Polonia
Stato dell’Europa centrorientale.
Dopo il 1° sec. a.C. alla foce della Vistola comparvero popolazioni germaniche (goti e gepidi) che tra il 2° e il 3° sec. d.C. si trasferirono verso il Mar Nero; durante il 5° e il 6° sec. nella P. nordorientale si stabilirono popolazioni baltiche (lituani, prussiani, iatvingi, masuriani ecc.), mentre nei secoli successivi nel territorio fra la Vistola e l’Elba si insediarono i polani, i pomerani, i polabi (o slavi elbani); nella Slesia (dall’alta Vistola sino all’Oder) gli slesiani. La prima formazione statale si ebbe con Mieszko I (m. 992), con cui emerse la dinastia nazionale dei Piasti, che a volte contrastò l’espansione germanica e a volte agì in coincidenza con essa ai danni delle tribù slave occidentali, stanziate negli ampi bacini della Vistola e dell’Oder sino al Baltico. La conversione al cristianesimo (966), la formazione di una gerarchia ecclesiastica strettamente polacca, la «donazione» della P. alla Santa Sede fatta da Mieszko I contribuirono a legare i polacchi direttamente al centro della cristianità. Con il figlio di Mieszko, Boleslao Chrobry (992-1025), la P. iniziò l’espansione verso E e la lotta contro l’imperatore Enrico II, nel corso della quale l’alleanza fra l’impero e la Russia di Kiev ai danni della P. rappresentò l’inizio di una costante di tutta la storia polacca. Boleslao concluse la Pace di Bautzen (1018) con l’impero e favorì la missione di s. Adalberto; intervenne nei contrasti interni dello Stato di Kiev e, per i successi conseguiti, nel 1024 cinse la corona reale. Erosa a occidente dalla pressione teutonica, tormentata all’interno da contese fra i diversi principi, nel 1241 la P. fu investita a oriente dalle orde mongoliche di Batu, con conseguente dissoluzione dello Stato. Tuttavia la dinastia nazionale dei Piasti continuò a mantenere una certa unità politica tra le varie parti del regno, tenute insieme anche dall’organizzazione ecclesiastica. Nel 14° sec. il principe Ladislao Łokietek (m. 1333) riuscì a porre fine alla divisione regionale della P., ma nel 1309 perdette l’accesso al Baltico con l’incorporazione della Pomerania da parte della Prussia. Con il re Casimiro III il Grande (1333-70) la P. acquistò la fisionomia di Stato fra i più progrediti dell’Europa centrorientale: in politica interna riforma dell’amministrazione, liberale protezione degli ebrei e dei contadini, creazione a Cracovia della prima università polacca (1364); in politica estera espansione a oriente, collaborazione con la Lituania contro l’Ordine teutonico, rapporti di buon vicinato con l’impero e la Boemia. Alla morte di Casimiro, l’unione con l’Ungheria sotto Luigi d’Angiò salvò la continuità della corona polacca, che alla morte di Luigi (1382) passò alla figlia Edvige. Nel 1385 questa sposò il granduca di Lituania Jogáila che, con l’Atto di Kréva del 14 ag., unì le sue terre a quelle della P., abbracciando il cristianesimo: tre nazioni, la polacca, la lituana e la rutena, si associavano così in una sorta di vincolo federativo destinato a durare sino alle spartizioni dell’Età moderna. I risultati si fecero vedere subito nelle relazioni con l’Ordine teutonico, sconfitto a Grunwald nel 1410, e in quelle con la Moscovia: l’unione polacco-lituana, nello spingere molto verso E le sue frontiere, vide sorgere grandi problemi di relazione con il mondo russo, mentre la pressione del germanesimo nei suoi vari aspetti (Ordine teutonico, Prussia, poi anche Asburgo) continuava a condizionare gli sviluppi della Polonia. Nel contempo ebbe inizio per la P. anche il problema turco: Ladislao III (eletto al trono di Ungheria nel 1440) morì nel 1444 nella battaglia di Varna contro i turchi.
