Neue Sachlichkeit
Movimento artistico e cinematografico, la N. S. (Nuova Oggettività) ha caratterizzato la cultura tedesca della seconda metà degli anni Venti, a partire dalla Stabilisierungszeit, dovuta al Piano Dawes del 1924 che rese finalmente il marco, dopo anni di rovinosa inflazione, una valuta stabile. A seguito del piano di finanziamento alleato, si poté assistere in Germania a un vertiginoso sviluppo industriale, poi arrestatosi con la crisi mondiale del 1929. Anche a prescindere dalla valutazione dei concreti risultati artistici ‒ per altro non indifferenti ‒ il movimento, primo riflesso della nascita di un'industria culturale su suolo europeo, ebbe il merito di approfondire in nome di un impegno sociale (se pur, a volte apparente) le trasformazioni politico-economiche della fase di stabilizzazione prima e di crisi poi della Repubblica sino al 1933. Quasi a rivelare il doppio dolente delle scintillanti luci della metropoli, la N. S. eleva il dramma del singolo a una più universale condizione umana, senza attacchi politici bensì in nome della disillusione e della rassegnazione.
Coniato dal critico d'arte e direttore della Städtische Kunsthalle Mannheim, G.F. Hartlaub, per designare un'esposizione allestita nell'estate 1925 in cui si riunivano i nuovi pittori tedeschi di maggiore ispirazione sociale (G. Grosz, O. Dix, Ch. Schad ecc.), il termine si estese rapidamente alla letteratura dell'epoca contraddistinta da romanzi e drammi dei reduci o dei disoccupati, all'architettura, in cui il funzionalismo tecnico era rappresentato dalla decisiva esperienza del Bauhaus, e, naturalmente, al cinema. Nel giro di pochi anni l'intera nazione tedesca sembrava d'improvviso voler dimenticare il dramma del conflitto mondiale e l'umiliazione delle riparazioni, con un'ubriacatura di (apparente) libertà: era il periodo che segnò il mito dei Roaring Twenties e la nascita dell'industria culturale sotto l'egida della concentrazione editoriale e della riorganizzazione dell'UFA, dopo il passaggio nel 1927 nelle mani del magnate ultraconservatore Alfred Hugenberg. Abbandonati gli angoscianti incubi e le visioni deformate dell'Espressionismo, gli intellettuali e gli artisti della Repubblica di Weimar si posero davanti alla razionalità della sconfitta: dal massimo dell'astratto si arrivò al massimo del concreto, in modo persino troppo programmatico. Il cinema weimariano, o meglio la sua piccola parte più impegnata o sperimentale, lontana dai cliché dei generi popolari dell'Unterhaltung, tese allora a immergersi nella realtà quotidiana, intesa sia nei suoi aspetti borghesi sia in quelli proletari. Al centro dell'attenzione si pose la raffigurazione dell'uomo comune e della sua grigia esistenza quotidiana, svelando quindi la contraddizione della grande città, nei cui vicoli si nascondevano disoccupazione, miseria e conflitti di classe. Il concetto di inumanità nella descrizione dell'individuo, che aveva già caratterizzato la svolta degli anni Venti e che risentiva anche di un certo naturalismo di stampo ottocentesco, perse il suo carattere astratto per divenire 'tecnologico' e metropolitano. Tuttavia ciò che caratterizza principalmente la N. S. è la mancanza del-l''urlo di dolore', in favore di una sorta di apatia o disillusione. Proprio questo aspetto legato alla rassegnazione suscitò roventi polemiche da parte di alcuni intellettuali coevi: il più severo fu Walter Benjamin nell'accusa ai 'radicali di sinistra' (Erich Kästner, Walter Mehring, Kurt Tucholsky) di acquiescenza e di incapacità di indignarsi. Il critico parla significativamente di 'quiete negativistica' dietro i rappresentanti della nuova corrente, definiti "una mimetizzazione proletaria della borghesia in sfacelo. […] Il loro significato politico si riduceva