di A. Cortellessa, Roma 2014.
Cinema di Marco Pistoia. – L’assegnazione nel 2014 dell’Oscar quale miglior film straniero a La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino ha costituito un paradigma non isolato di una sostanziale buona qualità del cinema italiano. Tutti i registi considerati di maggior spicco della cinematografia italiana hanno infatti confermato o perfino incrementato la loro verve creativa: è il caso di Nanni Moretti, con Habemus papam (2011) e Mia madre (2015), di Matteo Garrone con Gomorra (2008) e Reality (2012), di Paolo Virzì con La prima cosa bella (2010) e il pluripremiato Il capitale umano (2013), forse il suo film più compiuto quanto a qualità di regia, di Mario Martone, con le complesse incursioni inter artes (il cinema che intreccia a un tempo la pittura, la musica, il teatro) di carattere storico (Noi credevamo, 2010, sul Risorgimento; Il giovane favoloso, 2014, su Giacomo Leopardi). Sono poi scomparsi prematuramente registi del rigore e del valore di Giuseppe Bertolucci e di Carlo Mazzacurati , laddove altri, riconosciuti da tempo quali maestri, ossia Bernardo Bertolucci (Io e te, 2012) e Marco Bellocchio (v., Vincere, 2009; Sorelle Mai, 2010; Bella addormentata, 2012; Sangue del mio sangue, 2015) hanno continuato a offrire prove interessanti.
La costanza produttiva, l’originalità e la capacità innovativa della produzione documentaria hanno a loro volta costituito in epoca recente uno dei motivi di maggior interesse del cinema italiano, paradigmaticamente rivelato dall’assegnazione del Leone d’oro 2013 a un’opera quale Sacro GRA (2013) di Gianfranco Rosi. Spesso la pratica documentaria si è espressa in forma variamente ibridata e anche quando ha ricorso a uno stilema più consueto, ossia la combinazione di immagini girate appositamente con quelle di repertorio, ha mostrato una rinnovata capacità di attingere agli archivi.
Per il documentario d’inchiesta o tout court a soggetto storico, talora si è fatto ricorso a una o più voci fuori campo assegnate ad attori di rilievo, oppure si è scelto di offrire una storia basata su figure reali, ma raccontate come personaggi, senza per questo togliere un forte ‘effetto di realtà’ agli ambienti e alle vicende narrate. Di queste qualità sono diversa espressione, per es., opere quali Odessa (2006) di Leonardo Di Costanzo; Il sol dell’avvenire (2008), ma che Storia... (2010), Scorie in libertà (2012) e Sul vulcano (2014) di Gianfranco Pannone; Il passaggio della linea (2007), La bocca del lupo (2009) e Il silenzio di Pelešjan (2011) di Pietro Marcello; Marghera Canale Nord (2003), Come un uomo sulla terra (2008), Il sangue verde (2010) e Indebito (2013) di Andrea Segre; Rata nece biti! (2008, La guerra non ci sarà) di Daniele Gaglianone; Pesci combattenti (2002), Biutiful cauntri (2008) e Di mestiere faccio il paesologo (2010) di Andrea D’Ambrosio.
Di Costanzo, Segre e Gaglianone hanno offerto prove di grande qualità e intensità anche dirigendo lungometraggi narrativi, quali L’intervallo (2012) di Di Costanzo, Io sono Li (2011) e La prima neve (2013) entrambi di Segre, I nostri anni (2000) e Nemmeno il destino (2004) ambedue di Gaglianone, nei quali si può notare la sapienza nel ricorso a stilemi di tipo o effetto ‘documentario’, espressi, per es., nell’uso del paesaggio. Cuore dominante, questo, quanto espresso in modo inconsueto, di un’opera tanto affascinante quanto difficilmente catalogabile quale Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino.
Dedito inizialmente al documentario è anche l’autore di alcuni dei migliori film narrativi italiani dell’ultimo decennio, Giorgio Diritti (Il vento fa il suo giro, 2005; L’uomo che verrà, 2009; Un giorno devi andare, 2013), mentre a sua volta la più interessante cineasta fra i nuovi giovani esordienti, Alice Rohrwacher, ha immesso intensi e un po’ stranianti effetti di reale nei suoi due film narrativi (Corpo celeste, 2011, e Le meraviglie, 2014, Grand prix al Festival di Cannes 2014). Potrebbe essere proprio questa istanza ibridante la strada di un rinnovato sviluppo della cinematografia italiana. Notevole forza visuale, di scrittura e di caratteri rivela Anime nere (2014) di Francesco Munzi (9 David di Donatello e 3 Nastri d’argento nel 2015), rinnovata declinazione del noir innervata da intensi stilemi da tragedia greca.
Di non trascurabile interesse, infine, l’esordio alla regia di un autore finora televisivo, Pif (Pierfrancesco Diliberto), con La mafia uccide solo d’estate (2013), nonché quello di attori di vaglia quali Luigi Lo Cascio (La città ideale, 2012), Fabrizio Bentivoglio (Lascia perdere, Johnny!, 2007), Alessandro Gassmann (Razzabastarda, 2012), Valeria Golino (Miele, 2013).