Con Casimiro IV Iagellone (1427-1492), successore di Ladislao (1444), la P. raggiunse la massima espansione territoriale e la più alta influenza politica per i legami con la Boemia e l’Ungheria, rette dal re Ladislao Iagellone, e con gli Stati vassalli della Moldavia e dell’Ordine teutonico. Dalla seconda metà del 15° sec. la monarchia aristocratica si trasformò in un regime monarchico fondato sugli ordines, nobiltà e clero. Gli ulteriori sviluppi dal 16° sec. in poi portarono a un sempre maggior predominio della nobiltà nel Sejm (Camera), che divenne infine arbitro dell’elezione del re e quindi del potere regio. Si generalizzarono inoltre metodi più razionali di conduzione agricola; i nuovi rapporti di produzione condussero a una sorta di rifeudalizzazione, con forme di sfruttamento della classe contadina ignote in altre parti d’Europa. Contemporaneamente la P. si impegnò a difendere i suoi confini, fronteggiando a N la Prussia e gli svedesi, a O gli Asburgo, a S i turchi, a E i russi. La fine della dinastia iagellonica con Sigismondo Augusto e l’inizio della monarchia elettiva (1572) avevano messo frattanto il potere regio alla mercé della nobiltà e degli intrighi delle potenze. L’emergere di grandi figure come quella di Giovanni III Sobieski (1674-96) ridiede temporaneamente alla P. il perduto prestigio, ma la vittoria di Vienna contro i turchi (1683), se giovò a tutta la cristianità, lasciò spossata la P., con una nobiltà sempre più decisa a difendere i propri privilegi e contraria a un forte potere del governo. Sull’anarchia nobiliare ebbe facile sopravvento la politica delle tre potenze confinanti, Austria, Russia e Prussia, che imposero come re Augusto II di Sassonia (1697-1733). Le guerre contro la Svezia a fianco di Pietro il Grande accelerarono la crisi interna. Pietro il Grande appoggiò Augusto II contro Stanislao Leszczýnski (re dal 1706) sostenuto dal Sejm, imponendo alla P. di non tenere un esercito superiore ai 24.000 uomini, e si eresse a protettore, insieme alla Prussia, dei dissidenti e degli ortodossi delle regioni orientali (Trattato di Potsdam, 1720). Dopo il regno di Augusto III (1733-63), durante il quale l’anarchia e la rovina economica raggiunsero il massimo grado, nel 1764 Prussia e Russia si accordarono per porre sul trono Stanislao Augusto Poniatowski. Pur intenzionato ad avviare un processo di riforma, egli non riuscì a sottrarsi alle pressioni dei potenti vicini, specie della Russia, che impose e garantì, mediante l’appoggio dato alla confederazione stretta dai nobili polacchi a Radom (1767), il ripristino delle leggi fondamentali del regno (liberum veto; libera elezione del re; diritto di rifiutare obbedienza al re ecc.). L’insurrezione nazionale, nota come Confederazione di Bar (1768), fu troppo legata agli interessi sociali delle classi dirigenti tradizionali per opporsi vittoriosamente alla crescente pressione esterna, nonostante il concorso della Francia e dell’Austria. Conseguenza di tale situazione interna e internazionale furono le tre spartizioni del territorio polacco, succedutesi in poco più di un ventennio: la prima nel 1772 (la Russia si impossessava del Paese al di là della Dvina e del Dnepr; Federico II della Prussia occidentale senza Danzica e di una parte della Grande P.; l’Austria della Galizia); la seconda nel 1793 (alla Russia andavano questa volta la parte orientale della Lituania, parte della Volinia, la Podolia; la Prussia si impossessò di Danzica e della restante Grande P.); la terza nel 1795 (la Russia ottenne la parte residua della Lituania e della Volinia; la Prussia arrivò sino al Niemen, incorporando Varsavia; l’Austria si impadronì della Piccola P.). Il Congresso di Vienna (1815) sanzionò il passaggio della parte maggiore del ducato di Varsavia alla Russia con il titolo di regno di P.; nel nov. 1830 Varsavia si sollevò contro l’autocrazia di Nicola I, ma il mancato aiuto delle potenze estere, il dissidio fra elementi radicali e conservatori, la non risoluzione della questione contadina facilitarono la repressione russa. Da allora una grande emigrazione si riversò in Occidente, mantenendo in vita una «questione» polacca. Dopo l’infelice rivoluzione del 1863, verso la fine del secolo una vivace attività politica caratterizzò la P. russa, divisa tra i socialisti di J. Piłsudski e i democratici-nazionali di R. Dmowski.