a convertire riflessi rivoluzionari, nella misura in cui apparivano nella borghesia, in oggetti di distrazione, di divertimento, di consumo" (Linke Melancholie, in "Die Gesellschaft", 1937, 8; trad. it. in Avanguardia e rivoluzione¸ 1973, pp. 169-70). Al di là di queste e altre critiche (per es. di Siegfried Kracauer) si trattava, tuttavia, di un fenomeno più complesso di quanto potesse sembrare, che rispecchiava un periodo storico ricco di contraddizioni anche produttive.Nel cinema tedesco un primo antecedente dell'interesse sociale caratteristico della N. S. si ritrova nel Kammerspielfilm e negli Strassenfilme (v. Kammerspielfilm), che già si erano soffermati sulla rappresentazione disincantata e pessimistica del quotidiano e avevano mostrato un'ambientazione proletaria: Der letzte Mann (1924; L'ultima risata o L'ultimo uomo) di Friedrich Wilhelm Murnau, per es., contiene elementi fortemente polemici nei confronti del capitalismo, ponendo al centro della vicenda la figura di un individuo sconfitto incapace di adattarsi ai nuovi tempi (anche se poi, per insistenze della produzione, la situazione si rovescia grazie a un happy end che rende più corrosiva la critica all'esistente). Oltre che per la mostra di Mannheim, il 1925 si segnala come anno cruciale per la N. S. anche per l'uscita di Die freudlose Gasse (La via senza gioia) di Georg Wilhelm Pabst, dramma di miseria e prostituzione nella Vienna del dopoguerra e dell'inflazione, e di Varieté di Ewald André Dupont: entrambi i film contemperano l'emergente esigenza di realismo nell'ambientazione quotidiana, senza però escludere una certa tendenza al pathos melodrammatico. Il quasi esordiente Pabst divenne uno dei cineasti che meglio interpretava la nuova fase del cinema tedesco di qualità, grazie alla capacità di unire alle tematiche sociali una notevole sperimentazione cinematografica, seppure il suo rigore tecnico fosse a volte venato da un eccesso di compiacimento formale. Oltre a Pabst, all'interno della cinematografia tedesca d'autore più legata a quella generalizzata esigenza di 'nuovo realismo' che l'esempio luminoso e lo straordinario successo riscosso dal cinema sovietico rivoluzionario in quegli anni avevano contribuito a rafforzare, si possono ritrovare altri interessanti registi. Bruno Rahn (1888-1927), per es., nello Strassenfilm Dirnentragödie (1927; Tragedia di prostitute) riscatta un soggetto alquanto banale, ambientato nel mondo della prostituzione, grazie alla grande cura scenografica dei particolari e alla qualità della recitazione di Asta Nielsen. Anche il Joe May (1880-1954) di Asphalt (1929; Asfalto) ‒ opera già dentro la svolta 'americaneggiante' operata da Erich Pommer rientrato all'UFA ‒ racconta una love story stereotipata, quella di un poliziotto innamoratosi di una ladra, ma del film restano impresse la sottile e psicologicamente attendibile descrizione del legame erotico tra i protagonisti, nonché la resa del tumultuoso contesto metropolitano. Contigua alla N. S. è la ricerca del cinema d'avanguardia di Hans Richter, László Maholy-Nagi e soprattutto di Walther Ruttmann che con Berlin. Die Sinfonie der Grossstadt (1927) mise a punto in maniera esemplare i dettami della nuova tendenza oggettivistica. Documentario su una giornata qualunque a Berlino, tutto basato sull'arte dell'osservazione e del montaggio e contraddistinto dall'equivalenza tra immagine e ritmo, marca una totale assenza di prospettiva ideologica, se non in qualche generica illustrazione dei guasti del capitalismo, mostrando come immutabile il ripetersi dello stato delle cose. Aperta testimonianza dell'intensa fascinazione suscitata dalla tecnica in sé e per sé, il film di Ruttmann rischia allora di trasformarsi nell'estetismo dell'abolizione dell'estetismo.
