POLONIA (A. T. 51-52)
Stato dell'Europa, confinante a N. con la Lettonia, la Lituania, la Germania (Prussia Orientale) e il territorio di Danzica, a occidente del quale sbocca per breve tratto sul Mar Baltico; a O., pure con la Germania; a S., con la Cecoslovacchia e la Romania; a E., con l'U. R. S. S. (Ucraina e Russia Bianca).
Sommario. - Geografia: Delimitazioni e confini (p. 724); Rilievo, geologia e morfologia (p. 725); Condizioni climatiche (p. 727); Acque continentali (p. 728); Flora (p. 730); Fauna (p. 730); Dati demografici (p. 730); Distribuzione della popolazione (p. 732); Composizione etnica (p. 732); Centri abitati (p. 733); Tipi di villaggio (p. 734); Occupazioni della popolazione (p. 735); Condizioni economiche (p. 735); Ricchezze minerarie (p. 739); Industrie (p. 740); Comunicazioni (p. 742); Commercio estero (p. 743). - Ordinamento dello stato: Costituzione (p. 745); Divisione amministrativa (p. 746); Forze armate (p. 746); Culti (p. 747); Ordinamento scolastico (p. 748); Finanze (p. 748). - Preistoria (p. 749). - Storia (p. 749). - Lingua (p. 763). - Etnografia e Folklore (p. 764). - Arte (p. 768). - Musica (p. 772). - Letteratura (p. 775). - Storia del diritto (p. 781).
Delimitazioni e confini. - La Polonia comprende essenzialmente l'estremo lembo orientale della fascia di bassopiani che cinge a N. l'Europa centrale e il versante N. dei Carpazî settentrionali. La fascia di bassopiani va allargandosi a mano a mano che si procede verso E., per confondersi poi con i bassopiani immensi dell'Europa orientale. Regione situata, come la Romania, sul cosiddetto istmo ponto-baltico, quella strozzatura che l'Europa presenta tra il Mar Baltico e il Mar Nero, sul suo territorio corre lo spartiacque tra questi due mari, al primo dei quali vanno la Vistola (nel cui bacino vive il nucleo centrale della nazione polacca) e il Niemen, e al secondo il Prypeć, tributario del Dnepr, il Dnestr e il Prut, affluente del Danubio. Lo spartiacque è in gran parte piatto e mal definito, cosicché ininterrotta è la successione dei bassopiani dell'uno e dell'altro versante: e per questo sullo spartiacque non si sono mai fissati i confini esterni o interni della Polonia, la quale in ogni epoca ha rappresentato un'ampia e comoda via di transito fra l'occidente e l'oriente. Va ricordato anche che la prevalente direzione longitudinale dei fiumi polacchi ha facilitato le comunicazioni tra la zona carpatica e il Baltico, e tra questo e il Mar Nero. La Polonia dunque è situata all'incrocio di grandi vie naturali di traffico, e questo è certamente uno dei fattori che maggiormente hanno influito sul suo sviluppo economico e politico.
Il territorio della Repubblica Polacca (Rzeczpospolita Polska) ha press'a poco la forma di un triangolo, dai lati quasi uguali (sui 900 km. di lunghezza), i cui vertici sono: a S. il massiccio montuoso della Czarnohora, a O. il punto in cui la Warta, affluente dell'Oder, entra in Germania, e a N. quello in cui la Dźwina (Daugava, Dvina occidentale) entra in Lettonia. Il perimetro dei confini della repubblica ha uno sviluppo di 5534 km, dei quali 5394 sono terrestri (97,5%) e solo 140 (2,5%) marittimi. Entro tale perimetro è compresa una superficie di 388.390 kmq., il 67% dei quali apparteneva già alla Russia, il 21% all'Austria e il 12% alla Germania. Per superficie la Polonia è il 6° degli stati europei, in ordine decrescente di grandezza (dopo l'U. R. S. S., la Francia, la Spagna, la Germania e la Svezia; la Finlandia ha una superficie pressoché uguale: 388.217 kmq.), e il suo territorio rappresenta circa il 4% di quello dell'Europa. La popolazione nel censimento del 1931 risultò di 32.120.000 ab. (82,2 per kmq.); un calcolo per il gennaio 1934 ha dato 33.024.000. Per popolazione assoluta la Polonia è pure al 6° posto tra gli stati europei (dopo l'U. R. S. S., la Germania, la Gran Bretagna, l'Italia e la Francia).
Confini naturali la Polonia ne possiede soltanto a N., il Baltico, e a S., i Carpazî, che hanno rappresentato attraverso i secoli l'unica frontiera stabile dell'orizzonte polacco. La mancanza di confini fisici a E. e a O. costituisce una delle maggiori caratteristiche della Polonia, caratteristica che, come si vedrà in seguito, ha avuto notevoli conseguenze tanto nel campo dei fenomeni fisici quanto in quello dei fenomeni antropici. Dei 5394 km. di frontiere terrestri, 1912 (il 34,5%) sono con la Germania (e di questi 607 con la Prussia Orientale), 984 (il 17,8%) con la Cecoslovacchia, 349 (il 6,3%) con la Romania, 1412 (il 25,5%) con l'U. R. S. S., 109 (il 20%) con la Lettonia, 507 (il 9,2%) con la Lituania, e 121 (il 2,2%) con il territorio della Città libera di Danzica. La maggior parte dei confini è puramente convenzionale: il confine con la Cecoslovacchia, peraltro, passa sul crinale dei Carpazî, e quello con la Romania è segnato parzialmente dal Dnestr. Si noti che il maggior sviluppo di frontiere la Polonia l'ha proprio con i due vicini più temibili, la Germania e l'U. R. S. S., e che per di più tali frontiere non poggiano su alcun ostacolo naturale, se si eccettuano le ampie zone paludose lungo parte del confine orientale.
Il confine con la Germania fu stabilito dal trattato di Versailles (28 giugno 1919), che lasciò alle decisioni di un plebiscito la determinazione del confine meridionale della Prussia Orientale e la spartizione dell'Alta Slesia. I Masuri l'11 luglio 1920 votarono in prevalenza per la Germania, che conservò così il confine che ivi aveva anticamente con la Russia. Il plebiscito nell'Alta Slesia ebbe luogo il 20 marzo 1921, e diede alla Polonia la parte sud-orientale della regione.
Con la Cecoslovacchia il confine fu definito dal trattato di Sèvres del 10 agosto 1920; il possesso della regione di Teśchen (in polacco Cieszyn), che faceva già parte della Slesia austriaca, diede luogo a conflitti sanguinosi tra Polacchi e Cecoslovacchi, a causa soprattutto della sua importanza economica: finché un arbitrato del 28 dicembre 1920 assegnò alla Polonia il distretto di Bielsko e alla Cecoslovacchia quello di Frýdek, e divise tra i due stati i distretti di Fryštát e di Teschen. Il trattato di Sèvres definì pure il confine con la Romania. Con l'U. R. S. S. il confine fu stabilito dal trattato di Riga del 18 marzo 1921; con la Lettonia il confine è stato definito dal protocollo di delimitazione firmato a Riga il 12 febbraio 1929. Vilna (in polacco Wilno) e il suo territorio, già occupati dalla Lituania, furono riconosciuti definitivamente alla Polonia dalla decisione della Conferenza degli ambasciatori del 15 marzo 1923. La questione di Vilna, che la Lituania ha proclamato sua capitale costituzionale, ha impedito finora (1935) che tra i due stati si riprendessero i rapporti diplomatici: il confine attuale è considerato come provvisorio dalla Lituania, che rivendica, oltre al territorio di Vilna, anche quelli di Grodno e Suwałki.
I punti estremi del territorio polacco sono: a settentrione 55° 51′ (frontiera polacco-lettone a N. di Brasław) e a mezzodì 47° 44′ (frontiera polacco-romena a SE. di Burkut) di latitudine N.; a occidente 15° 47′ (frontiera polacco-germanica a O. di Międzychód) e a oriente 28° 22′ (frontiera polacco-russa a S. del fiume Dźwina) di longitudine E.
Rilievo, geologia e morfologia. - La Polonia non è un paese uniforme, quanto a rilievo. Uno sguardo a una carta geografica basta per comprendere come la sua configurazione sia anzi molto varia, perché vi si distinguono regioni di montagna e di collina, altipiani e bassopiani, armonicamente disposti. Nel complesso, peraltro, è poco elevata poiché si calcola che soltanto il 13% del suo territorio sia alto più di 300 m. s. m. Data la piccola altezza media, ben si comprende come vi occupino vastissime superficie i bassopiani, i quali formano un'ampia fascia tra il Dnepr e l'Oder (v. sopra: Delimitazioni e confini). La disposizione delle zone montuose, degli altipiani e dei bassopiani è tale che, nell'insieme, il paese va regolarmente abbassandosi da S. a N., cioè dai Carpazî al Baltico. Le minori regioni fisiche, nelle quali può dividersi la Polonia, hanno quindi, per lo più, una superficie che si allunga nel senso dei paralleli: ciò che costituisce un'altra caratteristica del paese.
La Polonia, come si è già visto, possiede solo un brevissimo tratto del litorale baltico, tra il territorio di Danzica e la Pomerania tedesca. La stretta zona di territorio polacco che si spinge verso il mare (la piccola Pomerania o Pomerellia, in polacco Pomorze, cioè litorale) costituisce quello che è noto comunemente col nome di "corridoio polacco". Il litorale è sabbioso, e chiuso verso l'interno da zone paludose. Esso, inoltre, per quasi la metà del suo sviluppo non dà sul mare aperto, ma su una parte quasi lagunare del Golfo di Danzica, chiusa a settentrione da una lunga penisoletta sabbiosa (Mierzeja Hel), un cordone largo quasi dappertutto mezzo km. appena, percorso da dune parallele alla costa e alte non più di 15-20 m., abitato da pescatori. Oltre che brevissimo, il litorale polacco presenta condizioni poco favorevoli alla vita marinara; malgrando ciò, con sforzi e sacrifici ingenti la Polonia ha fatto sorgere qui il suo porto da guerra e mercantile, Gdynia, il cui sviluppo, come si vedrà in seguito, è stato rapidissimo.
Alle spalle della bassa zona costiera compresa tra il C. Rozewski e la foce del Niemen si ha una regione leggermente più elevata (Dosso Baltico: 100-300 m.), cosparsa di laghi; essa appartiene alla Polonia solo in piccola parte (la Pomerania orientale), mentre la parte maggiore, conosciuta col nome di Masuria, rientra nella Prussia Orientale. La Pomerania polacca è occupata a N. da rilievi morenici alti più di 300 m., ricchi di laghi e coperti da belle foreste e da praterie (la cosiddetta Svizzera casciuba). Si passa quindi, procedendo verso S., nell'ampia zona delle grandi vallate scavate dalle acque di ablazione del ghiacciaio quaternario, alta dai 50 ai 150 m., limitata a mezzodì e a SE. dai rilievi della Piccola Polonia (Małopolska) e della regione di Lublino (dai 200 ai 600 m. di altezza). A S. della Pomerania si stende il bacino della Warta (affluente dell'Oder), che forma la Posnania, regione di pianure dal suolo argilloso e sabbioso (Pliocene), profondamente incise dai fiumi, con piccole colline moreniche che ne interrompono la monotonia. Le valli ricettano spesso ampî laghi dalla forma allungata. In alcune parti (come, ad es., presso Ostrów), la pianura è costituita da morene di fondo, con qua e là caratteristici paesaggi a drumlins, collinette arrotondate che rappresentano dei depositi subglaciali. Al centro della Posnania, sulle due rive della Warta, sorge Poznań, una delle maggiori città polacche. E da questa zona che s'iniziò l'unificazione delle tribù polacche, e Gniezno, piccola città a NE. di Poznań, fu l'antica sede dei Piasti.
A oriente di Gniezno il paesaggio cambia: si entra nella Cuiavia, una delle regioni più fertili della Polonia, perché ricoperta da una terra nera detta per l'appunto humus di Cuiavia. La Cuiavia, il cui centro principale è Inowrocław, è formata da una pianura leggermente ondulata, alta una novantina di metri, che sulla destra della Vistola si continua in una zona, pure pianeggiante, sormontata da lunghi allineamenti di dune continentali, che secondo S. Lencewicz sono di età posteriore a quella del löss e sono state costruite dai venti occidentali, anche adesso prevalenti nel paese La regione intorno a Varsavia, detta Masovia, è uniformemente piana; vi si congiungono, poco a valle della capitale, il Bug e la Vistola. A oriente della Masovia si ha la Podlasia, che si può identificare, nel complesso, col bacino del Narew, affluente del Bug; essa ha per centro Białystok, ed è un paese in parte basso e paludoso, in parte occupato da collinette sabbiose o ciottolose, rivestite tuttora da grandi foreste.
A NE. il territorio polacco s'incunea largamente tra la Lituania e la Russia Bianca: si tratta di una parte dei bacini del Niemen e della Dźwina, regione sterile e spopolata, ricca di laghi, solcata da grandi vallate fluvio-glaciali ancora paludose e coperta in gran parte da foreste. Basse colline moreniche formano lo spartiacque tra i numerosi fiumi. Vilna è il centro politico ed economico della regione.
La morfologia dell'ampia fascia di bassopiani è dovuta essenzialmente - come si è potuto capire dai brevi cenni dati - al fenomeno glaciale. Durante il Cenozoico, il Baltico giungeva fino a oriente di Brześć con un grande golfo, che poi andò man mano colmandosi. Sedimentazioni marine paleogeniche si trovano infatti su tutta la sezione più orientale di questa zona, mentre nel resto si rinvengono sedimentazioni neogeniche. Durante l'epoca glaciale pleistocenica la regione fu soggetta a tre glaciazioni: nella sua prima la ghiaccia si spinse fino ai piedi dei Carpazî, occupati anch'essi in gran parte da ghiacciai; durante la seconda espansione la ghiaccia non si spinse oltre la Polonia centrale; e nella terza, non oltre la bassa fascia peribaltica. Questi ghiacci lasciarono tracce notevolissime nella morfologia del paese: grandi depositi morenici; ampî solchi, detti pradoliny, diretti per lo più da E. a O., che, come si è detto, furono scavati dalle acque di ablazione e ora in parte sono asciutti o utilizzati da canali artificiali; numerosi gruppi di laghi; ampie zone paludose.
I bassopiani peribaltici - si è già accennato - sono limitati a S. dai rilievi della Piccola Polonia e del Lublinese. I primi, situati a occidente della Vistola, tra questa e la frontiera con la Germania, sono costituiti da rocce paleozoiche e mesozoiche, ricche di minerali utili (soprattutto carbone), e sono di formazione assai più antica dei Carpazî. Un tempo la loro altezza dové essere notevole: ora l'opera degradatrice degli agenti atmosferici li ha ridotti ad altezze modeste o li ha, in qualche tratto, addirittura spianati. Tra la Vistola e il suo affluente Pilica, i Lysogóry salgono a 612 m. Notevole è l'importanza di questi rilievi, sia per le ricchezze minerarie che racchiudono, sia perché, scendendo essi, spesso, sui bassopiani circostanti, con ripide balze, costituirono, nei tempi passati, quasi una fortezza naturale: e vi sorgevano, infatti, numerosi castelli, a difesa della regione circostante. Di rocce cretaciche sono formati i rilievi del Lublinese, tra il San e la Vistola a O. e il Bug a E. La roccia è ricoperta anche qui da fertile terra nera, che rende la regione una delle migliori della Polonia dal punto di vista agricolo.
A SE. delle colline che separano il bacino del Niemen da quello del Prypeć si stende la Polessia (in polacco Polesie, in russo Poles′e), di cui appartiene alla Polonia soltanto la metà occidentale mentre quella orientale fa parte del territorio della Russia Bianca: una conca a fondo piatto, il cui sottosuolo è formato da marne del Cretacico, coperte da una spessa coltre di argille glaciali, sulle quali alla loro volta riposano sabbie fluvio-glaciali. La regione è in buona parte occupata da immense paludi (Paludi di Rokitno o di Pińsk, le maggiori d'Europa) e da grandi foreste, ed è ricca di laghi e di stagni. Gli scarsi abitanti vivono nelle zone più asciutte, per lo più in piccoli villaggi di capanne di legno.
Verso S. il terreno va elevandosi ed è coperto dalla morena di fondo di un grande lobo del ghiacciaio pleistocenico, la quale è attraversata in ampie vallate dagli affluenti di destra del Prypeć. Il paesaggio diviene più accidentato e più vario: si entra nella Volinia (Wołyń), regione collinosa poco elevata (non più di 300 m. s. m.), dove gli affluenti del Prypeć hanno scavato valli profonde con caratteristici meandri incassati. Si ha quindi, procedendo sempre verso mezzodì, la Podolia (in polacco Podole, in ucraino Podille), un altipiano (chiamato Ripiano Podolico) formato da un imbasamento granitico coperto da strati quasi orizzontali di scisti, calcari e arenarie paleozoiche (Silurico, Devonico), sui quali si stendono sedimentazioni del Cretacico e del Neogenico (argille sabbiose), coperte alla loro volta da una coltre di löss e di černozem (in pol. czarnoziem) che rende fertilissima la regione. L'altipiano è alto a N. più di 400 m. e va abbassandosi verso S. Questa è la direzione dei corsi d'acqua, i quali lo hanno inciso con valli incassate e profonde (specialmente quelle del Dnestr e dei suoi affluenti). Il ciglio settentrionale del Ripiano Podolico scende ripido sulla piana del Bug e, tormentato com'è dall'erosione presenta l'aspetto di una regione aspra e montana, tanto che è chiamato Cołogóry (= montagne nude). La Podolia, di cui appartiene alla Polonia la parte occidentale, si continua verso NO. nel Roztocze, rilievo che s'innalza a S. delle colline di Lublino e che presenta una cresta parallela a quella dei Carpazî Orientali. È importante perché vi passa lo spartiacque tra il Mar Baltico e il Mar Nero; qui sorge Leopoli (Lwów), per popolazione la terza città della Polonia.
I rilievi della Piccola Polonia, del Lublinese, il Roztocze, le colline della Volinia, l'altipiano della Podolia, tutti insieme formano una zona precarpatica larga sui 200 km., che costituisce sotto varî aspetti la parte più importante della Polonia. Regione di antico popolamento, densamente abitata, con terreni fertili, con ricchezze minerarie, con grandi industrie tessili e metallurgiche, con antiche città, centri culturali e commerciali di prim'ordine, come Cracovia, l'antica capitale, e Leopoli, essa possiede infatti tutto ciò che può valere per uno stato moderno.
Un solco, percorso dall'alto corso dei fiumi Vistola, San e Dnestr separa da questa fascia precarpatica la regione montuosa dei Carpazî. Il tratto di questa compreso nel territorio polacco si estende per 500 km. dalla Porta Morava (l'ampio solco che si apre tra i Sudeti e i Carpazî stessi) alle sorgenti del Czeremosz affluente del Prut, ed è formato dalla zona esterna dei piegamenti, costituita da arenarie e scisti argillosi (il cosiddetto flysch); solo per breve tratto la frontiera raggiunge, nei Tatra, i nuclei cristallini, che in territorio polacco salgono a 2499 m. (Rysy). L'ossatura dei Tatra è data appunto da un nucleo centrale granitico-gneissico, che la zona collinosa del Podhale, la quale si stende a N., separa da una zona subtatrica rappresentante il carreggiamento, operatosi da S. a N., delle sedimentazioni calcareo-arenacee che un tempo ricoprivano tutto il massiccio. La morfologia dei Tatra nelle linee generali è da porre in relazione con il modellamento glaciale dell'espansione pleistocenica, la quale, peraltro, conservò, più che distruggere, le forme originarie, poiché l'erosione glaciale vi ebbe un'efficacia inferiore a quella fluviale, tanto che si è potuta contestare l'influenza dei ghiacciai sulla topografia. Ma i numerosi circhi, occupati dai laghi, che si aprono da ogni lato delle creste, e gli accumuli morenici, hanno fornito la prova che la regione è stata sottoposta a varie espansioni glaciali. Secondo E. Romer, il limite delle nevi permanenti nell'ultima glaciazione ha oscillato tra i 1495 m. (valle della Bystra) e i 1710 (valle della Bialka, dove i ghiacciai sono scesi fino a 914 m.). Attualmente i ghiacciai mancano sui Tatra, ma il Romer ha dimostrato che ciò non dipende da cause d'ordine morfologico, bensì dalla distribuzione invernale delle precipitazioni, che qui non favorisce, come sulle Alpi, l'accumulo delle nevi.
Nella fascia esterna arenaceo-scistosa dei piegamenti carpatici i geografi polacchi distinguono i Beschidi Occidentali e i Beschidi Orientali; come limite tra gli uni e gli altri si prende comunemente il Passo di Dukla, dove il sistema si restringe - tra la Galizia e il Bassopiano Ungherese - a soli 150 km. di larghezza, e si abbassa a 500 m. I Beschidi Occidentali sono un dedalo di groppe arrotondate di arenarie cretaciche, coperte da dense foreste di conifere fino ai 1250-1300 m., che s'innalzano su una piattaforma, livellata verso i 400 m. e incisa da una fitta rete di vallate. La maggiore altezza si raggiunge nella Babia Góra (1725 m.), che mostra circhi glaciali e morene. La piattaforma è densamente popolata, specialmente là dove le valli si allargano in bacini (di Żywiec, di Nowy Sącz, di Jasło), generalmente dal suolo fertile.
Nei Beschidi Orientali il flysch prevale incontrastato e forma varie catene parallele, suddivise in piccoli tronchi da valli longitudinali. Nei pressi del Passo di Dukla la montagna è ridotta a groppe di arenaria alte appena 750-800 m., ma procedendo verso SE. va a mano a mano innalzandosi e facendosi più aspra; presso il confine con la Romania il massiccio della Czarnohora supera i 2000 m. (Howerla, 2058). La disgregazione dell'arenaria ha come risultato la formazione di un terreno poco fertile, ma favorevolissimo alla vegetazione forestale: e infatti le catene carpatiche del flysch sono coperte da immense distese di rigogliose foreste.
A SE. del bacino di Jasło si apre una depressione percorsa dalla Wisloka e dal San, affluenti della Vistola, densamente popolata, perché alle risorse agricole, forestali e dell'allevamento aggiunge ricchezze minerarie: petrolio e gas naturali. In quantità assai maggiore che in questa zona, peraltro, il petrolio è stato trovato più a SE. e al margine del sistema carpatico, intorno a Borysław. Si deve ricordare che il versante polacco dei Carpazî dalle sorgenti della Vistola a quelle del Prut e la fascia di colline che lo fronteggia, insieme con la parte occidentale della Podolia, fino al 1918 costituirono la provincia austriaca della Galizia. Ancor oggi la regione è spesso indicata con questo nome (per ulteriori notizie sui Carpazî, v. questa voce).
Condizioni climatiche. - La Polonia deve considerarsi come una regione di trapasso tra l'Europa centrale e quella orientale anche per quanto riguarda il clima, che nel complesso è temperato continentale, caratterizzato da escursioni annue assai forti, le quali in linea generale vanno aumentando a mano a mano che si avanza verso oriente, e dalle coste baltiche verso l'interno (escursione annua di 18°,4 a Hel, sul Baltico, di 20°,7 a Poznań, di 22°,5 a Varsavia, di 22°,7 a Leopoli, di 24°,4 a Pińsk). Le temperature sono influenzate dalla lontananza del mare, dalla latitudine e dall'altezza. Così Hel nel mese più freddo, gennaio, ha −1°,1; Poznań (a 210 hm. dalla costa), −1°,9; Leopoli (a oltre 600 km. dal mare), −4°,0 (e Leopoli, se si trova a 338 m. s. m., è però di quasi 5° di latitudine più a S. di Hel); nel mese più caldo, luglio, l'influenza del mare è inversa, cioè mantiene le temperature più basse (Hel 17°,2, Poznań 18°,8, Leopoli 18°,7). Per mostrare l'influenza della latitudine basterà confrontare i dati di Vilna (106 m. s. m., 54° 41 ′ N.) e di Varsavia (125 m. s. m., 52° 14′ N.): in gennaio si hanno rispettivamente −5°,0 e −3°,6; in luglio, 18°,7 e 18°,9. Per l'influenza dell'altezza si possono confrontare i dati di Cracovia, di Poronin e di Jablonica. La prima è situata a 220 m. s. m. e ha −3°,3 in gennaio e 18°,7 in luglio; Poronin, a 740 m., ha rispettivamente −5°,9 e 15°,3; Jablonica, a 900 m., ha −8°,5 e 4°,7.
Le temperature massime sono di 35-37°, quelle minime sui −30° nella Polonia orientale, sui −25° in quella occidentale, dove si risente ancora l'influsso oceanico.
La pressione barometrica d'inverno va aumentando da NO. a SE. (influenza delle alte pressioni della Siberia e dell'Asia centrale e delle basse pressioni che sovrastano l'Atlantico settentrionale), mentre d'estate va generalmente aumentando da NE. a SO. (influenza del massimo atlantico e del minimo continentale). La pressione annua media si abbassa all'ingrosso da S. a N. (Leopoli 762,7; Varsavia 761,9; Vilna 761,8: valori ridotti al livello del mare). Come conseguenza dell'andamento isobarico ora accennato si ha prevalenza di venti di SF., freddi e secchi, da gennaio a marzo; di forti venti occidentali da giugno a settembre. A primavera spirano soprattutto venti di NO. nella Polonia a occidente della Vistola, mentre in quella a oriente prevalgono venti di SE. Nell'autunno i venti più frequenti sono quelli meridionali. La violenza dei venti nell'insieme diminuisce da N. a S., e ciò come conseguenza del crescere della pressione media annua da S. a N. e per l'influenza del mare a settentrione e dei Carpazî a mezzodì. I venti più forti soffiano di solito da novembre a marzo.
L'umidità relativa è massima (87-90%) in dicembre (Polonia occidentale) o in novembre (Polonia orientale), minima (68-70%) in maggio (Polonia occidentale) o in giugno (Polonia orientale). L'umidità relativa media annua, com'è noto, diminuisce generalmente dal mare verso le regioni interne: ma ciò sembra che non si verifichi in Polonia, per quanto è dato sapere finora.
La nebulosità, che è in media di 6-7 decimi, ha il suo massimo in dicembre (intorno a 8) e il minimo in agosto (5-6). L'insolazione nel complesso è deficiente: Varsavia ha annualmente 1570 ore di sole (Roma 2362 ore); la media giornaliera è di 4 ore e mezza (1½ d'inverno, 4½ di primavera, 8 d'estate, 3½ di autunno); Poznań ha 1758 ore di sole, Cracovia 1796.
Le precipitazioni sono distribuite molto inegualmente, e si va da zone con meno di 500 mm. annui a zone con oltre 1200 mm. Le prime sono quattro: il medio bacino della Vistola, a O. di Varsavia, l'alto bacino del Noteć, il medio bacino della Warta e la Polessia a oriente di Pińsk. Le maggiori precipitazioni cadono sui Carpazî, dove in genere esse vanno crescendo con l'altezza (Cracovia, a 220 m. s. m., 735 mm.; Poronin, a 740 m., 922 mm.; Zakopane, a 850 m., 1230 mm.). La maggior parte del paese ha tra i 500 e i 700 mm. di precipitazioni, che nell'insieme vanno aumentando da N. a S. nella Polonia occidentale e viceversa in quella orientale (Hel 489 mm., Bydgoszcz 511, Varsavia 541, Leopoli 690; Vilna 592; Pińsk 533, ecc.) e sono prevalentemente estive (in media, 38% del totale: Poznań 35%, Varsavia 38, Pińsk 44, Bydgoszcz 36, Leopoli 39, ecc.). La stagione più secca è l'inverno (13-18°6 del totale annuo); le stagioni intermedie ricevono dal 20 al 24% di precipitazioni. Le abbondanti piogge estive sono portate dai venti occidentali, carichi di umidità.
Le precipitazioni nevose costituiscono una percentuale sempre più elevata delle precipitazioni totali procedendo da O. a E., e ciò in dipendenza dell'abbassarsi delle temperature invernali. A Varsavia esse rappresentano il 18% del totale (106 mm. annui) e i giorni con neve sono 58 (Hel 41, Poznań 40, Cracovia 53, Leopoli 59).
Nella tabella che segue sono riassunti i principali dati meteorologici di alcune stazioni polacche.
Acque continentali. - Il 75,6% del territorio polacco (294.500 kmq.) manda le sue acque al Mar Baltico, e il 24,4% (94.900 kmq.) al Mar Nero. I corsi d'acqua dei due bacini hanno caratteri assai diversi. Mentre i tributarî del Baltico si sviluppano in bacini assai ampî e piatti, separati l'uno dall'altro da basse ondulazioni del terreno, così che è stato facile collegarli mediante canali, quelli del Mar Nero, eccettuato il Prypeć, hanno bacini relativamente limitati e scorrono in valli incassate nei ripiani podolici e precarpatici: tali il Dnestr e il Prut e i loro numerosi affluenti. I primi poi hanno regime assai più regolare dei secondi e sono ampiamente navigabili; le loro massime piene avvengono generalmente in primavera, in corrispondenza allo scioglimento delle nevi; i minimi si verificano in settembre o ottobre. Il 46,7% del territorio polacco è scolato dalla Vistola (in polacco Wisła, in tedesco Weichsel) che, originatasi nei Beschidi Occidentali non lontano dal confine con la Cecoslovacchia a circa 1100 m. s. m., scende al piano rapidamente, tanto che a Cracovia, a soli 140 km. dalle sorgenti, è già a 200 m. s. m. e a Sandomierz, a 280 km., a 150 m. Infatti l'86% del suo bacino (vasto circa 200.000 kmq., dei quali 181.400 in territorio polacco) si trova a meno di 300 m. d'altezza, e più di un terzo (37%) sotto i 150 m. Il suo corso, sul quale, oltre Cracovia, si trovano Varsavia, capitale della Polonia, e Torun, forma un grande arco con la parte convessa volta a E.; all'altezza di Bydgoszcz (città situata sul suo affluente Brda, a poca distanza dalla confluenza) cambia direzione e si volge verso N., quindi si biforca e il ramo di destra, il Nogat, sfocia nel Frisches Haff, e il ramo di sinistra, il piu importante, si biforca nuovamente a una decina di km. dal mare: un braccio (Elbinger Weichsel), ora quasi completamente insabbiato, va anch'esso a finire nel Frisches Haff, un altro braccio, che un tempo era il minore, si gettava in mare dopo aver seguito per un certo tratto il cordone di dune litoranee; ma il 1° febbraio 1840, in seguito a una piena, il fiume si aprì un varco nel cordone sabbioso 12 km. più a monte, presso Neufähr; e nel 1895, poi, fu aperto artificialmente un nuovo sbocco al fiume, 18 km. Ancora più a monte. L'ultimo tratto della Vistola (Vistola Morta) è stato trasformato in canale (una chiusa impedisce le piene e l'insabbiamento) e su di esso si è sviluppata Danzica.
La Vistola ha un corso di 1070 km. e trascina annualmente 2,7 milioni di mc. di materiali solidi, con i quali ha costruito un ampio delta (2000 kmq.), agevolata in questo dal fatto che il Baltico ha maree minime e correnti assai deboli. La portata del fiume è in media di 1000 mc. al secondo, con minimi (settembre) di 400 mc. e massimi (aprile) che salgono anche ai 10.000 mc. Battelli di 200 tonn. possono risalirla fino a Dęblin, ma nei periodi di acque alte la navigazione è attiva fino a Cracovia con battelli di minore tonnellaggio. I Russi poco si curarono di regolarne il corso, che invece era stato sistemato opportunamente in territorio prussiano. Sono in esecuzione (1935) ingenti lavori per migliorare la navigabilità del fiume, che un canale (Canale di Bydgoszcz) collega al Noteć (bacino dell'Oder).
Dei numerosi affluenti della Vistola il più importante è il Bug (di destra), lungo 730 km. e con un bacino di 73.300 kmq. Esso ha origine nel Ripiano Podolico, ed è un fiume di pianura, che scorre in una valle ampia e piatta, accompagnato da bracci morti, stagni e paludi; il Canale Królewski lo unisce al Prypeć (bacino del Dnepr); il suo affluente Narew, che riceve molti tributarî provenienti dai Laghi Masuri, è collegato dal Canale di Augustów al bacino del Niemen. Il Bug si scarica nella Vistola a valle di Varsavia, ma prima della sua confluenza la Vistola riceve altri quattro importanti tributarî, il Dunajec (240 km., 6960 kmq. di bacino), il San (450 km., bacino 16.870 kmq.), il Wieprz (285 km., bacino 10.760 kmq.) e la Pilica (310 km., bacino 9720 kmq.), quest'ultima di sinistra, gli altri di destra. Il Dunajec e il San si originano nei Carpazî, il Wieprz si forma nel Roztocze, e la Pilica nei rilievi della Piccola Polonia.
La Polonia occidentale fa parte del bacino dell'Oder, perché è scolata dal suo più notevole affluente di destra, la Warta (752 km., di cui 626 in territorio polacco), che si origina a breve distanza dalla Pilica nella Piccola Polonia e riceve il Noteć (ted. Netze, 360 km.). La Warta è povera di acque, relativamente all'ampiezza del bacino (54.400 kmq.), perché questo riceve scarse precipitazioni, come si è già visto: tuttavia la navigazione vi è attiva a valle di Poznań, il centro più ragguardevole che sorge sulle sue rive.
Nella Polonia orientale si susseguono, da N. a S., i bacini dei fiumi Dźwina, Niemen, Prypeć, Dnestr e Prut. La Dźwina (la Daugava dei Lettoni e la Zapadnaja Dvina dei Russi) serve per breve tratto (80 km.) di confine tra la Polonia, l'U. R. S. S. e la Lettonia; scorre in territorio polacco il suo affluente Dzisna. Il Niemen (lunghezza 992 km., dei quali 407 in Polonia; bacino 91.900 kmq., di cui 52.200 polacchi), nato dalle Paludi di Pińsk e sfociante nel Kurisches Haff, è un fiume giovane, formatosi dopo il ritiro della ghiaccia quaternaria; esso inizialmente era un affluente della Vistola-Warta (v. vistola), e solo in epoca geologicamente recente si è volto verso settentrione, aprendosi un varco attraverso il Dosso Baltico. Il Niemen in territorio polacco riceve la Szczara (330 km.), che il Canale di Ogiński collega al bacino del Prypeć.
Del Prypeć scorrono in Polonia 315 km. su 650 del corso totale; oltre 57.000 kmq. di territorio polacco inviano le loro acque a questo fiume, che attraversa la Polessia, snodandosi in numerosissimi meandri e formando un labirinto di biforcazioni e di bracci morti.
Il Dnestr nasce dai Beschidi Orientali a O. di Turka, e scorre in territorio polacco per 495 km. su 1380; dei 33.400 kmq. che costituiscono il suo bacino compreso entro i confini della Polonia, il 20% si trova a un'altezza superiore ai 500 m., e il 50% fra 300 e 500 m. È forse il fiume più tortuoso d'Europa, e scorre infatti con meandri incassati, profondi 150 m., attraverso il Ripiano Podolico, formando una specie di corridoio dagli aspetti assai varî e pittoreschi. I suoi tributarî, tanto quelli che scendono dai Carpazî, quanto quelli provenienti dalla Podolia, sono caratteristicamente paralleli. Del Prut, affluente del Danubio, solo un 130 km. rientrano in Polonia; il Czeremosz, suo tributario, segna in parte il confine con la Romania.
La Polonia è assai ricca di bacini lacustri, che si contano a varie migliaia (il catalogo elaborato dall'Istituto di geografia dell'università di Varsavia ne enumera circa 3000 con più di 1 ettaro di superficie). Oltre un migliaio di essi si trova nella regione di Vilna, a N. del Niemen: e tra questi il Narocz, il più vasto dei laghi polacchi (80,5 kmq.), lo Snudy-Strusty (63,5 kmq.), il Dryświaty (44,7 kmq.), il Drywiaty (37,8 kmq.), il Dzisna (24 kmq.), lo Świr (22,5 kmq.), ecc. Altre regioni molto ricche di laghi sono la Polessia, che ne conta più di 500 (Świteź Poleska, 28,4 kmq., Wygonowskie, 26,6 kmq., Czarne nad Jasiołdą 17,2 kmq., ecc.); la Cuiavia, che ne ha 270 (il maggiore è il Gopło, 23,4 kmq.); la regione di Suwałki, con circa 300 (tra i quali il Wigry, 21,3 kmq.); la regione di Dobrzyń, con 190, e quella di Lublino, con 104. I laghi montani dei Tatra polacchi sono una quindicina, tutti assai pittoreschi; tra essi si ricordano il Morskie Oko (0,30 kmq.), il Wielki Staw w Roztoce (0,33 kmq.), il Czarny Staw nad Morskiem Okiem (0,18 kmq.). L'origine della maggior parte dei laghi della Polonia è dovuta alla glaciazione quaternaria (erosione della ghiaccia e delle acque subglaciali, accumulazione delle morene, ecc.). Pochi, come si è visto, sono i laghi di superficie notevole: secondo S. Lencewicz soltanto 25 di essi hanno un'area superiore ai 10 kmq., e di questi due soli superano i 50 kmq. Anche la profondità in genere è assai piccola, e sono relativamente pochi i bacini lacustri con profondità superiore ai 20 m.; il massimo si riscontra nel montano Czarny Staw nad Morskiem Okiem (84 m., v. carpazî, IX, tav. XXXVII). I laghi dei Tatra di solito sono disposti in serie digradanti lungo una stessa valle, e tale successione è da mettersi in rapporto, oltre che col modellamento glaciale, anche con i movimenti subiti dal massiccio durante la glaciazione. I più elevati, sul gradino superiore, presso le testate delle valli, sono laghetti di circo, piccoli ma profondi, chiusi tra ripide pareti rocciose, meno che verso valle; i laghi più bassi sono per solito sbarrati da cordoni morenici, sovrapposti talora ad argini rocciosi.
Vegetazione e flora.
La posizione geografica della Polonia tra l'Europa centrale e l'orientale rende interessante la sua flora, la quale nel complesso presenta maggiori rapporti e affinità con la flora germanica che non con la russa.
Nella zona costiera del Baltico si trovano elementi atlantici (Erica tetralix, Myrica Gale), con frequenti piante alofite e psammofite. La parte occidentale del bassopiano polacco è caratterizzata da foreste dove predomina il Pinus silvestris e dal graduale scomparire di elementi atlantici a mano a mano che si procede verso E. Una linea che corre da N. a S. press'a poco tra il 23° e il 15° meridiano E., segna il limite orientale del Taxus baccata. I Łysogóry hanno foreste dove prevale Abies pectinata e Fagus silvatica. Il limite orientale di questo ha un andamento molto irregolare e dal Baltico va a passare poco a N. di Toruń, e a O. di Poznań, per poi dirigersi verso la Podolia passando presso Łódź, Radom e Leopoli. L'Abies pectinata si trova solo nella Polonia di SO., a S. della linea Breslavia-Siedlce e a O. della linea Siedlce-Kołomyja (fa eccezione una zona della foresta di Białowieża).
Nella parte meridionale della Polonia (Opole, Roztocze, Lublinese, Piccola Polonia) si fa molto sentire l'influenza della flora steppica del Ponto, specialmente nelle zone coperte da löss, dove si hanno effettivamente associazioni steppiche formate di Stipa capillata e Stipa pennata, di Prunus fruticosa, di Carex humilis, di Inula ensifolia.
Nella Polonia di NE. si trovano in numero ragguardevole elementi settentrionali, e le foreste di conifere (specialmente di Pinus silvestris) hanno la prevalenza su quelle di latifoglie. La vegetazione della paludosa Polessia è caratterizzata da grandi foreste di pini; dove il suolo è sabbioso s'incontrano frequenti Betula verrucosa e B. pubescens, Populus tremula e Quercus pedunculata; nelle zone più umide prevalgono i salici (tra cui Salix repens). Il limite meridionale del Pinus silvestris si trova tra la Volinia e la Podolia; nella parte occidentale di questa le non vaste aree forestali sono prevalentemente di latifoglie.
Sui Carpazî si trovano foreste di faggi e di pini in media fin verso i 1260 m.., poi foreste di picee fino ai 1550 m., cui seguono, fin verso i 1960 metri, foreste di Pinus mughus. Oltre questo limite cominciano i pascoli, con flora d'alta montagna, più ricca nei Carpazî Orientali che imquelli Occidentali. Molto caratteristica è la flora dei Pieniny, dove s'incontrano numerose piante endemiche (Chrysanthemum Zawadzkii, Aster glabratus, Arabis pienina, Brunella pienina, ecc.).
Fauna. - La fauna della Polonia comprende le specie viventi nelle pianure e nelle catene montuose dell'Europa centrale e non mostra caratteristiche particolari. La presenza di foreste favorisce la vita dei grossi Mammiferi quali il lupo, la lince, il cinghiale. Nei fiumi della Polessia c'è ancora qualche castoro. Nella grande foresta di Bialowieża vivono non numerosi i bisontî d'Europa, un tempo notevolmente diffusi in tutto il centro europeo, e sui Tatra sopravvivono ancora il camoscio, la marmotta e la Capra rupicapra.
Le altre specie di Mammiferi viventi in Polonia sono comuni a quelle della fauna europea propriamente detta. Ben rappresentata l'ornitofauna, mentre i Rettili e gli Anfibî vi sono più scarsi. I grandi fiumi che percorrono il territorio polacco albergano una notevole ittiofauna d'acqua dolce.
Dati demografici. - Il primo censimento compiuto nella Repubblica Polacca è quello del 30 settembre 1921, e a tale data risultarono 27.176.700 ab., 70 per kmq. Il secondo censimento ebbe luogo il 9 dicembre 1931 e diede una popolazione di 32.120.000 ab., 82,2 per kmq.; una valutazione al gennaio 1934 ha dato 33.024.000 abitanti. Nel decennio 1921-1931, dunque, la popolazione della Polonia è aumentata in media del 18,2‰ all'anno (nel territorio già sotto il dominio russo nel periodo 1867-1885 l'aumento fu addirittura del 22‰). Tale aumento è fortissimo, tra i maggiori, anzi, verificatisi in paesi europei, e risulta particolarmente elevato nei voivodati orientali, dove la popolazione è in parte formata da Ruteni, Russi Bianchi e Lituani e dove è notevolmente più forte l'eccedenza delle nascite sulle morti: poiché l'aumento della popolazione in Polonia è dovuto appunto, essenzialmente, all'incremento naturale. Nel quinquennio 1919-1923 per 1000 abitanti si ebbero 33,3 nati vivi e 22,3 morti (eccedenza di 11); nei due quinquennî successivi, 1924-1928 e 1929-1933, i nati furono rispettivamente il 33,3 e il 29,9‰, i morti il 17,2 e il 15,4‰ (eccedenza del 16,1 e del 14,5‰). La media annua dei matrimonî su 1000 ab. fu dell'11,3‰ nel periodo 1919-1923, ed è risultata dell'8,9 nel 1929-1933 (massimo nei voivodati meridionali, 9,2). Tanto la nuzialità, quanto la natalità e la mortalità tendono alla diminuzione: diminuzione più pronunciata, fortunatamente, nella mortalità, per le assai migliorate condizioni sanitarie. I voivodati dove l'accrescimento naturale della popolazione è minore sono quelli della Polonia meridionale, che hanno la mortalità più elevata (17,1‰ nel 1929-1933; voivodati del Lentro 14,9, dell'est 15, dell'ovest 14) e non raggiungono la natalità dei voivodati orientali (rispettivamente 30,2 e 33,2‰; voivodati del centro 29,1, dell'ovest 27,5). Nel complesso tanto la natalità quanto la mortalità vanno diminuendo a mano a mano che si procede da est verso ovest. Per l'accrescimento naturale della popolazione, la Polonia è a uno dei primi posti tra i paesi europei, essendo superata soltanto dalla Russia, dalla Bulgaria e dalla Iugoslavia. Il forte aumento di popolazione verificatosi tra il 1921 e il 1931 oltre che dalla sopravvivenza è stato causato dal rimpatrio di un gran numero di persone che a causa della guerra avevano dovuto abbandonare il territorio polacco (profughi, prigionieri, ecc.): tra il 1919 e il 1925 furono rimpatriati 1.182.000 individui.
Prima della guerra mondiale i territorî che costituiscono ora la Repubblica Polacca erano uno dei maggiori focolai europei di emigrazione, tanto transoceanica quanto continentale. I dati che si posseggono al riguardo sono poco attendibili, perché nelle statistiche i Polacchi erano spesso computati insieme con i Russi o i Tedeschi, secondo che provenivano dai territorî soggetti alla Russia, alla Germania o all'Austria, talvolta, poi, erano considerati a parte gli emigranti ebrei o ruteni provenienti da territorio polacco. Comunque, si può ritenere che tra il 1900 e il 1914 emigrassero in media annualmente per paesi transoceanici circa 100 mila Polacchi, oltre a un numero assai considerevole di Ebrei e di Ruteni. L'80-85% degli emigranti si dirigeva negli Stati Uniti, il resto andava a stabilirsi nel Canada, nell'Argentina e nel Brasile. Nel periodo 1899-1914 la media annua dei Polacchi emigrati negli Stati Uniti fu di 87.700. Tale emigrazione transoceanica era in gran parte permanente, perché i rimpatrî da quei lontani paesi oscillavano, secondo gli anni, tra il 12 e il 32%. Temporanea era invece l'emigrazione continentale, diretta soprattutto in Germania (90% del totale, che era annualmente di circa 600.000 individui), seguita a gran distanza dalla Danimarca. La Germania accoglieva ogni anno - per alcuni mesi - dai 300 ai 440 mila Polacchi e dai 60 ai 120 mila Ruteni abitanti in territorio polacco. Si deve aggiungere a tutto questo l'emigrazione verso altre regioni dell'Impero russo, anch'essa considerevole (nel 1914 si calcolavano a 700 mila i Polacchi che vivevano fuori della Polonia in territorî russi).
Dopo la guerra e la costituzione della Polonia in stato indipendente si ebbe un cambiamento radicale nell'emigrazione tanto continentale quanto transoceanica. Questa fu ridotta a un terzo della cifra prebellica dalle limitazioni imposte dagli Stati Uniti, che, come si è detto, ne assorbivano quasi i 9/10, dai cambiamenti introdotti nella politica d'immigrazione dagli altri paesi americani, dalla svalorizzazione della moneta polacca, dall'aumento delle spese di trasporto. La Germania, che assorbiva i 9/10 dell'emigrazione continentale, negli ultimi non soltanto non ha offerto più lavoro agli operai polacchi, ma ha rimpatriato anche quelli che vi risiedevano da molti anni o li ha costretti a cercar lavoro in altri paesi. Si ebbe così, dal 1919, un'emigrazione verso la Francia, ragguardevole ancora nel 1933. Notevole è pure la corrente migratoria verso la Palestina, formata esclusivamente da Ebrei. Nel complesso l'emigrazione continentale è diminuita di ¼ rispetto alle cifre prebelliche, e può dirsi cessata verso la Germania e la Danimarca. La diminuzione dell'emigrazione non è dovuta soltanto alle ragioni sopra accennate, di carattere esterno, ma anche a ragioni di carattere interno: riforma agraria, sviluppo della legislazione protettrice del lavoro, incremento delle industrie, ecc.
Dopo la proclamazione dell'indipendenza il numero dei rimpatrî si è elevato naturalmente, e supera il 50%. Tra il 1926 e il 1930 emigrarono dalla Polonia 964.100 persone, delle quali 679.100 dirette verso paesi europei (285.100 in Francia, 362.600 in Germania, ecc.) e 285.000 verso paesi extraeuropei (42.700 negli Stati Uniti, 103.700 nel Canada, 119.600 nell'America Meridionale, 12.300 in Palestina, ecc.). Nel 1933 l'emigrazione fu di 35.500 persone soltanto (76.000 nel 1931, 21.400 nel 1932), delle quali 11.400 dirette in Francia, 10.300 in Palestina, 3800 nell'America Meridionale, 1300 negli Stati Uniti, 1100 nel Canada. L'emigrazione verso la Germania superò di poco le 700 persone. I rimpatrî furono 459.700 nel quinquennio 1926-1930 (dei quali 426.500 da paesi europei e di questi 320.200 dalla sola Germania), 87.700 nel 1931, 38.600 nel 1932 e 18.800 nel 1933 (14.900 da paesi europei).
I Polacchi sono variamente stimati tra i 28 e i 30 milioni, dei quali 22.000.000 vivono in Polonia, e i rimanenti sono sudditi di altri stati, in territorî adiacenti alla madre-patria o formanti isole etniche in mezzo a popolazioni diverse; oppure risiedono come immigrati in altri stati europei e americani. Dei Polacchi che vivono fuori dei confini della vatria, 3.342.200 sono negli Stati Uniti (dei quali 1.268.600 nati in Polonia, e il resto negli Stati Uniti), 782.300 nell'U. R. S. S. (specialmente in Ucraina e nella Russia Bianca), 310.000 in Francia, 259.800 in Germania, 120.000 nel Brasile, 82.000 in Romania, 81.000 in Cecoslovacchia, 58.000 in Lituania, 57.000 in Lettonia, 12.000 nel territorio della Città Libera di Danzica, ecc. Ragguardevoli sono pure i nuclei di Polacchi che vivono nel Canada e nell'Argentina. Si noti che le cifre riportate sono per lo più quelle ufficiali dei singoli stati, e si devono considerare come cifre minime.
Secondo fonti polacche nell'U. R. S. S. vivrebbero 1.370.000 Polacchi (quasi il doppio di quelli dati dalle statistiche sovietiche), in Cecoslovacchia 250.000, in Lituania 240.000, ecc.: e il totale dei Polacchi salirebbe a 29 o 30 milioni.
