Devianza sessuale che si manifesta con azioni, ricorrenti impulsi e fantasie erotiche che implicano attività sessuali con bambini prepuberi. I soggetti che ne sono affetti, quasi sempre maschi, spesso usano la violenza e la coercizione per mettere in atto i loro impulsi, giustificando o razionalizzando i loro comportamenti in vario modo. In un elevato numero di casi, il pedofilo è stato, a sua volta, oggetto di una o più aggressioni sessuali nell’infanzia o nell’adolescenza. La valutazione del significato di questo dato anamnestico è diversamente apprezzata: l’età dell’evento traumatico gioca un ruolo importante, al pari della possibilità o meno di parlarne, delle modalità dell’aggressione, del fatto che il violentatore fosse una persona che apparteneva alla famiglia (il più delle volte) o a essa estranea, della reazione che ha accompagnato e seguito gli episodi di violenza, e di altro. La violenza subita nell’infanzia impedisce alla vittima l’accesso alla sua sessualità infantile, che appare svuotata di contenuti affettivi. L’effetto traumatico deriva dalla partecipazione diretta del bambino alla sessualità dei genitori (o degli adulti); in particolare, il bambino violentato dal padre non può identificarsi con lui, interiorizzarlo e costruire quell’oggetto interno che gli permette di sentirsi a sua volta maschio, uomo e padre (la fissazione omosessuale o pedofilica). La situazione è aggravata da comportamenti passivi della madre, la cui assenza viene dal bambino-vittima identificata con la fonte della distruttività.