Non legate alle esigenze delle grandi case di produzione e alla macchina industriale dell'UFA erano, agli sgoccioli degli anni Venti e alla fine del muto, piccole ma interessanti produzioni 'indipendenti' mute come Takový je život / So ist das Leben (1930) di Carl Junghans, un possente ma sommesso atto di accusa contro le condizioni di vita della classe operaia a Praga, e soprattutto Menschen am Sonntag (1930), frutto del collettivo Filmstudio 1929 di cui faceva parte un gruppo di autori che avrebbero poi raggiunto il successo: Edgar G. Ulmer, Robert Siodmak (che firmò la regia) e il fratello Kurt, Fred Zinnemann e Billy Wilder. Collage cronachistico di una gita domenicale fuori Berlino di due coppie qualsiasi, con la sua attenzione alla psicologia sociale, gli attori presi dalla strada e le riprese dal vero, quello che è considerato il film sperimentale più famoso dell'era weimariana segna, insieme al documentario di Ruttmann, il massimo esempio di cinema legato alle proposte teoriche della Neue Sachlichkeit. L'esperienza-chiave di un film modello come Menschen am Sonntag si ripercosse in diverse successive produzioni d'epoca, che trattavano temi d'attualità come la ricerca della casa e del lavoro, esibivano uno sguardo semidocumentario ed erano affascinate dalla vita moderna e dallo sviluppo della tecnica. Era quell'attento sguardo modernista, in parte engagé in parte distaccato, a caratterizzare il miglior cinema tedesco della fine della Repubblica di Weimar e che si ritrova per es. in opere molto diverse come Berlin ‒ Alexanderplatz (1931) del cineasta 'proletario' Phil Jutzi, dal celebre romanzo di A. Döblin, ed Emil und die Detektive (1931; La terribile armata) di Gerhard Lamprecht, dal romanzo di E. Kästner, sceneggiato da Wilder. Lo stesso sguardo contraddistingue, oltre alla maggioranza delle sceneggiature di Wilder, anche il cinema di bravi registi emergenti: per es., R. Siodmak con lo splendido Abschied (1930), una tragicommedia del quotidiano ambientata in una modesta pensione da cui la macchina da presa non esce mai, o con Der Mann, der seinen Mörder sucht (1930), sceneggiato tra gli altri da Wilder e da K. Siodmak, una commedia grottesca che, variando il tema brechtiano del crimine come azienda d'affari, esibisce un acre humour nero. Stesso discorso vale per Max Ophuls che debuttò con un cortometraggio, Dann schon lieber Lebertran (1931) da un soggetto originale di Kästner e la cui produzione, sino a Liebelei (1933; Amanti folli), è ricca di spunti tratti dal coevo bagaglio modernista. Ben presto l'ascesa al potere di A. Hitler mise fine alla Repubblica di Weimar e alle sue sperimentazioni: è significativo comunque che la N. S. non scomparve completamente dagli schermi ‒ anche perché alcuni cineasti come Ruttmann restarono in Germania ‒ e che sue piccole tracce si ritrovino proprio in quella cinematografia che era più ostile ai suoi contenuti politici, ovverosia in quella del nazionalsocialismo.
Nella generale tendenza al realismo e all'impegno avvertibile a partire dal 1925 in Germania, un capitolo a sé è rappresentato dal cosiddetto Proletarischer Film, espressione con cui si definiscono i film direttamente prodotti dal movimento operaio tedesco. Nata alla fine del 1925 nell'ambito dell'impero mediatico di Willi Münzenberg per consentire la distribuzione dei film sovietici in Germania e in primo luogo di Bronenosec Potëm-kin (1925; La corazzata Potëmkin) di Sergej M. Ejzenštejn, la casa di produzione comunista Prometheus-Film (e poi la Weltfilm) costituì il fulcro del 'cinema proletario' di controinformazione politica comunista. Tra le opere più notevoli realizzate da questa società, oltre ad alcune coproduzioni minori con l'Unione Sovietica e a diversi documentari agit-prop di Jutzi come Die Rote Front marschiert (1927) e Blutmai 1929 (1929), vanno ricordati la docufiction di mediometraggio Ums tägliche Brot, noto anche come Hunger in Waldenburg (1929) e il lungometraggio Mutter Krausens Fahrt ins Glück (1929) sempre di Jutzi, la maggiore personalità artistica emersa in campo comunista. Viceversa l'unico film interessante prodotto in ambito socialdemocratico è Brüder (1929), la straordinaria opera prima di Werner Hochbaum, finanziata in modo autonomo dal sindacato portuali di Amburgo che, nel raccontare lo sciopero dei marittimi nel 1896, eguaglia lo stile semidocumentario di Hunger in Waldenburg. L'introduzione del sonoro con il vertiginoso aumento dei costi di produzione dei film, nonché il peggiorare della situazione politica generale furono all'origine di una profonda crisi che investì il Proletarischer Film dopo il 1929; così Kuhle Wampe oder: wem gehört die Welt (1932) di Slatan Th. Dudow resta, a tutti gli effetti, il canto del cigno del cinema operaio nella Germania di Weimar. Celebre opera dalla travagliata lavorazione (fallita la Prometheus, poté essere portata a termine solo grazie all'intervento di una società svizzera), realizzata da un altrettanto celebre 'collettivo comunista' comprendente, oltre al regista, il drammaturgo Bertolt Brecht, il musicista Hanns Eisler e lo scrittore Ernst Ottwalt, Kuhle Wampe è un film interessante e contraddittorio al tempo stesso: la sua brillante sperimentazione estetica (l'uso del sonoro asincrono, le lunghe riprese en plain air di Berlino, la crudezza antimelodrammatica ecc.) si accompagna infatti a un singolare messaggio ideologico ginnico-comunista.
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