Distribuzione della popolazione. - Si è già detto che per popolazione assoluta la Polonia è al 6° posto tra gli stati europei; per la popolazione relativa essa è superata, tra gli stati più grandi, dalla Gran Bretagna, dalla Germania e dall'Italia, e tra gli stati di secondaria importanza, dal Belgio, dall'Olanda, dalla Cecoslovacchia, dalla Svizzera e dall'Ungheria. Hanno una densità di popolazione uguale press'a poco a quella della Polonia la Danimarca (82) e l'Austria (81). Come si può vedere dalla cartina a p. 731, la popolazione è distribuita molto inegualmente. Questo si rileva anche considerando solo i dati dei voivodati (che hanno una superficie media di 24.250 kmq., con un minimo di 4230 kmq. per il voivodato della Slesia e un massimo di 36.825 per quello della Polessia): varî voivodati della Polonia occidentale e meridionale hanno (censimento 1931) più di 100 ab. per kmq. (massimo nella Slesia, 307; poi Łódź, Cracovia, Kielce e Leopoli), mentre alcuni di quelli della Polonia orientale hanno meno di 50 ab. (Nowogródek, Vilna, Polessia; minimo in quest'ultimo voivodato, 30,8). Differenze ancora più forti si avvertono nei dati dei circondarî, in alcuni dei quali si superano perfino i 1000 ab. per kmq. (anche escludendo quelli che comprendono grossi centri), mentre in altri si scende a meno di 20. Una linea tirata tra Grudziądz e Równe lascia a NE. i territorî con meno di 50 ab. per kmq., e a SO. quelli con densità superiore a tale cifra. Le regioni più popolate sono, nel complesso, la Slesia, la Piccola Polonia, il Lublinese, la Podolia e le zone intorno a Varsavia e a Łódź; le meno popolate, la Polessia e la Polonia di NE.
Questa varia distribuzione della popolazione dipende da cause di ordine assai diverso: sono più popolate le regioni economicamente più evolute, dove ha preso grande sviluppo l'industria (per la presenza di giacimenti minerarî) e l'agricoltura è più progredita, anche perché favorita da suoli più fertili (Slesia, zona precarpatica e Ripiano Podolico, coperti da löss e da černozem; nel resto della Polonia prevale invece il podsol, adatto alle formazioni forestali, ma poco alle colture; v. oltre: Agricoltura) e da clima più mite. Le zone più spopolate coincidono con le regioni dove il clima è più rigido, la podsolizzazione del suolo più forte e l'estensione del mantello forestale più grande, e dove una percentuale assai forte del terreno è coperta da laghi, stagni e paludi.
Sulla distribuzione della popolazione hanno certamente influito anche cause d'ordine storico: basterà notare che le maggiorí densità si riscontrano nei territorî che prima della guerra mondiale erano soggetti all'Austria o alla Germania, le minori in quelli allora sottoposti al malgoverno russo.
Composizione etnica. - Mentre varî milioni di Polacchi vivono fuori della Polonia, questa ospita entro i suoi confini un numero assai rilevante di alloglotti, che nel censimento 1931 risultarono 9.925.000 (il 31% della popolazione totale). La costituzione etnica della popolazione della Polonia sarebbe la seguente:
La distribuzione dei varî gruppi allogeni può desumersi dalla tabella in basso, nella quale sono date le percentuali delle varie nazionalità per ogni voivodato.
Se si confrontano i dati del 1921 con quelli del 1931 si debbono rilevare alcune differenze che non sono fatalmente spiegabili. Ora, ad esempio, non vi sarebbero più Ruteni in Polessia, mentre nel 1921 erano il 17,7%, e i Russi Bianchi sarebbero soltanto il 9,1%, in confronto con il 42,6% del 1921; nel 1931 la popolazione di quella provincia sarebbe stata costituita per più di metà da alloglotti non Russi Bianchi né Ruteni né Ebrei né Tedeschi. Il censimento 1921 dava per le altre nazionalità non specificate soltanto il 4,9%. È evidente che nel 1931 la maggior parte dei Russi Bianchi e i Ruteni di Polessia sono stati considerati come una popolazione a sé, forse per il fatto che non hanno saputo dare indicazioni precise sulla loro pertinenza linguistico-nazionale. Nel censimento 1921 gli Ebrei risultavano presenti - come effettivamente sono - in tutti i voivodati; pochissimi certo nella Posnania e nella Pomerania, ma in numero notevole nella Slesia, dove invece non risultano dal censimento 1931. Quanto ai Tedeschi, il loro numero globale sarebbe fortemente diminuito, e ciò è spiegabile; non convince, però, il fatto ch'essi risultino presenti solo in 5 voivodati quando il censimento del 1921 li indicava presenti in tutti i voivodati, meno due (Vilna e Nowogródek).
I Ruteni formano la maggioranza della popolazione nei voivodati di Stanisławów e della Volinia, ma sono in buon numero anche nei voivodati di Tarnopol e di Leopoli e certamente pure in quello della Polessia. I Russi Bianchi si deve ritenere che abbiano la prevalenza nel solo voivodato della Polessia; la loro percentuale, peraltro, è elevata anche nei voivodati di Nowogródek e di Vilna e notevole in quello di Bialystok. Tanto i Ruteni quanto i Russi Bianchi, oltre che per la lingua e per alcuni caratteri somatici, si distinguono dai Polacchi per il più primitivo genere di vita e per la religione: i Russi Bianchi e i Ruteni della Polessia e della Volinia sono greco-orientali, i Ruteni della Galizia sono greco-cattolici. Tale differenza di religione è forse il maggiore ostacolo a una fusione dei Ruteni con i Polacchi, che altrimenti nelle campagne non sembrerebbe impossibile. L'ostacolo è meno forte con i Russi Bianchi, che si trovano a un livello economico e culturale inferiore a quello dei Ruteni e, d'altro canto, hanno una lingua più vicina al polacco. Nelle zone dove prevalgono i Ruteni e i Russi Bianchi, i Polacchi formano delle isole etniche specialmente intorno ai centri maggiori. Bencné in minoranza, essi occupano tutti i posti di comando e posseggono i 4/5 delle terre. L'Austria in Galizia favorì a suo tempo il progresso tanto economico quanto culturale dei Ruteni, certo allo scopo di contrapporli ai Polacchi; adesso l'irredentismo ruteno è incoraggiato e favorito dalla Russia.
I Tedeschi sono in buon numero specialmente nei voivodati occidentali, Slesia, Posnania e Pomerania, dove tuttavia non costituiscono in nessun caso più di una semplice minoranza della popolazione. Essi vi hanno esercitato una forte influenza specialmente nelle città e nelle zone industriali: ma nelle campagne l'elemento polacco, durante più di un secolo in cui le regioni suddette sono state unite alla Prussia, ha saputo resistere all'assimilazione. Poiché i Tedeschi hanno una natalità notevolmente inferiore a quella dei Polacchi, essi anche per questa ragione sono destinati a diminuire sempre più con una certa rapidità.
La Polonia è lo stato che ospita il maggior numero di Ebrei, che sono particolarmente numerosi nel territorio già sottoposto all'Impero Russo. Vivono quasi esclusivamente nei centri, e in 17 delle città con più di 10.000 ab. (tra le quali Białystok, Grodno, Brześć, Pińsk, Luck, Równe, Będzin, ecc.) formano oltre il 50% della popolazione. I nuclei maggiori per numero assoluto sono peraltro quelli di alcune grandi città: Varsavia conta 350.000 Ebrei (al 2° posto fra tutte le città del mondo, dopo New York), Łódź 150.000.
Tra le altre popolazioni che vivono entro i confini della Polonia sono da ricordare i Lituani del voivodato di Vilna; essi prevalgono soltanto in alcune zone ristrette, fra le più povere del paese. Notevole nella Volinia il numero dei Cèchi e degli Slovacchi, immigrati verso il 1860 e stabilitisi in una cinquantina di villaggi nella regione di Równe, dove coltivano soprattutto il luppolo. Essi sono in complesso 30 o 40 mila.
Da questo rapido sguardo alla distribuzione degli alloglotti si desume che i Polacchi formano una massa compatta nella Polonia centrale e occidentale e in quella di SO., mentre sono fortemente mescolati ad altre popolazioni nella Polonia orientale e di SE. Ma in tre voivodati soltanto essi risultano in minoranza: nella Polessia, nella Volinia e nel voivodato di Stanislawów.
Delle colonie straniere, le più numerose sono la tedesca, la cecoslovacca, la francese e la nordamericana. Gli Italiani nel 1927 erano circa 500, per quasi la metà dediti al commercio e per il resto operai minatori.
I nuclei maggiori si trovano a Katowice e a Varsavia.
Centri abitati e loro caratteri generali. - Un po' più di ¼ (il 27,2% nel 1931, in confronto del 24,6% del 1921) della popolazione vive nelle città, che sono complessivamente 636; i ¾ vivono in centri agricoli o in case sparse. Le città di gran lunga più numerose sono quelle con meno di 5000 ab., che sono 308 e ospitano il 2,9% della popolazione totale; seguono quelle con 5-10 mila ab. (177, 3,9% della popolazione), con 10-20 mila ab. (83, 3,4%), con 20-100 mila ab. (57, 6,5%), con 100 mila-1 milione di ab. (10, 6,8%); soltanto la capitale, Varsavia, ha popolazione superiore al milione di ab. (3,7% della popolazione totale).
La Polonia relativamente ha poche città, e piccola è la percentuale della popolazione urbana, a causa del carattere principalmente agricolo del paese. Per un confronto si ricorderà che la popolazione urbana della Francia corrisponde al 46% del totale, quella della Gran Bretagna al 79%. Il movimento della popolazione rurale verso le città, sebbene agl'inizî, è già assai notevole, ed è diretto soprattutto verso le regioni industriali. Sono appunto le città industriali, di origine recente, che avvertono gli aumenti di popolazione più ragguardevoli (Łódź, Katowice, Sosnowiec, Częstochowa, ecc.), a parte il caso di Gdynia.
Causa di urbanizzazione è altresì lo sviluppo di alcuni centri di villeggiatura e di cura (per la presenza di acque minerali), specialmente nei Carpazî (Zakopane e Krynica fino a poco tempo fa erano villaggi di montagna). Va notato che la maggior parte dei centri urbani ha il carattere transitorio della città agricola.
Osservando una carta della Polonia si rileva facilmente che le città sono sorte secondo direttrici ben distinte. Nella regione dei Carpazî troviamo infatti una serie di città più o meno importanti (Żywiec, Sucha, Maków, Nowy Sącz, Jasło, Krosno, Sanok, Turka) nelle conche che si allineano tra le catene principali e i loro contrafforti. Una seconda serie più importante si trova proprio al limite della zona carpatica: da O. a E. troviamo Cieszyn, Bielsko-Biała, Wielicxka, Bochnia, Tarnów (45.235 ab.), Rzeszów, Jarosław, Przemyśl (51.379 ab.), Sambor, Borysław (41.683 ab.), Drohobycz (32.622 ab.), Stryj (30.682 ab.), Stanislawów (60.256 ab.), Kołomyja (33.385 ab.). Queste città sorgono per lo più presso lo sbocco in piano di notevoli fiumi carpatici; il loro sviluppo si deve all'essere mercati di prodotti agricoli e centri di zone di sfruttamento minerario (carbone, salgemma, petrolio) e centri industriali.
Tra i Carpazî e l'altipiano della Piccola Polonia, tra i piani della Slesia e la Porta Morava da una parte e i piani della Vistola dall'altra, sorge Cracovia (Kraków). antica capitale dei re di Polonia, per popolazione (221.260 ab.) la quinta città della repubblica, all'incrocio di due importanti antiche strade, una che dal Mar Nero per Leopoli e la Slesia conduceva verso l'Europa occidentale, l'altra che dai paesi dell'Europa meridionale per la Porta Morava conduceva al Mar Baltico. Cracovia, in ottima posizione strategica (sotto l'Austria era una delle più potenti piazzeforti europee), dopo Varsavia il più vivace centro culturale polacco, è ragguardevole anche dal punto di vista economico, perché prossima al distretto industriale della Slesia, alle miniere di piombo di Olkusz, a quelle di salgemma di Wieliczka e di Bochnia, e attivissimo centro ferroviario.
Un gruppo assai fitto di città (alcune delle quali grandi) è sorto sul margine occidentale della Piccola Polonia, nella zona carbonifera: Katowice (127.044 ab.), Sosnowiec (109.454 ab.), Dąbrowa Górnicza (36.987 ab.), Zawiercie (32.713 ab.), Będzin (47.812 ab.), Nowy Chorzów (risultante dall'unione, avvenuta nel maggio 1934, dei centri di Chorzów, Królewska Huta e Hajduki, tra i quali non v'era più soluzione di continuità: 104.000 ab.), ecc. Altre città notevoli si trovano più a N. e a NE.: Częstochowa (117.692 ab.), Kielce (58.397 ab.), Tomaszów Mazowiecki (38.065 ab.), Radom (78.072 ab.) e altre minori. Nel Lublinese le città maggiori sono sorte al margine dei rilievi (Lublino, 112.522 ab., Chełm, ecc.). Leopoli, per popolazione (316.177 ab.) la 3ª città della repubblica, è situata sullo spartiacque tra la Vistola e il Dnestr, in un punto dov'è facile il passaggio tra i piani del Bug e quelli del San, all'incrocio delle strade che provengono dalla Volinia, dalla Podolia e dal Lublinese. In Podolia i centri maggiori sono sul margine settentrionale del ripiano (Brody, Krzemieniec), oppure nei punti di più facile passaggio delle valli meno profonde (Brzeżany, Tarnopol, 35.831 ab.); in Volinia, pure sul margine settentrionale, al limite della zona forestale della Polessia (Włodzimierz, Łuck, 35.700 ab., Równe, 40.788).
Nel resto della Polonia le città si sono sviluppate in prevalenza nelle grandi vallate diluviali, sulle rive dei corsi d'acqua navigabili, e specialmente presso le maggiori confluenze. Lungo la Vistola troviamo Varsavia, la capitale (1.187.211 ab.), al centro della pianura polacca, in un punto non lontano dalla confluenza del Bug (che a N. di Varsavia riceve la Narew) e da quella della Pilica: punto, quindi, dove s'incontrano le vie fluviali provenienti da tutte le regioni della Polonia, poiché, come si è visto, i fiumi suddetti hanno collegamenti idrografici naturali o artificiali con i sistemi fluviali del Niemen, del Prypeć (Dnepr) e della Warta (Oder). Pure lungo la Vistola si trovano Płock (32.777 ab.), Włocławek (56.377 ab.), Toruń (54.280 ab.), Bydgoszcz (a breve distanza dal suo corso, sull'affluente Brda: 117.519 ab.), Grudziądz (50.405 ab.), Tczew; sulla Warta, Poznań (per popolazione, 246.574 ab., la 4ª città polacca), a uguale distanza dal Baltico e dai Sudeti, tra i grandi solchi diluviali Toruń-Eberswald e Varsavia-Berlino, al centro di numerose vie terrestri e fluviali assai frequentate; sulla Prosna, affluente della Warta, Kalisz (55.113 ab.), sul Bug, Brześć (48.435 ab.); sulla Narew, Łomża e Pułtusk (nel bacino della Narew, peraltro, la città più importante è Białystok, 91.355 ab.); sul Niemen, Grodno (49.818 ab.); sulla Wilja, Vilna (191.049 ab.), alla confluenza della Wileńka, in posizione geografica favorevolissima, all'incrocio di vie provenienti dal centro della Polonia, dalla Russia settentrionale e dal Baltico. Nella regione nord-orientale di solito i centri evitano le morene frontali, le gole e le plaghe dunose, sorgendo di preferenza al limite di zone già occupate da antichi bacini lacustri. Lungi da corsi d'acqua e su una zona spartiacque oltre a Leopoli (316.177 ab.) si sono sviluppate altre importanti città, tra le quali Łódź (605.287 ab.; al 2° posto per popolazione), la Manchester polacca, situata sullo spartiacque tra i bacini della Pilica e della Bzura e quello della Warta; poi Piotrków (51.281 ab.), Gniezno (26.000 ab.), Inowrocław (30.862 ab.), Nowogródek. Nella paludosa Polessia i maggiori centri si trovano ai margini delle zone meno basse e più asciutte (Pińsk, 31.913 ab.). Unica città del breve litorale è Gdynia, il grande porto polacco, sorto e svluppatosi dove fino al 1920 era un villaggio di 300 pescatori (30.210 abitanti nel 1931).
Nella tabella che segue è data la popolazione dal 1860 al 1931 delle 11 città con più di 100.000 ab. (alle quali nel 1934 si è aggiunta Nowy Chorzów, v. sopra).
Tipi di villaggio e loro distribuzione. - I tipi di villaggio prevalenti in Polonia (la cui distribuzione è stata studiata da B. Zaborski) si possono ridurre a tre, con alcune loro varietà, e cioè: il villaggio ammucchiato, il villaggio di strada e il villaggio a catena. Il primo tipo, chiamato in polacco wieś wielodrożnica (corrispondente al Haufendorf dei Tedeschi), ha le case piuttosto serrate, costruite senz'ordine lungo varie stradette più o meno tortuose, e prevale in parte della Slesia, in una fascia lungo il corso dell'alta Vistola e del San e in tutta la Polonia di SE. (bacino del Dnestr e Ripiano Podolico). Esso è caratteristico delle regioni sprovviste da lungo tempo di foreste.
Il villaggio di strada (pol. wieś ulicówka; ted. Strassendorf) è formato da due serie compatte di case che per ½-2 km. si allineano ai due lati di una strada. Questo tipo si trova un po' dappertutto, ma più di frequente nella Polessia e nella regione di Nowogródek, dove i fondovalle sono acquitrinosi e soggetti a inondazioni e dove l'insediamento umano preferisce naturalmente le strette zone più elevate e più asciutte che servono di spartiacque. Una forma di transizione fra il villaggio ammucchiato e il villaggio di strada deve considerarsi il villaggio di crocicchio (wieś widlica), frequente in Volinia; e varietà del villaggio di strada, il villaggio ovale (wieś owalnica, Langdorf), composto di due strade arcuate e riunite a forma di fuso, con in mezzo una piazza, uno stagno, una chiesa o un cimitero. Il villaggio ovale è diffuso nella Posnania e nella Pomerania.
Il villaggio a catena (wieś rzędówka, Reihendorf) è formato da 1-2 serie di case, un po' distanti l'una dall'altra, allineate lungo una strada rettilinea, dalla quale si dipartono strade secondarie parallele tra loro, che dividono solitamente le varie proprietà, e proviene dalla colonizzazione recente (secoli XIX e XX). Questo tipo prevale in modo assoluto in tutta la Polonia occidentale e centrale. Talvolta esso assume la forma di un rettangolo regolare, con le case costruite vicine: questa varietà (wieś szeregówka) è prevalente nella zona tra Parczew, Grodno e Pińsk. Una varietà di villaggio a catena è prevalente pure nella zona carpatica e nel Lublinese, dove sorge spesso sui versanti o su terrazzi diboscati, allungandosi per tutta la lunghezza dei terreni appartenenti al villaggio stesso (wieś łańcuchówka, Waldhufendorf). Relativamente ristrette sono le zone dove prevale l'insediamento in dimore isolate: esse si trovano nella Pomerania, nella Posnania, tra Włocławek e Brodnica, lungo il medio corso della Vistola, nella Polessia, nella zona carpatica meridionale. Un insediamento di tipo intermedio tra la dimora isolata e il villaggio è quello negli aggregati elementari, i Weiler dei Tedeschi (in polacco przysiółek), piccoli nuclei di case privi di solito di un luogo di raccolta. Essi sono a N. della Vistola tra Plock, Mława e Białystok e in gran parte della Polonia di NE., a N. del Niemen.
Lo stato attuale dell'insediamento rurale in Polonia è il risultato di una lunga evoluzione, sulla quale hanno influito tanto fattori fisiografici (rilievo, acque, costituzione del suolo, rivestimento forestale, ecc.) quanto fattori sociali (abitudini delle varie popolazioni, necessità di difesa, intensità e varie forme di sfruttamento agricolo, legislazione, ecc.).
Occupazioni della popolazione. - Il carattere essenzialmente agricolo della Polonia, indicato già dalla percentuale della popolazione rurale, ci è confermato da quella della popolazione addetta all'agricoltura e alla silvicoltura: 63,8% (dati del 1921). Il resto della popolazione è così ripartito: industrie e miniere, 15,4%; commercio, 6,2%; comunicazioni e trasporti, 3,3%; altre occupazioni, 11,3%. Soltanto nel voivodato della Slesia le persone addette all'agricoltura e alla sĭlvicoltura sono meno del 50% (36,2%), ma tuttavia sempre superiori a quelle addette alle miniere e industrie (35,6%). A prescindere dalla piccola divisione amministrativa che comprende la capitale (dove naturalmente troviamo il 34,4% della popolazione che vive d'industria, il 23,0% di commercio e il 10,6% addetta alle comunicazioni e ai trasporti), si nota che il carattere agricolo va accentuandosi nel complesso da O. a E. (percentuale della popolazione che vive di agricoltura e silvicoltura nei voivodati di Poznań 55,7, della Pomerania 61,9, di Varsavia 67,8, di Białystok 72,3, di Nowogródek 83,7, di Vilna 88,6, di Łódź 53,8, di Kielce 61,9, di Lublino 73,4, della Polessia 82,0, di Cracovia 65,6, di Leopoli 70,9, di Stanisławów 77,1, di Tarnopol 81,3, della Volinia 81,0). I voivodati più industriali dopo la Slesia risultano quelli di Łódź (24,6% della popolazione), di Kielce (21,3%) e di Poznań (16,8%).
Condizioni economiche. - Agricoltura. - Secondo la carta dei tipi di suolo costruita da Slawomir Miklaszewski, i podsol sono i suoli prevalenti in Polonia. A. N. del 51° lat., press'a poco il parallelo di Lublino, predomina il podsol propriamente detto, tipico, un suolo pulverulento peculiare dei paesi a inverni umidi, freddi e lunghi, favorevole alle formazioni forestali, ma poco alle colture, perché a causa del lavaggio operato dalle piogge non vi abbondano elementi minerali solubili e perché a piccola profondità ha uno strato impermeabile. Benché le numerose varietà di podsol siano determinate più dalle condizioni climatiche e dalla situazione topografica che dalla natura delle rocce-madri, si è riconosciuto tuttavia che i terreni calcarei hanno dato origine a suoli che possiedono alla superficie humus più abbondante, il quale dà loro una colorazione nerastra simile a quella del černozem o terra nera. Tali suoli calcarei vengono localmente chiamati rędziny e sono diffusi in particolare nella Piccola Polonia, dove derivano da calcari devonici, giurassici e cretacei e da dolomie triassiche e dove si alternano con zone coperte da löss podsolizzato; sull'orlo meridionale dei rilievi della Pîccola Polonia verso la Vistola in qualche tratto si ha una coltre di černozem. I rilievi del Lublinese sono coperti in gran parte da löss più o meno podsolizzato o da černozem, caratteristico per il colore nerastro (da cui il nome) e per una zona a concrezioni di carbonato di calcio accumulate nella parte più profonda, fertilissimo, particolarmente adatto alla cerealicoltura. Nelle valli che incidono profondamente il Ripiano Podolico sono frequenti i rędziny. Nelle valli e nelle zone più depresse paludose, specialmente nella Polessia e nella Polonia di NE., coprono estese superficie i suoli torbosi, nerastri in superficie, grigiastri in profondità. Secondo i dati del 1931 l'utilizzazione delle terre in Polonia è la seguente:
I seminativi (per un confronto si ricorderà ch'essi costituiscono il 41,4% della superficie dell'Italia, il 44% di quella della Germania, il 41% di quella della Francia) occupano le maggiori percentuali di terreno nei voivodati di Tarnopol (66,8), di Varsavia (64,3, di Poznań (62,9), di Łódź (60,1); il minimo si riscontra nel voivodato di Stanisławów (34,1), il quale è il primo per i pascoli (12,0%) e le foreste (34,8%). Per i prati sono ai primi posti tutti i voivodati orientali: superano la percentuale generale i voivodati della Polessia (19,5), di Nowogródek (13,0), della Volinia (12,6), di Vilna (12,4), di Stanisławów (11,9), e di Białystok (10,2). Il minimo si ha nèl voivodato di Kielce (5,7%). Per i pascoli naturali ben s'intende come siano primi i voivodati che comprendono un tratto della zona carpatica e quelli orientali: seguono il voivodato di Stanisławów quelli di Vilna (10,9%), della Polessia (10,4), di Cracovia (9,4), di Nowogródek (8,5) e di Leopoli (8,2); il minimo si ha nel voivodato della Posnania, 2,4%. Le foreste (Italia 17,9%, Germania 27, Francia 19, Svezia 53) si estendono soprattutto nella parte orientale del paese e nella zona carpatica. Per la percentuale del terreno occupato da formazioni forestali, oltre al voivodato di Stanisławów, superano la percentuale generale i voivodati della Slesia (32,7), della Polessia (25,8), di Leopoli (24,8), della Pomerania (24,6), di Nowogródek (24,3), di Białystok (23,9), della Volinia (23,2), di Cracovia (23,0) e di Kielce (22,5). Il voivodato con la percentuale minore è quello di Varsavia (12,9). I frutteti e gli orti coprono superficie più ampie nei voivodati meridionali. Le zone lacustri e paludose, le brughiere e altri terreni incolti, insieme con i terreni sterili per natura o improduttivi dal punto di vista agricolo perché occupati da case e strade, occupano una percentuale maggiore di territorio nei voivodati orientali (Polessia 20,6%, Vilna 16,4, Volinia 12,8, Białystok 11,3, ecc.).
Fra tutte le colture è senza confronto la più importante quella dei cereali, che si estendono (media del quinquennio 1929-1933, al quale si riferiscono pure tutti i dati che seguiranno) sul 60,2% della superficie dei seminativi e sul 29% della superficie totale del paese (11.182.000 ettari). Nella tabella che segue si dà la superficie occupata dai principali di essi, la loro produzione e il rendimento medio nel quinquennio 1909-1913 (dati calcolati in base alle statistiche germaniche, austriache e russe) e nel quinquennio 1929-33.
Dopo i gravi danni che furono causati dalla guerra mondiale, l'agricoltura è andata riprendendo rapidamente, e ora già si nota un aumento considerevole nella produzione del grano e della segala, dovuto, per questa, anche a un miglioramento nel rendimento medio; il quale si è elevato pure per l'orzo e l'avena. La segala è coltivata intensamente in tutta la Polonia, che per la produzione di essa è al terzo posto fra tutti gli stati del mondo (dopo l'U. R. S. S. e la Germania). Le regioni che dànno il maggior prodotto sono quelle occidentali e centrali. Per il grano prevalgono, come ben s'intende, la Polonia di SE. (Podolia e Volinia) e la regione subcarpatica, in causa del clima più caldo e soprattutto del suolo più favorevole. Anche dell'orzo e dell'avena i quantitativi maggiori provengono dalla Polonia meridionale: l'orzo specialmente dalla Podolia, l'avena dalla regione carpatica. Per la produzione del primo la Polonia è superata in Europa soltanto dall'U. R. S. S., dalla Germania, dalla Spagna e dalla Romania; per quella dell'avena, dall'U. R. S. S., dalla Germania e dalla Francia. Va ricordato che è diffusa pure la coltura del grano saraceno (media 1929-1933: 320.100 ettari, 2,1 milioni di quintali, 6,6 q. per ettaro), particolarmente nella Polonia orientale.
Delle altre colture alimentari sta al primo posto quella delle patate, che occupava 2.404.000 ettari nel 1909-1913 e 2.696.000 nel 1929-1933. La produzione media fu rispettivamente di 247,9 e 303,9 milioni di q. (rendimento medio per ettaro 41,1 e 33,4) Una parte della produzione delle patate serve per la fabbricazione dell'alcool e dell'amido. Tra i legumi il più coltivato è il pisello (1929-1933: 190.900 ettari, 1,8 milioni di q.).
Dopo la ricostituzione della Polonia, nei voivodati occidentali, che prima coltivavano quasi esclusivamente cereali, si ebbe un'intensificazione nella coltura di alcune piante industriali, e tale evoluzione è stata seguita poi dai voivodati della Polonia centrale. Delle colture industriali le più ragguardevoli sono quelle della barbabietola da zucchero, del lino e della canapa. La prima nel voivodato della Posnania copre più del 5% della superficie dei seminativi, ed è molto diffusa pure nei voivodati della Pomerania e di Varsavia. Per il lino prevalgono i voivodati del NE. e per la canapa quelli del SE. I dati della tabella che segue sono le medie del quinquennio 1929-1933.
Per la produzione delle patate la Polonia è il 2° paese del mondo, dopo la Germania; per la fibra di lino è pure al 2° posto (dopo l'U. R. S. S.); per la fibra di canapa, al 6° (dopo l'U. R. S. S., l'Italia, la Romania, la Iugoslavia e la Corea). Altre colture di una certa importanza sono quelle del miglio (Polessia, Volinia e voivodati di SE.), della colza (Volinia, Lublinese), del tabacco, della cicoria (per la preparazione del noto surrogato del caffè). Va infine ricordato che tra le colture foraggere la più estesa è quella del trifoglio, che in alcuni dipartimenti meridionali montuosi occupa l'8% delle terre arabili.
Allevamento del bestiame. - L'allevamento presenta aspetti diversi secondo le regioni. Nei voivodati occidentali, del centro e in parte di quelli meridionali, a causa dell'industrializzazione delle aziende agricole l'allevamento per la carne va cedendo terreno di fronte a quello per la produzione del latte; nei voivodati orientali, invece, per l'abbondanza dei prati e dei pascoli, si sviluppa soprattutto l'allevamento di animali da lavoro e da macello. La guerra recò gravi danni al patrimonio zootecnico della Polonia, la quale, peraltro, è riuscita a ricostituirlo assai rapidamente, come si può vedere dalla precedente tabella (dati in migliaia di capi).
La maggior ricchezza di bestiame si è avuta nel 1931: la diminuzione posteriore è dovuta essenzialmente alla crisi economica mondiale, che ha fatto ridurre di molto le esportazioni all'estero e quindi ha costretto a una minore produzione. Per il numero assoluto degli equini la Polonia è al 5° posto tra tutti i paesi (dopo l'U. R. S. S., gli Stati Uniti, l'Argentina e il Brasile), al 2° tra i paesi europei. La Polonia orientale è la più ricca di equini: qui se ne hanno quasi dappertutto più di 200 per ogni 1000 ab., e in alcuni circondarî dei voivodati della Volinia e di Białystok si superano anche i 300 capi (media dell'intero paese, 155 ogni 1000 ab.). I bovini sono particolarmente numerosi nella Posnania, nella Pomerania, nella Polessia e nella regione carpatica: in queste regioni si superano i 400 capi ogni 1000 ab., e in qualche circondario anche i 600 capi (media dell'intero paese, 373 ogni 1000 abitanti). Per gli ovini (media di 109 capi per 1000 ab.) prevale in modo assoluto la Polonia nord-orientale (voivodati di Vilna, Nowogródek, Białystok e Polessia: oltre 200 capi ogni 1000 ab., in qualche circondario più di 400), ma sono numerosi anche nella Pomerania e sui Carpazî. La Pomerania e la Posnania sono le regioni più ricche di suini (quasi tutti i circondarî ne hanno oltre 400 ogni 1000 ab., e parecchi superano i 600 capi; la media dell'intero paese (di 238). Per il numero dei suini la Polonia è superata in Europa soltanto dalla Germania, dall'U. R. S. S. e dalla Francia. Va ricordato che nel 1933 risultarono anche 188.000 capre.
Molto importante l'allevamento del pollame, delle oche e dei tacchini. Si calcola che la produzione delle uova, largamente esportate specie in Germania, si aggiri sui 2 miliardi all'anno.
La riforma agraria. - La riforma agraria non è stata in Polonia così radicale come in altri stati europei (Romania, Estonia), e le condizioni della proprietà sono state modificate solo parzialmente. La legge del 15 luglio 1920 relativa all'esecuzione della riforma, già decisa dalla Dieta legislativa il 10 luglio 1919, specialmente per quanto riguarda la suddivisione delle terre, conteneva numerosi difetti di procedura, tra i quali quello che stabiliva che per le terre espropriate si dovesse pagare un indennizzo pari alla metà del valore medio delle terre stesse, quando l'art. 99 della Costituzione polacca del 17 marzo 1921 stabilisce che, in caso di espropriazione di terre, deve essere pagato interamente il loro valore. Una nuova legge fu votata quindi dalla Dieta il 28 dicembre 1925, che, giovandosi dell'esperienza acquisita nei cinque anni precedenti, eliminò tali manchevolezze di procedura e ne stabilì una con la quale si difendevano gl'interessi delle persone espropriate e nello stesso tempo si garantiva l'esecuzione degli espropri, ma soltanto nei casi necessarî. Per poter essere espropriate e suddivise in lotti, le proprietà devono superare una superficie che, secondo le regioni, oscilla tra i 60 e i 300 ettari. Possono essere espropriate anche le proprietà male amministrate. Fino al 1924 i terreni espropriati e suddivisi comprendevano 600.000 ettari, ottenuti soprattutto nei voivodati di Varsavia, Kielce e Cracovia. Dopo il 1925 la suddivisione dei latifondi è stata accelerata e nel 1933 la superficie espropriata era salita a 2.187.900 ettari. Molte terre della Posnania e della Pomerania polacca già appartenenti a latifondisti tedeschi sono state distribuite a ex-combattenti, ai quali sono stati dati pure numerosi terreni delle poco popolate regioni orientali. Secondo il censimento del 1921 il 34% della superficie agricola era costituito da proprietà con meno di 2 ettari di superficie, il 30,7% da quelle con 2-5 ettari, il 32% da quelle con 5-20 ettari. Le proprietà con 20-50, 50-100 e più di 100 ettari davano rispettivamente il 2,3, il 0,4 e il 0,6%. Anche prima della riforma agraria, quindi, la proprietà era molto frazionata, e i latifondi costituivano una superficie relativamente piccola. Non si conoscono dati più recenti riguardo al frazionamento della proprietà, ma è ovvio che in seguito alla riforma deve essere considerevolmente aumentata la superficie delle piccole proprietà.
La riforma agraria ha avuto un benefico influsso sulla produzione, che è andata crescendo e perfezionandosi, anche perché si è molto diffuso il cooperativismo.
Foreste. - Durante il sec. XIX si è verificato in tutte le regioni della Polonia un notevole diboscamento, causato dallo sviluppo delle industrie, dalla costruzione di strade e ferrovie e dalla sempre maggiore richiesta estera di legname. Tuttavia la superficie forestale del paese resta una delle più considerevoli d'Europa, rappresentando più di un quinto della superficie totale dello stato. Il 65% dell'area forestale è costituito da pini, il 10% da picee il 5% da abeti, il 5° da querce, il 15% da altre latifoglie, soprattutto betulle, frassini, faggi, carpini, poi anche tigli, pioppi, aceri, ontani,, ecc. Le specie resinose hanno l'assoluta preponderanza.
Quasi ⅓ delle foreste appartiene allo stato, che esercita una sorveglianza anche su quelle dei privati. Le maggiori foreste si trovano nella Polonia di NE. (foresta di Białowieża, a SE. di Białystok, che con quella di Swisłocz ha 114.378 ettari di superficie; foresta di Augustów, presso Suwałki, con 82.150 ettari di superficie; foresta di Międzyrzecz, a S. di Vilna, che copre 49.175 ettari, ecc.), nella Polessia, nella Volinia settentrionale e nella regione carpatica. Lo sfruttamento non ha raggiunto ancora lo sviluppo che sarebbe desiderabile, né è condotto sempre con criterî moderni e razionali. La produttività è bassa anche perché si risentono ancora le conseguenze della negligenza con la quale l'amministrazione russa si occupava delle foreste, e le conseguenze delle distruzioni e dei danneggiamenti causati dalla guerra. Annualmente la produzione di legname si aggira sui 23 milioni di mc., il 40-50% dei quali è dato da legna da ardere, e il resto da legname da costruzione. La produzione delle foreste dello stato nel quinquennio 1928-1932 è stata in media di 7 milioni di mc.
Pesca. - La pesca di mare che non può avere molta importanza per la ristrettezza del litorale polacco, è ancora soltanto litoranea e poco progredita. I pescatori sono circa 1500, e dispongono (1933) di 173 battelli a motore e di 713 altri battelli, a vela o a remi; si pescano soprattutto lo spratto, il salmone, l'anguilla, l'aringa e il merluzzo. La produzione media annua del 1929-33 fu di 52.700 q. di pesce (dei quali 34.500 dati dallo spratto), per un valore di 1,7 milioni di złoty. Hel è il maggiore centro peschereccio, ma sono villaggi di pescatori tutti quelli della penisola di Hel. Il governo cerca di favorire lo sviluppo della pesca di mare e a questo scopo ha creato a Gdynia un ufficio che fornisce ai pescatori gli articoli necessarî, fa loro dei prestiti e ne aiuta le cooperative. L'università di Poznań, poi, ha attrezzato a Hel un laboratorio di biologia marina.
La pesca d'acqua dolce è naturalmente più considerevole di quella marittima, per la grande estensione occupata dalle acque interne. In Posnania e nella Polonia centrale sono frequenti gli stagni artificiali per l'allevamento del pesce. La produzione delle acque dolci sembra debba aggirarsi sui 100-120 mila q. di pesce all'anno. Per ora la produzione complessiva della pesca copre appena il 15% circa della richiesta del paese (nel quale, del resto, il consumo del pesce è assai piccolo).
Ricchezze minerarie. - La Polonia è ricca di minerali utili, e in primo luogo di combustibili solidi e liquidi: carbon fossile e petrolio. Il bacino carbonifero polacco occupa una superficie di 3880 kmq., e si stende nella Slesia e in parte dei voivodati di Kielce e di Cracovia, dalla frontiera germanica e cecoslovacca fino quasi a Cracovia. Si calcola che la riserva totale di carbone che si trova fino a 1000 m. di profondità sia di quasi 62.000 milioni di tonn., delle quali 44.000 nella Slesia, 2000 nel bacino di Dabrowa, 14.000 in quello di Cracovia. Per la ricchezza di carbone la Polonia è al 4° posto tra gli stati europei, dopo la Gran Bretagna, la Germania e l'U. R. S. S. Prima della guerra la produzione dei giacimenti ora polacchi si aggirava sui 40 milioni di tonn., delle quali 32 milioni provenivano dalla Slesia; la guerra danneggiò gravemente lo sfruttamento, perché le autorità degli stati belligeranti che occuparono le regioni carbonifere introdussero sistemi di estrazione devastatori (basti dire che la più grande delle miniere slesiane, la "Krol", fu consegnata alla Polonia incendiata). Nel 1921 la produzione della Slesia polacca fu di 22 milioni di tonn. Lo stato diede subito il suo appoggio per la ricostruzione dell'industria carbonifera, e già nel 1923 la produzione era salita a 36 milioni di tonn. Nel 1924 la superproduzione degli altri centri carboniferi europei e il conseguente diminuire dei prezzi, nonché la crisi attraversata dalla siderurgia polacca, causarono una diminuzione nella produzione (32,2 milioni di tonn.). Nel 1927 questa era risalita a 38 milioni di tonn., e raggiunse un massimo di 46,2 milioni nel 1929; poi, in seguito alla crisi economica mondiale, si ebbe di nuovo una forte contrazione: 37,5 milioni di tonn. nel 1930, 38,3 nel 1931, 28,8 nel 1932, 27,3 nel 1933. Il numero degli operai era di 123.000 nel 1913, di 117.000 nel 1928, e discese a 77.000 nel 1933.
La produzione supera comunque il consumo interno, e in buona parte viene esportata negli stati dell'Europa settentrionale, via Gdynia (collegata alla Slesia dalla cosiddetta "direttissima del carbone") e, in misura assai minore, via Danzica, in Cecoslovacchia, Austria, Italia e Ungheria (prima del 1924 acquistava gran parte del carbone polacco la Germania, che in quell'anno ne proibì l'importazione dalla Polonia).
Il petrolio era conosciuto in Polonia fino dal sec. XVI, ma lo sfruttamento dei giacimenti è stato iniziato soltanto nel 1857, quando a Jasło si costituì la prima società petrolifera polacca, la Klobassa, Lukasiewicz i Trzeciecki, che l'anno seguente costruì a Ulaszowice la prima raffineria di petrolio. Già nel 1861 le ferrovie austriache e la città di Praga adoperavano per l'illuminazione il petrolio polacco. Nel 1864 fu iniziata la perforazione dei pozzi mediante perforatrici meccaniche presso Gorlice, e, raggiunti i giacimenti più profondi e più ricchi, l'industria petrolifera prese un grande sviluppo. Successivamente si scoprirono giacimenti di petrolio presso Kołomyja, poi, nei primi anni del sec. XIX, a Borysław e a Tustanowice, dove si forarono pozzi di oltre 1500 m. di profondità, alcuni dei quali giunsero a dare un prodotto di 100 vagoni giornalieri. Si verificò allora una crisi di superproduzione, i serbatoi e le raffinerie risultarono insufficienti, e il prezzo del petrolio grezzo subì un forte ribasso. Dopo il 1909 la produzione dei giacimenti di Borysław e di Tustanowice cominciò a diminuire; venne poi la guerra a danneggiare gravemente la regione, e quando la Galizia entrò a far parte della Polonia i pozzi e in genere tutti gl'impianti si trovavano in pessimo stato. I lavori di perforazione si poterono riprendere soltanto nel 1921. La produzione di petrolio grezzo da 2300 tonn. nel 1884 salì a 91.600 nel 1890, a 326.300 nel 1900, a 801.800 nel 1905, a 2.053.150 nel 1909, per poi discendere sino a 704.870 tonn. nel 1921. Da quell'anno si è avuta una ripresa fino al 1925, quando si produssero 811.910 tonn. di petrolio grezzo: poi la produzione è andata sempre scemando, sia per l'impoverimento di alcuni giacimenti, sia per la difficoltà di procedere a nuove perforazioni, a causa della deficienza di capitali e delle ristretteżze economiche causate dalla crisi mondiale. La produzione è stata di 723.000 tonn. nel 1927, di 675.000 nel 1929, di 631.000 nel 1931, di 551.000 nel 1933, delle quali 422.000 provenienti dai giacimenti di Borysław-Tustanowice, 96.000 da quelli di Jasło e 33.000 da quelli di Kołomyja. Il numero degli operai addetti ai pozzi è di 9000 circa. Attualmente la Polonia è al 13° posto tra gli stati produttori di petrolio.
Le raffinerie nel 1933 erano 35 (con 3395 operai), la più grande delle quali è quella di Drohobycz, appartenente allo stato e costruita già dal governo austriaco per la fabbricazione del combustibile di nafta; essa è stata poi ricostruita e ingrandita dal governo polacco. Nel 1933 furono distillate 567.000 tonn. di petrolio grezzo, ricavandone 91.000 tonn. di benzina, 174.000 di petrolio puro, 30.000 di paraffina, 80.000 di grassi e vasellina, 101.000 di olî minerali, ecc. Circa ⅓ dei prodotti viene consumato nel paese, e il resto esportato in Germania, Cecoslovacchia, Austria e in piccola parte anche in Italia.
Nella zona petrolifera si estrae poi l'ozocherite o cera minerale, che fuori della Polonia si trova soltanto nell'isola di Čeleken (Mar Caspio). I giacimenti maggiori sono a Borysław, seguiti da quelli di Truskawiec, Dżwinacz e Starunia. Altro prodotto della zona petrolifera è il gas naturale, usato negli stabilimenti industriali e nel riscaldamento delle abitazioni, e dal quale vengono pure estratte notevoli quantità di gasolina. La produzione fu di 405 milioni di mc. nel 1920, di 474 milioni nel 1931 e di 437 milioni nel 1932 (al 5° posto tra tutti i paesi del mondo, dopo gli Stati Uniti, la Romania, il Canada e le Indie Olandesi).
Tra i minerali metallici i più abbondanti sono quelli di zinco, di piombo e di ferro. I minerali di ferro si trovano soprattutto nei terreni triassici e giurassici della Slesia e della Piccola Polonia, tra Kielce e Radom; essi hanno però un tenore basso (30-35%) e sono di sfruttamento difficile, così che l'industria siderurgica slesiana importa gran quantità di minerale di ferro. La produzione negli ultimi anni è andata diminuendo fortemente: essa fu di 454.000 tonnellate nel 1923, di 546.000 nel 1927, di 660.000 nel 1929, di 477.000 nel 1930, di 285.000 nel 1931, di 77.000 nel 1932, di 161.000 nel 1933: Gli operai impiegati nelle miniere di ferro, che erano 6000 circa nel 1928, nel 1933 erano ridotti a un migliaio appena.
Ben più importanti sonoi minerali di zinco, per la produzione dei quali, anzi, la Polonia è a uno dei primi posti tra i paesi europei. Essi si estraggono per 9/10 dai giacimenti della Slesia e delle zone limitrofe (presso Bytom, Będzin, Jaworzno, Chrzanów, Olkusz, Siewierz) e per il resto da quelli della Piccola Polonia (prevalentemente dagli strati triassici). La produzione, prima della guerra mondiale, si aggirava sul mezzo milione di tonn. di minerale, ma dopo non ha più raggiunto tale cifra e dal 1930, anzi, è in forte diminuzione, poiché dalle 462.000 tonn. del 1930 si è discesi a 240.000 nel 1931 e a 73.000 nel 1932; nel 1933 si è risaliti a 125.000 tonn. L'esportazione del minerale di zinco, tuttavia, ha sempre una notevole importanza per il commercio polacco. I minerali di piombo si rinvengono anch'essi nella Slesia, presso Tarnowskie Góry e a Olkusz. La produzione fu di 18.000 tonn. nel 1927, di 17.000 nel 1930, di 10.000 nel 1931, di 6000 nel 1932 e di 8000 nel 1933 (1913, 57.000 tonn.). Gli operai impiegati nell'estrazione dei minerali di zinco e di piombo erano 13.000 nel 1913, 7000 nel 1928, un migliaio appena nel 1933.
Nella regione carpatica da Cracovia alla frontiera romena si susseguono importanti giacimenti di salgemma, giacimenti che si trovano pure nella Slesia e nella Posnania. Nella Polonia di SE., nella Slesia e nel voivodato di Varsavia si sfruttano poi numerose sorgenti saline, che dànno di solito una soluzione satura. E sale si estrae pure dalle marne saline, che contengono fino all'80% di sale puro. Le maggiori miniere di salgemma sono quelle di Wieliczka, celeberrime, e di Bochnia nel voivodato di Cracovia, e quella di Wapno nella Posnania. La produzione si aggira sul mezzo milione di tonnellate annue di sale (508.000 nel 1927, 569.000 nel 1929, 561.000 nel 1931 e 450.000 nel 1933).
Ai giacimenti di salgemma si alternano talvolta quelli di cainite e di silvina, sali di potassio che servono come ottimo concime; essi si trovano abbondanti tra Stanislawów e Drohobycz (a Kałusz, Turza Wielka, Morszyn, Stebnik e Truskawiec). La produzione è di circa 300.000 tonn. annue (2000 tonn. nel 1913, 276.000 nel 1927, 359 mila nel 1929, 299.000 nel 1932 e nel 1933). I sali di potassio sono molto richiesti per la coltivazione della barbabietola da zucchero.
Industrie. - Benché il paese sia ricco di prodotti minerarî, l'industria che ha maggior importanza è quella tessile, la quale deve importare la materia prima dall'estero. L'industria tessile è antichissima in Polonia, dove già nel Medioevo la tessitura aveva ragguardevole sviluppo. Dal 1835, al lavoro a mano andò progressivamente sostituendosi quello meccanico, e i grandi stabilimenti bene attrezzati cominciarono a fare un'insostenibile concorrenza alla piccola industria, per la quale s'iniziò la decadenza. Dopo che fu soppressa la barriera doganale con la Russia, si aprì un immenso mercato all'industria tessile polacca, avvantaggiatasi enormemente anche delle forti tasse stabilite nel 1877 dalla Russia sui tessuti importati dall'estero. Naturalmente la produzione dové adattarsi alle esigenze del mercato, e diede soprattutto tessuti grossolani: i tessuti fini venivano dall'estero. Dopo la ricostituzione della Polonia le condizioni sono profondamente cambiate, e l'industria tessile ha dovuto riorganizzarsi e modificarsi secondo le esigenze del mercato interno. Łódź è senza confronti il centro più importante di tale industria, che vi sorse per iniziativa di tedeschi al principio del sec. XIX. Vi prevale il cotonificio, ma vi è importante pure l'industria della lana, della iuta e del lino. Altri centri di grande produzione sono Bielsko-Biała nella Slesia (lana, seta, iuta), Varsavia (cotone, lana, seta e lino), Białystok (lana), Częstochowa (cotone, seta, lino, iuta). Cotonifici si trovano poi a Stanisławów; lanifici, a Kalisz, Tomaszów, Żyrardów, Jarosław e Kołomyja; linifici a Pabjanice, Tarnów, Przemyśl, Leopoli, ecc. Nel 1932 si contavano 2268 stabilimenti tessili (in assoluta maggioranza piccoli), con 109.843 operai e 7304. impiegati; il cotonificio dispone di 1.797.000 fusi e 42.000 telai, il lanificio di 900.000 fusi e di 18.000 telai. Si produssero, fra l'altro, 947.000 q. di filo (dei quali 430.000 di cotone e 212.000 di lana) e 536.000 q. di tessuti (dei quali 304.000 di cotone e 103.000 di lana e misti di lana e cotone). La produzione prima dell'attuale crisi economica era molto maggiore, sebbene non abbia potuto raggiungere i quantitativi prebellici, per l'assai minore mercato disponibile.