Al termine della Prima guerra mondiale la P. risorse come Stato indipendente guidato da Piłsudski. Negli anni immediatamente successivi contenziosi territoriali la contrapposero alla Germania, alla Cecoslovacchia, alla Lituania e soprattutto alla Russia, in seguito all’invasione polacca di parte dell’Ucraina e della Bielorussia, cui seguì un conflitto, concluso nel 1921 dalla Pace di Riga, che riconobbe la sovranità polacca sulle regioni occidentali delle due Repubbliche. Sul piano interno, nel 1926 si ebbe un colpo di Stato militare guidato da Piłsudski, alla cui morte (1935) una nuova Costituzione rafforzò ulteriormente i poteri presidenziali, in un quadro politico sempre più caratterizzato da tendenze di tipo fascista e antisemita. Sul piano economico gli effetti della grande depressione aggravarono i problemi del Paese, legati sia alle difficoltà dell’integrazione fra le tre zone precedentemente separate, sia alla mancata soluzione della questione agraria e alla permanenza di un assetto sociale di tipo feudale. Nel 1939 all’invasione tedesca delle regioni centroccidentali seguì lo scoppio della Seconda guerra mondiale e nel 1941 le regioni orientali del Paese, occupate dalle forze sovietiche, furono invase dai tedeschi. La dominazione tedesca si espresse in uno spaventoso sistema di sterminio: nei campi di annientamento furono eliminati milioni di uomini, donne e bambini, fra cui quasi l’intera comunità ebraica. Fin dal 1939 si costituì in Francia un governo polacco in esilio, spostatosi nel 1940 a Londra. Nel Paese si sviluppò un forte movimento di resistenza che diede vita a due forze militari distinte, l’Armia krajova (Esercito nazionale), legata al governo in esilio, e l’Armia ludowa (Esercito popolare), espressione delle forze di sinistra. Queste ultime formarono nel 1944 a Chełm un Comitato di liberazione nazionale che si costituì in governo provvisorio sotto la guida del socialista E. Osóbka-Morawski; l’intero territorio polacco fu liberato dall’avanzata delle forze sovietiche nel 1945. Alla fine del conflitto i territori già tedeschi a oriente dei fiumi Oder e Neisse (Bassa Slesia, Brandeburgo orientale e Pomerania) furono posti sotto l’amministrazione polacca; il confine a E venne spostato lungo la cosiddetta linea Curzon, mentre la frontiera con la Cecoslovacchia fu riportata alla linea anteriore al 1938. Un governo di unità nazionale procedette alla riforma agraria e nazionalizzò le medie e piccole industrie. Le elezioni politiche del 1947 portarono a un’ampia vittoria dei partiti comunista e socialista, legati da un patto di unità d’azione. La P. divenne in tal modo un Paese di stampo sovietico, pienamente integrato nel sistema politico e militare dell’URSS, nonostante le ampie manifestazioni contro il regime che si svilupparono nei decenni successivi, in particolare dopo l’avvio della cosiddetta destalinizzazione nella seconda metà degli anni Cinquanta. Il nuovo esecutivo, presieduto dal socialista J. Cyrankiewicz, varò un primo piano triennale, mentre alla presidenza della Repubblica fu eletto il comunista B. Bierut. A partire dal 1948 il regime politico subì un irrigidimento in senso stalinista e il Partito socialista e quello comunista si fusero nel Partito operaio unificato polacco (POUP) sotto la leadership di Bierut. Nel 1952 fu proclamata la Repubblica popolare di P. e venne varata una nuova Costituzione. L’integrazione della P. nel campo socialista fu rafforzata dall’adesione al COMECON (1949) e al Patto di Varsavia (1955). Nel corso degli anni Sessanta il consenso popolare andò progressivamente calando, mentre