L'industria metallurgica è localizzata nella Slesia, dove la Polonia ha ereditato alcuni dei più grandi stabilimenti costruitivi dalla Germania. La metallurgia del ferro dispone (1932) di 93 stabilimenti, con 31.000 addetti; la metallurgia dello zinco, del piombo, ecc., di 45 stabilimenti, con 6300 addetti. Vi sono alti forni, acciaierie, laminatoi, fonderie con impianti grandiosi e modernissimi, dovuti in buona parte a capitale straniero. Nel 1933 si produssero, fra l'altro, 306.000 tonn. di ghisa (706.000 nel 1929), 802.000 tonn. di acciaio (1.310.000 nel 1929) e 87.000 tonn. di binarî (131.000 nel 1929), che prima della guerra mondiale erano una specialità della regione. La produzione locale di minerale di ferro non è sufficiente all'industria metallurgica, che ne importa dalla Svezia, dalla Russia, dalla Gran Bretagna e dalla Francia.
Di pari passo con l'industria tessile si è sviluppata l'industria meccanica, che per quella fabbrica il macchinario occorrente. Si fabbricano pure macchine e strumenti agricoli, macchine per l'industria mineraria e per quella dello zucchero, caldaie, pompe a vapore, carrozze ferroviarie, locomotive, tubi di ferro, armi. I centri principali dell'industria meccanica sono varie città della regione mineraria e metallurgica del SO. (Katowice, Dąbrowa Górnicza, Sosnowiec, Chrzanów, Nowy Chorzów, ecc.), alcune città della Piccola Polonia (Ostrowiec, Starachowice), poi Varsavia, Leopoli, Poznań, Grudziądz e Łódź.
L'industria chimica dispone di abbondanti materie prime ed è favorita nel suo sviluppo dalle necessità di altre industrie, soprattutto quella tessile, grande consumatrice di prodotti chimici. A Nowy Chorzów si fabbricano calciocianamide (che sostituisce il nitrato del Chile), acqua ammoniacale, ammoniaca sintetica, acido nitrico, carburo di calcio; a Łaziska Górne, carburo di calcio, ferrosilicio, catrame, esplosivi; a Kaletye a Czułów, cellulosa; a Podgorce, soda ammoniacale; a Tarnów, azoto; a Tomaszów e a Włocławek, rayon; a Toruń, acido solforico; a Pabjanice e a Łódź, colori; a Poznań, concimi; a Varsavia, saponi, profumi, prodotti farmaceutici. Nel 1932 si produssero 11.000 tonn. di calciocianamide (163.000 tonnellate nel 1929), 54.000 tonn. di solfato d'ammoniaca, 158.000 tonn. di acido solforico.
Le industrie alimentari più notevoli sono quelle dello zucchero e dell'alcool. Il primo zuccherificio fu costruito nel 1820 a Galów, nell'allora Polonia prussiana; il primo sorto nella Polonia del Congresso fu quello di Częstocice (1826); i grandi stabilimenti cominciarono a comparire soltanto verso il 1870. Nel 1914 nel territorio polacco si avevano 86 zuccherifici, che furono gravemente danneggiati dalla guerra; nel 1933 essi erano 64 (in attività). I maggiori sono a Gostyń, Jarocin, Opalenica e Poznań (Posnania), a Chełmża (Pomerania), a Leopoli, a Równe (Volinia). La produzione di zucchero grezzo tra il 1927-1928 e il 1932-1933 ha oscillato da un massimo di 9.159.000 q. (1929-1930) a un minimo di 4.178.000 q. (1932-33). Per la produzione dello zucchero di barbabietola la Polonia è al 5° posto tra gli stati europei, dopo la Germania, la Francia, la U. R. S. S. e la Cecoslovacchia.
La grande produzione delle patate alimenta l'industria dell'alcool, la quale conta (1933) 23 grandi distillerie, oltre a 1349 piccole distillerie agricole. La produzione di alcool a 100° che prima della guerra era di circa 2,5 milioni di ettolitri, nel 1932-33 era ridotta a poco più di un decimo di tale cifra (269.000 ettolitri; 878.000 nel 1929-30). Ragguardevole la produzione dell'acquavite, esportata in Russia, Scandinavia e paesi balcanici.
Una delle più fiorenti industrie polacche è quella del legno, che dispone di abbondantissima materia prima. Vi sono 1377 segherie con 22.500 addetti e 233 fabbriche di mobili con 6200 addetti. Le maggiori segherie si trovano a Bydgoszcz e nei centri prossimi alle grandi zone forestali della Polonia di NE. e dei Carpazî; le fabbriche di mobili, a Varsavia e Leopoli. La produzione delle segherie dà un forte contingente all'esportazione.
Altre industrie da ricordare sono quelle del cemento (13 fabbriche, quasi tutte nella Polonia sud-occidentale, dove abbondano i calcari marnosi: a Goleszów, Trzebinia, Ząbkowice, Zawiercie, Częstochowa, ecc.; produzione di cemento: 1929, 1 milione di tonn.; 1933, 411.000 tonn.), della calce (73 stabilimenti: 896.000 tonn. di calce prodotte nel 1929, 409.000 nel 1932), del vetro (49 stabilimenti con 10.700 addetti: i più importanti si trovano a Sosnowiec), del cuoio e delle calzature (277 concerie con 5800 addetti, 53 fabbriche di scarpe con oltre 2000 addetti, ecc.; centri principali: Varsavia, Vilna, Poznań, Leopoli, Cracovia, Tarnów, Łowicz).
Secondo calcoli del Ministero delle comunicazioni, la Polonia disporrebbe di 3.700.000 HP di energia idrica, solo in minima parte finora sfruttati; l'energia elettrica è prodotta quasi esclusivamente da centrali termiche. Nel 1933 le centrali elettriche con più di 5000 kW di forza installata erano 70, delle quali 27 nella Slesia.
Come dimostrano le cifre della produzione degli ultimi anni, messe a confronto con quelle dell'ultimo anno che può considerarsi normale, il 1929, la crisi economica ha avuto conseguenze assai gravi per l'industria polacca, sull'avvenire della quale non è facile fare pronostici. Superata questa crisi, uno sviluppo maggiore di essa potrà probabilmente verificarsi col miglioramento del tenore di vita e con l'aumentare delle esigenze della popolazione, la quale in assoluta maggioranza contadina, le ha per ora limitatissime; col progredire dell'agricoltura e con lo svilupparsi delle vie di comunicazione; con l'apertura di nuovi mercati esteri, e particolarmente con il ristabilirsi delle relazioni economiche con la U. R. S. S.
Comunicazioni. - La Polonia è meno fornita degli altri paesi dell'Europa centrale di vie di comunicazione, le quali poi sono assai inegualmente distribuite nel suo territorio. Le strade ordinarie nel 1932 avevano 47.300 km. di sviluppo, dei quali solo 3600 km. nei voivodati orientali (Vilna, Nowogródek, Polessia e Volinia: 124.400 kmq.) e ben 12.600 nei voivodati occidentali (Slesia, Posnania e Pomerania: 47.200 kmq.). Le ferrovie, benché nel complesso insufficienti, sono sempre il mezzo di trasporto principale; la loro rete nel 1933 era di 21.370 km., di cui 19.910 appartenenti allo stato; si ha 1 km. di ferrovia ogni 1570 ab. e ogni 18 kmq. Queste medie sono di scarso valore, perché vi è un'enorme differenza nella fittezza della rete tra i voivodati occidentali e quelli orientali. Il materiale rotabile di cui le ferrovie dispongono è composto di circa 6000 locomotive, 13.150 carrozze viaggiatori e 165.800 carri per merci. Alle ferrovie si devono aggiungere 274 km. di tramvie. Le linee ferroviarie di maggior traffico sono quelle della Polonia occidentale, che congiungono la regione mineraria e industriale della Slesia con la regione industriale di Łódź e con i porti di Gdynia e di Danzica. L'insufficienza delle ferrovie ha incoraggiato lo sviluppo dei trasporti mediante gli autoveicoli, che nel 1934 erano 35.300, dei quali 20.600 automobili, 5500 autocarri e 8300 motociclette. Le linee automobilistiche sono più di un migliaio, con uno sviluppo di 21.000 km., e trasportano circa ⅓ del numero dei viaggiatori delle ferrovie.
Per l'importanza, nel commercio di esportazione, di alcune merci pesanti, come il carbone e il legname, potrebbero svilupparsi molto i trasporti per via d'acqua: ma occorrerebbe sistemare convenientemente i maggiori fiumi, compresa la Vistola, affinché rispondessero alle moderne esigenze del traffico. Le vie d'acqua navigabili hanno 4949 km. di sviluppo, la metà dei quali (2763 km.) offerti dalla Vistola e dai suoi principali affluenti. Degli altri fiumi, la Warta è navigabile per 442 km., il Dnestr per 361, il Prypeć per 674, il Niemen per 626, la Dźwina per 83 (compresi sempre gli affluenti). Va ricordato che altri 9200 km. dei numi polacchi servono per la fluitazione del legname. Nel 1932 furono trasportati sui fiumi 479.000 tonn. di merci e 80.000 capi di bestiame.
Dal 1.929 al 1933 il valore delle esportazioni è ridotto a 1/3, e quello delle importazioni a 1/4. Va notato che dal 1930 la bilancia commerciale è stata sempre favorevole, con notevole eccedenza del valore delle esportazioni. Queste sono date soprattutto da carbone e legname, che ne comprendono insieme circa un terzo del valore totale.
Nelle importazioni figurano al primo posto le materie tessili, cotone e lana, che insieme di solito ne rappresentano 1/5 del valore totale. Forte pure l'importazione di macchine e di generi alímentari.
I paesi che hanno le maggiori relazioni commerciali con la Polonia sono elencati nella tabella a pag. 744 (valore delle esportazioni e delle importazioni in milioni di złoty).
L'Italia acquista in Polonia specialmente carbone e uova, e vi vende filati, agrumi, autoveicoli, tabacco, tessuti di seta, pneumatici.
La provenienza delle principali merci importate dalla Polonia è la seguente: cotone, 8/10 dagli Stati Uniti, 1/10 dall'Egitto; lana 1/4 dall'Australia, cui seguono la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l'Argentina e l'Austria; macchine, circa la metà dalla Germania, cui seguono la Gran Bretagna e la Francia; filati e tessuti, dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dalla Germania, dall'Italia e dalla Svizzera. Delle più importanti merci esportate, il carbone è acquistato per 1/5 dalla Svezia, cui seguono l'Austria, la Francia, l'Italia e la Norvegia; il legname per metà va nella Gran Bretagna; la carne, quasi completamente nella Gran Bretagna; i binarî, per 3/4 nell'U. R. S. S.; la segala, per quasi la metà in Germania.
Bibl.: Carte: L'Istituto geografico militare polacco ha pubblicato una carta topografica al 100.000 in 482 fogli, derivante dai materiali cartografici ereditati dalla Germania, dall'Austria e dalla Russia, in parte riveduti sul terreno e in parte modificati in base a nuovi rilevamenti. Vi sono poi levate al 50.000, al 25.000, al 20.000 ecc. Si sta pubblicando una carta al 300.000. Della carta internazionale al milionesimo sono usciti tutti e quattro fogli che coprono il territorio statale. Nel 1934 è stata pubblicata, infine, una bella carta al milionesimo in un solo foglio.
All'istituto cartografico Atlas di Leopoli, diretto dal prof. E. Romer, si devono numerose carte della Polonia, tra le quali si ricorderanno: E. Romer, Polska. Mapa toporaficzna, komunikacyjna i administracyjna, 1 : 600.000 (con indice dei nomi in fascicolo a parte), 1929; E. Romer, e T. Szumánski, Polska. Mapa fizyczna, 1 : 1.250.000, 1932; e la serie di carte fisico-polit. a 1 : 1.000.000 dei varî voivodati, di E. Romer e T. Szumański. A. E. Romer si deve infine un pregevole Atlas Polski wspólczesnej (4ª ed. 1934).
L'Istituto centrale di statistica polacco ha pubblicato (Varsavia 1930) un Atlas statystyczny.
Statistiche e opere di carattere generale: Office Central de statistique de la Rép. Polonaise, Annuaire statistique de la République Polonaise (annuale; dal 1921); id., Petit Annuaire Statistique de la Pologne, Varsavia (annuale; dal 1930); Veröffentlichungen der landeskundlichen Kommission beim kaiserl. deutschen Generalgouvernement Warschau, Handbuch von Polen (Kongress Polen), 2ª ed., Berlino 1918; P. Camena d'Almeida, La Pologne, in Ann. de Géogr., XXXII (1923), pp. 481-505; Ch. Phillips, The new Poland, Londra 1923; F. Bauer Czarnomski, The Polish Handbook: A Guide to the Country and Resources of the Republic of Poland, Londra 1925; G. Lafond e P. Desfeuilles, La Pologne au travail, Parigi 1925; F. Machatschek, Länderkunde von Mitteleuropa, (Enzyklopädie der Erdkunde), Lipsia e Vienna 1925; A. Mansuy, La Pologne, Parigi 1925; Almanach Polonais, Parigi 1926 (i varî capitoli, di carattere geografico, storico, economico, ecc., sono scritti da specialisti); E. Maliszewski, La Pologne d'aujourd'hui, Parigi 1926; A. Sujkowski, Polska niepodległa, Varsavia 1926; Livret-Guide du II Congrès de géographes et ethnographes slaves en Pologne 1927, Cracovia 1927; C. Smogorzewski, La Pologne restaurée, Parigi 1927; St. Pawłowski, Geografja Polski, estr. da Dzieje miast Rzeczypospolitej Polskiej, Poznań 1928; B. Mirkine-Guetzevitch e A. Tibal, La Pologne, Parigi 1930; E. De Martonne, Europe Centrale, parte 2ª: Suisse, Austriche, Hongrie, Tchécoslovaquie, Pologne, Roumanie (Géogr. Universelle, IV), Parigi 1931; R. Górecki, La Pologne nouvelle, Varsavia 1931; F. Kurbs, Die osteuropäischen Staaten: Polen, Litauen, Lettland, Estland, als Staats- und Wirtschaftskörper, Stoccarda 1931; R. Machray, Poland 1914-1931, Londra 1932; E. Wunderlich, Das moderne Polen, I: Land, Volk und Wirtschaft, Stoccarda 1932; R. Dyboski, Poland, Londra 1933; Francastel, La Pologne pittoresque, Grenoble 1934; M. Handelsman, La Pologne. Sa vie économique et sociale pendant la guerre, I, Parigi 1933.
Sui confini e l'accesso al mare: L. Wasilewski, La question des frontières orientales de la Pologne, in L'Est Européen, Varsavia 1923, pp. 102-114; G. Moresthe, Vilna et le problème de l'Est européen, Parigi 1922; St. Slawski, L'accès de la Pologne à la mer et les intérêts de la Prusse Orientale, Parigi 1925; H. Bagiński, Zagadnienie dostępu Polski do morza, Varsavia 1927; J. Smoleński, Morze i Pomorze, Poznań 1928; varî autori, La Pologne et la Baltique, Parigi 1931.
Studî regionali: Cuda Polski, finora voll. 8, Poznań; varî autori, Studja regjonalne z geografji (Prace geograficzne wydawane przez prof. E. Romera, X), Leopoli-Varsavia 1928; K. Smogorzewski, La Poméranie polonaise, Parigi 1931; Polskie-Pomorze, voll. 2, Toruń 1929-31 (monografia scritta da varî collaboratori); H. Schütze, Das Posenerland (Warthe- und Netzegau), voll. 3, Poznań 1923-25; St. Nowakowski, Geografja gospodarcza Polski zachodniej, voll. 3, Poznań 1929; Instytut Geograficzny Uniwersytetu Poznańskiego, I, fasc. 1-7, Badania geograficzne nad Polską polcnono-zachodnią, Poznań 1926-31; Monografja statystyczno gospodarcza województwa lubelskiego, I, Lublino 1932; Pamiętnik Šwiętokrzyski, Kielce 1931; La Silésie Polonaise, Parigi 1932; St. Woltosowicz, Ziemia wileńska, Cracovia 1925; Wilno i ziemia wilesńka, zarys monograficzny, Vilna 1930; W. Mondalski, Polesie, cz. I, Zarys wiadomości ogólnych, Brzesć n. Bugiem 1927; J. Niezbrzycki, Polesie, Varsavia 1930; G. Pullè, La Polesia Polacca, in L'Universo, 1935, pp. 213-242; L. Sawicki e altri, A Journey through the Eastern Provinces of Poland in the year 1926. Scientific results of the voyages of the "Orbis", Cracovia 1930; Rocznik wołyński, I, Równe 1930; II, ivi 1931; Podole (Prace geograficzne wydawane przez E. Romera, IX), Leopoli-Varsavia 1927; Województwo tarnopolskie, Tarnopol 1931; Pokucie (Prace geograficzne wydawane przez prof. E. Romera, XII), Leopoli-Varsavia 1931.
Sulla costa: S. Pawłowski, O utworach na dnie zatoki gdańskiej, in Prace Komisji Mat.-przyrodniczej Tow. Przyaiciół Nauk w Poznaniu, 1922, pp. 144-166; id., Charakterystyka morfologizna wybrzeża polskiego, ibid., pp. 19-117; St. Karczewski, Brzegiem Bałtyku, Varsavia 1926.
Sulla geologia e la morfologia: Instytut Geologiczny, Bibliografja geologiczna Polski (varî fasc.); Mapa geologiczna Rzeczypospolitej Polskiej 1 : 750.000, in 4 fogli, Varsavia 1926, pubbl. dal Servizio geologico della Repubblica. La carta è accompagnata da un opuscolo con notizie esplicative (Cz. Kuźnjar, Objaśninia do mapy geologicznej Rzeczypospolitej Polskiej, Varsavia 1926); J. Nowak, Zarys tektoniki Polski, Cracovia 1927; S. Lencewicz, Wydmy śródlądowe Polski, in Prace wykonane w Zakładzie Geograficznym Uniwersyśtetu Warszawskiego, 1922, pp. 12-59; J. Lewiński, Sur les dislocations quaternaires et sur la "moraine de vallée" dans la valle de la Vistule, près de Włocławek, in Sprawozdania Inst. Geol., 1924, pp. 497-549; J. Hempel, Zarys budowy borysławskiego zagłębia naftowego, in Kosmos (Leopoli), L (1925), pp. 940-970; L. Sawicki, Przełom Wisły przez średniogórze polskie, in Trav. de l'Inst. Géogr., de l'Univ. de Cracovie, IV (1925); St. Lencewicz, Czwartorzędowe ruchy epirogeniczne i zmiany sieci rzecznej w Polsce środkowej, in Przegląd Geogr., VI (1026), pp. 99-115; id., Dyłuwjum i morfologja środkowego Powiśla (Prace Polskiego Inst. Geolog., II), Varsavia 1927; J. Lewiński, A. Łuniewski, St. Malkowski e J. Samsonowicz, Przewodnik geologiczny po Warszawie i okolicy, Varsavia 1927; J. Mikołajski, O powstaniu t. zw. pradoliny warszawsko-berlińskiej,in Badania geogr. nad Polską Pólnocno-Zachodnia̢, pubbl. dall'Istit. di Geogr. dell'Univ. di Poznań, 1927, fasc. 2-3, pp. 53-88; B. Zaborski, Étude sur la morphologie glaciaire de la Podlachie et des terrains limitrophes (in Trav. Inst. Géogr. Univ. de Varsovie, 9), Varsavia 1927; J. Lewiński, Utwory preglacjalne i glacjalne Piotrkowa i okolic, in Sprawozdania z posiedzeń Towarzystwa Naukowego Warszawskiego, XX (1928), pp. 49-66; St. Piętkiewicz, Pojezierze Suwałszczyzny zachodniej, zarys morfologji lodowcoewej, in Przegląd Geogr., VIII (1928), pp. 168-222; B. Zaborski, Cartes des types de formation superficielle des plaines de la Pologne, de l'Allemagne orientale et de la Lithuanie, Varsavia 1928; J. Nowak, Die Geologie der polnischen Ölfelder, Stoccarda 1929; E. Romer, Tartzańska epoka lodowa (Prace geogr. wydawane przez E. Romera, XI), Leopoli-Varsavia 1929; St. Woltosowicz, Utwory dyluwjalne i morfologja wschodniego krańca t. zw. połwyspu pińskiego, Brześć n/B. 1929; B. Halicki, Dyluwjalne zlodowacenie półwyspu pińskiego, Brześć n/B. 1929; B. Halicki, Dyluwjalne zlodowacenie pólnocnych stoków Tatr, in Bull. Serv. Géol. de Pologne, V (1930), pp. 375-534; H. de Cizancourt, Geology of Oil Fields of Polish Carpathian Mountains, in B. Amer. Ass. of Petroleum Geologists, XV (1931), pp. 1-41; J. Ochocka, Krajobraz Polski w świetle mapy wusokóści zweględnych, (Prace geograficzne wydawane przez Prof. E. Romera, XIII), Leopoli-Varsavia 1931; M. Kołodziejska, Doliny rzek wyźyny małopolskiej, ibid., XIV, Leopoli-Varsavia 1931; Wł. Szafer, Najstarszy interglacial w Polsce, Cracovia 1931; B. Zaborski, Analiza morfometryczna rzeźby terenu niźowego (Trav. Inst. Géogr. Univ. Cracovie), Cracovia 1931; T. Zwoliński, Tatry, część wschodnia. Tatry Wysokie i Bielskie, Leopoli 1931; J. Szaflarski, Z historji doliny Soły (Trav. Inst. Géogr. Univ. Cracovie, 13), Cracovia 1932; B. Świderski, Sur l'arc des Karpathes occidentales, in Eclogae Geol. Helvetiae, Basilea, XXVI (1933), pp. 111-130; M. Proszyński e E. Rühle, Jeziora rynnowe pod Grodnem w pradolinie Kotry i Rotniczanki, in Przeglad Geogr., XIII (1933), pp. 127-156.
Sul clima: cfr. l'Annuario dell'Istituto Centrale di Meteor. della Polonia (Rocznik państwowego Instytutu Meteorologicznego) e le Wiadomości meteorologiczne; E. Alt, Klimakunde von Mittel-und Südeuropa (Handb. der Klimatologie, III, T. M.), Berlino 1932; W. Gorczyński, Sur quelques traits caractéristiques du climat de la Pologne parmi les climats européens, in Przegląd Geograficzny, 1918, pp. 18-50; R. Gumiński, Wilgotność powietrza w Polsce, wahania roczne, rozkład geograficzny, Varsavia 1927; St. Kosińska-Bartnicka, Opady w Polsce, (Prace meteor. i hydrogr., 5), Varsavia 1927; L. Bartnicki, Prądy powietrzne dolne w Polsce, Varsavia (Prace Geofizycne), 1930; St. Kosińska-Bartnicka, Zarys klimatu ziem wschodnich Polski, in Prace Inst. Badania stanu gospodarczego ziem wschodnich, fasc. 2-3, 1927; H. Weise, Klima und Wetter in Posen, Lipsia 1933; W. Szafer, O fenologicznych porach roku w Polsce, in Kosmos, Leopoli, XLVII, pp. 371-411.
Sulle acque continentali: B. Rychtowski, Materjały do hydrologji Rzeczypospolitej Polskiej, voll. 3, Varsavia 1930; M. Medwecka e W. Heynar, Gęstość sieci wodnej na wyżynie Małopolskiej (Trav. Inst. Géogr. Univ. Cracovie, 7), Cracovia 1926; R. Ingarden, Rzeki i kanały zėglowne w b. trzech zaborach, Varsavia 1922; St. Lencewicz, Międzyrzecze Bugu i Prypeci. Wody płynace i jeziora, in Przegląd Geogr., XI (1931), pp. 1-72; T. Zubrzycki, Charakterystyka odływu rzek polskich przy niskich stanach wody, Varsavia 1933; J. Pruchnik, Wissenschaftliche Untersuchungen in Zusammenhang mit der Bearbeitung eines Entwässerungsplanes der Sümpfe von Polesie in Polen, Groninga 1932; St. Lencewicz, Badania jeziorne w Polsce, Varsavia 1926 (Prace wykonane w Zakładzie Geogr. Uniw. Warsz., 5); H. Schütze, Die Posener Seen, in Forsch. zur D. Landes- und Volkskunde, 1920, pp. 63-240; H. Garlikowska, Rozmieszczenie i statystyka jezior Wileńskich, in Trav. Inst. Géogr. Univ. de Varsovie, IV (1925), pp. 3-40; St. Lencewicz, Jeziora Gostyńskie; J. Jaczynowski, Morfometrja jezior Gostyńskich, Varsavia 1929 (Prace wykonane w Zakładzie Geogr. Uniw. Warsz., 13); cfr. inoltre le numerose pubblicazioni del Servizio idrografico della Polonia (Służba hydrograficzna w Polsce).
Sulla geografia antropica: E. Romer, The population of Poland according to the census of 1921, in Geogr. Rev., XIII (1923), pp. 398-412; J. Smoleński, Wzgledne przewyźki i niedobory ludności polskiej na obszarze Rzeczypospolitej, in Trav. Inst. Géogr. Univ. de Cracovie, VI, 1926; J. Czech, Die Bevölkerung Polens. ahl und völkische Zusammensetzung, Breslavia 1923; V. Kubijovyč, Le mouvement de la population en Pologne durant la période 1921-31, in Le Monde Slave, Parigi 1933, pp. 441-54; id., Rozmieszczenie kultur i ludności we wschodnich Karpatach, Cracovia 1924; id., Z antropogeografji Nowego Sącza (Trav. Inst. Géogr. Univ. Cracovie, 8), Cracovia 1927; E. Rühle, Użycie ziemi i rozmieszczenie ludności na zachodniem Polesiu (Prace Zakładu G. Uniw. Warsawskiego, 14), Varsavia 1930; V. Kubijovyč, Rozšiženi kultur a obyvatelstva v severních Karpatech, Bratislava 1932; H. Barten, Die Siedlungen in Südwestposen, Breslavia 1932; J. Albert, Z geografji osiedli wiejskich w dorzeczu Sanu (Prace geograficzne wydawane przez E. Romera, XVI), Leopoli-Varsavia 1934; K. J. Hladyłowycz, Zmiany krajobrazu i rozwój osadnictwa w Wielkopolsce od XIV do XIX wieku, Leopoli 1932; S. Gargas, De Poolsche emigratie na den wereldoorlog, in Ts. voor Econ. Geogr., XVIII (1927), pp. 283-287, 321-332, 355-363, 394-402; St. T. Ruziewicz, Le problème de l'émigration polonaise en Allemagne, Parigi 1930; G. S. Rabinovitch, L'émigration saisonnière des travailleurs asgricoles polonais vers l'Allemagne, in Rev. Int. du Travail, Ginevra XXV (1932), pp. 224-247 e 349-388; W. Kubijowicz, Życie pasterskie w Beskidach Wschodnich (Trav. Inst. Géogr. Univ. de Cracovie), Cracovia 1926; id., Życie pasterskie w Beskidach Magórskich, Cracovia 1927; P. Deffontaines e M. Wožnowski, La vie pastorale dans la Czarnahora, in Rev. Études slaves, Parigi, X (1930), pp. 221-231; W. Maas, Die Almwirtschaft in den Otskarpathen, in Zeit. Ges. Erdk. Berlin, 1930, pp. 185-199; Z. Hołub-Pacewiczowa, Osadnictwo pasterskie i wędrówki w Tatrach i na Podtatrzu, Cracovia 1931; B. Zaborski, O kształtach wsi w Polsce i ich rozmieszcezniu, Cracovia 1926; W. Maas, Wandlungen im posener Landeschaftsbild zu preussischer Zeit. Beiträge zu Siedelungsgeographie, Stoccarda 1928; Poznań. Księga pamiątkowa miasta, Poznań 1929; Zd. Simche, Tarnów i jego okolica, Tarnów 1930; A. Jobert, Varsovie. Étude de géographie urbaine, in Rev. de géogr. alpine, Grenoble, XX (1932), pp. 793-815; A. Davies, A Study in City Morphology and Historical Geography, in Geography, Manchester, XVIII (1933), pp. 25-37; St. Pawłowski, Ludność rzymskokatolicka w polsko-ruskiej części Galicji (Prace geograficzne wydawane przez Prof. E. Romera, III), Leopoli-Varsavia 1919; E. Romer, Polacy na kresach pomorskich i pojeziernych (Bydgoskie, Kwidzyńskie, Gdańskie i Olsztyńskie, in Prace geograficzne wydawane przez prof. E. Romera, II), Leopoli-Varsavia 1919; J. Machleid e B. Zaborski, Mapa narodowościowa polskich kresów północnowschodnich i Litwy, Varsavia 1922; J. St. Bystroń, Ugrupowania etniczne ludu polskiego, Cracovia 1925; B. Zaborski, Carte des confessions d'une partie du départment de Léopol avec des remarques générales sur ce type de carte, in Trav. Inst. Géogr. Univ. de Varsovie, 11, Varsavia 1928; St. Gorzuchowski, Ludność litewska na kresach państwa polskiego, Varsavia 1929; K. Karasek, Die deutschen Siedlungen in Wolhynien, Plauen 1931; varî autori, Problem narodowościowy na Pomorzu, Toruń 1931; V. Kander, Das Deutschtum in Plnisch-Schlesien, Plauen 1932; A. Krysiński, La population polonaise et non polonaise sur le territoire de l'État polonais, in Questions minoritaires, Varsavia 1932, V, pp. 32-72; Z. Cichocka-Petrażycka, Żywioł niemiecki na Wołyniu, Varsavia 1933.
Sulle condizioni economiche: L. Slowiński, Die wirtschaftliche Lage und Zukunft der Republik Polen, Berlino 1922; J. PIekałkiewicz e St. Z. Rutkowski, Okręgi gospordarcze Polski, in Kwartalnik statystyczny, IV (1927), pp. 547-780; W. Ormicki, Życie gospodarcze kresów wschodnich Rzeczypospolitej Polskiej, Cracovia 1929; I. Högbom, Polens ekonomisk-geografiska läge, in Geogr. Annaler, Stoccolma XII (1930), pp. 215-53; St. Rokowski, Geografja gospodarcza Polski, Varsavia 1931; S. Miklaszewski, Mapa gleb Polski, 1 : 1.500.000, Varsavia 1927; id., Gleby Polski, 3ª ed., Varsavia 1930; W. Łoziński, Mapa gleb województwa tarnopolskiego, Cracovia 1933; J. Bs. Westerdijk, Agrarisch Polen, in Ts. K. Ned. Aardrijksk. Genootsch., Leida 1930, pp. 409-427; W. Przepiórski, Nieużytki w Polsce poludniowej, Cracovia 1933; M.-A. Lefèvre, la Poznanie rurale, in Bull. Soc. R. de Géogr. Anvers, XLV (1930), pp. 1-29; Pamiçtnik konferencji w sprawie zmeljorowania i zagospodarowania Polesia, in Inżynierja rolna, II, Varsavia 1928, pp. 194-478 (raccolta di articoli); La riforma agraria in Polonia, in Riv. int. di agric., Roma 1930, pp. 155-171; J. Miklaszewski, Lasy i leśnictwo w Polsce, Varsvia 1928; W. Maas, Die Entwaldung des posener Landes, in Pet. Mitt., 1929, pp. 23-25; J. Paczoski, Lasy Białowieży, Cracovia 1930; G. Negri, La foresta di Białowieza, in L'Universo, 1935, pp. 363-385; V. Schaffran, Die Holzwirstschaft Polens, Berlino 1932; W. Ormicki, Eksport drewna w dorzeczu Dunajca i Popradu, in Trav. Inst. Géogr. Univ. Cracovie, IX, Cracovia 1927; J. Slemiradzki, Płody kopalne Polski, Leopoli 1922; J. Legendre, Les pétroles polonais et les champs pétrolifères galiciens, Parigi 1924; A. Pfaff, Die Lagerstätten im Erdölbecken von Borysław, Vienna 1926; K. Bohdanowicz, Geology and Mining of Petroleum in Poland, in Brit. Amer. Ass. of Petroleum Geologists, XVI (1932), pp. 1061-1091; Karpacki Inst. Geol.-Naftowy, Kopalnictwo Naftowe w Polsce, Borysław-Leopoli 1933; A. Makowskii, Polskie Zaglębie Węglowe, in Sprawozdania Inst. Geol., 1924, pp. 275-357; A. Schweitzer, Die Steinkohlenindustrie Südwestpolens, Lipsia 1928; P. Michotte, Le rôle du charbon dans la balance commerciale de la Pologne, in Bull. Soc. R. Belge de Géogr., LIII (1929), pp. 101-115; S. Senft, Lo sviluppo delle industrie in Polonia, in L'Europa orient., X (1930), pp. 327-340; G. Lewandowski, L'industrie textile en Pologne, in Ann. de Géogr., 1922, pp. 168-174; N. Korzon, Die neue Eisenbahnlinie Oberschlesien-Gdingen, in Geogr. Zeit., Lipsia, XXXIX (1933), pp. 302-304; Th. Johannsen, Gdingen, Danzica 1928; E. Migliorini, Aspetti geografici e fattori politici nella lotta tra Danzica e Gdynia, in Boll. R. Soc. Geogr. Ital., 1932, pp. 3-49; Przemysl i handel (Min. industria e comm.), Varsavia 1927.
La maggior parte delle pubbl. polacche cit. ha un riassunto in francese, inglese o tedesco.
Ordinamento dello stato.
Costituzione. - Con la prima costituzione polacca, votata il 17 marzo 1921, il risorto stato polacco assumeva un aspetto nettamente democratico-parlamentarista. Subito dopo la marcia su Varsavia, con la legge del 2 agosto 1926 vennero apportate due importanti modifiche che conferivano al capo dello stato il potere di sciogliere il parlamento anticipatamente e senza il suo consenso, e di emanare, con speciali modalità, dei decreti-legge.
Ma solo recentemente il governo presentò al Parlamento il progetto della nuova costituzione che il sejm (camera dei deputati) approvò subito (26 gennaio 1934) e al quale il senato (16 gennaio 1935) apportò delle modificazioni che a loro volta furono ratificate dal seim il 26 marzo 1935 con voti 260 contro 139.
La nuova costituzione, entrata in vigore il 23 aprile, dopo la firma del presidente della repubblica, consta di 81 articoli (quella del 1921 ne contava 126) divisi in 14 capitoli. Nel primo capitolo (art. 3) sono elencati gli organi dello stato "sottoposti alla sovranità del presidente della repubblica" e cioè governo, seim, senato, forze armate, tribunali, controllo statale.
Il capitolo secondo precisa, in 14 articoli (art. 11-24), la figura del presidente della repubblica. Egli "armonizza l'attività degli organi superiori dello stato" (art. 11), "non è responsabile degli atti governativi" (art. 15), dei quali solo quelli che non emanano dalle sue prerogative devono essere controfirmati (art. 14). Tali prerogative sono: designare uno dei candidati alla presidenza della repubblica; nominare e revocare il presidente del consiglio dei ministri, il primo presidente del tribunale supremo e il presidente della suprema camera di controllo; nominare e dimettere il comandante in capo e l'ispettore generale delle forze armate; scegliere i giudici del tribunale di stato; sciogliere il sejm e il senato prima della scadenza del termine; deferire i membri del governo al tribunale di stato; esercitare il diritto di grazia (art. 13). La controfirma del presidente del consiglio e del ministro competente è richiesta per gli altri suoi atti di governo, e precisamente: per la nomina dei ministri, su proposta del presidente del consiglio; per la convocazione e scioglimento del sejm; per il comando supremo delle forze armate; per le decisioni di guerra e pace; per la conclusione e ratifica di accordi con altri stati; per l'invio di rappresentanti dello stato polacco (art. 12).
Mentre secondo la costituzione precedente il presidente veniva eletto dall'assemblea nazionale composta dalla dieta e dal senato ora l'elezione avviene nel modo seguente: un'assemblea di elettori (composta dei marescialli del senato e del sejm, del presidente del consiglio, del primo presidente del tribunale supremo, dell'ispettore generale delle forze armate e di 75 elettori scelti, fra i cittadini più degni, per due terzi dal sejm e per un terzo dal senato, art. 17) designa il candidato. Un altro candidato può essere designato dal presidente uscente: in tale caso la scelta fra i due candidati è deferita a un plebiscito. Se però il presidente uscente non fa uso del suo diritto, allora il candidato dell'assemblea degli elettori è senz'altro eletto (art. 16). Il presidente resta in carica sette anni (art. 20), in caso di guerra fino a tre mesi dopo la conclusione della pace (art. 24). In caso di vacanza dell'ufficio di presidenza della repubblica, le funzioni del presidente spettano al maresciallo del senato (art. 23).
Al governo sono dedicati solo 6 articoli (25-30) e le sue competenze non sono nettamente precisate ("Il governo dirige quegli affari dello stato, che non sono riservati ad altri organi del potere), art. 25). I ministri sono responsabili politicamente verso il presidente della repubblica (art. 28), parlamentarmente verso il sejm (art. 29) e costituzionalmente di fronte al tribunale di stato per violazione della costituzione o delle leggi (il deferimento al tribunale di stato può avvenire da parte del capo dello stato, ovvero su decisione delle due camere riunite, art. 30). Il sejm può chiedere il ritiro del governo o di un ministro, a semplice maggioranza di voti, ma la sua richiesta deve essere, entro tre giorni, confermata dal presidente della repubblica. Nel caso contrario la proposta passa al senato che può accoglierla o meno. Il presidente della repubblica ha la facoltà di sciogliere il parlamento, prima o dopo l'intervento del senato (art. 29). La preponderanza del parlamento, sanzionata dalla costituzione del 1921, ê così eliminata non solo a favore del presidente della Repubblica, moderatore supremo dello stato, ma anche, seppure in linea subordinata, dal governo.
Il sejm (articoli 31-45) conserva la sua funzione legislativa e finanziaria (esame e approvazione del bilancio, stabilimento delle imposte). Il mandato è quinquennale. Il. diritto attivo di elezione spetta a tutti i cittadini, senza riguardo al sesso, che, in pieno possesso dei diritti civili e politici, abbiano raggiunto l'età di 24 anni; il diritto passivo spetta a chiunque abbia il diritto di voto e trenta anni di età (art. 33). Il suffragio è universale, segreto, uguale e diretto (art. 32).
I membri del senato, che ha una funzione esclusivamente di controllo, sono nominati per un terzo dal presidente della repubblica, per due terzi) in base a elezioni. La procedura di tali elezioni, come pure il numero dei senatori, verranno fissate da un apposito regolamento.
Gli articoli 49-57 contengono le norme della legislazione. Atti legislativi sono le leggi e i decreti del presidente della repubblica (art. 49). Il diritto d'iniziativa legislativa appartiene tanto al governo, quanto al sejm, ma nelle questioni di bilancio, del contingente di reclutamento e della ratifica di accordi internazionȧli, esso appartiene unicamente al governo (art. 50). Trattati commerciali o doganali con stati esteri che comportino nuovi gravami o modificazioni dei confini richiedono, prima della ratifica, il consenso delle camere legislative (art. 52). Il progetto di legge, approvato dal sejm, è sottoposto all'esame del senato; se questo lo respinge, o vi introduce delle modifiche, le deliberazioni del senato s'intendono approvate, qualora il sejm non le respinga a maggioranza di 3/5 dei voti (art. 53). Il presidente della repubblica può però richiedere un nuovo esame del progetto di legge da parte del sejm, e soltanto se il parlamento, a maggioranza di voti, lo approva una seconda volta senza modifiche, il presidente lo ratifica e ne dispone la pubblicazione (art. 54).
Una legge speciale può autorizzare il presidente della repubblica a emanare decreti, secondo le norme da essa fissate. Egli ha il diritto di emanare senz'altro decreti, a eccezione che sulle materie espressamente elencate, nel caso di necessità e quando il sejm sia disciolto (art. 55).
Sono riservati infine alla competenza esclusiva del presidente della repubblica i decreti riguardanti l'organizzazione del governo, la direzione delle forze armate e l'organizzazione amministrativa (art. 56). Il progetto di bilancio viene presentato al sejm dal governo. Al presidente della repubblica spetta però il diritto di pubblicare il bilancio: a) nel testo fissato, entro i termini prescritti, dalle camere legislative; b) nel testo fissato dal sejm, se il senato non lo ha esaminato nel termine prescritto; c) nel testo fissato dal senato, se il sejm non ha esaminato il progetto o le modificazioni apportatevi dal senato entro il terrmine prescritto; d) nel testo del progetto governativo, se questo non è stato esaminato, entro il termine prescritto, né dal sejm né dal senato (art. 58).
Per giudicare delle questioni concernenti i ministri, i senatori e deputati, sottoposti alla responsabilità costituzionale, si convoca il tribunale di stato, composto del primo presidente del tribunale supremo, quale presidente, e di sei giudici.
Organi dell'amministrazione statale sono, oltre l'amministrazmne governativa, gli enti autonomi territoriali ed economici (art. 72). L'organizzazione dell'amministrazione governativa sarà stabilita con decreto del presidente della repubblica (art. 74).
La suprema camera di controllo, il cui presidente è nominato dal presidente della repubblica, è indipendente dal governo. Essa controlla dal punto di vista finanziario l'amministrazione dello stato come pure gli istituti pubblico-legali; esamina la chiusura dei conti dello stato; sottopone annualmente al sejm le proposte di approvazione finanziaria al governo (art. 77).
L'art. 78 precisa i casi nei quali il consiglio dei ministri, col permesso del presidente della repubblica, può decretare lo stato eccezionale su tutto o parte del territorio dello stato. Se le camere legislative esigono il ritiro del provvedimento - entro modalità prescritte - il governo è tenuto a ritirarlo immediatamente. Al presidente della repubblica spetta la proclamazione dello stato di guerra, se si presenta la necessità di ricorrere alle forze armate per la difesa dello stato. Per la durata dello stato di guerra, egli ha il diritto, senza autorizzazione delle camere legislative, di emanare decreti nel campo della legislazione di stato (art. 79).
La costituzione può essere modificata, con modalità fissate dall'art. 80, per iniziativa del presidente della repubblica, del governo o di 1/4 del numero dei deputati fissato per legge.
Divisione amministrativa. - Secondo la divisione amministrativa del 1° gennaio 1934. (v. la tabella precedente), il territorio dello stato comprende la città di Varsavia e 16 voivodati o provincie (województwa), suddivisi in 264 circondarî (powiaty), con 637 città e 14.609 comuni rurali e terreni demaniali.
Forze armate. - Esercito. - L'esercito della repubblica polacca sorse alla fine della guerra mondiale, all'atto del dissolvimento degli imperi centrali, che, nel novembre 1918, occupavano l'intera Polonia.
Esso incorporò, insieme a reclute, militari già appartenenti: agli eserciti germanico, austriaco, russo; alle legioni e formazioni polacche, create, negli eserciti dell'intesa e degli stati centrali, durante la guerra; all'armata Haller, formata, nel 1918, in Francia e in Italia (in Italia: 18 reggimenti) prevalentemente con prigionieri provenienti dagli eserciti germanico e austriaco; alle poche unità costituite dai Tedeschi durante la loro occupazione; alle organizzazioni a tipo militare sorte clandestinamente durante la predetta occupazione.
Appena costituito, anzi mentre ancora era in corso d'organizzazione, il nuovo esercito si trovò a dover lottare, per tutto il 1919 e il 1920, contro: i Ruteni, tendenti a formare uno stato dell'Ucraina occidentale, con capitale Leopoli; gli Ucraini dell'atamano Petljura, avanzanti in Volinia; i Tedeschi, in Posnania; i Cèchi, a Teschen.
Con l'ausilio di personale (missioni militari) e di materiali francesi, italiani, americani, l'esercito polacco riuscì a battersi e vincere; non solo, ma contribuì preminentemente alla ricostruzione dello stato.
Nel novembre 1918, allorché il maresciallo Piłsudski assunse il supremo potere civile e militare, egli disponeva di 20 battaglioni; nell'autunno del 1919, l'esercito polacco comprendeva 20 divisioni di fanteria e 6 brigate di cavalleria; nel 1920, all'indomani della guerra vittoriosa contro l'U. R. S. S., l'esercito da smobilitare oltrepassava il milione di uomini.
Le forze terrestri polacche (forza bilanciata: 18.000 ufficiali, 238.000 sottufficiali e militari di truppa) appartengono al tipo degli eserciti permanenti di leva. Caratteristica fondamentale della loro organizzazione e dottrina è la preparazione alla guerra di movimento, quale richiedono i grandi spazî del paese, e, segnatamente, quelli delle frontiere orientali. Nel campo organico, quest'orientamento si traduce in una notevole, eccezionale proporzione di cavalleria e di artiglieria a cavallo, rispetto a quella della fanteria e dell'artiglieria da campagna.
Capo supremo delle forze armate è il presidente della repubblica, che può delegare il comando al comandante in capo delle forze armate, responsabile verso il presidente della repubblica.
Il territorio della repubblica, è suddiviso in 10 regioni militari: (Varsavia, Lublino, Grodno, Łódź, Cracovia, Leopoli, Poznań, Toruń, Brześć, Przemyśl), a ognuna delle quali è preposto un generale comandante di corpo d'armata, che ha funzioni di comando e territoriali.
L'esercito comprende: grandi unità (20 divisioni di fanteria, di cui 2 da montagna; 1 divisione e 12 brigate autonome di cavalleria); truppe (fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, aeronautica, treno); servizî (reclutamento, ippico, artiglieria, intendenza, sanità militare, genio, aeronautica, costruzitoni, giustizia militare, assistenza spirituale).
La divisione di fanteria si compone di 3 reggimenti di fanteria (o cacciatori di montagna), 1 reggimento di artiglieria da campagna, i compagnia telegrafisti.
La divisione di cavalleria è costituita da 3 brigate, ciascuna di 2 reggimenti di cavalleria, 2 gruppi d'artiglieria a cavallo, 1 squadrone zappatori.
Le truppe comprendono: fanteria: 84 reggimenti di fanteria, 6 reggimenti cacciatori da montagna, 3 battaglioni cacciatori, 3 reggimenti carri d'assalto, 1 gruppo autoblindate; cavalleria: 3 reggimenti cavalleggeri, 27 reggimenti ulani, 10 reggimenti cacciatori a cavallo, 10 squadroni zappatori; artiglieria: 11 raggruppamenti (di un numero vario di reggimenti e gruppi autonomi), 31 reggimenti e 1 gruppo autonomo da campagna, 10 reggimenti pesanti campali, 1 reggimento motorizzato, 1 reggimento pesante, 1 reggimento e 6 gruppi autonomi contraerei, 13 gruppi a cavallo, 2 gruppi treni blindati, 1 gruppo a piedi; genio: 4 brigate e 8 battaglioni zappatori, 1 battaglione pontieri, 2 battaglioni ponti ferroviarî, i battaglione elettrotecnici, 1 battaglione motoristi, 2 raggruppamenti collegamenti, 4 battaglioni effettivi e 4 battaglioni quadro telegrafisti; aeronautica: 2 raggruppamenti (di un numero vario di reggimenti e battaglioni autonomi), 16 reggimenti, 2 battaglioni aerostieri (in totale circa 700 velivoli, della potenza motrice globale di 263.000 HP); treno: 2 gruppi effettivi e 8 gruppi quadro ippomobili, 3 gruppi effettivi e 7 gruppi quadro automobili.
Il reggimento di fanteria comprende: 1 comando, 1 compagnia di amministrazione, 1 plotone cannoni, 1 plotone collegamenti, 1 plotone zappatori, 1 plotone esploratori a cavallo, 3 battaglioni (ciascuno di 4 compagnie, di cui 1 mitragliatrici). Il reggimento di cavalleria comprende: 1 comando, 1 plotone collegamenti, 4 squadroni di linea, 1 squadrone mitragliatrici, 1 squadrone di riserva. Il reggimento d'artiglieria da campagna ha: 1 comando, 1 sezione collegamenti, 3 gruppi di 3 batterie; il gruppo a cavallo: 1 comando, 1 sezione collegamenti, 2 a 3 batterie. La brigata zappatori del genio è costituita da 1 comando e da un numero vario di battaglioni; ogni battaglione del genio ha da 3 a 4 compagnie effettive, 1 compagnia d'istruzione, 1 parco.
Il servizio militare è obbligatorio, a partire dal 21° anno d'età. Gli esentati dal servizio sono tenuti al pagamento di una tassa militare. Esso comprende il servizio: nell'esercito attivo (ferma teorica di 2 anni), nella riserva (dal termine della ferma al 40° anno di età), nell'esercito territoriale (dal 41° al 50° anno di età). A lato del servizio militare generale obbligatorio, esiste il servizio obbligatorio ausiliario, al quale sono vincolati (dal 17° al 60° anno d'età) i cittadini maschi non appartenenti né all'esercito attivo, né alla riserva, né all'esercito territoriale. Possono esservi ammesse, volontariamente, anche le donne.
Il reclutamento degli ufficiali di carriera avviene mediante una scuola unica, i cui corsi durano 3 anni (4 per il genio): il 1° anno, generale, per tutte le armi, i 2 successivi, speciali per ogni arma. I sottufficiali sono formati, in un primo tempo (durante la ferma) presso corsi allievi ufficiali, esistenti in ciascun reggimento; in un secondo tempo (formazione dei sottufficiali di carriera) presso apposite scuole sottufficiali di carriera, in corsi della durata di 5 a 10 mesi, a seconda dell'arma.
Altre scuole provvedono poi al perfezionamento e alla specializzazione degli ufficiali e dei sottufficiali di carriera (centri d'istruzione d'arma) e alla formazione superiore degli ufficiali (centro di alti studî militari, scuola superiore di guerra).
Marina militare. - La marina militare polacca è sorta dopo la guerra mondiale insieme alla repubblica, ereditando gli ufficiali dalle marine confinanti (tedesca e russa), qualcuno addirittura da quella austro-ungarica, ed alcune unità dalla marina tedesca come conseguenza del trattato di pace. Attualmente, con ammirevole energia, la marina polacca sta provvedendosi di unità moderne, di un porto militare e di un'accademia navale: tre elementi destinati a dare alla giovane marina lo sviluppo cui essa tende e del quale ritiene di aver bisogno per la propria sicurezza.
Le unità della marina militare polacca sono: 2 cacciatorpediniere (Wicher, Burza), varati in Francia nel 1928-29 (sul tipo Bourrasque), da 1540 t. e 33 nodi, armati con 4/130 e 2 tubi di lancio trinati da 533; 5 torpediniere, di cui 4 (Krakowiak, Kujawiak, Podhalanin, . Slązak) extedesche, varate nel 1917, da 365 t. e 28 nodi, armate con 2/76, 2 mitragliere e 2 tubi di lancio da 450, e una (Mazur) ex-tedesca, varata nel 1916, da 360 t. e 28 nodi, armata come le precedenti; 3 sommergibili (Ryś, Wilk, Zbik), varati nel 1929 in Francia, da 980-1250 t. e 14/9 nodi, armati con 6 tubi da 530 e 1 pezzo da 100, allestiti come posamine e capaci di portare 40 torpedini: 4 dragamine (Czajka, Jaskółka, Mewa, Rybitwa), ex-tedeschi, varati nel 1917-19, da 200 t. e 12 nodi, armati con 2/47 e 2 mitragliere; cannoniere fluviali e lagunari, costruite tra il 1920 e il 1926, dalle 70 alle 35 t., con armamenti e velocità variabili.
Inoltre un certo numero di unità ausiliarie, tra cui le navi scuola Bałtyk (ex-incrociatore corazzato francese D'Entrecasteaux), da 8000 t., e Iskra, veliero da 400 t.; 5 piroscafi armati; 1 nave idrografica e 1 trasporto.
L'unica base navale è a Gdynia, dove si trova anche l'Accademia navale. Gli effettivi della marina sono di 307 ufficiali e 3000 tra sottufficiali e marinai.
Aviazione militare. - L'aviazione militare polacca dipende dal dipartimento aeronautico del Ministero della guerra. Il dipartimento comprende le seguenti sezioni:1. organizzazione generale; 2. sezione rlcerche; 3. sezione tecnica: oltre alle sezioni minori di mobilitazione, personale, bilancio e aerostati. La forza aerea militare è composta da: due unità aeronautiche (Varsavia e Cracovia); sei reggimenti d'aviazione (Varsavia, Toruń, Poznań, Cracovia, Lwów e Lida); due battaglioni aerostati (Jablonna e Toruń). La marina polacca possiede una divisione aerea navale. Ogni unità aeronautica è costituita da uno stato maggiore e da un numero vario di reggimenti d'aviazione e battaglioni aerostati. Ogni reggimento d'aviazione è costituito da: un ufficio di S. M.; una divisione addestramento; 2-3 divisioni, ciascuna composta di 2-3 squadriglie (dieci apparecchi per ogni squadriglia); una base aerea, composta di: quartiermastri, distaccamento stazionario e officine reggimentali. Ogni battaglione aerostati è costituito da: ufficio di S. M.; quartiermastri; compagnia addestramento; due compagnie di palloni d'osservazione; una compagnia di palloni di sbarramento; una compagnia amministrativa; officine di battaglione; plotone stazionario. Vi sono tre scuole, una di pilotaggio per ufficiali, una centrale per sottufficiali e una di tiro e bombardamento. Gli stabilimenti e officine sono: l'Istituto aerodinamico (unito a quello del politecnico di Varsavia); l'Istituto di ricerche sanitarie; gli stabilimenti di forniture aeronautiche; la stazione meteorologica per l'aviazione militare (unita all'Istituto meteorologico del Ministero dell'agricoltura); l'Istituto di ricerche tecniche. Gli apparecchi e i motori sono di costruzione polacca. Gli effettivi ammontano a 437 ufficiali e a 10.477 comuni.
Culti. - Per l'evangelizzazione della Polonia, come per la vittoria del cattolicismo romano contro le correnti riformate, v. sotto: Storia. Qui basterà sottolineare ancora una volta l'importanza che il fattore religioso ha avuto anche per la storia civile della nazione polacca.
Nella costituzione del 1921, gli articoli 111 e 112 garantivano a tutti i cittadini la libertà di coscienza e di culto, nell'ambito della morale, dell'ordine pubblico e delle leggi dello stato; gli articoli 115 e 116 stabilivano la formazione di leggi regolatrici e il riconoscimento delle minoranze religiose e delle associazioni religiose non contrarie alla morale e all'ordine pubblico; l'art. 114 assicurava alla religione cattolica, professata dalla maggioranza, la preminenza tra le confessioni uguali in diritto. La nuova costituzione non innova in materia. Il concordato con la Santa Sede del 10 febbraio 1925 concede alla Chiesa cattolica varî privilegi.
Esiste in Polonia una triplice gerarchia cattolica, secondo i tre riti latino, ruteno e armeno. Al primo appartengono le cinque provincie ecclesiastiche di Cracovia (secolo X; metropolitana dal 28 ottobre 1925) con suffraganei Częstochowa (1925), Katowice (1925), Kielce (1805; soppressa, 1818; ristabilita, 1882), Tarnów (1785); di Gniezno e Poznań (sec. X; metropolitana e unione, 1821; residenza Poznań) con suffraganei Chelmno (1243), Włocławek (o Kalisz; sec. XII); di Leopoli (1412), con suffraganei Łuck (sec. XIII; unita a Žytomir, 1798; separata, 1925), Przemyśl (sec. XIII); di Varsavia (1798; metropolitana, 1818), con suffraganei Łódź (1920), Lublino (1805; unita a Siedlce, 1818, separata, 1867), Plock (secolo X), Sandomierz (1818), Siedlce (1925; già Janów, 1818); di Vilna (sec. XIV, metropolitana, 1925), con suffraganei Łomża (1925), Pińsk (1925). Al rito ruteno appartiene l'arcivescovato di Leopoli (1156; metropolitana, 1303; ha unito il titolo di Halicz e il vescovato di Kamenec), con suffraganee Przemyśl (1087) e Stanisławów (1885); al rito armeno, l'arcivescovato di Leopoli (1626).
Il nunzio pontificio in Polonia ha giurisdizione anche su Danzica.
La chiesa ortodossa autocefala di Polonia ha un metropolita a Varsavia, anche arcivescovo di Volinia, e vescovi a Vilna, Grodno e Pińsk.
Vi sono inoltre chiese luterane (confessione di Augusta) a Varsavia, Vilna e Stanisławów, evangeliche a Varsavia, Poznań e Vilna.
Tra le sette cristiane, meritano particolare menzione i mariaviti, che hanno un arcivescovo a Płock. Vi sono numerosi ebrei, organizzati in comunità nelle città principali; e una comunità caraita, con un hacham a Troki. Vi sono anche dei musulmani, con un mufti a Vilna.
Secondo dati stimati (1932) la divisione della popolazione secondo la religione è la seguente: cattolici, 74,9%; ortodossi, 12,5%; ebrei, 9,6%; protestanti, 2,7%; altri, 0,3%.
Ordinamento scolastico. - Tutto ciò che si riferisce all'organizzazione dell'istruzione pubblica di qualsiasi grado è sottoposto al Ministero dell'istruzione pubblica e culti. Con il decreto del 7 febbraio 1919, l'istruzione pubblica di 6 0 7 anni è stata resa obbligatoria (età di 7-13 anni), e affidata a insegnanti dipendenti dallo stato. La Polonia avendo nel 1919 nelle varie regioni sistemi scolastici diversi, tanto per i programmi e la divisione delle scuole, quanto per il livello corrispondente al grado in cui la pubblica istruzione fu realizzata, ha dovuto rivolgere l'attenzione all'adattamento di questi sistemi alle nuove necessità. Così l'attività del ministero nei primi anni è stata diretta allo scopo di unificare i sistemi scolastici allora in vigore, conformandoli alle condizioni della vita dello stato. L'intera realizzazione di questo compito è avvenuta con la legge dell'11 marzo 1932, con la quale tutte le scuole sono state distinte in quattro gradi d'insegnamento: 7 corsi d'insegnamento elementare, 4 di ginnasio, 2 di liceo, cui segue l'insegnamento universitario. Al di fuori di questa divisione stanno le scuole professionali inferiori e medie, cioè scuole industriali, magistrali, di agricoltura e di mestieri, anch'esse sottoposte alla direzione del ministero.
La coordinazione delle scuole dei diversi gradi si presenta nel modo seguente. Il compito della scuola elementare è di preparare la gioventù o direttamente alla vita economica, o alla scuola professionale inferiore (agricoltura, mestieri), oppure al ginnasio. Il ginnasio invece prepara gli alunni o al liceo, attraverso il quale si passa all'università, oppure alla scuola professionale media (agricoltura, tecnica, industria, magistero). Le scuole professionali medie dànno inoltre possibilità di passare con un esame supplementare alla scuola superiore.
Nell'anno 1932-33 c'erano in Polonia: 26.875 scuole elementari con 4.329.000 scolari, 725 scuole medie (liceo-ginnasio), 593 scuole professionali, 195 scuole magistrali, 28 scuole superiori. In questa ultima cifra sono comprese le università di Cracovia, Leopoli, Varsavia, Poznań, Vilna e quella cattolica di Lublino, i politecnici, gli istituti superiori di agronomia e di commercio.
Nell'ultima legge il governo si è occupato anche dei programmi, considerando la scuola pubblica in funzione dello stato. Questa legge tende a far sì che la scuola non abbia solo un carattere puramente informativo, ma contribuisca alla formazione morale e sociale dei giovani, per fornire alla repubblica cittadini consapevoli dei problemi della vita culturale, economica, sociale e politica del paese.
Conformandosi a questo presupposto generale, i programmi di insegnamento e le direttive pedagogiche sono stati condizionati dai problemi specifici del paese e messi in funzione della vita economica e sociale dello stato. Nelle scuole elementari, oltre le altre materie, viene insegnato il mestiere (lavoro manuale), nelle scuole di tutti i gradi viene rivolta un'attenzione speciale all'educazione fisica e l'intera organizzazione d'insegnamento è uniformata al suo scopo sociale definito dalla legge suddetta. In quanto alla disposizione dei programmi, la nuova legge cerca di trovare la base e il criterio nei momenti psicologici determinanti lo sviluppo fisico e morale della gioventù, nella struttura culturale della nazione, nelle condizioni storiche, geografiche ed economiche del paese. Così l'insegnamento della religione è considerato quale un fattore importantissimo per la formazione del carattere e della consapevolezza morale del giovane, e l'avviamento nei problemi economici e sociali quale compito essenziale dell'insegnamento pubblico.
Il carattere generale dell'ordinamento scolastico in Polonia nei suoi presupposti è analogo a quello presentato dall'Italia, poiché corrisponde al concetto della scuola pubblica quale scuola politica. Le principali divergenze in confronto al sistema scolastico italiano consistono nei programmi: i programmi scolastici in Polonia cercano di dare maggiore rilievo all'insegnamento delle scienze naturali, ritenendo che queste contribuiscano in massimo grado alla formazione intellettuale degli alunni. Perciò è rivolta una grande attenzione al lavoro nei laboratorî di fisica, chimica e scienze naturali.
Finanze. - Bilanci e debito pubblico. - Nei primi anni del dopoguerra le finanze pubbliche della Polonia hanno attraversato un periodo di gravi difficoltà, sia a causa dell'esistenza di tre sistemi fiscali non ancora coordinati tra loro, sia soprattutto per il progressivo deprezzamento del marco polacco, e gli esercizî finanziarî di quegli anni si sono chiusi con forti deficit. Fu solo nel 1924, attuata la riforma monetaria, che si poté fare un gran passo verso il risanamento del bilancio; il pareggio non fu tuttavia raggiunto che nel 1926, allorché, superata la crisi economica del 1924-1925, il gettito delle imposte e quello delle imprese (ferrovie, foreste, porti, zecca, ecc.) e dei monopolî di stato risentirono del miglioramento della situazione generale. A partire dal 1929, in seguito all'inizio della crisi mondiale, il ritmo dell'attività economica cominciò a rallentare e dal 1930-31, sia per la contrazione delle entrate, sia per l'aumento delle spese - specie a favore dei disoccupati -, i bilanci si sono chiusi nuovamente in deficit.
I principali capitoli di entrata del bilancio polacco sono costituiti dal monopolio del tabacco, dal monopolio dell'alcool, dalle tasse sugli affari e dai dazî doganali. Le principali spese sono quelle per la difesa nazionale, per l'istruzione pubblica e per il servizio del debito pubblico (in milioni di złoty):
Al 1° gennaio 1934 il debito pubblico ammontava a 4303 milioni di złoty di cui 759 di debito interno (350 milioni sono tra questi il risultato del prestito nazionale emesso nel settembre 1933) e 3544 di debito estero, contratto specialmente con gli Stati Uniti, oltre che con la Francia e la Gran Bretagna. La Polonia ha regolarmente provveduto al servizio del suo debito pubblico estero, a eccezione di quello di guerra per cui ha sospeso i pagamenti.
Moneta e credito. - L'unità monetaria è lo złoty, moneta a base aurea entrata in circolazione il 1° maggio 1924 in sostituzione del deprezzatissimo marco polacco (che fu ritirato entro il marzo 1925 al cambio di 1.800.000 marchi per 1 złoty). La crisi economica che seguì alla riforma monetaria fu tuttavia causa di nuova inflazione e anche lo złoty subì una continua svalutazione fino ai primi mesi del 1926, epoca in cui la Banca di Polonia riuscì a fissarne il cambio col dollaro a 8,91. Il 13 ottobre 1927 lo złoty fu quindi stabilizzato a questo livello e il suo contenuto aureo conseguentemente modificato (i kg. d'oro fino = 5924,44 złoty). La Banca di Polonia, che creata per legge cominciò a funzionare il 28 aprile 1924, è una società anonima privata cui è stato concesso il monopolio dell'emissione dei biglietti (l'emissione di monete è riservata al governo) con l'obbligo di tenere una riserva in oro non inferiore al 30% dei biglietti in circolazione e dei depositi (fino al marzo 1933 la riserva doveva essere del 40%, ma poteva constare per 1/4 di divise estere convertibili in oro); per ogni emissione eccedente tale limite, la Banca deve corrispondere al governo una tassa progressiva. La convertibilità in oro dei biglietti (per un minimo di 10.000 złoty), nonostante le perturbazioni monetarie internazionali di questi ultimi anni, è stata ancora mantenuta. Al 1° marzo 1934 la circolazione era composta di 939,1 milioni di złoty in biglietti di banca e di 346,i milioni in monete metalliche e la riserva consisteva di 478,5 milioni in oro e 77,9 in monete e divise estere (la copertura aurea dei biglietti e degli impegni a vista risultava alla stessa data del 43,12).
La Polonia ha tre banche di stato: la Banca dell'economia nazionale, fondata nel 1924 (la cui funzione principale è quella di accordare crediti a lungo termine agli enti autonomi e mutui ipotecarî alla proprietà fondiaria e all'industria), la Banca agraria di stato, fondata nel 1919, e la Cassa di risparmio postale, fondata nello stesso anno. Nel 1933 è stata poi istituita, col compito principale di convertire i crediti agrarî a breve termine in crediti a 7 anni e di diminuirne l'interesse, la Banca di accettazione, di cui lo stato e le banche di stato sono i maggiori azionisti.
Bibl.: Costituzione: A. Giannini, Le costituzioni degli stati dell'Europa Orientale, II, Roma s. a., pagine 447-500; id., La riforma della costituzione polacca, Roma 1934.
Istruzione: L'éducation en Pologne, Ginevra 1931; M. Falski, Szkoły Rzeczypospolitej Polskiej w roku szkolnym 1930-31 (Le scuole della rep. pol. nell'anno 1930-31), Varsavia 1933; B. Kielski, Les idées directrices de la nouvelle loi sur le régime de l'enseignement public en Pologne, in Inter. Zeitschrift f. Erziehungswissensch., Colonia 1932-33, fasc. 4°.
Finanze: Revue mensuelle e Rapports della Banca dell'economia nazionale (Varsavia); R. Górecki, La Pologne nouvelle, Varsavia 1931.
Preistoria.
Paleolitico. - Le più antiche vestigia dell'uomo sono rappresentate in Polonia dall'industria acheuléana della grotta Ciemna in Ojców e di quella di Okiennik. La prima possiede un carattere locale (cosiddetta industria di Prądnik, studiata da S. Krukowski), la seconda s'avvicina alla cultura di La Micoque. I giacimenti mousteriani, rari in Polonia, sono stati riconosciuti nella grotta Ciemna di Ojców e a Marjanówka in Volinia; sono invece numerosi quelli della cultura aurignaciana, incontrati per lo più nel löss, più raramente nelle caverne. La grotta dei Pipistrelli in Jerzmanów dimostra già l'influenza evidente dell'industria solutréana. Giacimenti classici dell'industria magdaleniana inferiore fornì la grotta Maszycka, nelle vicinanze di Ojców, fra l'altro un bastone di comando. Nel periodo magdaleniano medio compare la prima popolazione sul terreno della Polonia centrale (industria di Orońsk di Krukowski), e nel periodo magdaleniano finale si sviluppano qui già due differenti industrie locali: lo svideriano e il pludiano (da Pludy) con punte di frecce peduncolate quale forma principale, mentre nella parte meridionale della Polonia ci incontriamo nello stesso periodo con un'industria locale detta mnikoviana (da Mników).
Mesolitico. - Nel periodo tardivo dell'Ancylus compare in Polonia una popolazione di cacciatori di cultura tardenoisiana, che occupa quasi tutto il paese; solamente nella parte settentrionale vive al suo fianco una popolazione di pescatori della cultura di Kunda, che si serve principalmente di strumenti e armi di corno e ossei. Nel periodo della Litorina compare nella Polonia meridionale e in quella nord-orientale la cultura campignana.
Neolitico. - Nel II periodo del neolitico penetra in Polonia dalla Moravia la cultura più antica della ceramica con ornati a spirali e a meandri; nel III e IV periodo si sviluppano gruppi più recenti di tale cultura (ceramica punteggiata, quella di Lengyel, ceramica con ornati a raggio, ceramica dipinta della Moravia Meridionale; v. danubiane, civiltà). Nel periodo III, proveniente dalla Danimarca, apparisce la cultura delle coppe con collo a imbuto, e dalla Germania centrale quella delle anfore sferiche; nel periodo IV arriva la cultura prefinnica, sviluppatasi nella Russia centrale e insinuatasi fino nella Polonia occidentale, mentre dal sud-est penetra in Polonia la cultura transilvana e ucraina della ceramica dipinta, occupando parte della Piccola Polonia orientale. Nello stesso tempo comparisce la cultura della ceramica a cordicella, creando in Polonia parecchi gruppi locali. Verso la fine del neolitico appare, proveniente dalla Moravia, la cultura del bicchiere a campana. Quasi tutte queste culture sono già in possesso del rame.
Eià del bronzo (1800-700 a. C.). - Nel I periodo la parte sud-occidentale della Polonia è occupata dalla cultura di Unĕtice, quella nord-occidentale dalla cultura delle tombe a cassa di pietre, la Cuiavia e la terra di Chełmno dalla cultura di Iwno, nata sotto una forte influenza della cultura del bicchiere a campana. Nel rimanente della Polonia il bronzo è ancora raro. Nel periodo II la cultura di Unĕtice si trasforma in cultura prelusaziana, occupando la Polonia occidentale fino al Noteć. Nel periodo III dell'età del bronzo nasce dalla cultura prelusaziana la cultura lusaziana, che arriva fino al Baltico e si diffonde ben presto verso oriente. Nel mentre la ceramica lusaziana a bugne, tipica per il III periodo, arriva solo sporadicamente nella Polonia centrale, incontriamo invece già nella Podlasia e nella Volinia occidentale la ceramica lusaziana a solchi obliqui caratteristica per il IV periodo, e nello stesso tempo verso settentrione la cultura lusaziana si diffonde oltre la frontiera della Polonia, nell'interno della Prussia Orientale. La popolazione di cultura lusaziana bruciava i suoi morti, seppellendo le ceneri prima in tumuli, più tardi in fosse al piano di campagna; essa produsse una serie di caratteristici ornamenti e di attrezzi di bronzo, mantenendo vive relazioni con diversi paesi. Il gruppo lusaziano della Pomerania si trova sotto una forte influenza della progredita industria metallica della cultura nordica. Nella Piccola Polonia orientale è forse una popolazione trace che risente una forte influenza della cultura del bronzo ungaro-romena e influenze meno sensibili ucraine.
Età del ferro. - Primo periodo. - Al culmine del suo sviluppo perviene la cultura lusaziana nel primo periodo del ferro (700-400 a. C.) sotto l'influenza di forti pressioni dal medio Danubio, dalle Alpi orientali e dall'Italia settentrionale. Nella ceramica compaiono un'ornamentazione a colori e l'incrostazione. La popolazione di cultura lusaziana penetra fino nella Piccola Polonia orientale, dove si mescola con la popolazione trace, creando la cultura di Wysocko. Il più bel resto della cultura trace sono due tesori d'oro, rinvenuti a Michałków nel circondario di Borszczów. Un piccolo lembo della Piccola Polonia orientale occupa nel primo periodo del ferro la popolazione scita, che seppellisce i suoi morti in tumuli. In Pomerania sul margine fra l'età del bronzo e l'età del ferro si forma la cultura delle urne a volto umano, sviluppatasi da un gruppo locale della cultura lusaziana. Tipica forma di sepolcro è la cassetta di lastre di pietre. Se consideriamo la cultura lusaziana come una cultura balto-slava, dobbiamo ascrivere la cultura delle urne a volto umano come appartenente a qualche popolazione baltica. Durante il primo periodo del ferro e il periodo di La Tène I-II, questa cultura conquista la maggior parte delle regioni di cultura lusaziana, che si difende dagl'invasori nei castelli e nelle stazioni su paludi e palafitte. Un'altra popolazione baltica si può distinguere nella Polonia nord-orientale, dove al principio dell'età del ferro nasce una cultura differente, che finora è conosciuta solamente da stazioni e ripostigli di oggetti di bronzo.
Periodo di La Tène (sec. IV a. C.-I a. C.). - Nel sec. IV a. C. penetra dalla Moravia nella regione della Slesia e della Piccola Polonia occidentale una popolazione celtica. Fortissime influenze celtiche, sotto forma di prodotti metallici, dimostra, al suo apparire verso la metà del sec. II, la cultura dei sepolcri a fossa (senza urne), che la maggior parte degli archeologi attribuisce ai popoli invasori germanici dello Jütland e dell'isola di Bornholm, ma che nella ceramica e nei riti funebri dimostra un espresso collegamento con la cultura lusaziana.
Periodo romano (I d. C.-IV d. C.). - Il posto delle influenze celtiche occupano nel periodo romano le influenze dall'Italia e dalle provincie romane del Reno inferiore e del Danubio centrale. Verso l'epoca della nascita di Cristo comparisce alla foce della Vistola una popolazione germanica della scandinavia, che seppellisce i suoi defunti non cremati (Goti e Gepidi). I loro sepolcri sono ricchi d'ornamenti, non contengono mai armi. Il resto della popolazione in Polonia usa sempre ancora l'incinerazione. Nel corso del sec. II d. C. i Goti abbandonano la Pomerania, dirigendosi verso il Mar Nero, e nel sec. III seguono le loro tracce i Gepidi. Nella Piccola Polonia orientale nei secoli I e II d. C. vive una popolazione trace, proveniente dalla Transilvania (cultura di Lipica).
Periodo delle migrazioni dei popoli. - Del sec. V e VI d. C. i più numerosi resti che conosciamo sono quelli della Polonia nordorientale, abitata da popoli baltici.
Periodo protostorico. - Della prima parte del periodo protostorico non possediamo nessun giacimento, che possa essere datato. Solamente nei secoli X e XI incontriamo numerosi sepolcri, quasi esclusivamente a inumazione, tesori d'argento con bellissimi ornamenti a filigrana e granulazione e con monete, dapprima arabe, poi principalmente dell'Europa occidentale, e stazioni ordinarie e fortificate (castelli e palafitte) che formano i resti della popolazione slava. Nella parte nord-orientale della Polonia vivono i popoli baltici (Lituani, Prussiani) divenuti cristiani nel sec. XIV.
Bibl.: H. Obermeier e J. Korstrzewski, in M. Ebert, Reallexik. d. Vorgeschichte, s. v. Polen, p. 177 segg.
Storia.
Circondata da tutte le parti da popoli slavi e baltici e lontana dai centri culturali dell'alto Medioevo, la Polonia appare nella storia solo verso la metà del sec. X. Ma vi appare subito come la più grande fra le unità statali slave, con a capo un principe - Mieszko I - forte all'interno e capace di condurre, sia pure con qualche incertezza e variā fortuna, una propria politica estera. Alla rapida affermazione deve essere preceduto dunque un periodo di organizzazione statale; e poiché nulla ci autorizza ad attribuirne il merito a elementi stranieri - l'ipotesi di un'incursione normanna non trova più credito nella storiografia polacca - bisogna dedurre che il lungo isolamento, dannoso dal punto di vista culturale, abbia permesso alle terre polacche di unificarsi e consolidarsi politicamente con le proprie forze. Probabilmente sino dalla metà del sec. IX la dinastia dei Piasti, assunto il potere sulla tribù dei Polani (regione di Gniezno e Poznań), procedette alla sottomissione graduale delle altre tribù polacche: degli Slesiani, Masoviani, Vistolani (che, nel territorio della futura Piccola Polonia, avevano istituito un principato nella seconda metà del sec. IX) e infine, ma solo sul finire del sec. X, dei Pomerani. Deve essere stata anche opera dei Piasti anteriori a Mieszko l'organizzazione militare delle terre sottoposte al loro dominio; una numerosa compagnia di guerrieri (drużyna), composta d'indigeni e di stranieri, serviva esclusivamente ai loro ordini, emancipandoli anche dal potere delle famiglie (rody), i cui capi, assieme ai guerrieri, formeranno più tardi il primo nucleo della nobiltà. A partire dal 963, quando fu sconfitto dall'avventuriero tedesco Wichmann, Mieszko I è in quasi continua lotta con i margravi tedeschi, al disopra dei quali egli cerca di assicurarsi l'amicizia e la protezione dell'imperatore. La posta in giuoco è il predominio sulla zona occidentale del territorio occupato dagli Slavi Elbani; il risultato è un indubbio arginamento della tenace espansione tedesca, ma anche il riconoscimento, da parte di Mieszko, della sovranità di Ottone I e, dopo un'interruzione di una quindicina di anni, di Ottone III. Nello stesso tempo Mieszko protende il suo potere longum mare, riuscendo a sottomettere alla propria sovranità anche i Vichinghi insediati alle foci dell'Oder; e ha mire aggressive, con successo transitorio, contro i Boemi. Con queste lotte, Mieszko anticipa e segna per secoli buona parte delle direttive politiche della Polonia; ma gli atti più tempestivi e lungimiranti sono stati compiuti da lui nel campo religioso ed ecclesiastico: l'adozione del cristianesimo nel 966 (prevenendo cioè la cristianizzazione della Russia ed elimimándo così ogni possibilità di un avvicinamento alla chiesa orientale) per opera di sacerdoti occidentali - nel 965 aveva sposato Dobrava, della dinastia, già cristianizzata, dei Přemyslidi -; l'organizzazione chiesastica affidata a un vescovo missionario - col che la chiesa polacca si rendeva sino dai suoi inizî indipendente da quella tedesca -; infine (documento risalente agli anni 985-992) la donazione esplicita della Polonia, in tutta la sua estensione, alla Santa Sede, per cui essa diventava parte del patrimonio di San Pietro. La rapida, anche se incompleta, catechizzazione della Polonia sotto Mieszko fu forse agevolata da un'anteriore penetrazione del cristianesimo, cent'anni prima, dalla Moravia nella regione di Cracovia; ma ciò che importa è che solo ora la cristianizzazione assume una grande portata politica: a parte la protezione che la Polonia si assicura dell'unica potenza capace di rivaleggiare con l'Impero, ai principi tedeschi è tolto ogni pretesto per invadere le terre polacche allo scopo di estirparne il paganesimo.
L'opera di Mieszko fu continuata con slancio di conquistatore, talento militare e perseveranza politica dal suo successore Boleslao il Grande (Bolesław Chrobry, 992-1025). Amico di Ottone III, che nel suo pellegrinaggio a Gniezno, alla tomba di S. Adalberto pose sul suo capo la propria corona, che, nella stessa Gniezno, istituì una diocesi metropolitana e che ai principi polacchi cedette il diritto d'investitura, Boleslao fondò anzitutto, nelle sue terre occidentali, alcuni nuovi vescovati, fra cui uno a Kolberg in Pomerania; combatté poi a lungo contro Enrico Il e nella pace di Bautzen (1018) mantenne in suo potere la Lusazia; condusse, infine, per impedirne l'alleanza con l'imperatore, una spedizione contro la Russia, occupando per breve tempo persino la città di Kiev e inaugurando così l'indirizzo orientale della politica espansiva polacca. Un anno prima della sua morte riuscì a ottenere, con l'acconsentimento di Roma, per tanti anni inutilmente atteso, la corona reale: simbolo dell'indipendenza e dell'indivisibilità delle terre polacche. Ma la grandezza del nuovo stato che dal mare giungeva sino alla Moravia e alla Slovacchia e dal Bug sino all'Elba, non poggiava su un'adeguata coesione e organizzazione interna, e, quel che più importa, il successore di Boleslao, Mieszko II (1025-1034), non aveva, fra i numerosi vicini, un solo amico fidato. Mentre quindi sotto i primi due Piasti si erano manifestate in piena luce le forze positive della Polonia - in primo luogo; forza militare e capacità espansiva - durante il breve regno di Mieszko II, inaugurato col coronamento, apparve chiaramente il duplice pericolo che anche nei secoli successivi minaccerà spesso l'integrità della Polonia: discordie interne e coalizione aggressiva delle potenze confinanti. Fu così che Mieszko II, non privo di capacità né di energia, dopo i primi successi ottenuti nella sua temeraria offensiva contro Corrado II, perdette in pochi anni le conquiste territoriali di suo padre, quando contro di lui si allearono Boemi, Russi e i suoi stessi fratelli. Nel 1033, al convegno di Merseburg, dovette rinunciare alla corona reale e impegnarsi al pagamento di un tributo.
Dopo la sua morte si scatenarono i mal compressi separatismi regionali, il paganesimo non ancora del tutto domato si riaffermò con violenza, e la parte occidentale dello stato fu facile preda del principe boemo Břetislav che occupò la Slesia. Il figlio di Mieszko II, Casimiro il Rinnovatore (1038-1098), dovette procedere lentamente, con l'aiuto di Corrado II e del principe russo Jaroslav, alla riorganizzazione religiosa e alla ricostruzione politica della Polonia. Non poté riavere la Lusazia e si accontentò di una sovranità formale sulla Pomerania; riottenne invece la Slesia. Lo seguì con successo, sulla via della ricostruzione statale, Boleslao l'Ardito (1058-1079), che, avvicinandosi più ancora dei suoi predecessori all'Ungheria e sfruttando accortamente il conflitto tra Enrico IV e Gregorio VII, seppe emanciparsi dalla preponderante ingerenza tedesca, coronarsi re nel 1076, e riconquistare alla Polonia le piazzeforti rutene (Grody czerwieńskie). Ma i risultati furono di breve durata. Ancora una volta sulle forze centralizzatrici del Regno prevalsero dissidî dinastici e il malcontento dei magnati. L'indignazione causata dal crudele supplizio che il re inflisse al vescovo di Cracovia Stanislao, scoppiò in una rivolta, e Boleslao dovette cercare rifugio all'estero. Seguirono decennî di forzata arrendevolezza di fronte ai Tedeschi, Boemi e Russi; di superiorità di un magnate sul principe; di lotte dinastiche e conseguente divisione delle terre polacche in due territorî. Per opera dell'energico Boleslao III Boccatorta (1102-1138) la Polonia si salvò ancora dalla disgregazione, ma anche questo principe, che seppe riconfermare l'indipendenza della Polonia di fronte all'impero (vittorie su Enrico V in Slesia), che sottomise al suo dominio, ma come feudo imperiale, la Pomerania, e ne promosse la cristianizzazione, non si sentì di fronte alle difficoltà interne, sempre crescenti, di trasmettere a un solo erede tutta la Polonia, tanto più che nella dinastia dei Piasti non vigeva alcun ordine stabile di successione. Poco prima della morte, con un atto pubblico, garantito dalle autorità ecclesiastiche e laiche e confermato dal papa, Boleslao III istituì un nuovo ordine di successione che, mentre accontentava i membri della dinastia regnante, avrebbe dovuto conservare almeno l'integrità dello stato. In questo testamento, che distingueva la successione al trono basata sul seniorato dall'eredità territoriale estesa a tutti i figli di Boleslao, la Polonia fu divisa in quattro territorî, costituiti in ducati ereditarî: la Slesia, la Masovia, buona parte della Grande Polonia, e la zona di Sandomierz e Lublino. Principe sovrano di tutta la Polonia, specialmente nei rapporti con l'estero doveva essere il membro più anziano della dinastia cui era riservato inoltre in sovranità diretta il territorio centrale con Cracovia e in sovranità mediata la Pomerania.
Gli effetti di questo complicato sistema di successione furono disastrosi: aizzati gli antagonismi tra i figli di Boleslao Boccatorta, riaccesi gli interessi particolari dei singoli territorî ed essi stessi esposti ad ulteriori frazionamenti, cresciuto il potere e l'invadenza dell'aristocrazia. In questo stato di cose una politica forte e dignitosa di fronte ai Tedeschi, che proprio allora stavano definitivamente impadronendosi del Brandeburgo e di altre terre al di là dell'Oder ancora abitate da popolazioni slave, era impossibile: nel 1157 il secondo figlio di Boleslao Boccatorta - Boleslao IV (Ricciuto) - dovette umiliarsi davanti a Federico Barbarossa e accettare da lui la Polonia quale feudo imperiale. Lo stesso sistema di successione non si mantenne a lungo. Nel 1177, vivente ancora un fratello maggiore, s'insediò sul trono di Cracovia il più giovane figlio di Boleslao III, Casimiro il Giusto (1177-1194) che, sorretto dall'aristocrazia e dall'alto clero, soppresse il seniorato (convegno di Łęczyca, 1180) e consolidò il proprio potere sul ducato di Cracovia, ottenendo il diritto di successione per i proprî discendenti sulla base della primogenitura. Avendo accentrato nelle sue mani tutti i territorî centro-orientali della Polonia, Casimiro rivolse lo sguardo all'est, estese la propria sovranità su alcune regioni del Bug, lottò con successo contro la tribù baltica e pagana degli Jadvingi, affermò la propria autorità anche sul Halicz e divenne così mentre la potenza di Kiev stava sfasciandosi, uno dei creatori della politica orientale polacca. Nello stesso tempo dovette però assistere passivamente all'estendersi del dominio e della colonizzazione tedesca nella Pomerania occidentale, diventata, dopo i rapidi successi del sassone Enrico il Leone, feudo imperiale (1181).
Più fatali ancora della minacciosa e sistematica offensiva tedesca furono per la Polonia nei decennî seguenti il continuo spezzettarsi dei territorî, l'esimersi di essi dalla supremazia di Cracovia, l'accrescersi costante della potenza dell'aristocrazia. L'unità dinastica, una vaga ma pur sensibile coscienza nazionale e il fatto che la Polonia, nella sua totalità, continuava a essere una provincia ecclesiastica, furono per lungo tempo, in mezzo a tanta disgregazione, gli unici fattori unitarî.
Il periodo di decadenza durò un secolo intero. Alla storia della Polonia va sostituita per il sec. XIII, la storia dei singoli territorî. Pochi fatti soltanto, e più per riflessi successivi che per il significato immediato, hanno un'importanza per tutta la Polonia. Anzitutto la chiamata da parte di Corrado di Masovia (1226) dell'Ordine Teutonico, che per cristianizzare la Prussia pagana s'installò saldamente nella terra di Culmia (Chełmno), vi fondò la piazzaforte di Toruń (Thorn), e da lì mosse all'offensiva che, con un'interpretazione evidentemente un po' estensiva degli atti di donazione del duca polacco - ma col consenso dell'imperatore e del papa -, li rese padroni, in pochi decennî, di tutta la Prussia sino al Niemen. Nelle terre occupate furono introdotti con sollecitudine coloni tedeschi, e il potere dei Cavalieri Teutonici si accrebbe traendo nuove forze dall'unione con l'Ordine dei Portaspada, che, costituitosi in Livonia, cominciò a estendere la propria attività sulla vicina Samogizia e sulla Lituania. Le gravi conseguenze dell'atto inconsulto di Corrado apparvero solo più tardi in tutta la loro pienezza, ma in quegli anni esso fu aggravato dallo staccarsi quasi contemporaneo dalla Polonia (1227) della Pomerania orientale. Nello stesso tempo i Polacchi, pur difendendosi strenuamente e apparendo per la prima volta nella storia quali difensori dell'Occidente, subirono la rovinosa invasione dei Tatari, i quali, oltre che devastare le regioni meridionali, posero fine alla grande ambizione di ricostituire l'unità polacca che il ramo slesiano dei Piasti, guidato prima da Enrico il Barbuto (1228-1238) e poi da suo figlio Enrico il Pio, morto nella battaglia di Liegnitz (1241), aveva nutrito, e in parte già realizzato. Da rilevare infine l'introduzione anche in Polonia della riforma della Chiesa che vi s'impose grazie soprattutto all'azione energica dell'arcivescovo di Gniezno, Enrico Kietlicz. Essa invero indebolì il potere laico, ma contribuì fortemente a sollevare non solo il livello morale e spirituale del clero, ma anche, in parte almeno, di tutta la nazione. Fu così che la canonizzazione di Santo Stanislao (1254), divenuto patrono dei Polacchi, diede un nuovo impulso al sentimento di solidarietà nazionale, e, aumentando il prestigio di Cracovia, spianò la via alla futura risurrezione statale che anche in quegli anni di grave prostrazione politica appariva come una meta verso la quale bisognasse tendere a onta di tutte le difficoltà che forze esterne e debolezze interne continuavano a contrapporvi.
Verso la fine del secolo tali difficoltà, anziché diminuire, andavano ancora aumentando. Contro gli effimeri successi di Leszek il Nero (1279-1288) nel Halicz, e la sua vittoria definitiva contro gli Jadvingi (1282); contro le sagge riforme amministrative di Enrico IV il Probo (1288-1290) e l'incorporazione, per successione ereditaria, della Pomerania orientale da parte di Przemysław II (1295) che, grazie all'energica azione dell'arcivescovo Świnka, riuscì a ottenere, a Gniezno, non a Cracovia, la corona reale (1295), stanno: la crescente germanizzazione della Slesia (Breslavia era già diventata una città prevalentemente tedesca); le continue liti tra i singoli membri della dinastia e tra questi e i magnati; e quel che è peggio l'invasione, da parte degli eserciti boemi di Venceslao II, di Cracovia (1291), di Sandomierz (1292) e poî anche della Grande Polonia (1300). Poiché Venceslao, che grazie all'appoggio dell'imperatore Alberto I era riuscito a cingere. la corona reale di Polonia (1300), ottenne anche una parte della Cuiavia, la Pomerania e la sovranità su alcuni altri territorî, egli poté apparire quale primo unificatore delle terre polacche. Ma la Polonia di Venceslao, vassallo dell'impero, non aveva carattere nazionale: il principe boemo basava il suo governo su elementi stranieri - la borghesia tedesca, e gli impiegati e soldati cèchi.
Contro Venceslao, però, sfruttando abilmente il malcontento della nobiltà e l'aiuto di Bonifacio VIII - avverso ai Přemyslidi - e dell'Ungheria, insorse il tenace Vladislao il Breve (Lokietek, 1304-1333), fratello minore di Leszek il Nero. Rifugiatosi all'estero nel 1300, egli ritornò in Polonia nel 1304; occupò prima parecchie città della Piccola Polonia, poi, dopo la morte di Venceslao (1305), Cracovia. Anche il ducato di Sieradz, la Cuiavia e la Pomerania orientale riconobbero ben presto il suo dominio. Quest'ultima andò però perduta pochi anni dopo: infatti, chiamati in aiuto dal castellano di Danzica, i Crociati s'impadronirono non solo della città (massacro della popolazione nel 1308), ma anche delle altre piazforti della Pomerania ed eressero a sede del grande maestro il castello di Marienburg. In compenso Łokietek, repressa a Cracovia e in alcune città vicine la ribellione della borghesia tedesca, desiderosa di ripristinare il governo boemo (Giovanni di Lussemburgo aveva assunto anche il titolo di re polacco), poté estendere il suo potere anche sulla Grande Polonia. L'incoronamento a Cracovia (1320) premiava gli sforzi di questo energico restauratore della potenza dei Piasti e inaugurava un nuovo periodo di splendore dello stato polacco. Eppure l'opera intrapresa da Łokietek rimase in buona parte incompiuta: non soltanto la sua lotta politica e militare contro i Crociati (vittoria a Plowce del 1331) non sortì alcun risultato positivo, non solo quasi tutta la Slesia riconobbe la sovranità boema, ma anche la Masovia non poté essere incorporata nel regno di Lokietek minacciato dalla Boemia; sicché alla sua morte la Polonia era ancora mutila, estenuata dalle lotte e disorganizzata.
A Casimiro il Grande (1333-1370), che gli succedette giovanissimo, spettava l'arduo compito di assestare la Polonia all'interno e all'estero. Sino dal principio del suo regno egli si rese conto che bisognava liquidare il conflitto con i due nemici più potenti: la Boemia e l'Ordine Teutonico. Con la prima giunse a un accordo, in seguito al quale Giovanni di Lussemburgo rinunziò alle sue pretese sul trono polacco in cambio di un congruo compenso finanziario e del riconoscimento della sovranità del re di Boemia sulla Slesia che fu così definitivamente perduta per la Polonia.
Con l'Ordine Teutonico, l'accordo fu molto più laborioso. Forti della loro superiorità militare, i Crociati ricusarono di accettare la sentenza arbitrale del 1339 che riconobbe i diritti della Polonia sulla Pomerania.
Casimiro dovette perciò adire a trattative dirette con l'Ordine e concludere il trattato di Kalisz 11343) con cui rinunciava alla Pomerania e alla terra di Culmia (Chełmno), mentre i Crociati a loro volta gli restituimno la Cuiavia e il territorio di Dobrzyń. Ma ad onta degli obblighi contratti, e probabilmente per l'inadempienza di qualche clausola da parte dell'Ordine (pagamento della somma di riscatto), Casimiro continuò a fregiarsi del titolo di sovrano della Pomerania.
Consolidata, sia pure con gravi perdite, la sua posizione ad occidente, Casimiro rivolse la sua attenzione verso l'est che, per un complesso di ragioni, offriva minore resistenza all'espansione polacca. Sin dal 1340 egli aveva reclamato per sé il principato della Rutenia di Halicz, rimasto vacante dopo la morte violenta di un principe apparentato al ramo masoviano dei Piasti. Dopo varie vicende e ripetute lotte contro Tatari, contro una parte della nobiltà indigena e contro i Lituani, Casimiro, grazie anche all'appoggio che ebbe da Lodovico d'Angiò, assicurò al suo regno il Halicz (1349) e poi, con un trattato coi principi lituani, la sovranità sulle terre occidentali della. Volinia. Infine egli riuscì a estendere la sua sfera d'influenza anche sulla Podolia. Il confine orientale della Polonia giungeva, così, sino alle paludi della Polessia e agli altipiani della Podolia. Nuovi orizzonti politici - avvicinamento alla Lituania, predominio nei territorî meridionali della Rutenia - ed economici - aperta la via verso i porti del Mar Nero - si dischiudevano alla Polonia.
Ma più ancora che in questo ampliamento territoriale (anche i Piasti di Masovia riconobbero la sua sovranità) la grandezza di Casimiro sta nel miglioramento radicale delle condizioni amministrative, militari, finanziarie, sociali, giuridiche (lo statuto di Wiślica) e culturali dei suoi dominî. Spirito eminentemente costruttivo e sistematico, egli non trascurò nulla di quanto, senza sbalzi e senza scosse, potesse contribuire al consolidamento dello stato. Il congresso di Cracovia, al quale presero parte l'imperatore e parecchi sovrani, e che fu convocato nel 1364 per esaminare la possibilità di un'azione comune contro i Turchi, fu la prova migliore di quanta autorità godesse Casimiro di fronte all'estero; la facilità con cui nel 1352 represse la confederazione dei nobili malcontenti, guidati da Maćko Borkowicz (è questa la prima confederazione polacca, ispirata a esempî brandeburghesi), rese evidenti il prestigio e l'autorità di cui egli disponeva di fronte a residui di forze disgregatrici all'interno del paese.
Il più geniale dei Piasti morì senza eredi maschi: nel suo ramo principale la dinastia si estingueva nel momento in cui attingeva il proprio apogeo. C'erano ancosa, in Slesia e in Masovia, dei duchi appartenenti all'antica famiglia, ma Casimiro non si fidava di essi e preferendo lasciare il trono di Polonia a un principe forte, destinò a suoi successori gli Angioini, e con essi (prima con Carlo Roberto, e poi con Ludovico il Grande), anche per ottenere vantaggi in Galizia, stipulò gli accordi del 1339 e del 1355, sanzionati dagli stati polacchi ai quali furono riconfermati i loro privilegi.
Solo al suo principio e alla sua fine, la dinastia dei Piasti diede alla Polonia statisti veramente eminenti. Ciò nonostante, sensibile fu il progresso realizzato nelle terre polacche tra il sec. X e il sec. XIV. I primi Piasti avevano compiuto opera di pionieri: a parte l'organizzazione statale e chiesastica del paese, spetta a essi il merito di aver iniziato il dissodamento di un terreno quanto mai ingrato (prevalevano nell'antica Polonia foreste e paludi ìmpenetrabili); di aver rese più sicure le comunicazioni interne e con i paesi confinanti e di avere, così, avvicinato la Polonia, anche materialmente, all'Occidente. Nei secoli XII e XIII i duchi dei singoli territorî, i conventi, l'alto clero e i magnati migliorarono le condizioni economiche e agrarie delle proprie terre introducendovi contadini e borghesi tedeschi, retti da proprie giurisdizioni, che furono poi spesso estese anche ai Polacchi. L'affluenza in Polonia di colonizzatori tedeschi assunse a tratti carattere di un vero movimento di popolazioni: terre incolte furono bonificate, artigianato e commercio cominciarono a fiorire. Casimiro il Grande, sotto il quale questo movimento raggiunse il suo massimo sviluppo, favorì però anche la colonizzazione interna con elementi polacchi. E non solo le campagne, ma anche le città devono molto all'ultimo re della dinastia nazionale: alle case di legno subentrarono costruzioni in pietra e mattoni; nei centri principali, e specie a Cracovia, sorsero chiese monumentali e castelli. A difesa del paese furono erette parecchie fortezze. La Polonia riguadagnava, così, rapidamente il tempo perduto nelle lunghe lotte dei secoli precedenti. Ai tempi di Casimiro essa diventava, sotto ogni aspetto, uno stato moderno.
Non potendo stabilirsi in Polonia, Ludovico d'Angiò, poco dopo la coronazione, affidò la reggenza del suo nuovo regno alla madre Elisabetta, sorella di Casimiro. Le difficoltà che ne derivarono furono bensì superate dalla condotta energica e compatta della nobiltà cracoviana, ma la questione, più grave ancora, della successione si ripropose subito, poiché anche Ludovico non aveva eredi maschi. Per assicurare il diritto alla corona polacca a una delle sue due figlie dovette venire a patti con la nobiltà polacca. L'accordo fu fissato a Košice il 1374, e la nobiltà vi ottenne dei privilegi che divennero il fondamento della sua futura potenza: esonero da ogni imposta, risarcimento dei danni in caso di spedizioni fuori dei confini, garanzie che il re non avrebbe conferito le alte cariche a stranieri. Forte di questa sua magna charta, l'aristocrazia impose all'undicenne Edvige (Maria, la maggiore, divenne regina d'Ungheria) di rinunciare al fidanzato Guglielmo d'Asburgo, designatole dal padre - che morì nel 1382 - e di accettare in sua vece il lituano Jagellone.
La mossa era abilissima. Casimiro aveva indirizzato la politica polacca verso l'Oriente, ma qui, sui detriti dell'antico stato russo, si era affermata, con prestigiosa rapidità, la potenza lituana con la quale era più prudente collaborare che combattere. Né diversa era la situazione considerata dal punto di vista lituano: rivalità tra i discendenti di Gediminas, aggressività dell'Ordine Teutonico, minaccia costante dei Tatari, gravitazione dei territorî ruteni verso Mosca, tutto rendeva vantaggioso un accordo con i Polacchi. Fu così che Jagellone, poco dopo la venuta in Polonia di Edvige, mandò suoi ambasciatori a Buda per chiederne la mano e che subito dopo (1385) concluse con la nobiltà polacca un accordo a Krewo, con cui s'impegnava di accettare il cristianesimo assieme a tutta la Lituania e di unire la Lituania alla Polonia. Nell'anno seguente Cracovia festeggiava il battesimo di Jagellone che assunse il nome di Vladislao, il matrimonio di lui con la giovinetta regina e infine l'incoronazione del nuovo re. Passava un altro anno ancora e Vladislao introduceva in Lituania il cristianesimo, fondava il vescovato di Vilna, sottoposto alla metropoli di Gniezno, ed elargiva i privilegi goduti dalla szlachta a quei boiari lituani che avevano accettato il cristianesimo.