il regime si irrigidiva in senso autoritario. Nel 1970 una rivolta operaia scoppiata a Danzica, Gdynia e Stettino portò all’elezione di E. Gierek a primo segretario del POUP, mentre P. Jaroszewicz divenne presidente del Consiglio dei ministri. La prima metà degli anni Settanta fu caratterizzata da un miglioramento del livello di vita e da una maggiore stabilità politica, ma poi l’economia polacca dovette far fronte a una crescente crisi finanziaria. Nel 1980 una nuova ondata di contestazioni operaie costrinse il governo a riconoscere il diritto di sciopero e la libertà sindacale. Sorse allora il sindacato di Solidarność che, con il suo leader L. Wałesa, divenne il motore della lotta contro il regime, con il sostegno del papa polacco Giovanni Paolo II. Il governo di W. Jaruzelski introdusse la legge marziale e mise fuori legge Solidarność, ma negli anni successivi tali misure furono attenuate, soprattutto dopo l’ascesa al potere in Unione Sovietica di M.S. Gorbačëv (1985). Questo processo culminò, nel 1989, nella celebrazione delle prime elezioni pluripartitiche, che segnarono la piena affermazione di Solidarność (Wałesa fu eletto nel 1990 presidente) e, di fatto, la fine del regime. I governi di centrodestra e di centrosinistra che si alternarono alla guida dell’esecutivo nel corso degli anni Novanta non riuscirono a dare stabilità politica ed economica al Paese, che pure aveva raggiunto alle soglie del Duemila alcuni importanti obiettivi, consolidando le strutture democratiche con il varo di una nuova Costituzione (1997), creando un’economia di mercato che aveva attratto capitali stranieri. La ripresa economica non era stata tuttavia accompagnata da benefici diffusi: il tasso di disoccupazione era cresciuto ed erano venuti a mancare i sostegni offerti dai servizi sociali, ridotti dai tagli alla spesa pubblica. Le elezioni legislative del sett. 2001 mutarono radicalmente lo scenario politico della P., segnando la disfatta di Azione elettorale di Solidarność; venne formato un governo di centrosinistra presieduto da L. Miller, deciso fautore dell’integrazione europea. Nel 2004 avvenne l’entrata ufficiale della P. nella UE insieme ad altri nove Stati, cui seguì un avvicendamento alla guida del governo tra Miller e il socialdemocratico M. Belka. Nelle elezioni europee di quell’anno emerse la formazione di centro Piattaforma civica (PO). Dopo le elezioni legislative del 2005, in cui prevalse il conservatore Partito per il diritto e la giustizia (PIS), alla guida del governo salì l’economista K. Marcinkiewicz. Le successive elezioni presidenziali videro l’affermazione del sindaco di Varsavia e fondatore del PIS, L. Kaczyński. Nel 2006 fu varato un governo di maggioranza di centrodestra guidato da Marcinkiewicz, che tuttavia nel luglio si dimise in seguito a gravi contrasti con il presidente, che al suo posto nominò premier il fratello gemello J. Kaczyński. La posizione nazionalista ed euroscettica della nuova maggioranza originò viva preoccupazione nella UE. Nell’estate 2007 la coalizione di governo naufragò e le nuove elezioni sancirono la sconfitta dei Kaczyński e la vittoria della Piattaforma civica. Alla guida del governo fu chiamato D. Tusk, il quale per affrontare le pesanti ricadute sull’economia polacca della crisi globale del 2008-09 ha richiesto l’intervento del Fondo monetario internazionale. Nel giugno 2010 sono state indette elezioni presidenziali anticipate, a causa del tragico incidente aereo occorso nell’aprile in Russia, in cui ha perso la vita il presidente Kaczyński, ed è stato eletto presidente B. Komorowski.