La pia Edvige morì giovanissima nel 1399, ma nei pochi anni in cui aveva regnato assieme al marito che ne subiva l'ascendente, aveva potuto compiere due atti di grande importanza: la reincorporazione alla corona polacca delle città della Rutenia Rossa che suo padre avrebbe voluto riservare all'Ungheria (e a questa conquista pacifica seguì, spontaneo, l'omaggio dei voivodi di Moldavia, Valacchia e Bessarabia) e la riorganizzazione dell'università di Cracovia che, inaugurata una seconda volta nel 1400, divenne presto un importante fattore culturale nell'Europa centro-orientale.
Vladislao Jagellone non fu invece in grado di adempiere pienamente al secondo impegno contratto a Krewo: quello di incorporare il granducato di Lituania nel regno polacco. Vi si oppose il suo energico cugino Vitoldo che, pur di ottenere per sé e per la Lituania l'indipendenza completa, non esitò in un primo tempo ad allearsi all'Ordine Teutonico. Ma poi si riconciliò con Jagellone e d'accordo con lui assoggettò al suo potere tutta la Lituania che d'allora e sino alla morte governò in qualità di granduca. L'unione tra i due stati rimase quindi soltanto personale, ma poiché agli accordi del 1401 (un primo avvicinamento fra i cugini si ebbe nel 1392) presero parte anche l'aristocrazia polacca e i boiari lituani, essa conteneva di già in sé i germi di sviluppi futuri. Lo dimostrò poco dopo la lotta comune contro il comune nemico, l'Ordine Teutonico, che presso Grunwald (1410) si concluse con la schiacciante vittoria degli eserciti alleati polono-lituani. La vittoria non fu convenientemente sfruttata, e i crociati si riebbero presto, resistettero eroicamente nel loro castello di Marienburg e nel 1411 conclusero coi Polacchi una pace dignitosissima, con la quale restituivano, e solo temporaneamente, a Vitoldo la Samogizia, ma conservavano piena sovranità su tutto il proprio territorio. Le campagne successive ebbero il solo effetto di render definitiva la cessione della Samogizia.
Eppure gli effetti della vittoria di Grunwald non tardarono a farsi sentire, in parte inaspettatamente, in una triplice direzione. Anzitutto Polacchi e Lituani compresero i vantaggi che derivavano dalla loro recente alleanza, e nel convegno di Horodło (1413), pure lasciando intatto il rapporto giuridico-politico tra i due stati, si giunse a un vero affratellamento tra la szlachta e i boiari lituano-ruteni e ad una promessa di reciproci aiuti futuri. In secondo luogo il prestigio dello stato iagellonico aumentò fortemente in tutto l'Occidente e al concilio di Costanza i Polacchi poterono strenuamente combattere e rintuzzare gli attacchi violenti dei crociati e affermarvi la propria tesi dell'immoralità di ogni violenta espansione del cristianesimo. Infine un grave malcontento cominciò a serpeggiare fra le stesse città sottoposte al duro dominio dei crociati.
Intanto i rapporti tra i due cugini Vladislao e Vitoldo erano ottimi, per quanto quest'ultimo nella sua politica, coronata di successo, si attenesse strettamente agl'interessi lituani. Tentativi di turbare questi rapporti e di distruggere l'Unione, intrapresi ripetutamente dall'Ordine Teutonico e dallo stesso imperatore Sigismondo, non ebbero alcun risultato positivo anche per la vigile difesa degli interessi polacchi da parte della potente aristocrazia della Piccola Polonia che impedì fra l'altro la coronazione di Vitoldo, progettata dal convegno di Łuck (1429). A questa aristocrazia e specialmente al suo capo, il vescovo di Cracovia Zbigniew Oleśnicki, si deve anche la politica polacca di fronte all'ussitismo. L'avmrsione della szlachta per i Tedeschi, l'animosità contro il sovrechio accentramento del potere nelle mani dell'alto clero favorirono in un primo tempo la diffusione in Polonia dell'ussitismo. Da parte boema si giunse persino a offrire la corona a Jagellone che la rifiutò, e a Vitoldo che l'accettò, mandando a Praga, quale proprio luogotenente, il principe Sigismondo Korybut (1422). Ma poi, un po' per la resistenza dei taboriti radicali e più ancora per l'opposizione dei cattolici intransigenti di Cracovia, non solo questo progetto di unione dinastica boemo-polacco-lituana non si realizzò, ma si procedette energicamente contro gli ussiti polacchi: con ordinanze (statuto dell'arcivescovo Trąba del 1420, editto di Wieluń del 1424) e con le armi.
Poco dopo morivano, a breve distanza l'uno dall'altro, Vitoldo (1430) e Jagellone (1433). La loro morte indebolì gravemente l'Unione. I Lituani tendevano a una completa separazione, e questa loro tendenza fu indirettamente agevolata dalla giovine età del nuovo re Vladislao III (1434-1444) e dai progetti troppo arditi, epperò non sempre felici, del potente Oleśnicki. Questi riuscì bensì a procurare al suo pupillo anche la corona d'Ungheria (1440), ma il suo piano di liberare l'Europa, con lo sforzo concorde dell'Ungheria e della Polonia, dalla minaccia turca fallì tragicamente a Varna (1444) con la sconfitta e la morte del re eroico. Non sorprende quindi che Casimiro, fratello minore di Vladislao, chiamato sul trono polacco nel 1447 (sin dal 1440 egli era stato granduca lituano) iniziasse il suo regno eliminando la supremazia di Oleśnicki, indebolendo l'aristocrazia di Cracovia e basandosi sulle sempre più vaste masse della media nobiltà.
Accordatosi all'est con la Moscovia - la cui potenza era in continuo aumento - sulla base dello statu quo (1449), Casimiro rivolse subito le sue mire sulla Pomerania e sulla Prussia, spinto a ciò anche dalla Lega prussiana, che, desiderando per le proprie terre le libertà di cui godevano i Polacchi, si sottomise spontaneamente alla Polonia. Nel 1454 fu firmato a Cracovia l'atto d'incorporazione della Prussia, e subito dopo ebbe inizio la campagna contro i crociati che per la loro inaspettata forza di resistenza (l'Ordine, come pure i Polacchi, era ricorso a truppe mercenarie), per la scarsa comprensione che la nobiltà polacca mostrò anche in questa occasione - essa sfruttò la situazione per ottenere per sé nuovi privilegi a Nieszawa - per il problema baltico, durò ben 13 anni e solo nel 1466 si concluse con la pace di Toruń. La Pomerania con Danzica, che durante la guerra aveva combattuto strenuamente i Teutonici, la terra di Chełmno, alcune zone della Prussia con Elbing, Marienburg e il vescovato di Varmia (Ermeland), passarono sotto il dominio polacco; per la parte restante della Prussia l'Ordine s'impegnava di rendere omaggio al re polacco.
Così la Polonia, pur non risolvendo che parzialmente il grave problema dei suoi confini settentrionali, riotteneva, dopo un secolo e mezzo, l'accesso al mare: i vantaggi economici che ne derivarono furono enormi e immediati, quelli politici invece limitati e instabili.
La seconda parte del lungo regno di Casimiro, più che da veri interessi nazionali è determinata da preoccupazioni e ambizioni dinastiche. Marito di Elisabetta d'Asburgo, sorella di Ladislao il Postumo, Casimiro, dopo la morte di questo, accampò diritti sui troni di Boemia e di Ungheria. Dopo lunghe trattative e lotte le sue ambizioni furono appagate: suo figlio Ladislao succedette nel 1471 a Giorgio Poděbrady, re di Boemia, e nel 1490 a Mattia Corvino.
Ma mentre i jagellonidi diventavano la dinastia più potente dell'Europa centrale e orientale, cresceva anche la potenza della Russia e della Turchia. Alle frontiere orientali la situazione dello stato lituano-polacco diventava preoccupante. Tra il 1475 e il 1484 i Turchi occuparono i porti di Caffa, Kilia e Akkerman, togliendo alla Polonia l'accesso al Mar Nero, e chiudendo una via che sino dai tempi di Casimiro il Grande aveva dato un grande incremento al commercio polacco di transito, organizzato in buona parte da Fiorentini e Genovesi, con le terre orientali.
La precarietà della situazione politica apparve manifesta dopo la morte di Casimiro. Ne sono segni indubbî: le vittorie del voivoda moldavo Stefano il Grande su Giovanni Alberto (Jan Olbracht, re polacco dal 1492 al 1501) durante l'infelice ed enigmatica spedizione del 1497; il pieno successo della campagna (1499-1503) condotta da Ivan III contro Alessandro (granduca lituano dal 1492, re di Polonia dal 1501 al 1506), che dalle vicinanze di Mosca ricacciò il confine lituano-moscovita nei pressi di Kiev; infine il rifiuto del grande maestro dell'Ordine Teutonico, Federico di Sassonia, di prestare omaggio ai due figli di Casimiro.
Eppure la Polonia andava incontro al periodo del suo massimo splendore: politico, economico, culturale. La colonizzazione di vasti territorî all'est, taluni quasi privi di popolazione, l'incorporazione dell'ottimo porto di Danzica, la maggiore richiesta del grano da parte dell'estero: tutto cìò aveva aumentato rapidamente il benessere della borghesia e più ancora della nobiltà. Cracovia, Leopoli e Danzica, che ottenne privilegi speciali, potevano rivaleggiare verso la fine del secolo con le grandi città d'Occidente. Anche culturalmente la Polonia tra il principio e la fine del sec. XV appare trasformata. Teologia, giurisprudenza, matematica e astronomia ebbero cultori esimî tra i professori e gli studenti dell'università di Cracovia (Copernico vi s'iscrisse nel 1491). Jan Długosz, protetto dall'Oleśnicki, è il grande storico di questo secolo, che ha in Gregorio da Sanok e Filippo Buonaccorsi i primi umanisti e in Wit Stwosz (Stoss) il più grande scultore. Incomincia anche in questo periodo l'irradiarsi di elementi culturali polacchi - o occidentali per il tramite della Polonia - in Lituania e nelle terre rutene che fino allora erano rimaste nell'orbita culturale di Bisanzio.
Rapida fu in questo secolo anche la trasformazione dell'organizzazione statale. Ma essa sempre più si era andata risolvendo a vantaggio di un'unica classe: la nobiltà. Il re aveva bensì accanto a sé un consiglio, donde si sviluppò poi il senato, composto dei più alti dignitarî ecclesiastici e laici, ma su tutte le questioni di maggiore importanza, quali per es., la leva in massa, il re doveva consultare, sin dall'emissione dei privilegi di Nieszawa, ripetutamente ampliati, le dietine provinciali, e più tardi la dieta generale che, emanazione diretta di esse, ne divenne l'organo centrale. Frenando ogni eccesso di potere dell'alta aristocrazia, insediata nel senato, la nobilta non permetteva d'altro lato, ad onta di ripetuti tentativi da parte dei regnanti e di riforme propugnate da spiriti più chiaroveggenti, il rinforzarsi dell'autorità regia e procedeva radicalmente nell'abolizione o riduzione dei diritti delle altre classi sociali. Persino l'acquisto di beni terrieri fu negato alla borghesia, che si vide preclusa ogni via a uno sviluppo ulteriore. La Polonia, a differenza della Lituania, ove era ancora forte il potere delle famiglie magnatizie, stava così diventando una repubblica esclusivamente nobiliare. Ma così fresche erano le energie della classe, sempre più numerosa, dei nobili, così fecondo il suo senso di solidarietà, così vivo, nei momenti dei più gravi pericoli, il suo spirito di sacrificio e il suo eroismo, che quegli stessi difettosi ordinamenti, i quali più tardi cagioneranno l'inevitabile decadenza della Polonia, costituivano per ora quasi uno strumento della sua potenza di fronte all'estero e certamente una fonte d'attrazione nei riguardi degli stati confinanti.
Ad aumentare la potenza della Polonia nel secolo successivo, e soprattutto ad evitare le conseguenze nefaste cui avrebbe potuto andare incontro uno stato senza un forte potere centrale, senza un esercito stabile e con le finanze piuttosto disorganizzate, contribuì non poco il talento politico e militare e il lungo regno dei due ultimi jagellonidi: di Sigismondo detto il Vecchio (1506-1548) e di suo figlio Sigismondo Augusto (1548-1572).
Sin dal suo avvento al trono Sigismondo tentò di ricuperare le terre perdute all'est. Ma le tre lunghe campagne che, tra il 1507 e il 1537, egli intraprese a questo scopo, non condussero che a scarsi successi e ad una grave perdita, quella di Smolensk nel 1514. Era questa una guerra che riguardava in primo luogo la Lituania, ma di riflesso - e anche direttamente per il forte aiuto d'armi e d'uomini che vi andava mandando - essa incideva negl'interessi della Polonia. Tanto più che con la Russia da un lato, con gli Asburgo dall'altro, tramava intese, a danno della Polonia, Alberto di Brandeburgo dei Hohenzollern-Anspach, grande maestro dell'Ordine Teutonico.
Per evitare il pericolo di un accerchiamento, Sigismondo si accordò con l'imperatore Massimiliano nel convegno di Vienna del 1515, cui partecipò anche suo fratello maggiore Ladislao, re di Boemia e d'Ungheria. In virtù di questo accordo, che sulla base dei matrimonî tra i figli di Ladislao Jagellone e i nipoti di Massimiliano assicurava a questi grandi, anche se non immediati, benefici in Boemia e in Ungheria, Sigismondo ottenne maggiore libertà d'azione di fronte alla Russia e ai crociati. Abbandonato dal suo protettore, sconfitto dai Polacchi, Alberto sacrificò l'ordine che fu secolarizzato e le cui terre egli conservò quale feudo polacco (1525) con l'eredità strettamente limitata ai discendenti proprî e dei suoi fratelli. Pochi anni dopo (1529) la Masovia, rimasta sino al 1526 feudo di un ramo dei Piasti, fu incorporata alla Polonia.
Al sud invece la politica di Sigismondo fu piuttosto oscillante. Di fronte all'incalzare dei Turchi egli si mostrò quasi passivo; non aiutò il nipote Ladislao a Mohács (1526); non prese una posizione netta tra il partito asburgico e quello di Zápolya, che dopo la morte di Ladislao si disputavano il trono di Ungheria; non seppe sfruttare le vittorie dell'etmanno Tarnowski contro la Moldavia (1531, 1538) e per evitare le pericolose incursioni tatare non disdegnò di pagare loro dei doni annuali. Procedette però, e fu una saggia misura precauzionale, alla fortificazione dei confini sudorientali. A ciò lo spinse anche sua moglie Bona Sforza (sposata nel 1518) che fondò in quelle regioni la fortezza di Bar (così chiamata da Bari) e che, nonostante l'opposizione della szlachta ai suoi progetti, non sempre conformi alle tradizioni polacche (rafforzamento del potere reale, abolizione della libera elezione dei re, divenuta ormai consuetudinaria), riuscì ad assumere una posizione sempre più importante nella politica interna della Polonia. Ad essa soprattutto fu dovuta la proclamazione di Sigismondo Augusto a granduca lituano e re polacco (1529), vivente ancora il padre.
Ai varî problemi che gravavano, tuttora insoluti, sulla Polonia si aggiunse, durante il regno di Sigismondo, quello religioso. Infatti, il protestantesimo, protetto soprattutto da Alberto di Prussia, cominciò a diffondervisi rapidamente. Esso guadagnava terreno non solo fra la borghesia, ma anche fra la nobiltà, che vi aderiva parte per convinzione e parte per il desiderio di liberarsi dal pagamento della decima e da ogni ingerenza dei tribunali ecclesiastici. Del resto, anche volendo, non sarebbe stato facile agire energicamente contro il protestantesimo in un paese cui ripugnava risolvere con la forza un problema di libertà di coscienza.
A Sigismondo Augusto spetta anzitutto il grande merito di avere preparato e realizzato l'unione definitiva con la Lituania, corrispondendo così a un voto unanime dei Polacchi. In Lituania vi era contraria l'alta aristocrazia e favorevole la nobiltà che desiderava per sé quanto la szlachta aveva ottenuto nelle terre della corona. Dopo lunghe trattative, accelerate solo verso la fine dall'incorporazione completa alla Polonia della Volinia, della Podłasia e dei territorî di Bracław e Kiev, si giunse all'accordo seguente (Lublino 1569): Polonia e Lituania si uniscono in una "repubblica comune", che ha a capo, nella stessa persona, il re di Polonia e il granduca di Lituania, eletto dalla dieta comune e coronato a Cracovia. Comuni sono inoltre la politica estera e la moneta, mentre restano distinte le leggi, le finanze, l'amministrazione e l'esercito. Possedimento comune dei due stati uniti diventava la Livonia, ove l'ordine dei Portaspada, sotto la minaccia di un'annessione completa da parte di Ivan il Terribile, si era secolarizzato e posto sotto la protezione di Sigismondo Augusto. A titolo personale, ma sempre quale feudatario polacco-lituano, l'ultimo grande maestro Gotthard Kettler conservava il possesso delle terre già appartenenti ai Portaspada (1561). Questo successo che la guerra con la Moscovia non riuscì a modificare (per quanto nel 1563 la repubblica vi perdesse la fortezza di Polock) fu gravemente scontato con il riconoscimento da parte di Sigismondo Augusto del diritto di successione in Prussia anche alla linea brandenburghese dei Hohenzollem. La Polonia stessa poneva, così, rendendo possibile l'unione Brandeburgo-Prussia, le basi della futura potenza prussiana.
Per il resto Sigismondo Augusto continuava volentieri la politica del padre: vigile attenzione, ma nulla di più, di fronte ai problemi che ponevano l'avanzata dei Turchi, le condizioni complicate della Transilvania e della Moldavia, la politica sempre potenzialmente ostile degli Asburgo. Di fronte alle crescenti esigenze e talvolta addirittura alle animosità della szlachta che sotto varî aspetti e pretesti tendeva a una restrizione del potere regio, egli condusse una politica ora intransigente e ora soverchiamente accondiscendente. Alla richiesta, ripetutamente avanzata, della cosiddetta "esecuzione delle leggi" (si trattava soprattutto della restituzione al demanio di beni elargiti, contro le disposizioni del 1504, alle famiglie magnatizie), egli aderì con un compromesso che assicurava alla Polonia, sul quarto dei redditi di questi beni contestati, la manutenzione di un piccolo esercito permanente. Di fronte al protestantesimo - da segnalare la presenza in Polonia di diverse sette antitrinitarie, guidate in parte da riformisti italiani quali Socino, Biandrata e altri - egli dimostrò uno spirito di tolleranza che ne agevolò la rapida diffusione, ma anche, con l'introduzione, nel 1564, dei gesuiti, la non meno rapida dissoluzione (cagionata in parte anche da continue controversie tra luterani, calvinisti e sociniani).
Sotto l'illuminato governo dei due ultimi jagellonidi fiorirono le arti, la letteratura e le scienze (Niccolò Copernico, 1473-1543). Sempre più numerosi erano i giovani che compivano i loro studî all'estero e soprattutto in Italia; d'altro lato non pochi erano gli Italiani, specialmente al seguito di Bona Sforza, che si stabilivano in Polonia. Anche il mecenatismo, dopo i timidi inizî del sec. XV, si diffondeva rapidamente. L'esempio dei due re e della regina Bona trovava non pochi imitatori: il vescovo primate Jan Laski, il cui nipote omonimo sarà, in Polonia, Frisia e Inghilterra, uno dei più fervidi organizzatori delle chiese riformate; il vicecancelliere Piotr Tomicki, il più nobile rappresentante dell'umanesimo polacco. Un posto a parte, accanto ai letterati, artisti e mecenati, occupa Andrea Frycz Modrzetwski col suo celebre trattato De republica emendanda (1551).
Con la morte di Sigismondo Augusto, il trono polacco, formalmente di già elettivo, ma in realtà ereditario nella famiglia dei jagellonidi, diventa elettivo anche di fatto. E l'elettività appare densa di minacce sin dal primo interregno (1572-1573): si riaccendono gli antagonismi tra nobiltà e aristocrazia, tra cattolici e protestanti mentre gli animi sono disorientati e divisi tra i numerosi candidati d'oriente e d'occidente, di nord e sud, bramosi tutti di salire su un trono che prometteva splendore e potenza. Su proposta di Jan Zamojski, già studente patavino, ammiratore degli istituti politici veneziani, mente geniale, vero tribuno della nobiltà, l'elezione procede viritim (diritto di voto attivo e passivo per tutti i nobili indistintamente). Diecine di migliaia di elettori attendati presso Varsavia - la scelta del luogo di elezione è dovuta alla più facile accessibilità che esso offriva alla massa numerosa della piccola nobiltà masoviana - concentrano la maggioranza dei voti su Enrico di Valois. Ma al neoeletto, quasi per significargli che il potere supremo appartiene alla nazione e non al re, vengono dettate condizioni speciali (i cosiddetti "articoli enriciani" e i pacta conventa): egli non potrà designare il proprio successore, dovrà rispettare la libertà di coscienza, terrà sempre accanto a sé un consiglio del quale faranno parte 16 senatori, convocherà la dieta ogni due anni per la durata di sei settimane e avmà da essa la conferma per il prelevamento delle imposte e l'autorizzazione per il bando della leva in massa. Più ancora: nel caso di violazione di tali patti, la nobiltà sarà prosciolta dall'obbligo di ubbidienza.
Enrico di Valois, eletto a queste condizioni, non rimase in Polonia che pochi mesi (1574). Alla notizia della morte di Carlo IX abbandonò la Polonia segretamente e ritornò in Francia. Si giunse così, dopo una vacanza piuttosto lunga, alla seconda elezione. Gli eletti questa volta furono due: l'imperatore Massimiliano II, candidato del partito aristocratico, e Stefano Báthory, principe di Transilvania, candidato della szlachta che gli designò per moglie Anna Jagellone, sorella di Sigismondo Augusto. Báthory, venuto subito a Cracovia, ebbe il sopravvento; la morte di Massimiliano evitò un conflitto tra i due rivali.
Eleggendo Báthory la nobiltà ebbe la mano felice. Infatti il suo breve regno (1576-1586) è pieno di successi politici e militari. Báthory ridusse anzitutto all'ubbidienza la città di Danzica che, partigiana degli Asburgo, non aveva voluto riconoscerlo; mosse poi guerra alla Russia (1579-1582) e, vittorioso, strappò al suo dominio la Livonia (perduta nel 1577) e le terre di Polock; sbaragliò infine il partito asburgico degli Zborowski. Nello stesso tempo introdusse una riforma radicale nel campo giudiziario, istituendo speciali tribunali centrali (corti d'appello), uno per la Polonia e uno per la Lituania; e riorganizzò almeno parzialmente l'esercito su basi più moderne. In tutte queste imprese Báthory si giovava del valido sussidio dello Zamojski nelle cui mani riunì le più alte cariche civili e militari: quelle di cancelliere e di etmanno. La loro azione concorde e l'appoggio che essi finirono per ottenere da parte di quasi tutta la nobiltà dimostrano come un governo forte ("sum rex vester non fictus neque pictus" aveva detto Báthory subito al principio del suo regno) fosse possibile anche in regime di democrazia nobiliare, se sorretto dal prestigio personale di chi lo deteneva.
Dopo la morte prematura di Báthory, Zamojski riuscì una terza volta a imporre il proprio candidato, Sigismondo Vasa (Sigismondo III, 1587-1632), figlio di Caterina Jagellone. Ma questa volta la guerra civile non fu evitata: a Byczyna il partito asburgico degli Zborowski fu sconfitto e lo stesso arciduca Massimiliano, già proclamato re, fu fatto prigioniero dallo Zamoski. Ma lo svedese deluse le speranze dei suoi elettori. Temperamento chiuso, sospettoso, privo di talento militare, amico dei Tedeschi, Sigismondo spinse Zamojski all'opposizione, si alienò sin dapprincipio le simpatie della szlachta, e nella "dieta inquisitoria" del 1592 dovette pubblicamente ritrattare le sue alleanze segrete con gli Asburgo. Ciononostante egli continuò a condurre una politica dettata soprattutto da interessi personali e dinastici. Per assicurarsi il trono di Svezia, carpitogli dallo zio Carlo di Sudermania, coinvolse i Polacchi in una lunga guerra con gli Svedesi (1600-1611), che, ad onta della magnifica vittoria riportata da Carlo Chodkiewicz presso Kirchholm (1605) non diede alcun vantaggio alla Polonia, perché il re, dopo la morte di Zamojski, dovette difendersi con le armi dall'aperta ribellione di una parte della nobiltà che, capitanata da Nicola Zebrzydowski, voleva impedire le progettate modificazioni (introduzione d'imposte fisse e di un esercito stabile) nella costituzione polacca. I ribelli furono bensì sconfitti, ma il re dovette rinunciare a ogni tentativo di riforma. A fomentare questa prima grande rivolta, che non era però illegale, contribuì molto il malcontento dei protestanti, la cui autorità politica e libertà di culto andarono assottigliandosi di fronte alla condotta energica dei gesuiti, appoggiati risolutamente dal re, il quale nel sinodo di Brześć del 1596 era riuscito a realizzare, anche se in modo incompleto, l'unione con Roma degli ortodossi ruteni. L'importanza di quest'unione, che sottraeva una parte dei sudditi polacco-lituani all'ingerenza del patriarcato di Mosca, era tanto più grande, in quanto con l'estinguersi della dinastia dei Rjurik sembrava giunto di nuovo il momento opportuno per una decisa affermazione della supremazia polacca nell'Oriente europeo. Infatti, l'aiuto di alcuni magnati polacchi accordato all'usurpatore Demetrio e il successivo intervento ufficiale della Polonia contro lo zar Vasilij Šuiskij, alleatosi con Carlo IX di Svezia, indussero i Moscoviti, grazie alla vittoria dell'etmanno Żółkiewski presso Klušin (1610), ad offrire il trono russo al principe Vladislao, figlio di Sigismondo. Ma il successo fu effimero ad onta della ripresa di Smolensk (1611) e del trionfo di Zólkiewski che condusse a Varsavia, quale prigioniero polacco, lo stesso Šujskij: il re ambiva per sé quanto alcuni Russi erano disposti ad offrire a suo figlio, e le poche migliaia di Polacchi rimasti nel Cremlino dovettero capitolare (1612) dinnanzi alla vigorosa reazione russa che insediò sul trono di Mosca Michele Romanov. La ripresa della campagna contro i Russi condusse bensì a successi militari che permisero alla Polonia (armistizio di Deulino, 1619) di ingrandire il proprio territorio all'est, ma la possibilità di un'unione polacco-russa era definitivamente svanita.
Anche di fronte alle condizioni politiche, sempre più complesse, degli stati confinanti al sud con la Polonia, il re, più che tutelare gli interessi polacchi, si ergeva a campione del cattolicesimo. Fatale fu soprattutto l'aiuto concesso all'imperatore, minacciato alle porte stesse di Vienna dal principe transilvano Gabriele Bethlen. Ne seguì la guerra con la Turchia (sconfitta a Cecora nel 1620, vittoria a Chocim nel 1621), della quale approfittò Gustavo Adolfo per occupare Riga (1621) e buona parte della Prussia orientale e di quella polacca (1626). Né a snidarlo dai territorî conquistati valsero le successive vittorie polacche per terra e per mare. Ma si trattava pur sempre di un pericolo provvisorio; il pericolo più duraturo e più grave per la Polonia si era verificato già nel 1618: in quell'anno la Prussia orientale si era unita, per diritto di successione, al Brandeburgo, e i due territorî rimasero separati allora (fino al 1773), e lo sono di nuovo oggi, da terre polacche.
Superiore sotto ogni aspetto al padre fu suo figlio e successore Vladislao IV (1632-1648), che si distinse soprattutto come buon guerriero e riorganizzatore - ma pur sempre sulla base precipua di truppe mercenarie - dell'esercito polacco.
A lui sono dovuti i successi dei Polacchi contro i Russi (pace di Polanów del 1634) e contro gli Svedesi (armistizio di Sturmdorf del 1635). Non gli fu dato invece, per l'opposizione della nobiltà, di realizzare il suo grande progetto, concepito d'accordo col papa Innocenzo X e con Venezia, di una nuova crociata contro gli Ottomani.
A questa impresa avrebbero dovuto partecipare di Cosacchi - popolazione di origine mista, sorta ai confini della Polonia; guerrieri e predoni pericolosi ai nemici per la loro bravura, agli amici per la loro indisciplina - che già prima avevano reso utili servigi alla repubblica. Ma alla loro organizzazione si opposero i magnati ucraini, padroni di territorî immensi, che, sorretti dalle diete, avrebbero voluto ridurli a semplici contadini, privi di qualsiasi diritto. I Cosacchi reagirono con la rivolta che, guidata da Bohdan Chmielnicki, scoppiò alla vigilia della morte di Vladislao e che al principio del regno di suo fratello Casimiro (1648-1668) minacciò di sommergere tutta la Polonia, sollevando la plebe delle terre rutene contro i nobili, il clero e gli Ebrei, agitando il problema dell'indipendenza completa di queste regioni dalla sovranita polacca e trascinando con sé masse enormi di Tatari. Vittorioso dapprincipio, ma sconfitto nel 1651 presso Beresteczko, Chmielnicki, poco curante degli accordi conclusi con la Polonia, cercò prima di allearsi con i Turchi e poi con i Russi, che promisero subito ai Cosacchi un'ampia autonomia, attaccarono la Polonia e ne occuparono all'est vasti territorî con Polock, Smolensk e infine (1655) anche Vilna. Esausta e dissanguata, la Polonia sembrava essere alla mercé degl'invasori. Questo stato di cose fu prontamente sfruttato dal re svedese Carlo Gustavo che in pochi mesi, aiutato da traditori polacchi che sottomisero alla sua protezione la Grande Polonia e unirono la Lituania alla Svezia, percorse con la sua soldatesca quasi tutta la Polonia, di cui solo pochi lembi (tra l'altro la città di Leopoli) riuscirono a conservare la propria indipendenza. Il re stesso fuggì in Slesia, mentre tutte le provincie polacche rendevano omaggio al vincitore.
Ma poi a poco a poco la Polonia si riprese; piccoli reparti di truppe, fra le quali non mancarono borghesi e contadini, cominciarono a molestare gli Svedesi; l'eroica difesa del monastero di Częstochowa fu considerata miracolosa e contribuì fortemente a sollevare gli animi; buona parte del territorio fu liberata dagl'invasori, e fu concluso un armistizio provvisorio con la Russia. Non potendo domarla da solo, Carlo Gustavo ideò il primo progetto concreto di una spartizione della Polonia. Ma il principe transilvano Rákoczy, sul cui intervento egli contava molto, fu subito sconfitto, ed egli stesso dovette difendersi dai Danesi, aiutati dai Polacchi sotto la guida di Stefano Czarniecki, che nei momenti più difficili degli anni precedenti era stato il più valido difensore della Polonia.
Il "diluvio" che si era scatenato sulla Polonia volgeva alla fine. La repubblica ne usciva scossa e spossata, ma con l'onore delle armi. Il più elevato spirito di sacrificio aveva riscattato gli egoismi sfrenati degli anni tormentosi. Le inevitabili perdite territoriali non erano in realtà molto gravi e non minacciavano affatto l'integrità dello stato: con la pace di Oliva (1660) fu ceduta alla Svezia la maggior parte della Livonia, mentre nell'armistizio di Andruszów (1667) la Polonia dovette accondiscendere a una spartizione dell'Ucraina con la Russia che mantenne tutti i territorî al di là del Dnepr, e inoltre la città di Kiev. Più gravi erano stati gli accordi con l'elettore del Brandeburgo (Wehlau e Bydgoszcz, 1657) che, in un momento particolarmente delicato per lo stato polacco, aveva ottenuto la piena sovranità sulla Prussia orientale. Ma il vero male che rodeva la Polonia e che appena appariva in tutta la sua gravità, era la dissoluzione interna della repubblica nobiliare. Cominciarono i patteggiamenti dei magnati con potenze straniere che non esitavano di ricorrere all'efficace sistema delle corruzioni; allo spirito di tolleranza religiosa subentrò l'accanimento contro i dissidenti che culminò nella cacciata dei sociniani (1658); la norma dell'unanimità nelle decisioni della dieta sfociò nell'abuso del liberum veto che permetteva a qualunque deputato di rompere la dieta, impedendone il funzionamento; l'"aurea libertà" di tutti e di ognuno degenerava così in licenza e finiva per rinnegare e distruggere sé stessa. I timidi tentativi del re, non sempre dettati da spirito patriotticamente altruistico, di porre argine a questo stato di cose (l'ambiziosa Luisa Maria Gonzaga, vedova del re Vladislao e moglie di Giovanni Casimiro, desiderava assicurare la successione al trono vivente rege al duca d'Enghien, patrocinato da Mazzarino) anziché produrre qualche effetto salutare, condussero alla "confederazione" di buona parte dell'esercito, e alla guerra civile, nella quale il capo dei rivoltosi Lubomirski sconfisse le poche truppe rimaste fedeli al re (1666). Deluso e scoraggiato, il re abdicò (1668) e si ritirò nell'abbazia di Nevers, ove morì nel 1672.
Intanto la nobiltà contro il desiderio dei magnati che avrebbero voluto sul trono polacco un principe straniero, impose l'elezione dell'inetto Michele Korybut Wiśniowiecki (1669-1673), figlio del famoso principe Geremia che si era coperto di gloria nella lotta contro i Cosacchi, provocata però in parte anche dal suo atteggiamento intransigente. Il suo breve regno è caratterizzato dalla violenta ripresa dell'offensiva turca e dei suoi alleati Tatari e Cosacchi, che minacciosissima dapprima (perdita della fortezza di Kamenec-Podol′sk e la pace disonorante di Buczacz del 1672, non ratificata però dalla dieta) si risolse poi in favore della Polonia con la splendida vittoria di Jan Sobieski sotto Chocim (1673), cui seguirono altri successi militari, quando l'anno dopo quest'ultimo grande condottiero della Polonia indipendente salì sul trono (1674-1696), chiamatovi dalla fiducia unanime di quella stessa nobiltà che poco prima l'aveva avversato.
In Sobieski la szlachta vedeva soprattutto l'uomo capace di liberare i territorî orientali occupati dai Turchi. Essa mostrò quindi poca comprensione per i suoi arditi progetti di riconquistare, con l'aiuto di un'alleanza con la Francia, la Prussia Orientale. Fu così che Sobieski, deluso anche dalla politica oscillante di Luigi XIV, abbandonò il suo piano di una coalizione contro l'elettore di Brandeburgo e concluse con Leopoldo I un trattato di reciproca assistenza contro i Turchi. Pochi mesi dopo, fedele ai suoi impegni, egli muoveva con 30.000 uomini in aiuto di Vienna, assediata da Qara Mustafa. Assunto il comando in capo degli eserciti accorsi in difesa della capitale austriaca, Sobieski attaccò risolutamente le truppe turche e le sconfisse completamente nella memorabile battaglia del 12 settembre 1683. Inseguì poi, con varia fortuna, i Turchi nella loro ritirata attraverso l'Ungheria e nel 1684 concluse con l'imperatore col papa e con Venezia la "lega santa", che non apportò però alla Polonia alcun vantaggio: Sobieski consumò forze e tempo nei vani tentativi d'impadronirsi della Moldavia e di fronte alla Russia dovette riconoscere, nel 1686, le condizioni create dall'armistizio di Andruszów. La politica di Sobieski e la vittoria sotto le mura di Vienna tornarono così a tutto beneficio di quei tre stati - Prussia, Austria e Russia - che per la loro accresciuta potenza e per la debolezza interna ed esterna della Polonia ridurranno la repubblica nella prima metà del '700 a uno stato di semi-indipendenza, per spartirsela poi fra di loro negli ultimi decennî del sec. XVIII.
Non solo l'ostinata intransigenza della nobiltà contro qualsiasi forma di governo forte stava rovinando la Polonia, ma anche l'impossibilità sempre più palese di contrarre alleanze utili e durature, e la minacciosa decadenza economica, con il conseguente peggioramento delle condizioni sociali. Le guerre incessanti avevano infatti devastato ampî territorî polacchi, i contadini furono sempre più assoggettati ai proprietarî terrieri, e le città, esaurite da replicate taglie e tributi, non ritrovarono più l'antico, sia pure relativo, benessere. Il commercio di transito, già fiorentissimo, scomparve quasi del tutto; in quello d'esportazione tutti i favori furono per la nobiltà e, inevitabilmente, per Danzica, che di tutte le città polacche fu l'unica a salvarsi dai precipitosi cataclismi della seconda metà del sec. XVII.
Anche nel campo culturale le condizioni erano ben lontane da quelle di un secolo prima. Solo le belle arti specie l'architettura - per la necessità di procedere a numerose ricostruzioni, per il lusso ostentato dalle famiglie magnatizie e per l'accresciuta devozione (chiese barocche sorgevano ovunque) - si salvarono dal decadimento generale. Scarsa fu, durante tutto il '600, l'affermazione di nuovi valori nel campo letterario; e più della letteratura in Polonia interessa l'espandersi vigoroso della cultura letteraria polacca in Russia, Moldavia e Valacchia.
A Sobieski succedette sul trono polacco Federico Augusto, elettore di Sassonia (in Polonia: Augusto II, 1697-1733), imposto, contro il candidato nazionale, il principe francese de Conti (al cui sbarco in Polonia si opposero i danzichesi), dalle tre potenze confinanti. Al principio del suo regno la Polonia riebbe, nella pace di Carlowitz, la fortezza di Kamenec-Podols′ki: tardivo frutto delle eroiche lotte di Sobieski. Fu questo l'ultimo successo polacco. L'infelice campagna contro gli Svedesi - il re si era alleato con Pietro il Grande e manteneva rapporti di buon vicinato con l'elettore di Brandeburgo (dal 1701 re di Prussia) - condusse all'occupazione della Polonia da parte dell'intraprendente Carlo XII. Questi impose l'elezione di Stanislao Leszczyński, palatino di Poznań (1704), e costrinse Augusto II (1706) ad abdicare. Ma il nuovo stato di cose durò solo pochi anni. Sconfitto a Poltava da Pietro il Grande (1709), Carlo riparò in Turchia, e Leszczyński nella Pomerania svedese. Augusto riprese il dominio sulla Polonia con mire assolutistiche. Ancora una volta la nobiltà, che aveva assistito quasi passivamente allo scorrazzare sul suo territorio di truppe svedesi, sassoni e russe, si ribellò, unendosi nella confederazione di Tarnogród (1718). La funzione di arbitro nel conflitto si arrogò, con minacce efficaci, Pietro il Grande. Alla dieta (la "dieta muta") non rimase che accettare le condizioni: le truppe sassoni dovettero abbandonare la Polonia, ma a questa non fu concesso di tenere un esercito superiore ai 24.000 uomini (18.000 per la Polonia, 6000 per la Lituania). Fu questa la prima ingerenza aperta di uno stato straniero negli affari interni della Polonia; la seconda fu cagionata dalla spinosa questione dei dissidenti, che, perseguitati in Polonia (per motivi religiosi e nazionali), ottennero quali garanti e protettori la Russia e la Prussia. Nello stesso tempo (trattato di Potsdam del 1720) i due alleati si ergevano a difensori dell'anarchia nella Polonia, che si trovava oramai in balìa non solo delle potenze straniere (le loro rivalità non fecero che prolungarne l'agonia), ma anche dei faziosi antagonismi tra le due famiglie più potenti dei Czartoryski, partigiani di Augusto II, e dei Potocki, "patriottici", custodi delle antiche istituzioni polacche. Ma l'odio contro il re fu talmente forte e diffuso nei vasti strati della nobiltà che i Potocki e i Czartoryski furono concordi, verso la fine del suo regno, nel desiderio di riavere sul trono Stanislao Leszczyński che, diventato nel frattempo suocero di Luigi XV, aveva dalla sua parte anche l'appoggio della Francia - con la quale si desiderava stringere legami più stretti, sia per la mancanza di alleanze possibili tra i vicini, bramosi sempre più d'impadronirsi della repubblica, sia per il rapido affermarsi tra i ceti superiori della Polonia di usi e costumi francesi. Ma oramai un'elezione libera non era più possibile; contro il candidato nazionale si ergevano le baionette dei soldati russi e il lavorìo degli agenti prussiani che, in mancanza di un candidato ancora più rispondente alle proprie mire, imposero ai Polacchi il figlio di Augusto II, Augusto III (1733-1763). Leszczyński, eletto re a sua volta nel 1733 e difeso strenuamente anche dai cittadini di Danzica, dovette riparare di nuovo all'estero, accontentarsi, dopo l'inutile guerra per la successione polacca, del ducato di Lorena e rinunciare definitivamente, in seguito alle deliberazioni della pace di Vienna (1735), al trono polacco.
Augusto III fu soltanto di nome re di Polonia: nella repubblica spadroneggiava il suo onnipotente ministro Brühl, mentre i Polacchi assistevano impassibili alle continue violazioni del proprio territorio durante la guerra dei Sette anni. Le diete non vi funzionarono più, preda facile di agenti più o meno corrotti che sfruttavano abilmente l'istituzione - ritenuta ancora "pupilla della libertà" - del liberum veto; le riforme, sostenute ora dal partito della "famiglia" dei Czartoryski, non vi potevano essere attuate. Unico miraggio di luce, in tanto squallore politico e morale, fu la voce, ancora isolata, di pochi ardimentosi e chiaroveggenti che nella licenza, nell'arbitrio e nell'egoismo additarono i veri pericoli che stavano travolgendo uno stato, invidiato un tempo per la liberalità delle sue istituzioni ammirato per il patriottismo dei suoi cittadini.
Se la Polonia, superate le difficoltà del nuovo interregno, poté ancora conservare la sua indipendenza nominale, ciò non era dovuto che in parte alla sua capacità di resistenza ed era invece in primo luogo il frutto della discordia tra Caterina II che desiderava incorporare alla Russia tutto il territorio della repubblica e Federico II che con grande abilità politica tendeva decisamente alla spartizione delle terre polacche.
Sospettosi l'uno dell'altro, ma concordi nella volontà di sfruttare al massimo l'anarchia dello stato confinante, essi posero sul trono di Polonia Stanislao Augusto Poniatowski (1764-1795), partigiano dei Czartoryski che però, riavvicinatisi alla Russia negli ultimi anni dello sgoverno di Augusto III, avevano posto la candidatura del proprio capo Augusto Czartoryski, voivoda della Rutenia. Strumento docile nelle mani di Caterina, Stanislao Augusto, ad onta delle sue innegabili qualità politiche, del suo tatto e della sua superiorità culturale, non seppe conciliarsi gli animi della nobiltà, né realizzare quelle modeste riforme costituzionali, amministrative e sociali che, iniziate dai Czartoryski durante la dieta dell'interregno, avrebbero potuto ridare un po' di vitalità alla repubblica. Nei primi anni del suo regno egli riuscì solo a migliorare le condizioni desolate delle città, a risanare le finanze e a gettare le fondamenta per un rinnovamento dei quadri di comando dell'esercito con l'istituzione della scuola dei "cadetti". Per il resto troppa era la sproporzione tra le sue buone intenzioni e la prepotenza russa - cui, quando i suoi interessi erano in giuoco, prestava man forte anche il vigile e astuto re prussiano - perché egli potesse evadere da una tutela umiliante e nefasta. Anzi al primo momento opportuno, era in discussione il principio dell'unanimità nelle votazioni, l'ambasciatore russo Repnin, vero luogotenente di Caterina II in Polonia, non esitò a sobillare contro il re (confederazione di Radom, 1767) l'opposizione contraria alla riduzione delle "libertà costituzionali" - in ciò essa si trovava in pieno accordo con la politica russa -, ma avversa anche a riconoscere l'uguaglianza di diritti ai protestanti e ortodossi - e qui essa era in netto contrasto con le esigenze russe e prussiane. Al re non rimase altro che assoggettarsi intieramente ai dettami della Russia che reintegrava, assenziente la dieta, appositamente convocata, le cosiddette leggi cardinali della repubblica (liberum veto, libera elezione, diritto di rifiutare ubbidienza al re, perpetuazione delle prerogative dei nobili, ecc.), ne assumeva la garanzia, si riservava il diritto di approvare o meno qualsiasi tentativo di riforma della costituzione polacca e imponeva alla Polonia il riconoscimento di uguaglianza ai dissidenti religiosi.
Insorsero allora in difesa del cattolicesimo e dell'indipendenza gli avversarî della Russia. Il movimento, noto sotto il nome di confederazione di Bar (1768), ebbe, è vero, tendenze nettamente conservative e reazionarie, ma fu animato da uno spirito patriottico così vigoroso da diffondersi rapidamente fra le masse nobiliari e persino fra una parte della borghesia e da attrarre su di sé l'attenzione di molti stati esteri: la Francia mandò in aiuto dei confederati un gruppo di ufficiali, fra i quali Dumouriez e Kellermann; la Turchia spinta dalla Francia, dichiarò la guerra alla Russia; l'Austria stessa assunse un atteggiamento di simpatia e di protezione. Fu così che la Polonia poté superare, senza grave danno, la sollevazione dei contadini ucraini e resistere per alcuni anni alla potenza russa. Il re stesso, incerto dapprincipio, si sarebbe probabilmente unito ai confederati, se questi, proclamandone la destituzione e tentando persino di rapirlo a mano armata, non l'avessero risospinto verso la Russia. Divisi pur sempre da una parte del paese e discordi anche fra di loro, i confederati furono sopraffatti nel 1772 dagli eserciti russi.
Finiva così, con l'esilio e l'emigrazione dei migliori, quella che si può chiamare la prima insurrezione polacca, mentre Russia e Prussia si erano già messe d'accordo sulle modalità della prima spartizione (1772). A esse si aggiunse, allettata dalla Prussia e da principio apparentemente riluttante, l'Austria. La Polonia perdette circa un terzo del suo territorio e due quinti della popolazione. La Russia s'impossessò dei territorî rimasti polacchi al di là della Dźwina e del Dnepr; Federico ottenne la Prussia occidentale (senza Danzica) e una striscia settentrionale della Grande Polonia; l'Austria infine si prese tutta la futura Galizia e la regione di Zamość. Il re Stanislao tentò invano di reagire, e la dieta - la quale frattanto si era unita in confederazione, ciò che evitava lo scoglio dell'unanimità dei voti, richiesta dalle diete normali - ratificò le spartizioni.
L'accettazione forzata della brutale realtà non significò però rassegnazione passiva dinnanzi al sempre più minaccioso incalzare degli eventi. La dieta stessa, mentre sanzionava la riduzione territoriale dello stato, poneva le basi, con l'istituzione della "commissione educatrice", per un risanamento morale della nazione. Infatti questa commissione, che divenne presto un vero e proprio ministero di educazione, riformò profondamente, attingendo i suoi mezzi dal prosciolto ordine dei gesuiti, la scuola polacca di tutte le regioni e di tutti i gradi, e si affiancò validamente a quel rinnovamento culturale che anche per altre vie - ascendente personale e mecenatismo del re, rinascita della letteratura, aumentato interesse per le ricerche storiche, inizî di un giornalismo regolare, rifioritura delle arti - stava operandosi in sempre più ampi ceti della popolazione.
Riprendevano anche, e con sempre maggior vigore e insistenza, le tendenze verso una radicale riforma della struttura sociale e politica dello stato. Si chiedevano da varie parti, specialmente sotto l'influenza dell'ideologia e dell'esempio francesi, la libertà personale dei contadini, l'equiparazione della borghesia alla nobiltà, l'istituzione di un parlamento stabile, di una monarchia ereditaria e di un governo forte. Alcune di queste richieste incontravano ancora una forte resistenza da parte degli elementi conservativi della nobiltà, riluttanti contro qualsiasi riduzione delle proprie prerogative; alla realizzazione di altre spianò la via l'istituzione del "consiglio permanente" che, voluto dalla Russia per avere un controllo più facile sugli affari interni della Polonia, era divenuto, sotto l'abile direzione del re, uno strumento di lento, ma continuo consolidamento dell'organismo statale: furono migliorate, tra l'altro, le condizioni dell'agricoltura e del commercio e si ebbe anche un primo inizio di imprese industriali. La dieta che si riunì nel 1788 e che per la sua eccezionale durata fu denominata la "dieta dei quattro anni", iniziò la propria attività sotto buoni auspici. La Russia era impegnata nella guerra con la Turchia e con Federico Guglielmo II di Prussia fu conclusa un'alleanza difensiva. Gli animi però erano ancora divisi; ma contro gli oppositori a qualsiasi riforma e in parte anche contro lo stesso re, dapprincipio troppo incline a temporeggiamenti, ebbe sopravvento il partito patriottico, che in questa dieta costituente ottenne la maggioranza e realizzò non solo una serie di riforme importanti - fra l'altro l'istituzione di un esercito di 100.000 uomini - ma liberò anche il paese dall'umiliante tutela delle garanzie russe e fece ratificare dalla dieta, quasi all'unanimità, la costituzione del "3 maggio" (1791). Essa poneva fine anzitutto all'assoluto predominio della nobiltà, eliminando il liberum veto, il diritto alla rivolta (rokosz) e l'eleggibilità del trono; sanzionava i diritti già riconosciuti dalla dieta alla borghesia delle città libere (invio di rappresentanti al sejm, tutela della libertà personale, possibilità di acquistare beni terrieri e di accedere a una parte delle cariche pubbliche); assicurava ai contadini la protezione del potere pubblico, pur mantenendo la sudditanza e il servizio obbligatorio; rinforzava il potere esecutivo; fissava, infine, l'organizzazione e le competenze delle camere legislative.
Trionfava, così, dopo il lungo periodo di sfrenato egoismo di classe, il bene pubblico dello stato sulle libertà private.
Purtroppo il momento più solenne della storia polacca - il 3 maggio, la cui tradizione rimase sempre viva e operante, fu d'allora in poi e lo è ancora oggi, la festa nazionale della Polonia - divenne anche il momento più tragico. La Russia non intendeva tollerare né l'integritȧ, né l'indipendenza della Polonia. L'opposizione di alcuni magnati delle provincie sudorientali che, istigati da essa, avevano costituito la confederazione di Targowica a difesa delle antiche libertà, diede a Caterina II il pretesto per invadere la Polonia, tanto più che la conclusione della pace con la Turchia le permetteva di condurre contro i Polacchi un esercito fortissimo.
La Polonia, ancora nello stadio iniziale di riorganizzazione, non poté che opporre una resistenza eroica, durante la quale si distinsero i capi dei suoi eserciti, il principe Giuseppe Poniatowski e Kościuszko. La partita era irrimediabilmente perduta, anche per il rifiuto della Prussia di mantener fede, dinnanzi alle cambiate condizioni interne della Polonia, agl'impegni di alleanza conchiusi nel 1790. Il re stesso, timoroso come sempre, ossequioso alle imposizioni di Caterina e desideroso soprattutto di mantenersi sul trono, aderì alla confederazione di Targowica, schiantando, così, le ultime possibilità di resistenza dell'esercito.
La Russia e la Prussia si accordarono presto per una seconda spartizione della Polonia: la prima prese per sé tutta la parte orientale della Lituania, una parte della Volinia e tutta la regione tra lo Zbrucz e il Dnepr; la seconda s'impossessò di Danzica, Toruń, della Grande Polonia e di ampie zone della Masovia. Alla Polonia non restò che un territorio di 215.000 kmq., con 4.000.000 di abitanti. La dieta convocata a Grodno fu costretta, sotto la minaccia delle truppe russe, a sanzionare il secondo smembramento della Polonia.
A differenza della prima spartizione, la sventura nazionale del 1793 provocò, pur in condizioni incomparabilmente più sfavorevoli, una pronta reazione armata, organizzata a Varsavia e a Lipsia, dove si erano rifugiati gli autori principali della costituzione del 3 maggio. Si comprese però questa volta, sotto l'influsso degli avvenimenti in Francia e per merito precipuo di Kościuszko, che la difesa dell'indipendenza patria doveva basarsi su tutti i ceti della popolazione, e quindi soprattutto sulle masse dei contadini che fino allora, per la resistenza dei nobili, non erano stati guadagnati alla causa nazionale. Fu così che Kościuszko, comandante supremo dell'insurrezione, poté infliggere ai Russi una sconfitta presso Racławice e che nello stesso tempo la rivolta di Varsavia, finì con la cacciata dei Russi dalla capitale (1794). Il "manifesto di Połaniec", rimediando a una grave lacuna della costituzione del 3 maggio, proclamava, contro l'ostinata riluttanza di una parte della nobiltà, il principio della libertà dei contadini. La rivolta si estese anche alle regioni orientali e alla Grande Polonia. Ma alla Russia si alleò ancora una volta la Prussia: Cracovia fu tolta agl'insorti, Varsavia assediata e l'infelice battaglia di Maciejowice (10 ottobre 1794), nella quale Kościuszko fu sconfitto e fatto prigioniero, suggellò la sorte della Polonia. Varsavia dovette capitolare dinnanzi a Suvorov, e i resti della Polonia furono spartiti tra la Russia, che ottenne la parte residua della Lituania e della Volinia; la Prussia che estese il suo dominio sino al Niemen incorporando anche la capitale polacca; e l'Austria che, pur non avendo partecipato alla guerra, si impadronì del territorio tra la Pilica e il Bug.
Le cause dello sfacelo della Polonia sono state e saranno ancora oggetto di discussioni. Inutile soffermarsi sulle cause contingenti delle singole spartizioni: il rinvigorimento del patriottismo e la riorganizzazione interna degli ultimi trent'anni ebbero l'effetto di affrettare lo smembramento della Polonia da parte di chi temeva, e non a torto, di vedersi altrimenti sfuggire la preda. Ma anche senza lo sforzo verso un risanamento politico e morale la Polonia non sarebbe sfuggita alla cupidigia aggressiva delle potenze confinanti, coalizzate al suo danno nei momenti decisivi.
Diversi fattori condussero la Polonia a questa situazione che non presentava più vie d'uscita. Anzitutto la sua stessa configurazione territoriale. Essa era non solo la conseguenza di condizioni naturali, ma anche di due fattori che appaiono dominanti nella storia polacca: la quasi completa assenza di aggressività e l'eccessivo estendersi dei confini per vie pacifiche. La mancata volontà di conquiste, accompagnata sino dal sec. XV da una forte volontà e capacità di ricupero, caratteristiche tipiche di un popolo di agricoltori, hanno infatti impedito un assestamento più razionale dei confini polacchi. Sicché la Polonia, sino dall'epoca del suo più grande splendore, si è trovata gravata di problemi di politica estera (regolamento dei rapporti con Russia, Prussia Moldavia, Turchia, ecc.; scelta di un sistema efficace di alleanze) e di politica interna (colonizzazione e consolidamento politico dei territorî etnograficamente non polacchi; coesione dei due stati componenti la repubblica, ecc.) che non era in grado di risolvere, anche per il fatto che, dominata dalla nobiltà terriera, essa li spostava continuamente nella sfera ristretta dell'economia agraria. A ciò va aggiunta la configurazione sociale della Polonia con il duplice squilibrio che essa generò: squilibrio interno tra la nobiltà onnipotente e la borghesia, privata quasi di ogni diritto; squilibrio esterno tra il regime poliarchico polacco e i governi accentratori dell'est e dell'ovest. Questo duplice squilibrio fu tanto più funesto, in quanto, dal sec. XVI in poi, anziché diminuire, esso andò continuamente acuendosi.
Quando poi sull'egoismo di classe ebbe sopravvento l'egoismo individuale - e ciò fu facilitato dalle enormi ricchezze accumulate da pochi e dalla possibilità di abusare degli ordinamenti dello stato - allora si ebbe in Polonia una rilassatezza morale che, sfruttata accortamente dalle potenze estere, precipitò la rovina dello stato.
Cancellata dalla carta d'Europa, la Polonia, traendo conforto dalle lotte sostenute nei decennî precedenti, inizia subito una nuova e attiva esistenza come nazione. L'ideale cui si tende non è solo il riacquisto dell'indipendenza patria, ma la ricostituzione di uno stato in cui la libertà sia patrimonio comune di tutti. Più in là ancora, investiti quasi di una missione universale, i Polacchi vogliono lottare anche per l'indipendenza degli altri popoli oppressi.
A meno di due anni di distanza dalla disfatta di Macieiowice, il 9 gennaio 1797 il generale Djbrowski, creando a Milano le legioni polacche, offriva i suoi servizî per il ricupero della libertà della Lombardia. Dopo pochi mesi questo corpo ausiliario della Repubblica cisalpina, reclutato in parte tra gli emigrati polacchi e in parte fra i soldati galiziani caduti in prigionia francese, ammonta già a 6500 uomini. Dąbrowski vagheggia la marcia dei suoi legionarî verso la Polonia, attraverso la Croazia e l'Ungheria, ma le burrascose vicende dei tempi li spingono altrove: con Berthier marciano verso la Romagna, nel 1798 sono a Roma a presidiarla insieme ai Francesi, durante il periodo della Repubblica romana; combattono poi contro gli eserciti austro-russi a Mantova; alla Trebbia, a Novi e contro gli Austriaci a Hohenlinden. Ma nel trattato di Lunéville, come già in quello di Campoformio, la questione polacca non fu neanche menzionata. Ugualmente senza successo rimasero i tentativi di Adamo Czartoryski d'indurre Alessandro I a dichiarare la guerra alla Prussia per toglierle i territorî polacchi e a farsi poi coronare re della Polonia ricostituita. Invece la campagna napoleonica del 1806-07, alla quale presero parte di nuovo i Polacchi con Dobrowski, si concluse con la creazione (pace di Tilsit) di un piccolo stato polacco indipendente: il ducato di Varsavia, formato da una parte delle provincie polacche che nella seconda e terza spartizione erano passate alla Prussia. Questo ducato, vero stato cuscinetto tra la Prussia e la Russia, ottenne da Napoleone una propria costituzione che per la prima volta su territorio polacco fissava l'uguaglianza dinnanzi alle leggi di tutti i cittadini.
Gli eserciti del ducato, capitanati dal principe Poniatowski, non solo resistettero strenuamente all'offensiva austriaca del 1809, ma ricacciarono anche gli Austriaci verso il sud e occuparono Cracovia. In compenso Napoleone raddoppiava nello stesso anno (pace di Vienna) il territorio del ducato, incorporandovi le regioni occupate dall'Austria nella terza spartizione con in più l'antica capitale Cracovia. Le speranze dei Polacchi furono quindi grandissime, quando Napoleone nel 1812 intraprese la campagna contro la Russia che egli, pur riservato come sempre di fronte alla questione polacca (doveva, fra l'altro, avere dei riguardi per i suoi alleati: la Prussia e l'Austria), chiamò la "seconda guerra polacca". La dieta straordinaria di Varsavia formò "una confederazione generale" che, a onta dei trattati di Tilsit e di Vienna, dichiarava ricostituita la Polonia nei suoi confini antichi. Più di 10.000 Polacchi presero parte alla guerra del 1812-13, partecipando a tutti i principali fatti d'arme e combattendo poi anche a Lipsia, ove Giuseppe Poniatowski, ferito quattro volte, morì nelle acque dell'Elster. Le sorti della Polonia furono decise dal congresso di Vienna: la parte maggiore del ducato di Varsavia fu incorporata, col titolo di regno polacco, alla Russia, che conservava, come sua parte integrale, i territorî lituano-ruteni, già appartenenti alla Polonia; Cracovia divenne città libera sotto il protettorato della Russia, Prussia e Austria; coi dipartimenti di Bydgoszcz e di Poznań del ducato di Varsavia fu creato il granducato di Poznań e unito alla Prussia; l'Austria riprese quasi tutto il territorio che aveva ottenuto nella prima spartizione. I confini così stabiliti rimasero intatti sino alla guerra mondiale, ad eccezione della repubblica di Cracovia che nel 1846 fu annessa dall'Austria.
A Vienna fu favorita la Russia; la maggior parte dell'antica Polonia, anche se costituzionalmente divisa in due zone, si trovò ora riunita entro i suoi dominî. Gli è perciò che gli atti più importanti riguardanti la storia polacca si compiono, nei cent'anni seguenti, sul suo territorio. A pochi mesi di distanza dal Congresso di Vienna, Alessandro concesse al "regno di Polonia" una nuova costituzione: tutte le cariche pubbliche vi erano riservate ai Polacchi, il cattolicesimo vi conservava il posto di religione predominante, la base del diritto privato restava il codice di Napoleone. Nell'insieme la situazione si presentava abbastanza favorevole per i sudditi del Regno. Nel 1818 fu inaugurato il sejm e aperta l'università di Varsavia; l'attività culturale si sviluppava favorevolmente. Del resto anche fuori del Regno Vilna e Krzemieniec divennero proprio in questo periodo importanti focolari della cultura polacca.
Ma le cose cambiarono radicalmente nel decennio seguente. L'esercito polacco fu sottoposto al comando tirannico del granduca Costantino, mentre Novosil'cev, nemico accanito dei Polacchi riuscì ad ottenere la supremazia sul potere civile: la censura divenne sempre più intollerante; la dieta non fu riconvocata per alcuni anni di seguito. Cominciò allora, apertamente e segretamente, la reazione contro il governo russo che non rispettava più la costituzione accordata al regno. La situazione peggiorò, quando si scoprirono le relazioni tra i decabristi russi e i patriotti polacchi.
Nel novembre del 1830, guidata da alcuni allievi dalla scuola militare, Varsavia si sollevò contro il governo russo. La rivolta si estese rapidamente anche fuori del territorio del regno, in Lituania e in Volinia. Ai 25 gennaio del 1831 la dieta detronizzò Nicola I. La lotta fu dapprincipio favorevole ai rivoltosi; una serie di successi aumentava la forza di resistenza e la speranza degli eserciti polacchi. Ma poi - per il mancato aiuto delle potenze straniere, per il dissidio scoppiato presto nel governo e nella dieta permanente di Varsavia tra elementi radicali e conservativi, per la mancata soluzione della questione dei contadini, per le incertezze, le discordie e l'insufficiente fiducia dei comandanti dell'esercito, e infine per la superiorità russa - la rivolta fu repressa, Varsavia rioccupata, i resti dell'esercito polacco costretti a deporre le armi.
Grandi masse di rivoltosi scelsero la via dell'emigrazione; altri, esiliati, furono dispersi fin nelle più remote terre di Siberia; quelli rimasti in Polonia sottoposti a un regime di oppressione che contrastava con le disposizioni, abbastanza blande, dello "statuto organico" che sostituì nel 1832 la soppressa costituzione del regno di Polonia. Le scuole polacche, a cominciare dalle due università di Vilna e Varsavia, furono chiuse; l'Unione di Brześć abolita e gli Uniti ricondotti con la forza alla chiesa ortodossa; i beni degli emigrati ed esiliati confiscati; proibito l'uso della lingua polacca nell'amministrazione delle terre lituane e rutene. Padrone assoluto del regno divenne il maresciallo Paskevič, principe di Varsavia.
Intanto gli emigrati, riuniti per la maggior parte in Francia, cominciarono a svolgere una vivace attività politica e propagandistica. Ma le discordie fra i democratici e i conservatori, capitanati dal principe Adamo Czartoryski (che, riconosciuto da alcuni governi come rappresentante della nazione polacca, costituì all'Hôtel Lambert un vero ufficio diplomatico, con proprî agenti), ripresero anche all'estero. Altri partiti e comitati sorsero a Bruxelles (partito dell'Unione guidato dallo storico Lelewel) e a Berna (la Giovine Polonia, sezione della Giovine Europa di Mazzini, che ebbe fra gli emigrati polacchi numerosi amici e aderenti). Emissarî furono mandati in Polonia per prepararvi, su nuove basi sociali, la riscossa: ma prima A. Zawisza e poi l'eroico Szymon Konarski finirono tragicamente. Sorte un po' migliore ebbe Lodovico Mierosławski che, inviato a Poznań nel 1845 per organizzare una rivolta in tutte le regioni polacche, finì nelle prigioni di Moabit. Tuttavia a Cracovia, abbandonata dalle truppe austriache, fu istituito un governo nazionale. L'Austria organizzò allora la sommossa dei contadini galiziani che condusse al massacro di più di duemila nobili, e, d'accordo con la Prussia e la Russia, procedette all'annessione di Cracovia. Le speranze risorsero nel 1848. Ufficiali e soldati polacchi, animati dagl'ideali della fratellanza e libertà dei popoli, presero parte in diverse regioni d'Europa alle lotte rivoluzionarie. Adamo Mickiewicz organizzò a Roma e a Milano una legione polacca, riprendendo, così, la tradizione delle legioni di Dąbrowski. I generali Bem e Dembin′ski, seguiti da numerosi volontarî, si distinsero nelle lotte per l'indipendenza ungherese. Mierosławski, liberato dalla prigione berlinese, organizzò l'insurrezione della Posnania, che si estese anche alla Pomerania, ma che dopo successi passeggeri fu sopraffatta dagli eserciti prussiani. Né migliore risultato ebbe, qualche anno dopo, l'attività diplomatica e militare, guidata dall'Hôtel Lambert, che, sperando di sfruttare a vantaggio della Polonia la guerra di Crimea, cercò di organizzare un esercito polacco in Turchia.
Eppure l'idea di riacquistare la libertà per mezzo d'insurrezione non abbandonò i Polacchi. L'esempio dell'Italia e la grande popolarità di cui godeva Garibaldi in tutta la Polonia, infondevano nuove speranze. Non mancavano invero, fra i Polacchi, i fautori di una collaborazione con la Russia, ma l'azione energica e priva di scrupoli che il marchese Wielopolski intraprese in tale senso, mentre apportò alla Polonia qualche vantaggio reale (nel 1862 fu inaugurata una scuola superiore polacca a Varsavia), non fece che accelerare l'insurrezione che partiti radicali stavano preparando da alcuni anni.
La rivolta del 1863, a cui partecipò, con altri Italiani, Francesco Nullo, pur dovendo combattere con difficoltà ben più grandi di tutte le precedenti, si diffuse rapidamente non solo nella Polonia russa, ma anche in Lituania, e a differenza di quella del 1830, trascinò con sé larghi strati della popolazione. Ma le truppe insurrezionali, male armate e troppo disperse, non poterono opporre agli eserciti regolari russi più d'una strenua resistenza: il 5 agosto 1864 fu impiccato dinnanzi alla cittadella di Varsavia il dittatore dell'insurrezione Romualdo Traugutt. Soltanto singoli reparti, operanti soprattutto nei boschi, riuscirono a difendersi ancora alcuni mesi.
I cinque decennî che seguirono sono caratterizzati, in tutti e tre i territorî dell'antica Polonia, dalla rinuncia temporanea a ogni cambiamento forzato delle condizioni che il congresso di Vienna e le successive e infruttuose rivolte avevano creato ai Polacchi sottoposti all'Austria, Prussia e Russia; e dallo sforzo sistematico per il loro miglioramento economico, sociale e culturale. Favorevole fu la situazione nelle zone austriache, specialmente dopo il periodo assolutistico: la Galizia vi ottenne col tempo una larga autonomia provinciale che permise un libero sviluppo, entro il quadro della monarchia austro-ungarica, di quasi tutte le aspirazioni nazionali. A Cracovia fu fondata l'Accademia delle scienze (1872), che, accanto all'antica università jagellonica, poté tramandare alle generazioni venture il carattere nazionale della scienza polacca. Anche l'università di Leopoli, liberata (1873) dal carattere tedesco che le aveva impresso Giuseppe II, poté collaborare alla rinascita culturale del paese.
Ben diverse furono le condizioni nelle zone prussiane e russe. La Prussia inaugurò subito dopo il 1870 una politica di radicale germanizzazione delle terre polacche. Furono sfruttate a questo scopo, ma con scarsi risultati, le precarie condizioni economiche dei proprietarî terrieri della Posnania; minore successo ancora ebbe il Kulturkampf del Bismarck che, proprio nella zona polacca, provocò una vivace reazione, anche da parte dei contadini che divennero socialmente ed economicamente un efficace fattore nella difesa del carattere nazionale della regione. La germanizzazione delle scuole non fece infine che acuire l'antagonismo tra Polacchi e Tedeschi.
Più tristi ancora furono le condizioni della Polonia russa: eliminato il nome stesso di Polonia (il territorio del regno di Polonia fu denominato "regione della Vistola"); russificata completamente l'educazione pubblica; eliminata ogni disparità amministrativa fra terre russe e terre polacche. Solo economicamente (organizzazione industriale della regione e soprattutto di Łódź) il progresso fu sensibile. In mancanza di scuole medie e superiori polacche (l'università di Varsavia fu russificata), l'attività culturale si svolse quasi esclusivamente nel campo letterario.
Eppure fu proprio nel territorio russo che si svolse, a partire dal 1890, una viva attività politica. Due partiti vi si trovarono di fronte: quello socialista che ebbe fra i suoi capi Giuseppe Piłsudski, e quello democratico nazionale fondato da Romano Dmowski: il primo considerava la Russia, il secondo la Germania, come nemico principale della Polonia. Ma tutti e due aspiravano, sia pure temporeggiando (le speranze che la disfatta russa nell'Estremo Oriente suscitò nei Polacchi andarono quasi completamente deluse), all'indipendenza nazionale. Fu così che, pur con programmi politici diversi e con diversi metodi di lotta, i Polacchi entrarono nella guerra mondiale pieni di speranza in una soluzione definitiva del loro problema nazionale e politico.
Il 14 agosto 1914, il governo russo, mediante un proclama del granduca Nicola, esortò i Polacchi a ricostituire la loro unità sotto lo scettro dello zar: raccogliendo quest'appello Romano Dmowski costituì a Varsavia, il 25 novembre, un comitato nazionale. Ma sin dal 6 agosto, Giuseppe Piłsudski era penetrato nel territorio russo, a capo di reparti di tiratori, preparati da tempo per una futura guerra. Questo atto affrettò la costituzione, a Cracovia, di un comitato nazionale supremo (16 agosto) che iniziò subito l'organizzazione delle legioni che, insieme all'esercito austro-ungarico, combatterono contro quello dello zar. Nell'estate del 1915, gl'imperi centrali occuparono tutta la Polonia russa e se ne divisero l'amministrazione: la Germania nominò un suo governatore generale a Varsavia, l'Austria-Ungheria a Lublino. Il Comitato nazionale russofilo lasciò il paese e si trasferì in parte a Mosca e in parte, con Dmowski alla testa, a Parigi, mandando suoi rappresentanti a Londra, a Roma e negli Stati Uniti. Il 5 novembre 1916, gl'imperi centrali decisero la costituzione di uno stato polacco monarchico costituzionale della Polonia russa; e il 14 gennaio, formarono un consiglio di stato, di cui fece parte anche Pilsudski. Ma questi, dopo la rivoluzione russa e dopo il manifesto del governo provvisorio di Pietrogrado, che riconobbe al popolo polacco il diritto di autodecisione (30 marzo 1917), prese un atteggiamento di sempre più aperta resistenza verso i governi di Berlino e di Vienna. Il 2 luglio, Piłsudski uscì dal consiglio di stato; il 9, le legioni rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà con gli eserciti della Germania e dell'Austria-Ungheria; il 21, Piłsudski fu arrestato e internato nella fortezza di Magdeburgo, e poco dopo, il 25 agosto, il consiglio di stato si dimise in massa. Il 14 ottobre gl'imperi centrali istituirono a Varsavia una reggenza di cui fecero parte il principe Zdzisław Lubomirski, monsignor Kakowski, arcivescovo di Varsavia, e Giuseppe Ostrowski. Con la pace di Brest Litovsk (3 marzo 1918), il governo sovietico rinunciò ad ogni diritto sulla Polonia russa. Al momento dello sfacelo della monarchia austro-ungarica i Polacchi occuparono Cracovia (31 ottobre) e le altre città occupate dagli eserciti austro-ungarici. Il 7 novembre i partiti democratici formarono a Lublino un governo provvisorio, presieduto dal socialista Ignazio Daszyński. Pochi giorni dopo i Tedeschi furono cacciati da Varsavia e il 14 la reggenza rimise il potere a Piłsudski, giunto colà dopo essere stato liberato dalle autorità germaniche. Piłsudski assunse il titolo di capo dello stato e costituì un governo unico, assorbendo quello di Lublino. Per alcuni mesi i partiti estremi ebbero il sopravvento, ma nel gennaio 1919 fu formato un ministero di coalizione, presieduto dal celebre pianista Ignazio Paderewski, che era tornato allora dagli Stati Uniti, dove era stato il fervente campione della causa nazionale polacca, e si era inteso con Dmowski, rimasto a Parigi. Il 26 gennaio fu eletta una dieta costituente, che confermò i poteri di Piłsudski e votò una costituzione provvisoria. Intanto, nella Posnania la popolazione polacca insorse contro i Tedeschi e nominò un governo provvisorio. Nella Galizia orientale, i Ruteni costituirono una repubblica ucraina e cercarono d'impadronirsi di Leopoli, che fu strenuamente e vittoriosamerite difesa dai Polacchi. Nel periodo dal febbraio al settembre, Piłsudski fece avanzare le truppe, di cui disponeva, verso oriente raggiungendo Vilna, Minsk, Łuck e Pińsk. Nella Slesia di Teschen i Polacchi vennero in conflitto coi Cèchi e il consiglio supremo di Parigi stabilì dapprima che dovesse procedersi a un plebiscito per decidere l'appartenenza di quella regione.
Il trattato di Versailles (28 giugno 1919) stabilì: 1. che la Posnania e la Pomerania tornassero alla Polonia, la quale riacquistò così, presso a poco, le sue frontiere occidentali del 1772; 2. che si procedesse a plebisciti, sotto il controllo delle principali potenze, in Alta Slesia, nella Varmia e nella Masuria (Allenstein); 3. che Danzica venisse costituita in città libera per servire come sbocco marittimo della Polonia.
Con le operazioni militari, condotte da Piłsudski verso oriente, le truppe polacche avevano approssimativamente raggiunto la linea della prima spartizione. Nessuna disposizione esisteva circa le frontiere orientali della Polonia, che le principali potenze si erano riservate di determinare (art. 87 del trattato di Versailles). Con la decisione del consiglio supremo dell'8 dicembre 1919 fu tracciata la cosiddetta linea Curzon, che comprendeva i territorî etnograficamente prettamente polacchi su cui il nuovo stato poteva fino da allora organizzare la sua amministrazione: essa comprendeva soltanto la Polonia del Congresso, la regione di Białystok e la Galizia occidentale fino a Przemyśl. Si faceva però esplicita riserva dei diritti che la Polonia potesse far valere sui territorî situati a oriente di tale linea. Sulla fine di dicembre del 1919 il governo sovietico fece le prime proposte di pace alla Polonia che le lasciò cadere. Verso la fine di aprile del 1920 Pilsudski, a capo delle sue truppe, avanzò in Ucraina fino a Kiev, dove rimase però soltanto un mese. L'esercito bolscevico prese allora un'offensiva, che svolse con successo, respingendo quello polacco fin sotto la sua capitale. La situazione della Polonia divenne assai critica, perché le principali potenze non erano in grado di prestarle aiuto. Ma al momento decisivo ìl patriottismo dei Polacchi si levò alla riscossa. Il 16 agosto Piłsudski iniziò un movimento controffensivo e sgominò completamente nella memorabile battaglia presso Varsavia le truppe sovietiche. Con la pace di Riga (18 marzo 1921) la Russia rinunziò a ogni diritto sui territorî situati a occidente di una linea, che lasciava alla Polonia tutta la Galizia, la linea ferroviaria strategica Równe-Baranowicze-Lida e una frontiera comune con la Lettonia.
I plebisciti della Varmia e della Masuria ebbero luogo l'11 luglio 1920 con esito contrario alla Polonia, la quale ottenne quindi soltanto insignificanti rettifiche di frontiera. Quello dell'Alta Slesia avvenne il 20 marzo 1921: la Germania ottenne 707.393 voti, la Polonia 479.365. L'aggrovigliamento dei due elementi etnici rese assai difficile la divisione del territorio prevista dal trattato di Versailles. Al principio di maggio i Polacchi, temendo una decisione svantaggiosa per loro, tentarono un'insurrezione, che fu repressa dalle truppe internazionali. Con la decisione della conferenza degli ambasciatori del 20 ottobre 1921 la Polonia ottenne i distretti di Rybnik e di Pszczyna (Pless), la parte del distretto di Ratibor situata sulla sponda destra dell'Oder e una parte della zona industriale con la città di Katowice (Kattowitz). Al convegno di Spa (10 luglio 1920), al momento dell'invasione bolscevica, la Polonia rinunziò al plebiscito per Teschen: la conferenza degli ambasciatori divise il territorio con la decisione del 28 luglio favorendo la Cecoslovacchia.
Fin dall'autunno del 1918 la Lituania reclamò la città e la regione di Vilna. La Polonia dovette sgombrarla al momento dell'invasione bolscevica: quando, respinta questa, si apprestava a riprenderla, la Francia e l'Inghilterra le intimarono di astenersene. Piłsudski incaricò il generale Żeligowski di occuparla, simulando una rivolta. Una dieta locale, eletta l'8 gennaio 1922, votò l'unione della regione alla Polonia: tale decisione fu ratificata dalla dieta costituente polacca. Con la decisione del 15 marzo 1923 la conferenza degli ambasciatori fissò le frontiere della Polonia, non ancora determinate, lasciando a questa la regione di Vilna e riconoscendo quelle russo-polacche stabilite dalla pace di Riga.
Il 17 marzo 1921 la dieta costituente approvò la costituzione definitiva calcata su quella francese. Sulla fine del 1922 si dovette procedere all'elezione del primo presidente della repubblica. Piłsudski rifiutò la candidatura, sia perché trovava che i poteri attribuiti al presidente erano troppo limitati, sia perché era esasperato dall'ostilità implacabile che gli mostravano i suoi avversarî e specialmente il partito nazionale democratico. Il 9 dicembre venne tuttavia eletto un amico del Piłsudski, Gabriele Narutowicz, che fu assassinato il 16. Il 20 fu eletto quindi Stanislao Wojciechowski. Piłsudski assunse l'ufficio di capo di Stato maggiore dell'esercito, che tenne fino al maggio 1923, quando il partito nazionale democratico giunse al potere con l'aiuto del partito dei contadini, capitanato da Vincenzo Witos. Egli condusse poi un'aspra lotta contro il nuovo gabinetto, come contro gli altri tre successivi e contro il parlamentarismo: le sue benemerenze patriottiche, la sua probità gli procurarono larga popolarità nel paese e specialmente nell'esercito. Il 13 maggio 1926 si presentò dinnanzi a Varsavia alla testa di alcuni reggimenti e intimò a Wojciechowski di rimettergli il potere: avendo il presidente della repubblica respinto l'ingiunzione, attaccò la capitale e se ne impadronì dopo una lotta sanguinosa. Wojciechowski si dimise. Il 31 maggio la dieta elesse presidente della repubblica Piłsudski, che rifiutò. Il 1° giugno fu eletto Ignazio Mościcki, amico di Piłsudski, che fu riconfermato nel 1933.
Da quel momento il maresciallo Piłsudski divenne di nuovo il fattore decisivo della vita politica polacca. Egli iniziò una lenta e sistematica riforma dello stato e la contemporanea emancipazione spirituale dei cittadini dalla gravosa eredità dei tempi della schiavitù politica. L'irrobustimento del potere esecutivo, il consolidamento interno dello stato e l'eliminazione dell'invadente parlamentarismo: questi i mezzi con i quali Piłsudski mirò alla realizzazione dei suoi scopi. Il primo passo su questa via fu la legge del 2 agosto 1926 che introduceva nella costituzione del 1921 alcuni emendamenti intesi ad ampliare il potere del presidente della repubblica e ad arginare l'eccessiva ingerenza del parlamento negli affari del governo. Ma i tentativi, intrapresi dai governi di K. Bartel (15 maggio-2 ottobre 1926) e dello stesso Piłsudski (2 ottobre 1926-27 giugno 1928), di far collaborare alla riforma dello stato anche alcuni fra i partiti fallirono completamente. Non solo i partiti di destra e del centro, ma anche quelli di sinistra, che pure dapprincipio avevano dato il loro appoggio a Piłsudski, iniziarono presto un'attività sistematica contro il governo autoritario e forte che il maresciallo desiderava instaurare. Nell'impossibilità di trovare una via d'intesa coi partiti antichi, il governo di Piłsudski procedette allora alla creazione di un proprio gruppo politico, che doveva raccogliere tutti coloro che erano animati dal comune desiderio di seguire, senza riserve, le direttive del maresciallo. Alle elezioni del 1928 questo nuovo gruppo si presentò sotto il nome di Blocco senza partito di collaborazione col governo (brevemente: Blok Bezpartyjny) e ottenne 135 seggi su un complesso di 444. Gravi furono le perdite della destra e del centro, mentre le sinistre ritornarono alla camera con 130, anzi che 100 deputati. Più chiaro ancora fu il successo dei fautori di Piłsudski nel senato. Tentativi d'intesa coi partiti furono ripetuti dal presidente del consiglio Bartel anche nei due anni successivi, ma ancora una volta senza risultato. L'opposizione passò anzi ad una decisa offensiva, tanto nel sejm, quanto nel paese, ove furono organizzate dimostrazioni ostili a Piłsudski. Tale opposizione fu specialmente aspra contro due tra i più stretti collaboratori di Piłsudski, Świtalski e Sławek, che furono presidenti del consiglio dei ministri nel 1929 e nel 1930. Il maresciallo decise allora di riprendere direttamente nelle sue mani le redini del potere e di agire energicamente contro i suoi avversarî. I capi dell'opposizione, soprattutto dei partiti di sinistra, furono arrestati il 10 settembre 1930 e rinchiusi nella fortezza di Brześć. Nello stesso tempo fu repressa anche l'azione terroristica degli Ucraini, nelle zone orientali della Piccola Polonia.
Il parlamento fu sciolto e le nuove elezioni dettero questa volta una maggioranza al blocco governativo tanto al sejm (247 deputati), quanto al senato (76). I partiti di sinistra e del centro furono sgominati e le minoranze nazionali (Ucraini, Biancorussi, Tedeschi, Ebrei e Lituani) ridotte, nel sejm, a soli 33 seggi, mentre nella camera precedente ne avevano ottenuti 81. Solo ora il governo di Piłsudski poté procedere senza impedimento di sorta all'opera intrapresa della riforma statale e del consolidamento nazionale. A capo dei singoli gabinetti egli scelse solo i suoi più provati collaboratori: i colonnelli Sławek (4 dicembre 1930-26 maggio 1931; e una terza volta dal 28 marzo 1935) e Prystor (27 maggio 1931-9 maggio 1933), inoltre Jędrzejewicz (10 maggio 1933-13 maggio 1934) e Kozłowski (19 maggio 1934-28 marzo 1935). I cambiamenti dei gabinetti, nei quali Piłsudski riservava sempre per sé il Ministero della guerra, non intaccavano, così, affatto la continuità del regime, e avevano piuttosto lo scopo di far conoscere ai capi del gruppo piłsudskiano la tecnica del governo. Prystor dedicò la sua attività soprattutto alla lotta contro la crisi economica che cercò di arginare con una forzata deflazione e con la conservazione della stabilità della valuta; Jędrzejewicz rivolse le sue cure precipue a una radicale riforma scolastica ed educativa; Kozłowski alla definitiva elaborazione della riforma costituzionale.
Nel campo sociale i governi dal 1926 in poi si oppongono alla lotta di classe, alla supremazia di interessi di una classe sull'altra, alla concentrazione della ricchezza in poche mani, e cercano di difendere i ceti economicamente più deboli di fronte ai tentativi di trusts bancarî e industriali. Nello stesso tempo questi governi introducono miglioramenti nel campo agrario frazionando le grandi proprietà, bonificando terreni incolti e accrescendo la superficie dei poteri minimi. Un rapido passo innanzi fece, in questo periodo, anche il processo di unificazione fra i territorî già sottoposti alle tre potenze straniere sia nel campo giuridico sia in quello politico e amministrativo. Notevoli sono infine i risultati ottenuti da Piłsudski nella riorganizzazione e preparazione bellica dell'esercito.
Il consolidamento interno della Polonia e la sua cresciuta potenza militare resero possibile, dopo il 1926, una più efficace attività nella politica estera. In questo campo Piłsudski, alle cui direttive si attennero i ministri degli esteri Zaleski (dal 15 maggio 1926 al 2 novembre 1932) e il colonnello Beck, mirò alla completa emancipazione della Polonia da influenze esterne. Per ciò la politica estera, che nel periodo postbellico si era svolta in istretta aderenza con la politica francese, in questi ultimi tempi assunse un atteggiamento di notevole indipendenza di fronte a Parigi.
Piłsudski indirizzò invece i suoi sforzi verso un costante miglioramento dei rapporti con le potenze confinanti. Il 25 agosto 1932 concluse il patto di non aggressione con l'U. R. S. S. L'anno successivo si adoperò attivamente per la realizzazione del protocollo Litvinov di non aggressione, contenente la definizione dell'aggressore, firmato il 3 luglio 1933 a Londra tra il governo dei Sovieti, la Polonia, la Romania e gli Stati Baltici. Il 5 maggio 1934 il patto di non aggressione con l'U. R. S. S. fu prolungato per altri dieci anni. Lo sforzo identico rivolto verso la Germania si concretò nella dichiarazione del 26 gennaio 1934 che impegna i due stati per la durata di dieci anni alla non aggressione, al mantenimento di rapporti di buon vicinato e alla risoluzione, sulla base di trattative dirette, di eventuali conflitti. Con questi due accordi la Polonia ritiene di aver ottenuto per sé la maggior possibile sicurezza nelle sue condizioni attuali. Essa ha assunto perciò un atteggiamento critico di fronte al patto orientale, promosso dalla Francia, ritenendo che la clausola dell'assistenza reciproca in caso di aggressione implicherebbe per essa degli obblighi di una portata difficilmente precisabile e comunque superiori a quelli che essa si sente disposta di assumere su di sé. Un altro motivo fondamentale dell'avversione della Polonia al patto orientale va cercato nel fatto che la sua attuazione obbligherebbe la Polonia a permettere, nel caso di un attacco della Francia da parte della Germania, il transito degli eserciti dell'U. R. S. S. sul proprio territorio.
Una prova dell'atteggiamento indipendente che il maresciallo Pilsudski aveva voluto adottare nello svolgimento della propria politica estera è data anche dal fatto che il governo polacco si è dichiarato, con denunzia unilaterale, sciolto dagli impegni a cui era tenuto di fronte alle minoranze nazionali per le stipulazioni del trattato di Versailles.
Il 12 maggio 1935 morì Piłsudski. Con questa data ha termine il primo periodo della storia della Polonia risorta.
Bibl.: Per la bibliografia: L. Finkel, Bibljografja historji polskiej (Bibl. della storia polacca), voll. 3 e 3 suppl., Cracovia 1891-1914; 2ª ed., vol. I, Leopoli 1931; W. Recke e A. Wagner, Bücherkunde zur Geschichte und Literatur des Königreichs Polen, Varsavia 1918; H. Praesent, Bibliographischer Leitfaden für Polen, Berlino 1917. Nel 1935 si è iniziata la pubblicazione di un Dizionario biografico (Polski słwnik biograficzny) edito dall'Accademia polacca a cura di un comitato presieduto da Wł. Konopczyński.
Per le fonti: M. Dogiel, Codex Diplomaticus Regni Poloniae et Magni Ducatus Lithuaniae, voll. 3 (I, IV, V), Vilna 1758-1764; Monumenta medii aevi historica res gestas Poloniae illustrantia, finora voll. 19, Cracovia 1874 segg.; Acta historica res gestas Poloniae illustrantia ab anno 1507 usque ad annum 1795, volumi 13, Cracovia 1878-1908; Scriptores rerum polonicarum, voll. 22, Cracovia 1892-1917; Monumenta Poloniae Vaticana, finora voll. 5, Cracovia 1913 segg.; Archivium Komisji historycznej, voll. 14, Cracovia 1878 segg.; J. Zakrzewski, Codex diplomaticus Majoris Poloniae, voll. 4, Poznań 1877-1881; Acta Tomiciana, finora voll. 12, Poznań 1852 segg.; Akta Unji Polski z Litwą 1385-1791, I, a cura di St. Kutrzeba e W. Semkowicz, Cracovia 1932.
Per le riviste e le pubblicazioni di accademie e società storiche: Kwartalnik historyczny (Riv. storica trimestrale), Leopoli, finora voll. 48 (pubblica anche, a partire dal 1902, un'appendice bibliografica); Przegląd historyczny (Rassegna storica), Varsavia, finora voll. 31; Roczniki historyczne (Annali storici), Poznań, finora voll. 10; Rozprawy wydziału historyczno-filozoficznego (Atti della sezione storico-filosofica) dell'Accademia delle scienze di Cracovia, finora voll. 69.
Storie generali: R. Roepell, J. Caro, E. Zivier, Geschichte Polens, voll. 6, Amburgo-Gotha 1840-1915 (importante, per quanto, nei primi volumi, antiquata; tratta la storia polacca sino alla fine dei Jagellonidi); Historia polityczna Polski (a cura di St. Zakrzewski, St. Zachorowski, O. Halecki, J. Dąbrowski, St. Smolka, Fr. Papée, W. Sobieski, G. Krajewski, Wl. Konopczyński), voll. 2, fa parte dell'opera Encyklopedya Polska, ed. dall'accad delle scienze di Cracovia, Cracovia 1920-1923; M. Bobryński, Dzieje Polski w zarysie (Compendio di storia pol.), voll. 3, 4ª ed., Varsavia 1927-1931; J. Szujski, Dzieje Polski, voll. 4, Leopoli 1862-66; Wł. Smoleński, Dzieje narodu polskiego (Storia della nazione polacca), 6ª ed., Varsavia-Cracovia 1921; Polska, jej dzieje i kultura od czasów najdawniejszych do chwili obecnej (La Polonia, sua storia e cultura, dai tempi più antichi sino all'epoca attuale), opera collettiva, I, Varsavia s. a.; H. Grappin, Histoire de la Pologne, Parigi s. a.; O. Halecki, La Pologne de 963 à 914, Parigi 1933; W. Sobieski, Histoire de Pologne, Parigi 1934; F. Giannini, Storia della Polonia e delle sue relazioni con l'Italia, Milano 1916; R. Soltyk, La Polonia e sua rivoluzione nel 1830, con proemio di C. Cantù, Milano 1863.
Problemi generali: A. Chołoniewski, Duch dziejów Polski (Spirito della storia polacca), 2ª ed., Cracovia 1918; L. Konopczyński, Le liberum veto: étude sur le développement du principe majoritaire, Parigi 1930; A. Pawiński, Sejmiki ziemskie 1374-1506 (Dietine regionali), Varsavia 1895; id., Rzady sejmikowe w epoce królów elekcyjnych (Regime delle dietine all'epoca dei re elettivi), Varsavia 1888; A. Prochaska, Geneza i rozwój parlamentaryzmu za pierzszych Jagiellonów (Origine e sviluppo del parlamentarismo durante i primi Jagellonidi), in Rozprawy dell'Accademia, n. XXXVIII; A. Rembowski, Konfederacja i rokostz (Confederazione e rivolta), 2ª ed., Varsavia 1895.
Rapporti con l'estero: S. Ciampi, Bibliografia critica delle antiche reciproche corrisponde politiche, ecclesiastiche, scientifiche, letterarie, artistiche, dell'Italia con la Russia, con la Polonia ed altre parti settentrionali, voll. 3, Firenze 1834-1842; Polska w kulturze powszechnej (La Polonia nella cultura universale), opera collettiva sotto la red. di F. Koneczny, voll. 2, Cracovia 1918; St. Kot, Rzeczpospolita polska w literaturze politycznej zachodu (La repubblica polacca nella lett. politica dell'Occidente), Cracovia 1919; Omaggio dell'accad. polacca di scienze e lett. all'Università di Padova nel settimo centenario della sua fondazione, Cracovia 1921; M. Loret, Życie polskie w Rzymie XVIII w. (La vita pol. a Roma nel sec. XVIII), Roma 1930; I. Fijałek, Polonia apud Italos scholastica, Cracovia 1900; M. Handelsman, Les idées françaises et la mentalité politique en Pologne au XIXª siècle, Parigi 1928; Deutschland und Polen, Beiträge zu ihren geschichtlichen Beziehungen, a cura di A. Brackmann, Monaco e Berlino 1933 (da integrare con la risposta degli storici polacchi in Kwartalnik hist., 1934, pp. 776-886).
Per la storia delle città, dei costumi, della cultura, delle religioni: J. Ptaśnik, Miasta i mieszczaństwo w dawnje Polsce (Le città e la borghesia nell'antica Polonia), Cracovia 1934; W. A. Maciejowski, Polska aż do polowy XVII w. pod wyględem obyczajów (La Polonia sino alla metà del sec. XVII, dal punto di vista dei costumi); Wł. Łoziński, Życie polskie w dawnych wiekach (La vita polacca nei secoli passati); J. Bystroń, Dzieje obyczajów w dawnej Polsce, voll. 2, Varsavia 1932-34; J. Morawski, Histoire de l'Université de Cracovie, trad. di P. Rongier, voll. 3, Parigi-Cracovia 1900-1905; H. Barycz, Historja uniwersytetu jagiellońskiego w epoce humanizmu, Cracovia 1935; J. Ptaśnik, Kultura włoska wieków średnich w Polsce (La cultura ital. del Medioevo in Polonia), Varsavia 1922; A. Brückner, Dzieje kultury polskiej (Storia della cultura polacca), voll. 3, Cracovia 1930-1932; Wł. Smoleński, Przewrót umysłowy w Polsce XVIII w. (Rivolgimento della vita culturale nella Polonia del sec. XVIII), Varsavia 1923; K. Völker, Kirchengeschichte Polens, Berlino e Lipsia 1930; W. Abraham, Organizacja kósciola w Polsce do połowy XII w. (Organizzazione della chiesa in Polonia fino alla metà del sec. XII), 2ª ed., Leopoli 1893; P. David, La Pologne et l'évangélisation de la Poméranie au XI et XII s., Parigi 1928.
Per la storia militare: T. Korzon, Dzieje wojen i wojskowości w Polsce (Storia delle guerre e dell'arte militare in Polonia), voll. 3, Cracovia 1912; M. Kukiel, Zarys historji wojskowości w Polsce (Compendio della storia dell'arte militare in Polonia), 3ª ed., Cracovia 1929.
Per la storia economica: J. Rutkowski, Histoire économique de la Pologne avant les partages, Parigi 1927.
Per le storie regionali: Lohmeyer, GEschichte von Ost- und Westpreussen, Gotha 1908; P. Simson, Geschichte der Stadt Danzig, voll. 4, Danzica 1913-1918; W. Sobieski, Der Kampf um die Ostsee von den ältesten Zeiten bis zur Gegenwart, Lipsia 1933; Polskie Pomorze: II, Przeszłość i kultura (La Pomerania polacca, vol. II, Passato e cultura), a cura di J. Borowik, Toruń 1931; S. Askenazy, Danzig et la Pologne, Parigi 1919; Historja 'Śląska do roku 1400 (Storia della Slesia fino al 1400), I, a cura di St. Kutrzeba, Cracovia 1933; A. Jabłonowski, Historja Rusi południowej do upadku Rzeczypospolitej (Storia della Rutenia meridionale sino alla caduta della repubblica, Cracovia 1912).
Per le storie particolari: P. David, Les sources de l'histoire de Pologne à l'époque des Piasts, Parigi 1934; H. Zeissberg, Die pol. Geschichtsschreibung im Mittelalter, Lipsia 1873; R. Grodecki, St. Zachorowski, J. Dąbrowski, Dzieje Polski średniowiecznej (Storia della Polonia medievale), voll. 2, Cracovia 1926 (fondamentale); O. Balzer, Genealogja Pjastów, Cracovia 1895; F. Piekosińsik, Rycertstwo polskie wieków średnich (La cavalleria polacca nel Medioevo), voll. 2, Cracovia 1901-1902; Polska i Litwa w dziejowym stosunku (Polonia e Lituania nei rapporti storici), opera collettiva, Varsavia-Cracovia 1914; L. Kolankowski, Dzieje wielkiego księstwa litewskiego za Jagiellonów (Storia del granducato lituano all'epoca dei Jagellonidi), vol. I, Varsavia 1930; O. Halecki, Dzieje Unji Jagiellońskiej (Storia dell'Unione Jagellonica), vol. I, Cracovia 1919; Le marquis de Noailles, Henri de Valois et la Pologne en 1572, voll. 3, Parigi 1867; J. B. Morton, Sobieski, roi de Pologne, Parigi 1933; T. Korzon, Wewnętrzne dzieje Polski za Stanisława Augusta (La storia interna della Polonia all'epoca di Stanislao Augusto), voll. 6, Cracovia 1897-1898; W. Kalinka, Sejm Czteroletni (La Dieta dei Quattro anni), voll. 3, Cracovia e Leopoli 1880-1888; M. M. Handelsman, Napoléon et la Pologne, Parigi 1909; Sz. Askenazy, Napoleon i Polska, voll. 3, Varsavia 1916-1919; H. Mościcki, Dzieje porozbiorowe Litwy i Rusi (Storia della Lituania e Rutenia dopo le spartizioni), Vilna 1914; W. Feldmann, Geschichte der politischen Ideen in Polen seit dessen Teilungen, 1795-1814, Monaco e Berlino 1914; G. Michalowski, La Polonia dopo le spartizioni e l'idea dell'indipendenza, Roma 1926; Fr. Skarbek, Dzieje Ksisętwa Warszawskiego (Storia del ducato di Varsavia), Poznań 1877; J. Rappaport, L'insurrection polonaise de novembre 1830, in Le monde slave, 1933-1934.
Per la storia contemporanea: St. Kutrzeba, Polska odrodzona 1914-1928, (La Polonia risorta), 3ª ed., Varsavia 1928; R. Dmowski, 'Swiat powojenny i Polska (Il mondo del dopoguerra e la Polonia), Varsavia 1931; Dziesięciolecie Polski odradzonej (Un decennio della Polonia risorta), voll. 2, a cura dell'Il. Kurjer Codzienuy, Cracovia 1928; G. Capasso, La Polonia e la guerra mondiale, Roma 1927; F. Tommasini, La risurrezione della Polonia, Milano 1925; id., La marcia per Varsavia, in Nuova Antologia, del 16 giugno 1926; P. Roth, Die Enstehung des polnischen Staates, Berlino 1926; C. Smogorzewski, La Pologne restaurée, Parigi 1927; K. W. Kumaniecki, Odbudowa państwowosci polskiej (La ricostruzione dello stato indipendente polacco), Varsavia 1924; J. Piłsudski, Rok 1920 (L'anno 1920), Varsavia 1924; J. de Carency, J. Pilsudski, Parigi 1929; A. Skrzyński, Poland and peace, Londra 1923; W. Sikorski, La campagne polono-russe de 1920, Parigi 1928.
Lingua.
I confini della lingua polacca non concordano che in parte con quelli dello stato polacco. La parte orientale della repubblica polacca è territorio linguisticamente misto, spesso con prevalenza di elementi alloglotti; d'altro lato non sono pochi i parlanti la lingua polacca che vivono al di là delle frontiere statali: in territorî immediatamente adiacenti (in Cecoslovacchia, Germania, Lituania, U. R. S. S.) e lontano da esse, nell'Europa occidentale e in America.
La zona compatta della lingua polacca, compresi i parlari Kasciubi, è circoscritta entro la linea seguente: procedendo da Jabłonków e Cieszyn (Teschen) si attraversa un lembo del territorio cecoslovacco e nei pressi di Ratibor, oltrepassato l'Oder, si entra in Germania. Da qui a distanza di alcuni chilometri dall'Oder si prosegue verso NE., si riattraversa il fiume tra Oppeln e Brieg e piegando più direttamente al N. si raggiunge di nuovo presso Kępno il confine statale. Da questo punto, e sino al mare, il confine linguistico, salvo lievi divergenze (cunei tedeschi presso Zbąszyń e Schneidemühl-Pila nella Posnania; Chojnice. nella Pomerania, v. anche kasciubi), concorda con quello statale. Superato al S. di Gdynia il breve tratto costiero, la lingua polacca riprende contatto con quella tedesca, seguendo dapprima i confini della libera città di Danzica e poi, lungo la Vistola, quelli della Prussia Orientale che abbandona dopo breve tratto per incunearsi nel territorio polacco fino a Grudziądz. A questo punto il confine linguistico piega decisamente a E., entra nella Prussia Orientale (zona dei laghi Masuri) e la attraversa lungo una linea che unisce Osterode con l'angolo in cui convergono i confini della Prussia orientale, della Lituania e della Polonia. Il limite orientale della zona compattamente linguistica non può essere tracciato che molto approssimativamente con una linea che, partendo dall'angolo ora segnato, volga direttamente al S. sino alle vicinanze di Hrubieszów, pieghi qui a O. per raggiungere presso Sieniawa il fiume San e lo segua fino al Sanok. Qui il confine linguistico riprende la direzione occidentale e nei pressi di Szczawnica ritrova il contatto col confine statale dal quale non si scosta più sino a Jabłonków.
La lingua polacca fa parte, assieme al cecoslovacco, al sorabo e agli estinti dialetti elbani (polabi), del gruppo occidentale delle lingue slave ed ha quindi con esso le seguenti principali caratteristiche di fronte alle lingue slave orientali e meridionali: conservazione dei nessi kv, gv (polacco kwiat, cèco květ "fiore" di fronte al russo e serbocr. cvet; pol. gwiazda, cèco hvězda "stella", russo e serbocr. zvezda) e tl, dl (pol. modlitwa, ckco modlitba "preghiera", di fronte a russo e serbocr. molitva), passaggio di tj, kt a c (polacco świeca, cèco svíce "candela", contro serbo sveća, russo sveča; polacco e cèco noc "notte" da *nokt-, contro serbo noć, russo noč). Paragonato ad altri dialetti slavo-occidentali, il polaeco appalesa affinità lievemente maggiori con i dialetti sorabi (lusaziani) che non con quelli cecoslovacchi: tale affinità è soprattutto sensibile nella risoluzione dei gruppi *tort *tolt che, con qualche eccezione, dànno nel polacco e sorabo trot, tlot, mentre il cèco e lo slovacco hanno in questo caso trat, tlat: protoslavo *borna "erpice", pol. brona, bassosorabo brona, altosorabo bróna, cèco brány; protosl. *bolto "palude", pol. błoto, bassosorabo błoto, altosorabo błóto, cèco e slovacco bláto.
Basandosi su un certo numero di concordanze fonetiche, alcuni studiosi distinguono per entro il gruppo slavo-occidentale un gruppo "lechico, o "lechitico" che abbraccerebbe il polabo, il pomerano-kasciubo e il polacco. Sennonché tali concordanze sono poco numerose e poco caratteristiche, trattandosi più di conservazioni (per es., la continuazione dell'antica pronunzia nei gruppi nasali) che di innovazioni; e d'altro lato il kasciubo per un complesso di ragioni (v. kasciubi) può essere considerato parte integrante della lingua polacca, mentre la stessa affermazione non può essere fatta nei riguardi dei parlari pomeranî - la cui affinità, innegabile del resto, ma non stretta, col polacco, è stata messa in luce appena in questi ultimi anni - e tanto meno nei riguardi dello slavo elbano. Appare quindi più opportuno non inserire altre unità linguistiche tra il polacco (polacco-kasciubo) e il grande gruppo slavo-occidentale.
Ove si prescinda dal kasciubo, che ha parecchi tratti arcaici, la differenziazione dialettale sul territorio polacco non è molto accentuata. I molti secoli di unità politica, la quasi ininterrotta unità culturale e la configurazione del terreno hanno impedito un decisivo frastagliamento linguistico, agevolando invece continui scambî tra regione e regione. Ciò nonostante si usa distinguere i seguenti dialetti polacchi: dialetti della Grande Polonia, dialetti della Cuiavia e delle terre di Chełmno-Dobrzyń, dialetti della Piccola Polonia (con alcune varianti: parlari di Cracovia e del Podhale, parlari di Kielce e Sandomierz, parlare di Lublino e i parlari delle zone confinanti eon l'ucraino), dialetti Slesiani (una parte del territorio da essi occupato si trova in Cecoslovacchia e in Germania), infine dialetti masoviani (fra i quali si distinguono i parlari dei Kurpi e il parlare marginale, kresowy, ai confini biancorusso-lituani). Di fronte alla lingua letteraria questi dialetti manifestano alcune particolarità più o meno comuni: tendenza a vocali strette (non solo nóż, Bóg, ecc., ove ó vale u, ma anche Kóń, dóm; e inoltre rzéka, kobiéta; právda, znám, dove é sta quasi per i e á per å), divergenze nella pronuncia delle vocali nasali (per es., gąsty per gęsty, wąch per węch, ecc.); pronunzia dentale s, z, c, dz in luogo di sz, ż, cz, dż: zyto per żyto, cårny per czarny, ecc. (tale pronunzia si riscontra in tutta la parte centrale del territorio polacco: nella Masovia, donde la denominazione di mazurzenie "pronunzia alla masoviana", e nella Piccola Polonia); un più deciso intacco delle consonanti dinnanzi a un i, quindi in luogo di piwo, wino s'incontrano pronunzie quali: pjiwo, Wjino, ñśiwo, w???źino, ecc. Meno numerose, meno caratteristiche e meno diffuse sono le particolarità morfologiche, fra le quali accenniamo soltanto alla generalizzazione, in parecchi dialetti, delle antiche forme del duale: chodźwa per chodźmy "andiamo", ecc.
La questione dell'origine della lingua letteraria è stata oggetto negli ultimi anni di vivaci discussioni. L'assenza del mazurzenie nella lingua letteraria induce alcuni studiosi a considerare la Grande Polonia (Gniezno e Poznań) quale culla del polacco; altri invece ritengono che solo a Cracovia, residenza dei granduchi e re polacchi sin dal sec. XI, può spettare il vanto di aver dato alla Polonia il suo parlare direttivo. Data la scarsa differenza tra i dialetti di Cracovia e di Poznań è difficile ehe si giunga ad un accordo su questo punto controverso. Certo è che l'evoluzione successiva della lingua polacca si spiega meglio, se si tiene conto che, salvo brevi periodi (per es., Cracovia ai tempi di Casimiro il Grande e degli ultimi Jagellonidi, Varsavia all'epoca di Stanislao Augusto) la Polonia non ha avuto forti centri politici o culturali.
Tale mancanza, connessa anche con la scarsa importanza che in Polonia ha avuto l'elemento borghese (nel Medioevo in prevalenza tedesco) si riflette forse in alcune particolarità della morfologia polacca (grande irregolarità delle declinazioni) ed ha lasciato tracce indubbie nel lessico. A prescindere anche dall'infiltrarsi in esso di elementi cèchi (nei primordî della letteratura), latini e italiani (soprattutto nel Rinascimento) e francesi (nel sec. XVIII), non si può fare a meno di rilevare il forte influsso che sulla lingua polacca ha esercitato il lessico tedesco. Esso è particolarmente sensibile nella terminologia dell'organizzazione statale cittadina e militare, e in quella delle arti e mestieri, ma si estende anche al verbo (szacować "schätzen" szanować "schonen", kierować "kehren") e ha dato inoltre al polacco un suffisso molto produttivo (-unek, da -ung: gatunek "Gattung", pocałunek "bacio" dall'indigeno pocałować "baciare").
Bibl.: Grammatiche: T. Benni, J. Łoś, K. Nitsch, J. Rozwadowski, A. Ulaszyn, Gramatyka języka polskiego, Cracovia 1923 (2ª ed. ridotta di Język polski i jego historja, voll. 2, ed. a cura dell'Acc. polacca, 1915); J. Łoś, Gramatyka polska, voll. 3, Leopoli-Varsavia-Cracovia 1922-27; St. Szober, Gramatyka języka polskiego, voll. 2, Varsavia 1931; H. Gaertner, Gramatyka współczesnego języka polskiego, finora 3 fascicoli, Leopoli 1931-34; St. Słoński, Historja języka polskiego w zarysie, Leopoli 1934; A. Meillet e H. de Willman-Grabowska, Grammaire de la langue polonaise, Parigi 1921 (descrittiva). Per l'apprendimento della lingua polacca c'è in italiano solo l'Avviamento allo studio del polacco di W. De Andreis-Wyhowska, Roma 1934. - Dizionarî: A. Brückner, Slownik etymologiczny jezyka polskiego, Cracovia 1927; S. B. Linde, Słownik języka polskiego, voll. 6, 2ª ed., Leopoli 1854-1860; J. Karlowicz, A. Karlowicz, A. Kryński, Wł. Niedźwiedzki, Słownik języka polskiego, voll. 8, Varsavia 1900; J. Karłowicz, Słownik gwar polskich (Diz. dei parlari polacchi), voll. 6, Cracovia 1900-1911. - Riviste: Język polski (finora 19 annate); Prace Filologiczne (finora voll. 16).
Etnografia e folklore.
Etnografia. - Le ampie pianure polacche, già paludose e boschive, oggi intensamente popolate, che, partendo dai Carpazî, si stendono verso settentrione, sono il centro del problema generale rappresentato dalle importanti linee etnografiche di confine che le traversano e sono in apparente contrasto con le condizioni geografiche. Questo fatto è una conseguenza del passato preistorico: si tenta di spiegarlo appunto con l'aiuto dell'etnografia.
Le più importanti linee di demarcazione dell'attuale etnografia, che tagliano il territorio polacco, sono: il confine tra Balti-Lituani e Slavi; il confine tra Germani e Slavi; il confine tra Slavi orientali (Russi bianchi e Ruteni) da un lato, e Slavi occidentali (Polacchi), dall'altro. L'elemento comune a questi confini che colpirà più fortemente un osservatore superficiale, è la data recente della loro formazione. Infatti nel corso dell'ultimo millennio essi si sono molto spostati e conservano tuttora sul lato orientale il carattere di ampie zone a popolazione mista. Il loro spostamento è dovuto al graduale assottigliamento subito già da varî secoli dal territorio di lingua lituana, mentre la lingua polacca compensava con successo le perdite territoriali subite in occidente e nel sud-ovest con la sua espansione nelle regioni settentrionali e orientali.
Tralasciando i confini linguistici, sottoposti alla decisiva influenza delle condizioni politiche, e prendendo in considerazione i fenomeni di carattere essenzialmente conservativo della cultura materiale, si può fare una constatazione sorprendente. I più importanti confini di diffusione degli utensili e oggetti ancora oggi usati in Polonia seguono la direzione NO.-SE. Questi confini non si possono mettere in relazione né con gli attuali, né con gli antichi confini linguistici. Infatti essi penetrano, al sud, così profondamente nel territorio di lingua polacca e rutena, da non poter coincidere neppure con la massima estensione dell'antico confine lituano, e vanno quindi considerati come un avanzo di un'età ancor più antica. Questo stato di cose ci costringe a riallacciare le indagini etnografiche a quelle preistoriche.
La prima questione che dovremo prendere in considerazione è se le linee etnografiche di confine della Polonia siano forse in relazione con l'originaria divisione dei gruppi slavi. La Polonia va infatti considerata la sede originaria degli Slavi prima che s'iniziasse la loro grande espansione avvenuta nel sec. I d. C. A sostegno di questa tesi abbiamo i nomi comuni a tutti gli Slavi di quelle piante che non crescono in oriente (Hedera helix, Taxus baccata), o al settentrione (Carpinus betullus) e che quindi escludono una patria originaria situata più a oriente o più a nord. Una sede originaria più occidentale o più meridionale contrasterebbe invece con il fatto che per il faggio fu assunto poco prima della nascita di Cristo il nome usato dai Germani, nome diffusosi poi in tutte le lingue slave. Quest'albero doveva essere originariamente ignoto agli Slavi. Inoltre dalla rapida diffusione di questo termine nell'intera area slava si deduce che l'originaria sede degli Slavi, prima cioè che se ne iniziasse nel sec. I dell'era cristiana l'espansione, aveva un'estensione minima.
Esaminando alcuni antichi nomi di località, il substrato molto probabilmente slavo orientale del dialetto masoviano della lingua polacca, e finalmente avendo riguardo alle affinità linguistiche veramente enigmatiche fra l'idioma degli Slavi polabi del Mecklenburgo, dei Kasciubi risiedenti sulla foce della Vistola e quello degli Slavi orientali (Grandi Russi), è molto probabile che la porzione nordorientale del bacino della Vistola, ora polacco, fosse già abitato da Slavi orientali. D'altra parte però l'imperatore Porfirogeneto riferisce, nella prima metà del sec. X, che la Croazia Bianca o la Croazia Grande, antica patria dei Croati, giacesse sul fiume Διτξική, in cui comunemente si riconosce la Vistola, a N. dei Carpazî. Sappiamo inoltre da tradizioni storiche che la Croazia Bianca fu annessa all'impero russo di Kiev. È fuori dubbio quindi che residui degli antichi slavi meridionali si siano trattenuti sino nel primo periodo storico a N. dei Carpazî.
I dati di fatto succitati, riferentisi già in epoche più recenti, si accordano con la localizzazione in Polonia dell'originaria sede degli Slavi; rendono però assai improbabile la corrispondenza accennata tra i limiti d'espansione dei fenomeni etnografici attuali seguenti una linea NO.-SE. e l'antica suddiviśione dei gruppi slavi. I dati linguistici palesano come nei primi secoli dell'era cristiana gli antenati degli Slavi orientali e quelli degli Slavi meridionali formassero un gruppo strettamente affine, in deciso contrasto con gli Slavi occidentali. Se quindi le frontiere etnografiche attuali della Polonia dovessero indicare le passate frontiere degli Slavi orientali, allora dovrebbero diramarsi da esse le linee di demarcazione nel senso sud-occidentale ancor più accentuate e coincidere con le antiche linee di confine degli Slavi meridionali e occidentali. Ma questo non è. Ci vediamo quindi costretti a cercare la spiegazione delle enigmatiche linee di confine della Polonia in una ancor più remota antichità. Dovremo però allora contare sulla probabilità che le nostre linee di confine siano dovute a diversità di civiltà ben più grandi che non quelle esistenti tra i sottogruppi slavi.
Esaminando il materiale preistorico, ne risulta che le linee di confine della Polonia dirette da NO. verso SE. compaiono già nell'età del bronzo. Esse sono difatti in stretto rapporto con il confine nord-orientale della massima espansione della cosiddetta civiltà lusaziana. Né va trascurato il fatto che più tardi, in età preromana, le giovani civiltà sorte sull'area della civiltà lusaziana si attengono ai vecchi confini seguenti la direzione NO.-SE. Ne deriva di conseguenza che le ondate germaniche delle età posteriori hanno sfiorato senza modificarle le differenziazioni create in Polonia dalla cultura lusaziana dell'età del bronzo, le quali sussistono tuttora nelle espressioni della cultura materiale dei contadini polacchi.
Molto si è discusso sull'attribuzione etnica della civiltà lusaziana. Attualmente si contendono il campo due opposte tendenze. Numerosi studiosi slavi vedono nei suoi rappresentanti gli antenati degli Slavi. Il maggior numero degli studiosi tedeschi cerca invece di rilevare il carattere illirico di questa civiltà. Gli ultimi risultati delle indagini linguistiche (J. Kuryłowicz) presentano una soluzione che potremo considerare un compromesso fra le due opinioni contrarie.
È ormai fuori dubbio che gl'Indoeuropei settentrionali formino un gruppo omogeneo in contrasto con gli altri Indeuropei. A questo gruppo nordico non appartengono solo Germani, Balti e Slavi, ma anche gli Illirî. Dalle strette affinità linguistiche che uniscono questi sottogruppi indoeuropei bisogna dedurre che le loro antiche sedi non dovevano essere territorialmente discoste. Solo per i Germani si è potuto precisare una sede originaria preistorica e metterla in relazione con l'attuale loro etnografia (Pessler). Non si è invece saputo trovare per gli Slavi e per i Baltici, eccettuata la civiltà lusaziana, nessun complesso preistorico la cui localizzazione risponda alle affinità linguistiche dei sottogruppi nordici indoeuropei. Volendo mantenere il rapporto stabilito tra gli antichi Illirî e i rappresentanti della civiltà lusaziana, è necessario considerare quest'ultima patrimonio comune degl'Indoeuropei nordici, dopo il distacco del sottogruppo germanico. Solo questa tesi accorda i risultati delle indagini preistoriche con i risultati delle ricerche linguistiche.
Considerando sotto questo aspetto le linee di confine etnografiche polacche dirette da NO. a SE., si vedranno in esse le tracce delle vecchie linee di demarcazione degl'Indo europei del NE. (Balto-Slavi). A confortare quest'opinione, che cioè qui emergono gli antichi confini del territorio occupato dal gruppo indoeuropeo settentrionale, sta il fatto che la continuazione di tali linee volge verso oriente, dividendo le steppe già abitate dalle stirpi iraniche indoeuropee dal territorio boschivo che fu finnico. Questi autoctoni non indoeuropei dell'Europa nord-orientale sono considerati i discendenti dei rappresentanti di un'antica civiltà neolitica, conosciuta sotto il nome della loro ceramica punteggiata (ceramica a pettine). Le ondate baltiche e slave che sommersero questo territorio diedero probabilmente origine ai caratteri differenziali che distinsero poi gli Indoeuropei settentrionali. Probabilmente l'aver varcato questo confine provocò in un primo tempo il distacco dei Baltici dall'antica comunità balto-slava, poi il distacco degli Slavi orientali dalla comunità slava. L'espansione della lingua polacca verso il NE., con la conseguente formazione del dialetto neomasoviano oltre questa così antica frontiera, sarebbe un argomento a favore di questa tesi.
Possiamo osservare un'altra importante coincidenza nell'angolo SE. della Polonia. La linea corrente da occidente a oriente dell'antica civiltà tracia si fonde con l'attuale linea di confine etnografico, che traversa il territorio di lingua rutena. Qui abbiamo certamente la vecchia frontiera che una volta divideva le stirpi settentrionali indoeuropee da quelle tracie: d'altro lato gl'interpreti della carta di Tolomeo ritengono, concordi, che al principio dell'era cristiana i Carpazî fossero abitati dai Traci.
È da osservare che i prodotti culturali comuni agli Slavi risalgono agli inizî circa dell'era cristiana. A questi appartengono p. es. i forni costruiti nella stanza d'abitazione, che non troviamo invece tra i Balti e i Germani. Il forno sembra essere stato preso a prestito dalla latinità classica, mentre la denominazione del pane è di origine gotica. I limiti territoriali entro cui troviamo il forno costruito nella stanza d'abitazione non sono affatto in relazione con le succitate vecchie linee di confine. Il forno è un prodotto assai più recente, sebbene compaia in Polonia agli inizî circa dell'era cristiana.
Il più importante risultato delle indagini etnografiche in Polonia è la constatazione che gli sconvolgimenti degli ultimi tre millennî non poterono cancellare le tracce dell'antico passato. Esse si sono così ben conservate sin nel presente, da poter essere ormai individuate mercé la cooperazione dell'etnografia e della preistoria.
Data la ricchezza di boschi, prevalgono in Polonia le costruzioni in legno. Capanne di argilla si riscontrano soprattutto nei voivodati sudorientali; nelle zone occidentali invece (Grande Polonia, Pomerania, Slesia) predominano costruzioni murarie. Le case costruite in legno offrono una certa varietà; così, per es., il tetto è di preferenza a due acque nella Polonia settentrionale e orientale, a quattro acque nelle altre regioni. I tetti, salvo nelle zone più progredite, sono di regola coperti di paglia. Nei Carpazî, è in uso anche la copertura ad assicelle. L'interno delle case villerecce consta per lo più di due locali principali, divisi da un corridoio. La stufa per cucinare e riscaldare si trova di solito nella camera (izba) posta a destra dall'ingresso. Case a due piani sono rarissime, ma secondo la conformazione dei tetti tutte hanno un solaio più o meno ampio e alto. I granai, le stalle, i porcili, ecc., non sono riuniti con la casa, ma disposti, entro un apposito recinto, intorno ad essa.
Molta cura è posta dai contadini nell'ammobigliamento della loro casa. Esso è opera di falegnami che non mancano in nessun villaggio. Particolarmente interessanti sono i tavoli e le seggiole nella zona dei Tatra (v. fig. a p. 764). Ricche di ornamento - con evidente traccia dell'influenza italiana dei tempi del Rinascimento - sono le cassapanche di Cracovia.
Nelle coltivazioni, superati i sistemi primitivi caduti in disuso nel sec. XIX (campi divisi in tre parti: per la seminagione vernereccia, per la seminagione estiva, maggesi), prevale ora l'uso di una spartizione razionale delle terre arabili secondo le varie colture. Minore progresso invece si nota negli attrezzi rurali: qua e là s'incontrano ancora aratri ed erpici di solo legno. Per la mietitura si usano tanto falci piccole (dentate), quanto falci fienaie. Il grano è battuto da correggiati, la cui forma, specialmente per ciò che riguarda la congiuntura tra l'asta e la vetta, varia parecchio da regione a regione.
Per pestare il grano (o l'orzo) i contadini usano molto mortai a mano a forma di cilindro o di calice; la Polonia meridionale conosce anche mortai a leve sulle quali si preme col piede. A macinare il grano sbattuto servono ancora in alcune regioni molini a mano spesso molto primitivi. Frequenti sono tuttora, e più lo erano nel passato, i molini a vento; quelli ad acqua sono stati importati in Polonia, a quanto pare, dai monaci italiani. Una volta i contadini stessi facevano da pentolai, oggi - come anche per parecchi altri mestieri - vi sono nei villaggi pentolai specializzati che producono, in alcune regioni, ceramiche popolari con forme e ornamenti artistici.
La filatura del lino e della canapa è opera esclusiva delle contadine che, come nei tempi antichi, lavorano spesso collettivamente, passando così in compagnia le lunghe sere invernali. All'abbigliamento servono molto anche diversi elaborati di pelli d'animali. L'arte della lana è diffusa ovunque: da segnalare i panni bianchi e grigi della zona di Cracovia, quelli a strisce colorate di Lowicz, e soprattutto i tappeti, kilimy, delle terre orientali e dei Carpazî, nonché i tessuti popolari di lino, ad uso diverso di copertura e a interessanti disegni geometrici, della regione di Vilna. Nelle campagne prevale ancora l'uso di costumi nazionali che è diverso non solo da regione a regione, ma anche secondo che si tratti di abbigliamento quotidiano o di abbigliamento festivo. Quest'ultimo si distingue soprattutto per l'uso di un gabbano (sukmana), ora lungo fino al malleolo, come in Masovia, Cuiavia e nella Grande Polonia, ora invece più corto e col bavero diritto come nella Piccola Polonia. Nella zona subcarpatica al gabbiano si sostituisce una pellegrina corta. Ricca di colori è la cintura di lana, specie nelle zone centro-occidentali; di cuoio è invece di regola la cintura nel territorio di Cracovia. Il cappello serve in alcune regioni a distinguere gli scapoli dagli ammogliati. Tale distinzione è netta tra le donne maritate e le ragazze (così, per es., soltanto queste possono uscire a capo scoperto).
Grande è la varietà degli strumenti usati dal popolo per la caccia di animali selvaggi: buche coperte da una tavola girante su un asse (di solito contro i lupi che, cadendo nella buca, non possono più uscirne); pali appuntiti (gli orsi, cervi, ecc., vi si feriscono e vengono poi facilmente uccisi; si usano anche contro gli sparvieri, nel quale caso si mette sotto il palo un colombo, perché serva da esca); diversi tipi di trappole, lacci o ami (anche a forma di ancora) per pigliare non solo uccelli, ma anche lepri, volpi, lupi.
Nulla di particolarmente interessante offrono gli attrezzi di pesca. Sono in uso anche in Polonia, come altrove, varî tipi di fiocine, coppi, nasse, reti, ecc. La cattura dei pesci sotto i ghiacci invernali è preceduta in alcune regioni dallo stordimento dei pesci ottenuto con colpi di maglio sul ghiaccio.
Arte popolare. - A differenza degli Slavi balcanici e dei Russi, i Polacchi, come pure gli altri Slavi occidentali, non possiedono canti epico-narrativi. Manca quindi ai Polacchi un'interpretazione poetico-popolare del proprio passato. Abbastanza numerosi sono invece nelle campagne polacche, e tuttora vitali, i canti rituali (pieśni obrzędowe), alcuni dei quali, e cioè i canti nuziali (weselne), i canti di Natale e Capodanno (kolędy dal latino calendae), i canti di Pasqua (wielkanocne) e quelli della mietitura (dożynki, wieniec) hanno un aspetto molto arcaico: tanto nelle parole, quanto nelle melodie. Quasi tutti i canti rituali, provenienti in parte da ambienti ecclesiastici, si distinguono per la loro schietta e ingenua religiosità. Ma in Polonia vi sono anche canti indipendenti dal ritmo ricorrente dell'anno e della vita, e si dicono canti comuni (powszechne), perché chiunque può cantarli e in qualunque occasione. Prevalgono fra questi i canti d'amore, di rado sentimentali, più spesso sboccati; ballate (per es., quella famosa e antica Pani pana zabiła "La signora ha ucciso il signore", che ha ispirato Mickiewicz e Lenartowicz), canti comici e canti di ballo. Vi sono infine canti proprî ad alcuni mestieri o ceti, canti di soldati, di zatterieri (flisackie), di mendicanti (dziadowskie). I più interessanti sono questi ultimi; alle fiere e alle feste d'indulgenza mendicanti girovaghi cantano leggende versificate di carattere religioso e brevi poesie storiche (per es., La vittoria di Vienna). C'era in essi un germe, che non si è potuto sviluppare, di poesia epica.
In generale sorprende, anche nei racconti popolari in prosa, la scarsezza di temi storici. Le guerre cogli Svedesi e coi Turchi e, fra le singole figure, Boleslao Chrobry, Casimiro il Grande e Sobieski costituiscono, su per giù, il patrimonio storico del popolo, quale ci appare dai suoi racconti. Più diffuse vi sono naturalmente le favole e fiabe risalenti, come anche altrove, a fonti scritte; fra le principali sono anche in Polonia le Gesta Romanorum.
Fra le varie - ma non numerose - manifestazioni teatrali del popolo polacco, rileviamo la szopka (dal medio alto tedesco Schopf, oggi Schuppen), piccolo teatro portatile di marionette, rappresentante il presepe. Essa appare molto perfezionata nel territorio di Cracovia, ma è diffusa anche in tutta la zona centrale e occidentale della Polonia.
Fra le altre arti popolari va menzionato innanzi tutto l'ornamento pittorico delle capanne dei villaggi (chata): ornamento che abbellisce tanto il lato esterno, quanto l'interno di tali casette. Vi si distinguono i dintorni di Nowy Sącz nella Piccola Polonia e di Lowicz. I motivi, monocromatici e policromatici, sono in prevalenza di tipo geometrico, non di rado però vi si incontrano anche ornamenti floreali (v. fig. a p. 764). In alcune regioni queste pitture indicano che nelle case ornate vi sono ragazze da marito. L'interno delle capanne viene spesso decorato con ritagli (Wycinanki) di carta, bianca o colorata, applicati alle pareti. Deliziosi sono specialmente i wycinanki di Lowicz e dei Kurpi, ma anche i contadini di Lublino, Piotrków e della Piccola Polonia appalesano, in questo genere di ornamentazione, un vivo senso artistico. In alcune regioni, e in modo particolare nel Podhale (il versante settentrionale dei Tatra, al sud di Cracovia), il popolo usa dipingere sui vetri scene tratte dal Nuovo Testamento o dalla vita del famoso bandito Janosik. Predilezioni artistiche rivelano anche, in quasi tutto il territorio polacco, i mobili e gli utensili domestici - ora dipinti, come le casse dei dintorni di Cracovia, ora intarsiati, come i cucchiai e le rocche per filare nella regione di Zakopane.
Pittoreschi sono in alcune zone i costumi popolari, specialmente le camicie da donna e da uomo (a Łowicz, Nowy Sącz e altrove) adornate di ricami spesso variopinti (v. fig. a p. 766). Famosi sono anche i tappeti (kilimy) e parati polacchi, la cui fabbricazione è più diffusa nelle zone orientali, etnograficamente miste, che non in quelle puramente polacche.
Nella musica popolare vanno rilevate le melodie pentatoniche (per es., il canto nuziale del luppolo a Kalisz) che per la loro somiglianza ad alcuni frammenti del canto gregoriano risalgono forse alle antiche monodie della chiesa romana. Più interessanti e più popolari sono le melodie del Podhale che si riscontrano anche in tutta quell'ampia zona carpatica, ove dominava una volta, e in parte domina ancora, la primitiva cultura pastorizia. Tra le varie danze polacche, alcune sono universalmente note: così i tre tipi della mazurka (misura 3/4 o 3/8) il Kujawiak, il Mazur e l'Oberek (o obertas), che si distinguono tra di loro per particolarità di accento e di ritmo. La Polacca, quale è conosciuta all'Occidente è una danza della nobiltà; il popolo conosce una danza simile, più lenta, chiamata Chodzony "marcia" o semplicemente Polski "polacco".
Più antica della polonese è la Cracoviana (Krakowiak) in 2/4.
Credenze e usi popolari. - La puerpera è circondata da cure particolari che hanno carattere di magie propiziatrici. Diversi oggetti, ferro, scopa, pettine, ecc., vengono collocati intorno al letto per preservare lei stessa e il neonato dagli spiriti maligni. La purgazione della madre, considerata impura durante il puerperio, si effettua di regola in chiesa (wywód); ad essa segue un banchetto a spese del padrino o della madrina. Anche per il bambino si hanno molte precauzioni: svezzarlo ai tempi della partenza degli uccelli sarebbe pericoloso, poiché potrebbe trasformarsi in latawiec (spirito volante); meglio attendere il plenilunio perché cresca paffuto, o il novilunio perché diventi bello. Dell'antico rito del taglio dei capelli (postrzyżyny), descritto nella cronaca dell'Anonimo Gallo, non si sono conservate presso i Polacchi che poche tracce, per es., la credenza che, tagliando prima del tempo i capelli, il bambino possa perdere la favella o diventare gobbo. Il matrimonio è preceduto da approcci guardinghi e cerimoniosi; ottenuta a domande molto indirette una risposta favorevole, il paraninfo offre la wódka (acquavite) ai genitori e alla ragazza. Alla vigilia delle nozze incominciano le cerimonie e i festeggiamenti nuziali ai quali una volta partecipava tutto il villaggio e che ora si riducono, con variazioni di regione a regione, ad alcuni momenti principali: le compagne della sposa intessono ghirlande e adornano - di solito con mele (simbolo di fecondità) - il ramo nuziale (rozgowiny); i parenti le sciolgono le trecce; il giorno dopo i compagni dello sposo vengono a prendere la sposa che, riluttante, accetta di seguirli; la riaccompagnano poi, finita la cerimonia nella chiesa, a casa, ove banchettando, cantando e danzando trascorrono la giornata intiera. Il giorno seguente la sposa, sempre accompagnata dalla compagnia nuziale, si trasferisce nella casa dello sposo con tutta la sua dote e vi è accolta, con pane e sale, dai suoceri. Con un'altra giornata di musica canti e danze - propiziatrici di allegria - si chiudono i festeggiamenti. Non solo con la sepoltura, ma anche con la morte è connesso uno speciale cerimoniale che ha per scopo di agevolare il trapasso del morente e di evitare che il morto si senta indotto di ritornare in vita.
Alle usanze legate alle singole feste dell'anno si è in parte già accennato. Particolarmente ricca di riti magici è la festa di Natale. Nell'uso dell'albero di Natale la Polonia presenta questo di particolare che si usa appendere la choinka (abete) con la cima in giù, adornandola con mele, noci e anche con ornamenti lavorati a mano (podła źniczka). La quarta domenica di quaresima, e in alcune regioni un po' più tardi, si getta nel fiume un fantoccio di paglia, detto śmiertelna lalka (da śmierć "morte", perché così si seppellisce l'inverno e si inaugura la primavera); il lunedì di Pasqua i ragazzi e le ragazze dei villaggi si annaffiano reciprocamente (śmigus, che dapprincipio indica appunto la seconda festa pasquale; dal ted. Schmeckostern); alla vigilia di S. Giovanni si accendono piccoli fuochi e si salta sopra di essi (sobótka "sabato, vigilia di festa": una sobótka, poeticamente stilizzata, è stata descritta dal poeta J. Kochanowski nel sec. XVI).
Bibl.: J. Czekanowski, Wstęp do historji Słowian, Leopoli 1927; W. Antoniewicz, Archeologja Polski, Varsavia 1928; K. Moszyński, Kultura ludowa Słowian, voll. 2, Cracovia 1929; A. Fischer, Etnografja słowiańska, Polacy, Leopoli 1934 (chiara, precisa, aggiornata; su questo ottimo studio si basa soprattutto la parte speciale del presente articolo); Z. Gloger, Pieśni ludu (Canti del popolo), Cracovia 1912; L. Salvini, Canti popolari polacchi, Roma 1932; J. Bystroń, Polska pieśń ludowa (Canto popolare polacco), Cracovia s. a.; E. Kucharski, Pani pana zabiła, jako zabytek średniowiecznje poezji dworskiej ("Pani, pana zabila", come documento della poesia di corte medievale), Leopoli 1932; T. Estreicher, Szopka krakowska (La "sz." di Cracovia), Cracovia 1904; E. Frankowski, Sztuka ludu polskiego (L'arte del popolo polacco), Varsavia 1928; S. Udziela, Polskie hafty ludowe (Ricami popolari polacchi), Cracovia 1925; A. Chybiński, O muzyce górali podhalańskich (Sulla musica dei montanari del Podhale), Zakopane 1927; J. St. Bystroń, Słowiańskie obrzędy rodzinne (Riti slavi riguardanti la famiglia), Cracovia 1916; H. Biegeleisen, Matha i dziecko w obrzędach, wierzeniach i zwyczajach ludu polskiego (La madre e il bambino nei riti, nelle credenze e negli usi del popolo pol.), Leopoli 1927; id., Wesele (Le nozze), ivi 1928; A. Fischer, Zwyczaje pogrzebowe ludu polskiego (Usi funerarî del popolo pol.), ivi 1921.
Arte.
Architettura. - L'arte in Polonia incominciò a svilupparsi alla fine del sec. X e nella prima metà del sec. XI sotto l'influsso dell'arte occidentale. I primi architetti vi giunsero col clero dalla Germania e specialmente dalle rive del Reno. I più importanti monumenti di quel tempo sono le chiese di Cracovia, quelle a Łęgczyca, Czerwińsk, Opatów, Płock, Strzelno, Kościelec e numerose altre più piccole che si avvicinano al romanico tedesco. Anche le chiese bizantine di rito greco nella Polonia orientale subirono l'influsso dell'arte romanica (chiese di Halicz e di Sambor). L'architettura cisterciense si sviluppò in Polonia nel sec. XIII e giunse a fondere gli elementi romanici con motivi ogivali. Lo stile delle abbazie cisterciensi non tardò a usarsi anche in costruzioni dei monaci domenicani e francescani. Le più belle abbazie cisterciensi bene conservate sono quelle di Sulejów, di Wąchock e di Mogiła. Fra le chiese domenicane del sec. XIII si distingue la chiesa di S. Giacomo a Sandomierz, che costituisce l'esempio più antico di costruzione e decorazione lombarda nella Polonia.
Lo stile gotico si sviluppò nei secoli XIV e XV e anche nel secolo XVI, cercando d'adattarsi al paese, al clima e alle condizioni locali (costruzioni basate su combinazioni di mattoni con pietre). Nelle regioni del sud e soprattutto a Cracovia appare l'influsso del gotico francese; invece gl'influssi del gotico tedesco del nord penetrarono nella Polonia settentrionale. Il gotico specialmente nel secolo XVI influì anche, ai confini polono-lituani, sulle chiese di rito greco. All'influenza del gotico non si sottrassero infine le piccole chiese di legno (p. es. la chiesa a Dębno), risalenti alle più antiche tradizioni slave.
Al principio del sec. XVI la Polonia fu uno dei primi paesi al di là delle Alpi che ricevette, direttamente dall'Italia, le forme dell'architettura del Rinascimento. "Franciscus Italus" edificava a Cracovia dal 1510 fino alla sua morte nel 1516 il magnifico palazzo reale. Il fiorentino Bartolomeo Berecci (v.) finì quest'opera e nel 1518-1530; costruì anche la famosa cappella presso la cattedrale di Cracovia. Dal 1531 fino alla sua morte (circa 1573) lavorò a Cracovia Gian Maria Mosca detto Padovano, scultore, medaglista e architetto. Gli sono attribuiti a Cracovia la ricostruzione del fondaco medievale e il palazzo vescovile. A Poznań verso il 1550 fu costruito su progetti di Giovanni Battista di Quadro da Lugano il palazzo comunale. Il discepolo più abile degli architetti italiani in Polonia fu Gabriele Sloński (1520-1598). Monumenti del Rinascimento già polonizzato sono i palazzi della nobiltà a Baranów, a Krasiczyn, nonché i palazzi comunali di Tarnów, Sandomierz, Pabjanice e la sinagoga di Zólkiew.
Di tutti gli stili storici quello che ha avuto il più ricco sviluppo in Polonia è il Barocco, durante il quale continuano a prevalere, come già nel Rinascimento, influssi italiani. Lo si vede già nella chiesa di Nieświez e nella chiesa di S. Pietro a Cracovia erette da Giovanni Bernardone da Como (1541-1605). Andrea Spezza costruì nella prima metà del sec. XVII la chiesa dei Camaldolesi a Bielany presso Cracovia; Pietro da Barbone (proveniente dai dintorni di Padova e morto nel 1588), poi Paolo Romano edificarono alla fine del sec. XVI e sul principio del sec. XVII la chiesa di rito greco a Leopoli, dove lo stesso Paolo Romano nel 1619 eresse una cappella per la famiglia Kampiana. Si distinsero anche gli architetti Tommaso Ragusano, Tommaso Poncino e Costantino Tencala. Accanto ad essi lavoravano anche architetti polacchi: Andrea Przychylny a Leopoli; Bartolomeo Wǫsowski (1617-1687), autore del progetto della monumentale chiesa dei gesuiti a Poznań; Adalberto Przybyłko a Poznań; Giovanni Zaor di Cracovia che edificò nel 1668-1684 la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Vilna. Tra le opere di architetti tedeschi e fiamminghi le più eminenti sono la cappella della famiglia dei Boim a Leopoli, costruita per la maggior parte dal Pfister da Breslavia, e la cappella di S. Casimiro a Vilna, elevata nel 1656 da Dankerts de Ry. Tra gli edifici civili barocchi si distinguono: il palazzo di Podhorce, il palazzo vescovile di Kielce e le rovine dei grandi palazzi a Ujazdów, Janowiec, Wiśnicz, la casa di Korniakt a Leopoli, costruita dal da Barbone, il palazzo Di Giovanni Sobieski a Wilanów, elevato dagl'italiani Agostino Loci, Bellotto Ceroni, con la collaborazione del fiammingo Tylman, il palazzo dei Krasiński a Varsavia (1676-1700). La nobilissima chiesa di S. Anna a Cracovia, opera di Francesco Solari sulla fine del sec. XVII, è l'ultimo monumento del barocco italiano in Polonia.
L'architettura del rococò si sviluppò soprattutto sotto l'influsso di Dresda, con gli architetti del re di Polonia e di Sassonia Augusto II: M. D. Pöppelmann, Lonhelune, J. K. Knöffel, J. D. Jauch, Chiaveri. Non mancarono influssi provenienti da Vienna e Praga: Giovanni de Witte diresse la fabbrica della grandiosa chiesa dei domenicani a Leopoli e forse anche a Tarnopol. Bernardo Meretin edificò la chiesa di S. Giorgio a Leopoli.
Verso la fine del sec. XVIII e nella prima metà del seguente numerosi architetti praticarono lo stile neoclassico: tra gli altri Lorenzo Gucewicz (1753-1798), che riedificò la cattedrale di Vilna; Giacomo Kubicki (1758-1833), costruttore del palazzo del Belvedere a Varsavia e di piccole graziose case di campagna; Pietro Aigner (1760-1841), Stanislao Zawadzki (1743-1806), Carlo Podczaszyński (1790-1869) e l'italiano Antonio Corazzi (1792-1877), costruttore del teatro di Varsavia.
Negli stili d'imitazione costrussero, nei secoli XIX e XX, F. Księżarski, architetto del Collegio Nuovo a Cracovia, T. Stryjeński, Z. Hendel, S. Szyller, M. Lalewicz e numerosi altri. In stile moderno operano gli architetti F. Maczyński, W. Krzyżanowski, A. Szyszko-Bohusz, Cz. Przybylski e altri.
Scultura. - I più antichi monumenti della scultura in Polonia sono le decorazioni delle chiese romaniche. Capolavori sono le porte di bronzo del duomo di Gniezno (1129-1137) e la porta della cattedrale di Płock attualmente a Velikij Novgorod nell'U.R.S.S., appartenenti allo stesso periodo, fatte a Magdeburgo.
Gotici, del sec. XIV-XV, sono i sepolcri dei principi e dei re di Polonia della dinastia dei Piasti a Breslavia, a Opole, a Kresoborz, a Lubusz, a Cracovia. Uno dei monumenti più importanti è il sarcofago del re Ladislao Jagellone nella cattedrale di Cracovia. Dalla metà del secolo XIV si sviluppò in Polonia la scultura in legno destinata specialmente alla decorazione degli altari. Dal 1477 fino al 1496 lavorò a Cracovia l'insigne scultore Vito Stvos: così egli scrisse il suo nome sul sarcofago del re Casimiro Jagellone. Lo Stvos - Veit Stoss - eseguì anche un grandioso altare per la chiesa di S. Maria a Cracovia, e altre splendide opere in Polonia; e quando partì per Norimberga lasciò la sua officina al figlio Stanislao. Nello stesso tempo Pietro Vischer da Norimberga eseguiva per la Polonia monumenti sepolcrali in bronzo. Allora Cracovia divenne un importante centro artistico, donde l'influenza s'irradiava sino in Transilvania.
Scultori del Rinascimento, venuti dall'Italia nella prima metà del sec. XVI, decorarono edifici, eseguirono numerosi monumenti sepolcrali. Fra loro si distinsero: Giovanni Cini da Siena, decoratore della cappella del re Sigismondo, che lavorò in Polonia dai primi anni del sec. XVI fino alla sua morte (1564), e Gian Maria Mosca detto Padovano, il quale giunse nel 1530 in Polonia dove sembra abbia lavorato fino alla morte (circa 1573). Girolamo Canavesi da Lugano soggiornò in Polonia dal 1562 fino alla sua morte (circa 1582) eseguendovi monumenti sepolcrali: suo capolavoro è il monumento dei Górka nella cattedrale di Poznań. Medaglisti e intagliatori del re Sigismondo II furono Domenico Veneziano e Jacopo Caraglio. Michałowiez da Urzędów, architetto e scultore, eseguì ' il nobilissimo monumento sepolcrale del vescovo Padniewski nella cattedrale di Cracovia. Nello stile del Rinascimento già stanco lavorò Santi Gucci da Firenze, autore della cappella e del monumento sepolcrale del re Stefano Báthory nella cattedrale di Cracovia. Poi, durante la seconda metà del sec. XVI, andò crescendo in Polonia l'influsso della scultura fiamminga. Il veronese Bartolomeo Ridolfi, maestro di stucchi celebrato dal Palladio, decorò dal 1567 in poi chiese e palazzi in Polonia. La scultura in legno si sviluppò sotto l'influsso di Vito e Stanislao Stvos, che durò per tutto il secolo.
Anche nel periodo barocco operarono in Polonia molti artisti italiani. Capolavoro di Costantino Tenealla e di C. Molli è la colonna con la statua del re Sigismondo a Varsavia (terminata nel 1644). A Leopoli lavorarono gli scultori tedeschi Enrico Horst e Giovanni Pfister da Breslavia dal 1610 al 1636. Il primo eseguì i monumenti sepolcrali della famiglia dei Sieniawski a Brzeżany e, insieme con artisti polacchi, decorò la cappella dei Boim a Leopoli. L'influsso della scultura tedesca si ritrova anche a Vilna nella cappella di S. Casimiro. Alla fine del sec. XVII Baldassare Fontana scultore-stuccatore decorò molte chiese e palazzi anche insieme col fratello Francesco: il suo capolavoro è la decorazione della chiesa di S. Anna a Cracovia.
Bellissimi sono anche gli stucchi della chiesa di S. Pietro e Paolo a Vilna, opera di Pietro e Giovanni Galli da Milano.
Nel periodo del rococò le chiese furono decorate per la maggior parte da scultori polacchi, tra cui si distinsero Mattia Polejowski, Pietro Kornecki e Francesco Deibel. Scultori del re Stanislao Augusto furono il Le Brun, G. Monaldi, T. Righi, lo Staggi, F. Pink.
Nell'epoca neoclassica l'influsso del Canova e del Thorwaldsen fu fortissimo. Il Thorwaldsen fece per Varsavia la statua equestre del principe Giuseppe Poniatowski ed altre opere per Cracovia e Leopoli. Sotto l'influsso del Canova lavorarono molti artisti polacchi fra i quali il più eminente fu M. Guyski (1833-1893). L'influsso del classicismo francese domina nei lavori di W. Oleszczyński (1808-1866). P. Filippi (1836-1874) e K. W. Ostrowski (1848-1880) inclinarono piuttosto al realismo.
Nella seconda metà del sec. XIX e nel sec. XX si distinsero: L. Marconi, P. Welonski, J. Raszka, A. Madeyski autore dei sarcofaghi della regina Edvige e di Vladislao Varnense nel Wawel, C. Godebski, autore dal monumento di Mickiewicz a Varsavia, K. Laszczka, H. Glicenstein, W. Szymanowski, autore del monumento a Chopin in Varsavia, E. Wittig, Ks. Dunikowski, J. Szczepkowski, H. Kuna, St. Szukalski, A. Zamoyski.
Pittura. - I più antichi monumenti della pittura sono libri liturgici miniati del sec. XI, provenienti per la maggior parte dalla Germania e dalla Boemia. Nei secoli XII e XIII si ornarono i manoscritti anche nei conventi polacchi. Il codice più interessante è la Vita di S. Edvige, principessa di Polonia, opera di Nicolao Pruzia, ornata con disegni e con miniature (1353). Nel sec. XV si distinse in questo campo la scuola di Cracovia che subì influssi tedeschi, fiamminghi e, più tardi, anche italiani. Sotto l'influsso della pittura italiana, che, come quella francese, giungeva in Polonia attraverso la Boemia, si sviluppò nel sec. XIV la pittura murale. L'influsso italiano durò anche nel secolo XV, mentre a partire dalla seconda metà del sec. XV diventa sensibile anche l'influsso della pittura tedesca. Interessanti sono anche le pitture delle chiese costruite in legno, dal principio del secolo XVI (Dębno presso Nowy Targ). Importante dal punto di vista culturale è l'espansione, in Polonia, della pittura bizantina, dovuta a predilezioni personali dei re della dinastia lituano-rutena. Tali pitture non hanno però influito sullo sviluppo dell'arte polacca che conservò sempre il suo carattere occidentale. I pittori bizantini lasciarono opere nella cappella del castello di Lublino (1415) e nella cattedrale armena di Leopoli, dove sono resti di pitture bizantine del sec. XV, affini alle pitture del Caucaso. La pittura su tavola, nella quale dominano influssi tedeschi e boemi, si diffuse nei secoli XIV e XV, con trittici, polittici e dipinti funerarî.
Nella prima metà del sec. XVI la miniatura si sviluppò sotto l'influsso dell'arte italiana e fiamminga. Stanislao di Cracovia e altri miniatori lasciarono magnifiche opere, fra cui le più importanti sono le miniature del codice di Baldassare Behem Cracovia, Biblioteca dell'Università), quelle dei libri di preghiere del re Sigismondo I (British Museum) e dello Szydłowecki (Milano, Ambrosiana). Hans Dürer fratello di Alberto Dürer e Dionisio Stuba, pittore di Cracovia, decorarono le stanze del palazzo reale.
La pittura su tavola subì continuamente l'influsso dell'arte tedesca. Il tedesco Hans Sues von Kulmbach eseguì a Cracovia grandi trittici per le chiese della città. Anche Lenz von Kitzingen lasciò opere in Polonia. E a seguito dei pittori tedeschi lavorarono numerosi artisti polacchi. Nella seconda metà del sec. XVI pittori tedeschi e fiamminghi furono occupati in ritratti delle famiglie reali e dei magnati. Tra essi, alla fine del sec. XVI e nel sec. XVII, si distinse il tedesco Martino Koeber.
Nel secolo XVII furono anche più numerosi i pittori stranieri: tedeschi, fiamminghi e italiani. Dall'Italia giunse Tomaso Dollabella da Belluno (circa 1570-1650), discendente dai grandi pittori veneziani del sec. XVI. Tra i pittori polacchi i più noti sono Míchele Bożymowski, Martino Proszowski, Martino Polacco che lavorò nel Tirolo e nell'Alto Adige, dove morì a Bressannne (1639). Sotto l'influsso della pittura fiamminga lavorarono Cristoforo Trekkowski e Giovanni Tretko, chiamato Tricius. L'eclettico Francesco Lekszycki (1602-1668), dipinse, sotto l'influenza del Caravaggio, molti quadri per le chiese polacche.
Sulla fine del sec. XVII l'italiano Del Bene, allievo di Pietro da Cortona, lavorò a Vilna e a Pożajście nella chiesa dei camaldolesi. Per Giovanni Sobieski Martino Altomonte (1657-1745) fece ritratti e quadri storici. Sotto l'influsso italiano dipinse Eleutero Siemiginowski (nato circa nel 1657), allievo della scuola di Carlo Maratta, anche lui pittore dello stesso re. La pittura fiamminga attrasse invece i fratelli Lubieniecki: Teodoro (1653-1729), pittore di scene storiche e di paesaggi, e Cristoforo (1659-1729) che soggiornò ad Amsterdam e dipinse anche scene storiche e ritratti.
Nel sec. XVIII lavorarono in Polonia pittori di diverse nazioni, ma tutti dipendenti dalla pittura francese. Si distinsero il francese Lodovico de Silvèstre, lo scozzese Silvestre de Mirys, lo svedese Per Krafft, gli italiani Marcello Bacciarelli (1738-1818), che decorò i palazzi del re Stanislao Augusto e fece numerosi ritratti, Giovanni Battista Lampi e Giuseppe Grassi. Anche Bernardo Bellotto, il Canaletto, lavorò alla corte del re, affermando l'arte veneta: dipinse vedute di Varsavia. Il tedesco Giuseppe Pitschmann lavorò in Polonia dal 1788 fino alla sua morte (1834) lasciandovi molti ritratti.
Cresceva intanto la schiera dei pittori polacchi. Si ricollegano alla pittura italiana abilissimi artisti come Simone Czechowicz (1689-1775), allievo della scuola di Carlo Maratta, e Taddeo Konicz (c. 1731-1793); alla francese Vincenzo de Lesseur (1745-1813) e Alessandro Kucharski (1741-1819) entrambi finissimi miniatori, Casimiro Wojniakowski (17721812), Martino Topolski (1766-1812), Giuseppe Peszka (1767-1831). Rappresenta il classicismo nel sec. XVIII e al principio del sec. XIX Francesco Smuglewicz (1745-1815).
Un posto speciale nella storia dell'arte in Polonia occupò il francese Pietro Norblin (1745-1830). Egli non soltanto dipinse quadri alla maniera del Watteau, ma seppe anche penetrare nello spirito del paese polacco, la cui vita rappresentò con realismo e maestria.
La pittura che nel sec. XVIII aveva seguito lo sviluppo dell'Europa occidentale, cambia carattere sin dal principio del sec. XIX. La tragedia politica della nazione e le correnti contemporanee dell'Occidente indussero l'arte polacca ad occuparsi del passato della nazione e delle sue tradizioni. Assieme alla letteratura e alla musica la pittura diventa nazionale nel vero senso della parola e adempie ad una missione politica e educativa. L'accento più forte poggia ora sul tema, mentre, aderendo al folklore, varia spesso la forma. Tale cambiamento non esclude però del tutto l'influsso dell'arte occidentale, specialmente di quella francese e tedesca. Michele Stachowicz (1768-1855) è il primo pittore che ci abbia lasciato molti quadri ritraenti la vita del paese. Seguendo le sue tracce, Alessandro Orłowski, suo allievo (1777-1832), disegnò e dipinse con sincero naturalismo scene e motivi della vita di Polonia e della Russia. Non fu immune da influenze francesi Pietro Michałowski (1801-1855) che per temperamento e colorito si avvicina spesso anche all'arte spagnola. Creatore della pittura storico-nazionale è Jan Matejko (v.; 1839-1893). Le sue immense tele che illustrano i fatti più importanti della storia polacca hanno influito sulla generazione seguente. Dal punto di vista dello sviluppo generale della pittura, l'arte del Matejko può sembrare un anacronismo. Bisogna però tener conto della sua grande ricchezza e forza espressiva (specialmente nelle numerosissime fisionomie).
Molto diverso da lui è il suo contemporaneo Arturo Grottger (1837-1867) che diede alla sua arte l'espressione tragica e romantica dell'ultima insurrezione polacca. Grande pittore di cavalli e della vita popolare è Giulio Kossak (1829-1899). Andrea Grabowski, Enrico Rodakowski e Guglielmo Leopolski sono i migliori ritrattisti. Dal grande numero di altri pittori rileviamo: Maurizio Gottlieb, Alessandro Kotsis che ritrasse la vita popolare con senso della realtà e sentimento sincero; Enrico Siemiradzki, che fece rivivere sulle sue tele il fascino del mondo antico; Stanislao Chlebowski, pittore dell'Oriente musulmano. Un gruppo a parte formano gli allievi dell'accademia di Monaco: primeggiano fra questi Alfredo Wierusz Kowalski, Giuseppe Brandt, Giuseppe Chelmoński.
Cercando temi nazionali, l'impressionismo polacco, che inaugura una nuova epoca nello sviluppo dell'arte polacca, si allontana dall'impressionismo francese. I rappresentanti più importanti del movimento sono: Massimiliano e Alessandro Gierymski, Ladislao Podkowiński, Jan Stanislawski, Witold Pruszkowski, J. Pankiewicz, J. Fałat e Leon Wyczółkowski. Accanto a questi sta il gruppo degli allievi di Matejko: Giuseppe Mehoffer, Vladimiro Tetmajer e Stanislao Wyspiański che precorre la generazione seguente: Ladislao Jarocki, Casimiro Sichulski, Vitoldo Wojkiewicz, Federico Pautsch. Un artista molto individuale, Giacinto (Jacek) Malczewski, rivisse intensamente motivi fantastici legati alla vita e alla tragedia della nazione.
La pittura polacca del dopoguerra continua in parte le tradizioni del passato; ma il cambiamento della situazione politica ha prodotto, anche in questo campo, un cambiamento dell'ideologia; e ritorna di nuovo il culto della forma. Fra i numerosi artisti emergono: Taddeo Pruszkowski, Venceslao Borowski, Ludomir Śleńdziński, Zofja Stryjeńska, Raffaele Malczewski, Eugenio Źak, Taddeo Makowski, Giacinto Mierzejewski e molti altri.
Anche allo sviluppo dell'incisione fu Norblin a dare un grande impulso. Egli stesso fu insigne incisore costantemente preso dal fascino del Rembrandt, e i suoi allievi Płoński e Orlowski lo seguirono. Incisioni nelle varie tecniche si debbono anche a J. F. Piwarski (1795-1859), Antonio Oleszczyński (1794-1879), Ladislao Oleszczyński (1808-1866), F. Jasiński (1862-1901), J. Rubczak. Fra i più moderni ricordiamo il pittore J. Pankiewicz, autore di finissime incisioni, il pittore Leon Wyczołkówski, W. Skoczylas, E. Bartłomiejczyk, S. Chrostowski. A contatto con l'arte popolare, l'incisione in legno ha saputo raggiungere un livello molto alto.
V. tavv. CLXI-CLXXXIV e tav. a colori.
Bibl.: Pubblicazioni fondamentali per la storia dell'arte in Polonia sono: Sprawozdania (Relazioni) e Prace (Lavori) della Commissione delle belle arti all'Accademia delle scienze di Cracovia. Inoltre: Prace della sezione storica e culturale della Società scientifica di Leopoli; Biuletyn historji sztuki i kultury (Boll. della storia dell'arte e cult.) di Varsavia, le riviste Sztuki Piękne (Belle arti) e Przegląd Hist. Sztuki (Rassegna di storia d'arte) di Cracovia, e il Rocznik krakowski (Annuario di Cr.). Per l'esposizione generale: F. Kopera, Storia dell'arte in Polonia (continuata dal 1863 ai nostri giorni, da M. Treter), in Polska, jej dzieje i kultura (La Polonia: storia e cultura), Varsavia 1927-31; F. Kopera, Dzieje malarstwa w Polsce, voll. 3, Cracovia 1929; J. Mycielski, Sto lat dziejów malarstwa w Polsce 1760-1860, Cracovia 1857; E. Niewiadomski, Malarstwo Polskie XIX i XX w., Varsavia 1923; Wl. Tatarkiewicz, Nowożytna architektura w Polsce od renesansu do klasyczymu (nell'opera: Sztuka Polska).
Tra le pubblicazioni particolari: Gurlitt, Warschauer Bauten aus der Zeit der sächsischen Könige, Berlino 1917; A. Lauterbach, Die Renaissance im Krakau, Monaco 1911.
Musica.
Sebbene i più vecchi monumenti della musica polacca che oggi conosciamo non sorpassino 550 anni d'esistenza materiale, i principî della cultura musicale autoctona in Polonia datano da tempi molto anteriori. Alcune delle canzoni popolari, che si eseguiscono ai nostri giorni durante le cerimonie nuziali a casa della giovane sposa (i testi delle quali si riferiscono ancora all'epoca pagana), recano insieme con la loro musica le tracce d'una esistenza molto vetusta. La musica popolare polacca, la cui evoluzione continua durante lunghi secoli, ha nell'etnologia europea un quadro proprio in cui si nota una grande ricchezza di proprî motivi ritmici e melici. Dal loro materiale e dal loro spirito doveva nascere l'arte magnifica di Chopin. Come in altri paesi europei, l'influsso del canto gregoriano ebbe grande importanza anche in Polonia. Le forme letterarie della liturgia romana, che trovavano la loro applicazione nei proprî per qualche santo polacco, diedero origine a canzoni devote. La più antica di esse, la Bogurodzica, canzone alla Madonna (la data più probabile risale alla fine del sec. XIII), mostra una straordinaria maturità nelle forme e nella lingua. La sua melodia, nella prima e seconda parte, deriva da sorgenti gregoriane. Nei secoli XIV e XV il repertorio di canzoni devote crebbe assai rapidamente. Alcune di esse si sono mantenute fino a oggi nel canto popolare chiesastico. I primi monumenti della musica polifonica datano dall'epoca 1420-1430. Il centro della cultura musicale si trovava a Cracovia, capitale dello stato. Il primo compositore polacco il cui nome sia conosciuto, Nicolò di Radom, apparve in questo tempo, probabilmente alla corte reale. Lo stile delle sue composizioni vocali, a cappella o concertate con strumenti, come quello della composizione puramente strumentale, corrisponde allo stile dell'epoca Machault-Landino-Le Grant. Putroppo pochissime fonti musicali e molto scarse notizie degli archivî testimoniano oggi il fatto, pur sicuro, dello sviluppo della musica polifonica nei tempi posteriori a questa epoca. Nella seconda metà del sec. XV ìl compositore tedesco H. Finck ricevette la sua educazione musicale in Polonia. Fra gl'ingegni locali si fece conoscere e apprezzare Niccolò di Cracovia. La sua attività come compositore si estendeva probabilmente fra il 1490 e il 1530 e comprendeva forme liturgiche (messe e mottetti, trascrizioni polifoniche di canzoni religiose polacche), l'amorosa canzone polacca, preludî per organo e danze strumentali. Accanto a questo tipico artista del Rinascimento va notato, tra i più efficaci propagatori della cultura musicale, Sebastian da Felsztyn (Felstinensis, Felsztyńczyk) il quale scrisse compendî di musicȧ e corrette opere vocali da chiesa. Il primo compositore, che abbia goduto fama fuori della sua patria fu Wacław da Szamotuly (Venceslaus Samotulinus, Szamotulczyk, 1529-1572), compositore aulico del re Sigismondo Augusto. Due dei suoi squisiti mottetti a quattro voci furono stampati dagli editori Montanus e Neuber a Norimberga in raccolte del 1554 e 1563. Un altro compositore eminente fu Marcin Lwowczyk-Leopolita (1540-89) autore di messe e di numerosi mottetti. Il Leopolita era organista dello stesso re Sigismondo Augusto. Un poco più tardi di questi apparve Niccolò Gomółka, autore d'un vero capolavoro, nel genere della canzone religiosa per coro misto a quattro voci, e cioè dei 150 Salmi sulla versione poetica di Jan Kochanowski, che furono pubblicati a Cracovia nel 1580. Anche l'arte strumentale era coltivata in Polonia nel sec. XVI. Due delle più grandi e preziose intavolature per organo che si siano conservate di questo secolo (cioè l'intavolatura di Jan da Lublino c. 1540 e l'intavolatura del Convento di Santo Spirito a Cracovia) sono opere create in Polonia. Fra gli eminenti virtuosi del liuto erano noti Jakob Polak (Jacques Polonois), che visse lunghi anni a Parigi, dove morì nel 1605, e Wojciech (Adalberto) Długorai. Le loro composizioni furono pubblicate e copiate in numerose collezioni per liuto nei secoli XVI e XVII. Tra i compositori polacchi di questi tempi ricordiamo anche i nomi: di Tomasz Szadek, Marcin Paligoniusz, Marcin Wartecki, Krzysztof Klabon, Krzysztof Borek, Walenty Gawara-Gutek. Per quel che concerne la pratica della vita musicale polacca, funzione importante si deve attribuire alla fondazione della reale cappella dei Rorantisti presso il duomo di Cracovia nel 1543 La nuova epoca della musica polacca, il cui centro divenne la nuova capitale dello stato, Varsavia, cominciò sotto il segno d'una evidente supremazia dei musicisti italiani, che numerosi venivano in Polonia per occupare i posti alla corte reale di Sigismondo III. Si trovavano fra loro maestri ben noti: Luca Marenzio, Alfonso Pagani, Asprillio Pacelli, poi Alessandro Cilli, Vincenzo Bertolusi, Vincenzo Lilio, Annibale Stabile e altri. Più tardi (dopo il 1620), vennero a Varsavia il geniale Tarquinio Merula e Marco Scacchi. Sotto il loro influsso personale e quello dell'arte musicale di Roma, Venezia e Firenze andò sviluppandosi la musica polacca, che produsse durante il sec. XVII molti buoni artisti, tra i quali anche qualche eminente ingegno. Niccolò Zieleński, che occupava il posto di organista del duomo a Gniezno, dimostrò la sua grande maestria nella composizione polivocale (il gigantesco ciclo degli Offertoria totius anni) e nella concertata (l'altro ciclo analogo delle Communiones totius anni, opera apparsa a Venezia nel 1611). Nel gruppo dei compositori polacchi di Varsavia che lavorarono dalla fine del sec. XVI in poi devono esser menzionati: Andrzej Staniczewski, Adam Jarzębski, autore di 28 pregevoli concerti e canzoni strumentali (1627), Marcin Mielczewski, fecondo autore di opere da chiesa nello stile concertato fra il 1617 e il 1650, Bartlomiej Pgkiel, al quale dobbiamo la prima cantata polacca su un testo latino (Audite mortales), distinguentesi per una straordinaria espressione drammatica e profondità del carattere. L'epoca dell'attività di Pękiel si estese tra il 1635 e il 1670. In tempi posteriori, cioè nella seconda metà del sec. XVII e nei primi decennî del sec. XVIII, Jacek Różycki, Stanisław Sylwester Szarzyński e Grzegorz Gerwazy Gorczycki rappresentano l'ultimo gruppo dei serî ingegni musicali, appartenenti alle vecchie scuole. Coltivata fra le mura dei conventi e nelle residenze signorili, la musica polacca attraversò però durante qualche decennio del sec. XVIII un periodo di scarsa originalità creativa. I nomi dei compositori d'una certa importanza vi si fanno più rari. Menzioniamo tra questi pochi: Maxylewicz, Szczurowski, Zygmuntowski e Milwid.
La fondazione dell'opera polacca a Varsavia nel 1778 iniziò un periodo nuovo. Nei suoi principî la storia di questo teatro è legata al nome di Maciej Kamieński. Più tardi, dal 1800 fino al 1810, il personaggio principale vi fu Józef Elsner (1769-1852), un musicista poliedrico, organizzatore di qualità, teoretico e buonissimo pedadogo. Elsner perpetuò il suo nome come professore di Chopin e di numerosi altri compositori polacchi. Nel 1810 il posto di direttore all'opera di Varsavia passò a Karol Kurpiński (1785-1857). Durante i 32 anni di direzione Kurpiński diede una ventina di spettacoli con sua musica. Il frutto più maturo di lui fu la Jadwiga, opera storica, accanto alla quale qualche sua operetta mostrò il dono di facile e simpatica invenzione melica. La sua marcia militare La Lituana, composta nell'anno dell'insurrezione 1831, fu introdotta da Wagner nella sua ouverture Polonia nell'anno 1836. Nei primi decennî dei sec. XIX fu notissimo il nome del conte Michal Kleofas Ogiński (nato nel 1769, morto nel 1833 a Firenze) le cui celebri Polacche, piene di sentimento poetico, davano - già prima delle opere geniali di Chopin - un'espressione malinconica dello stato spirituale della nazione dopo lo smembramento della patria. Un altro nobile polacco, il principe A. Radziwiłł, si rese celebre come autore della prima musica composta sul testo originale del goethiano Faust (1ª parte, fra il 1812 e il 1820).
Dopo quattro secoli d'una cultura che meritava di esser positivamente apprezzata, la musica polacca, che non aveva ancora mai precorso la creazione musicale d'altre nazioni, poté raggiungere il suo più grande fiore nell'attività di Federico Francesco Chopin (v.; 1810-1849), la cui opera rappresentò la più perfetta emanazione musicale dello spirito nazionale polacco. L'opera di Chopin, che si staccava sullo sfondo della numerosa ma mediocre creazione dei compositori di Varsavia, sollevò l'importanza della musica polacca agli occhi della nazione stessa e dell'opinione mondiale fino a un livello, che la precedente evoluzione della cultura musicale in Polonia non lasciava prevedere.
Tra i musicisti polacchi contemporanei di Chopin meritano di esser menzionati alcuni, che nella loro epoca furono conosciuti e stimati fuori della Polonia. Tali furono: Marja Szymanowska, pianista e compositrice (1790-1831), Karol Lipiński, uno dei più eminenti violinisti del suo tempo e compositore (1790-1861), Franciszek Mirecki, autore di qualche opera eseguita sui palcoscenici italiani (1791-1867), Napoleon Tomasz Nidecki (1806-1852), direttore d'orchestra e compositore di parecchie operette popolarissime al teatro di Leopoldstadt a Vienna fra il 1834 e il 1840, più tardi direttore dell'opera a Varsavia; Ignacy Feliks Dobrzyński (1807-1867), Antoni Kątski, compositore di pezzi brillanti per pianoforte e pianista virtuoso di fama mondiale (1817-1899), Apolinary Kątski, violinista (1825-1879) e Józef Brzowski (1805-1888). Il secondo (dopo Chopin) eccellente traduttore del carattere nazionale nella musica polacca fu Stanisław Moniuszko (1819-1872). La sua importanza di compositore si basa su due capolavori di genere drammatico, cioè sull'opera tragica, piena di motivi popolari, Halka (composta in una prima redazione nel 1848 a Vilna, nel 1858 ampliata in quattro atti a Varsavia), e sulla commedia lirica Il castello misterioso (Varsavia 1865), poi su circa 300 canzoni d'una melodiosità incantevole e qualche opera corale di grandi dimensioni (Gli spettri e Sonetti di Crimea su parole di Mickiewicz, parecchie messe, litanie, ecc.). Dal 1858 fino alla sua morte Moniuszko occupava il posto di direttore dell'opera a Varsavia. Il seguente elenco di nomi comprende figure in ogni modo importanti nella storia della musica polacca. In primo luogo devono esser nominati: Henryk Wieniawski, grande violinista e compositore brillante per il suo strumento (1835-1880), Władysław Żeleński, benemerito per lo sviluppo della musica da camera, come della drammatica (quattro opere), della musica sinfonica e del Lied (1837-1921); Zygmunt Noskowski, compositore valoroso soprattutto nel campo della musica sinfonica, molto fecondo in tutti gli altri generi (1845-1909). Una parte più modesta in paragone con l'attività di questi tre maestri hanno avuto Józef Nowakowski, Adam Minchhejmer (1830-1904), Ignacy Komorovski, Aleksander Zarzycki, Henryk Jarecki, Wojciech Sowiński, Edward Wolf, Ignacy Krzyżanovski. Il nome di Oskar Kolberg (1815-90) gode della più meritata riconoscenza a causa della sua monumentale pubblicazione di canti popolari polacchi e dei suoi studî etnografici (più di venti volumi: Lud ["Il popolo"], pubblicati dal 1856 fino al 1890). Fra i nomi dell'opera delle generazioni più giovani brilla anzitutto quello di Ignacy Jan Paderewski (1860), pianista geniale e compositore, le cui creazioni pianistiche, sinfoniche e teatrali vengono apprezzate nei loro alti scopi artistici e larghi orizzonti ideali. Un vivo interesse evocano i brillanti pezzi per pianoforte di Juliusz Zargęski (1854-55, un allievo di F. Liszt), le canzoni di Eugeniusz Pankiewicz (1857-1898), le opere e la musica da camera di Roman Statkowski (1860-1925), i Lieder e cori di Jan Gall (1858-1912), l'oratorio e le opere di Mieczysław Sołtys (1863-1929). Meritevoli a causa della loro attività nel campo della musica corale sono Piotr Maszyński (1855-1934) e Aleksander Michałowski (1851), mentre Stanisław Niewiadǫmski (1859) conquistò la più larga popolarità come autore di Lieder. Le correnti più moderne hanno attirato verso di sé numerosi musicisti della generazione seguente, come Henryk Melcer (1869-1928), eminente pianista e compositore di due concerti, Zygmunt Stojowski (nato nel 1870), che dimostrò buone doti di compositore nella sua sinfonia, in due concerti per pianoforte e in altre composizioni, poi Emil Młynarski (1870), violinista e bravissimo direttore d'orchestra, autore di due concerti per violino, finalmente Henryk Pachulski, Felicjan Szopski, Franciszek Brzeziński e Henryk Opieński (1869), autore di poemi sinfonici, due opere, ecc.
Un nuovo capitolo della storia della musica polacca cominciò poco dopo il 1900 con l'apparizione di qualche giovane compositore sul terreno di Varsavia (dove nel 1901 fu fondata la Filarmonica). Questo gruppo di veri e baldi talenti, dall'opinione pubblica nominato "Giovane Polonia musicale", era composto da Mieczysław Karłowicz, autore di parecchi poemi sinfonici di grande valore (1876-1909), Grzegorz Fitelberg (1879), Ludomir Różycki, compositore fecondissimo in tutti i generi e tutte le forme (1883), e Karol Szymanowski (1883). Esempî e influssi di Wagner, R. Strauss, Debussy e dei. compositori russi, come P. Čajkovskij, N. Rimskij-Korsakov e A. Skrjabin, hanno provocato uno sviluppo straordinario nel campo del poema sinfonico, dell'opera e delle forme liriche. A capo di tutti nell'epoca presente, già dal primo giorno della sua apparizione come compositore, sorpassando di molto tutti gli altri, sta Karol Szymanowski, senza dubbio il più grande ingegno musicale polacco dopo Chopin, uno dei più originali compositori contemporanei (quattro sinfonie, due opere, due concerti per violino, tre sonate per pianoforte, una per violino, circa cento Lieder, Stabat Mater, due quartetti per archi e numerose composizioni libere per pianof0rte, violino, ecc.). Dal quadro assai policromo della musica polacca attuale, nel quale s'incrociano le correnti più diverse, dobbiamo menzionare almeno i nomi dei seguenti: Witołd Maliszewski (1872), Eugenjusz Morawski (1876), Adam Wieniawski (1879), Feliks Nowowiełski (1877), Stanisław Kazuro (1881), Ignacy Friedman, Stanislaw Lipski, Michał Ludwik Rogowski, Piotr Rytel, Bolesław Wallek-Wałewski, Lucjan Kamieński, Tadeusz Jarecki, Czesław Marek, Adam Soltys, Aleksander Tansmann, Jerzy Kefeld, Kazimierz Sikorski, Jan Adam Maklakiewicz, Jerzy Fitelberg, Michał Kondracki, Piotr Perkowski, Roman Palester, Tadeusz Kassern.
Bibl.: Z. Jachimecki, Historja muzyki polskiej, Cracovia-Varsavia 1920; id., Moderne polnische Musik, in Handbuch der Musikgeschichte, di G. Adler, Berlino 1930; A. Poliński, Dzieje muzyki polskiej w zarysie, 1908; H. Opieński, La musique polonaise, Parigi 1918, con suppl. musicale.
Letteratura.
Latina e polacca, e anzi, nelle sue origini, più latina che polacca, è la cultura letteraria nella Polonia dei Piasti e dei Jagellonidi. Poi, ai tempi del re Báthory e dei Wasa, il latino, a onta della sua maggiore diffusione, cede lentamente il passo al polacco: nella prima metà del sec. XVII brilla ancora una volta di vivida luce anche nella poesia, ma s'irrigidisce e si fa sempre più povero nelle versificazioni di carattere occasionale o scolastico; trionfa ancora nei trattati politici, storici, moraleggianti e teologici, ma sempre meno regge al confronto del polacco di cui però nel frattempo ha screziato con elementi proprî il lessico e resa più solenne, più signorile e in parte persino più espressiva la struttura sintattica e stilistica. Questa bilinguità rispecchia, afferma sempre di nuovo e tramanda da generazione a generazione il carattere occidentale della cultura della szlachta polacca: il suo quasi costante attaccamento alla chiesa romana (ma anche i "dissidenti" non sempre disdegnano il latino) e la sua aspirazione, più costante ancora, di sentirsi vicina alla nobiltà di Roma antica, di cui sempre più imita, o crede di imitare, le istituzioni repubblicane. Nel periodo del suo maggiore splendore il latino non è quindi mero artificio, o soltanto un mezzo per farsi intendere al di là dei confini patrî, ma è uno strumento d'espressione spontaneo e adeguato, perché corrispondente a un dato stato di cultura, a una data concezione di vita. Va segnalato inoltre il pacifico parallelismo, il reciproco integrarsi delle due lingue; per lungo tempo esse muovono appaiate alla conquista di ideali sociali, politici e spirituali; nelle finalità pratiche sono di regola distinte, ma è rara l'animosità del volgare contro il latino, e più raro ancora, dopo la fine del Medioevo, il disprezzo di questo per la lingua nazionale. Il graduale affermarsi delle due lingue e il decadimento definitivo del latino nella seconda metà del sec. XVIII si compiono senza scosse né urti; e questo connubio singolare, al di là dei Carpazî, del latino con una lingua slava impronta di sé, anche quando cesserà di esistere, la cultura letteraria di una nazione che è certamente, fra le non latine, la più latina.
Nel lungo periodo dei tardivi e modesti inizî della cultura letteraria - il ritardo e la povertà sono dovuti non tanto all'isolamento, quanto alla specifica struttura sociale della Polonia medievale, poco favorevole allo sviluppo della letteratura - domina esclusivamente o predomina il latino. Ma è un predominio che dal punto di vista letterario non dà che frutti grami. Rappresentata soprattutto dal clero - e il clero, a sua volta, è in buona parte straniero - la cultura letteraria non rispecchia che molto parzialmente i bisogni e le aspirazioni della nazione che nel campo politico, sia pure soltanto a scatti, aveva già dato prova di grande energia e consapevolezza delle proprie finalità. L'orizzonte e le aspirazioni della letteratura sono necessariamente circoscritti, ed essa serve quasi unicamente a bisogni religiosi e cronachistici. Ai secoli XII e XIII risalgono soltanto parecchi annali (Annales sanctae Crucis vetusti, Annales capituli cracoviensis, Annales lubinenses - del convento dei benedettini di Lubin nella Grande Polonia), cronache (Chronicon Galli Anonymi - l'autore è certamente uno straniero, ma la sua provenienza non è ancora accertata; la cronaca, scritta tra il 1112 e il 1113, è superficiale nel racconto delle origini dello stato polacco, dettagliata nella narrazione degli avvenimenti del regno di Boleslao Boccatorta -; la Cronaca del polacco Magister Vincentius, detto Kadłubek, condotta sino al 1202 e scritta con molta ambizione stilistica) e vite di santi (parecchie di S. Adalberto, due di S. Stanislao). Ma alla fine del sec. XIII risalgono probabilmente (ricerche recentissime lo riconnettono però ai primordî della cristianizzazione polacca) anche i primi versi del bellissimo canto alla Bogurodzica dziewica, Bogiem sławiena Maryja ("Madre di Dio Vergine, da Dio glorificata Maria"), divenuto più tardi "carmen patrium", cantato dalla nobiltà polacca mentre a Grunwald moveva all'assalto contro i Cavalieri Teutonici. È questo il primo documento poetico polacco. Che sia stato completamente isolato, appare poco probabile, e anzi testimonianze indirette lo escludono per il secolo seguente, ma nulla per ora ci autorizza ad affiancargli canti popolari ricostruiti e retrodatati. Tant'è vero che anche nel sec. XIV la letteratura in Polonia non è, con poche variazioni e ampliamenti, che una continuazione diretta del poco che ci offrono i due secoli precedenti. Quindi: ancora cronache - da rilevare il Chronicon Polonorum di Johannis (Janko), da Czarnków, scritto nella seconda metà del sec. XIV, ancora vite di santi (un frammento della Vita di San Biagio in polacco), raccolte di prediche (di cui alcune in polacco: così le prediche di S. Croce, Kazania Świętokrzyskie, del principio del secolo XIV, e le prediche di Gniezno, Kazania Gnięźnieńskie, della fine del secolo), infine il Psalterium Florianense, Psalterz Florjański (detto così dal convento di S. Floriano dell'Austria superiore, dove il codice si trovava fino a poco tempo fa), che è il primo ampio documento in lingua polacca.
Il sec. XV segna invece un vigoroso progresso culturale. Già ai tempi di Casimiro il Grande la Polonia era entrata in più stretti rapporti con l'Occidente: scolari polacchi avevano frequentato università italiane e nel 1364 era stata fondata l'università di Cracovia, che dopo un periodo di breve letargo fu rinnovata dalla regina Edvige nel 1400. Da allora in poi la Polonia possiede, in tutto il sec. XV, un centro culturale che, pur conservando un carattere rigidamente medievale, supplisce, almeno in parte, alla mancanza, rimasta sempre sensibilissima, di rigogliosi centri cittadini. Tra i suoi insegnanti e scolari si recluta la maggior parte dei Polacchi che nel sec. XV si distinguono nel campo culturale: Paweł Włodkowic (Paulus Vladimiri, morto nel 1435) che nella sua qualità di rettore della giovine università prende parte attivissima al concilio di Costanza, difendendovi, in opposizione all'Ordine Teutonico, la tesi della tolleranza religiosa; Jan z Głogowa (Glogoviensis, slesiano di origine tedesca, morto nel 1507), il principale rappresentante polacco della filosofia scolastica; Wojciech z Brudzewa (nato nel 1446, morto nel 1495), astronomo, maestro di Copernico; Jacobus de Paradiso (1380-1464) studente e professore dello studio di Cracovia, noto teologo, uno dei principali autori del famoso trattato presentato al concilio di Basilea dall'università jagellonica. Tutti supera di gran lunga il segretario di Zbigniew Oleśnicki, Jan Długosz (1415-1480), la cui Historia polonica è il più insigne monumemto letterario della Polonia quattrocentesca. Scompaiono infatti dinnanzi alla grandezza di quest'opera i tentativi poetici non solo latini (epitaffî, epistole, canti religiosi), ma anche polacchi (poesie religiose, fra le quali un bellissimo inno al S. Spirito; versi d'occasione; il De morte prologus: Rozmowa Mistrza ze Śmiercią, che pur dipendendo dal trattato latino Colloquium inter mortem et magistrum Polycarpum, è l'opera poetica più viva del Medioevo polacco) e meno ancora può misurarsi con essa la prosa, che all'infuori dei trattati eruditi in lingua latina, cui si è già accennato, non può opporle, nel volgare, che traduzioni della Bibbia (la cosiddetta Bibbia della regina Sofia), prediche, libri di preghiera e apocrifi. Ma alla spiritualità medievale di Długosz si contrappongono già nel sec. XV, anche in Polonia, le nuove correnti dell'umanesimo. L'ardito Monumentum pro Reipublicae ordinatione di Jan Ostroróg (1436-1501) preannunzia la letteratura politica del secolo seguente; in Gregorio da Sanok (morto nel 1477) appare il primo tipo del mecenate umanistico e con Filippo Buonaccorsi Callimaco, che ne tracciò la vita (Vita Gregoris Sanocei), penetra anche in Polonia, e soprattutto alla corte di Cracovia, un largo soffio di nuova vita culturale.
E così, con l'avvento, ancora limitato a poche persone, dell'umanesimo; con l'eredità di un'opera storica da mettere senz'altro accanto alle più insigni che il Medioevo abbia dato all'Occidente; con uno studio che è meta di scolari non solo della Polonia, ma anche delle nazioni confinanti; con una vivacità intellettuale e curiosità spirituale che appare manifesta sin dai primi decennî del secolo XVI, con un sempre più intensivo avvicinarsi alla Boemia (donde le verranno numerosi impulsi letterarî), alla Germania, all'Ungheria e soprattutto all'Italia (in Polonia si stabiliscono parecchi commercianti e finanzieri italiani e in Italia affluiscono, sempre più numerosi, scolari polacchi) - la Polonia, più ricca e più possente, si avvia rapidamente a un completo rinnovamento del proprio fondo culturale che nel campo letterario consisteva in un convergere e reciproco arricchirsi delle correnti polacche popolareggianti e di quelle dotte, latine o latineggianti.
A una completa fusione dei due o tre piani su cui si svolge la letteratura nella Polonia del '500 non si giungerà mai - e anzi nel periodo della Controriforma si avrà di nuovo un distacco maggiore - poiché restano in buona parte distinti la cultura, i gusti, i bisogni e le aspirazioni degli scrittori e dei lettori: da un lato la parte più progredita della nobiltà e l'alto clero, dall'altro le masse della piccola nobiltà, la borghesia e le donne. La borghesia in particolare avrebbe dato certamente ben altri frutti delle proprie capacità anche nel campo culturale, se la sua graduale polonizzazione non fosse più o meno coincisa con la perdita di quasi tutti i diritti politici. Comunque, la diffusione per mezzo della stampa, presto importata in Polonia, di opere polacche, si deve agli stampatori, "polonicati Germani", di Cracovia; e un borghese da Lublino è quel Biernat il cui Hortulus animae - Raj duszny (1514) è il primo libro polacco stampato. Quanta parte sia dovuta alla borghesia nella tardiva compilazione in Polonia di varî tipi del romanzo medievale (Storie di Alessandro, Storia troiana, Melusina, Marchołt-Marcolfo, Sowizrzal-Eulenspiegel, ecc.) è difficile dire; certo è che i tipografi-editori di Cracovia hanno contribuito attivamente alla loro diffusione. Da questo tipo di letteratura, che continua nel sec. XVI ora la materia e ora per lo meno lo spirito della letteratura medievale, e il cui stile non è influenzato dal latino, non si staccano molto gli scritti di Marcin Bielski (1495-1575); e ad esso è legata ancora con molte fila l'opera fresca e viva del "padre della letteratura polacca" Mikolaj Rej (1505-1569): rappresentante tipico di quella nobiltà che con grande tenacia e sistematicità stava conquistando il posto dominante nello stato, che amava più gli usi e costumi patrî che quelli occidentali, che, infine, pur lontana dagli ideali umanistici, non poteva completamente sottrarvisi. Infatti l'attività di Rej si svolge in un periodo in cui in Polonia trionfa già l'umanesimo. Scrivendo esclusivamente in polacco, Rej più che una regola è un'eccezione. Accanto a lui, più vecchi gli uni, più giovani gli altri, è tutta una serie di poeti latini: Andrea Cricius-Krzycki (1482-1537), Giovanni Dantiscus-Dantyszek (1485-1548), prussiano borghese, Niccolò Hussovianus-Hussowczyk (morto dopo il 1533), autore di un interessantissimo Carmen de statura, feritate et venatione bisontis, il sensitivo e delicato Clemente Janicki, morto giovanissimo nel 1543, autore di elegie sinceramente commosse, il robusto polemista bilingue Stanislaw Orichovius - Orzechowski (1513-1566) e, infine, il poderoso e ardito propugnatore di riforme delle insane condizioni politiche e sociali Andrzei Fricius Modrevius - Frycz Modrzewski (1503-1572).
A questi si aggiunge il più grande poeta del "secolo d'oro", Jan Kochanowski (1530-1584), che, al pari del Janicki, assimilò a Padova la cultura del Rinascimento italiano. Ma oltre alla poesia latina Kochanowski coltiva, e con maggior talento ancora, il volgare; e sapendo ritrovare, quando gli occorre, anche gli accenti meno colti, cari al suo precursore Rej, unisce in sé, e potenzia con l'armonia umanistica del suo genio, le varie correnti della letteratura patria, la quale con le Pieśni (Canti) raggiunge il livello delle letterature nazionali d'Occidente e ha nei Treny (Lamenti) un'opera poetica di profonda umanità e di sorprendente modernità d'espressione. Contemporanei del Kochanowski sono: il felice rifacitore del Cortegiano Lukasz Górnicki (1527-1603), l'esperto petrarchista Mikolaj Sęp-Szarzyński (1580-1581) e molti altri. Gli scrittori del sec. XVI erano in maggioranza allievi di atenei italiani; altri invece legati alle varie correnti della Riforma che non solo nel campo teologico-polemico, ma anche in quello più strettamente letterario aveva promosso un'attività vivacissima, foriera di nuovi valori culturali: etici e artistici. Contro la Riforma, che nella schiera dei sociniani ("ariani" polacchi, antitrinitarî) ha avuto in Polonia anche rappresentanti italiani, e che intorno alla metà del secolo appare così forte da minacciare il carattere cattolico-romano della Polonia, si erge, dopo il concilio di Trento, la Controriforma che dà alla rinnovata chiesa polacca il talento teologico e organizzatorio del cardinale Osio (1504-1579), e alla letteratura polacca l'appassionata arte oratoria del gesuita Piotr Skarga (1536-1612) e l'opera tenace di Jakób Wujek (1540-1597) che sbaraglia le frammentarie versioni bibliche dei protestanti con la sua perfetta e completa traduzione dell'Antico e Nuovo Testamento.
Verso la fine del secolo e nei primi decennî del '600 le forze produttive vanno esaurendosi. La letteratura vera e propria non è più la ribalta su cui si agitano i grandi problemi etici, sociali, patriottici. Il contenuto si fa più meschino: didattico-descrittivo nel colto borghese Sebastjan Fabjan Klonowic (1545-1602); delicato, idillico nel versatile poeta della corte di Jan Zamojski, Simon Simonides-Szymon Szymonowicz (1558-1629). Ambedue poetano in latino e in volgare; unicamente poeta latino è invece l'"Orazio cristiano" Maciej Kazimierz Sarbievius - Sarbiewski (1595-1640), la cui fama, partendo da Roma e dalla Polonia, si estende per tutta l'Europa. Accenti più virili ritrova Piotr Kochanowski (1566-1620) che mette al servizio della missione cattolico-occidentale della Polonia il suo adattamento della Gerusalemme Liberata, completamente polonizzata nello spirito e nella forma.
In poco più di un secolo, quasi a riguadagnare con rapido sbalzo il tempo perduto, la letteratura polacca si affianca alle più grandi letterature occidentali. A onta dell'incrociarsi, sul suo suolo, anche tra il 1540 e il 1640, delle due correnti - quella indigena di impronta piuttosto medievale e quella colta importata da altri climi - essa presenta, se esaminata da lontano, un carattere omogeneo e compatto. La sua nota fondamentale è pur sempre quella che le deriva dal Rinascimento italiano, di cui essa si è completamente impadronita e che ha saputo assimilare in modo veramente mirabile. Ultimo esempio di profondo adattamento alle nuove aspirazioni etiche e artistiche di una letteratura imbevuta ancora degli ideali del Rinascimento è appunto il rifacimento geniale della Gerusalemme Liberata.
Nella seconda metà del secolo l'Italia resta ancora la principale fornitrice di temi letterarî e di stile (così al marinista Andrzej Morsztyn, 1613-1693, che è il principale rappresentante del barocco polacco; come a Samuel Twardowski, 1600-1660, autore, fra l'altro, del dramma pastorale Dafne destinato al teatro d'opera di Varsavia che ai tempi di Vladislao IV introduce in Polonia il melodramma italiano). Ma la Spagna (il racconto poetico Nadobna Paskwalina, L'avvenente P., dello stesso Twardowski) e anche la Francia cominciano a seguirla dappresso. Si giunge però, anche in questo periodo, sulla base del nuovo stato di cultura della nobiltà turbolenta e rissosa, a interessanti originali incroci tra elementi stranieri e elementi indigeni (nel poeta epico Wacław Potocki, 1625-1696; nelle gustose Memorie di Jan Chryzostom Pasek, 1630-1701). Letteratura, cultura e moralità si avviano però già verso la decadenza, e a risollevarne le sorti non basta, verso la fine del secolo, il patriottismo commosso e la profonda religiosità del poeta Wespazjan Kochowski (1633-1700).
Il regno dei due Sassoni è il periodo del più grande marasma della letteratura polacca: non una sola opera importante è stata pubblicata regnante Augusto II; mentre durante i 28 anni di malgoverno di Augusto III la storia letteraria, a parte le commedie scolastico-gesuitiche di Franciszek Bohomolec (1720-84), che fra l'altro molto deve al Goldoni, registra solo l'opera riformatrice, etico-politica e pedagogica, dello scolopio Stanislław Konarski (1700-1773). Il suo O skutecznym rad sposobie (1760-1763) e l'avvento al trono di Stanislao Augusto (1764) sono, anche nel campo letterario, il duplice segnale di riscossa. Pochi anni dopo, verso il 1780, un fervore letterario, che stranamente contrasta con il ristagno degli ultimi cent'anni, pervade di nuovo la Polonia. Fra i varî centri europei del movimento illuministico, quello di Varsavia diventa uno dei più fervidi e più operosi. Opere politiche, storiche, didattiche, poetiche vi si susseguono a brevissima distanza. Nella poesia, accanto al sagace imitatore dei Francesi Stanislaw Trembecki (1735?- 1812), al rifacitore di opere drammatiche, pure francesi, Franciszek Zabłocki (1750-1821), al sinceramente sentimentale poeta lirico Franciszek Karpiński (1741-1825), predomina il più anziano di tutti e il più attivo, il vescovo di Varmia Ignacy Krasicki (1735-1801), che con le sue lucide, argute, tecnicamente perfette Satire e Fiabe riporta la poesia polacca al livello su cui duecento anni prima l'aveva posta Kochanowshi, e con i suoi romanzi didattici fornisce anche le basi per il rinnovamento dclla prosa. Nella letteratura politica, resa più ricca e più acuta dall'imperante bisogno di giungere rapidamente a una radicale riforma delle infelici condizioni ereditate dal passato, in mezzo a una folla di oratori, polemisti, libellisti, si ergono le figure di Stanisław Staszyc (1755-1826) e di Hugo Kołłątaj (1750-1812).
La prima spartizione, svegliando gli spiriti assopiti, aveva dato un forte impulso al rinnovamento culturale; la seconda e la terza, pur cancellando dalla carta d'Europa la Polonia, non hanno potuto né distruggerlo, né arrestarlo: l'alto livello culturale e morale raggiunto dai collaboratori, diretti o indiretti, alla costituzione del 3 maggio 1791, è trasmesso intatto alle generazioni venture. Ci sarà naturalmente un breve periodo di disorientamento, e quasi di regresso. La poesia, sempre del resto sotto l'influsso della Francia, si cristallizzerà talvolta in forme vuote (ma troverà accenti di profondo patriottismo e di elevatezza morale in Jan Paweł Woronicz, 1757-1829, e in Julian Ursyn Niemcewicz, 1757-1841) e in luogo della letteratura politica si avranno l'erudizione filologica (il lessicologo Samuel Linde) e le scienze (i fratelli Śniadecki). Intanto, mentre ancora a Varsavia e negli altri centri della cultura polacca dominavano il pensiero e la letteratura francese, si inizia già, sin dagli ultimi decennî, un primo contatto con le letterature germaniche.
Le prime traduzioni dei poeti più in voga della letteratura inglese e tedesca (Pope, Young, Ossian, Gellert, Gessner e altri) giungono in Polonia di regola attraverso il loro adattamento francese al gusto dominante nel tardo '700, ma l'intensificarsi di contatti diretti (il Werther di Goethe, i drammi di Schiller) spiana pian piano la via alla penetrazione in Polonia di una letteratura nuova nello spirito e nella forma. Oltre agli Inglesi e ai Tedeschi anche poeti d'Italia anteriori al Rinascimento (Dante e Petrarca) e scrittori contemporanei francesi (Rousseau, Chateaubriand e altri) contribuiscono alla creazione di un'atmosfera letteraria che muove lentamente verso il romanticismo.
Ma, come avvenne anche in altri paesi a forte cultura classica, il romanticismo vinse solo tardi la sua battaglia, e Varsavia ancora intorno al 1820 era in pieno dominio dei classicisti (tragedia Barbara Radziwiłłówna di A. Feliński, 1771-1820). A smuoverli dalle loro posizioni non sarebbe stata sufficiente l'opera poetica e teorica del mite e in fondo conciliativo scrittore di origine galiziana Kazimierz Brodziński (1791-1835), se da Vilna, diventata proprio in quegli anni sotto la direzione del principe Adamo Czartoryski il centro più vivo della cultura polacca, non fosse partito all'assalto contro il predominio della ragione sul sentimento e contro il perpetuarsi di forme viete e vuote, l'appassionato e geniale poeta Adamo Mickiewicz (1798-1855), che confinato in Russia per la sua attività svolta a Vilna e vissuto poi in Germania, Italia, Svizzera e Francia, inaugura quella letteratura dell'emigrazione, in cui durante tre decennî la tormentata vita spirituale della Polonia tripartita trova la sua espressione poetica. A Mickiewicz fa eco, quasi contemporaneamente, un gruppo di poeti oriundi dalle zone orientali della Polonia: Antoni Malczewski (1793-1826), Józef Bohdan Zaleski (1802-1886), Seweryn Goszczyński (1801-1876), che alla letteratura polacca apporteranno una ricchezza d'immaginazione, un che di malinconico e morbido che appare peculiare alla terra dalla quale provenivano. Infatti questi giovani poeti cercano tutti un contatto immediato con la letteratura e la psiche popolari e quasi tutti si studiano di ritrarre il passato della loro patria. Non sempre però ci riescono, e talvolta cadono in una stilizzazione prettamente romantica e non proprio indigena (il modello principale è Walter Scott); ma tra passato e presente non c'era ai margini del mondo occidentale un divario così netto, come altrove; sicché il ravvivamento poetico del passato riesce spesso senza inciampi di artificio. Così pure l'esotismo, altrove più o meno oggetto di pura moda, appare qui sentito più direttamente, anche se talvolta attraverso innegabili impulsi e influssi di scrittori stranieri (Byron, Chateaubriand). Sempre profondamente sincera - sia che si diletti di ballate e romanze, sia che riviva in racconti poetici squarci di storia lituano-polacca; che ritragga, spiritualizzandole, impressioni di viaggi, o che, con un poema drammatico e visione biblica, assurga a poesia della speranza e della riscossa - l'arte di Mickewicz si svolge in parte anche all'infuori degli schemi romantici, pur non disdegnandone talvolta l'aspetto puramente esteriore. Più intimamente, essenzialmente romantico è invece il rivale di Mickiewicz Juljusz Słowacki (1809-49): temperamento estremamente sensitivo; rifuggente da ogni contingenza, anche se non di rado cerca di inserire la sua arte nei problemi politici e sociali della Polonia; tutto intento ad ascoltare e riprodurre il continuo fluire nel suo animo di visioni poetiche. Il terzo dei grandi poeti della Polonia romantica, Sigismondo Krasiński (1812-1859), pur avendo tempra più di pensatore che di artista, ha creato opere drammatiche di una grandiosità monumentale, e pur essendo profondamente radicato nel passato, ha saputo gettare sguardi profetici sull'avvenire.
Nella duplice essenza - d'un lato l'angoscioso rapporto tra libertà individuale e libertà nazionale, e il sublimarsi religioso, dell'una e dell'altra, nell'universo; d'altro lato la concezione messianistica della nazione polacca e della sua missione nel mondo - il romanticismo polacco è profondamente autoctono, perché dovuto alle speciali condizioni spirituali in cui i Polacchi, e specialmente quelli emigrati all'estero, sono venuti a trovarsi tra le due rivoluzioni: tra il 1830 e il 1863. Ma, naturalmente, esso non si esaurisce nella sola poesia: accanto ai poeti non pochi sono i narratori (Michal Czajkowski, 1804-1886; Józef Korzeniowski, 1797-1863; Henryk Rzewuski, 1791-1866), gli storici (Joachim Lelewel, 1786-1861), i critici (Maurycy Mochnacki, 1804-1834) e i filosofi (August Cieszkowski, 1814-1894, Karol Libelt, 1807-1875). Seguono, almeno in parte, le orme dei grandi romantici, i poeti più giovani: Wincenty Pol (1807-1872), Teofil Lenartowicz (1822-1893), Kornel Ujejski (1823-1897) e altri non pochi, mentre restano piuttosto fuori del movimento il più grande commediografo polacco Aleksander Fredro (1793-1876), l'originale agitatore poetico di problemi sociali Cyprjan Norwid (1821-1877) e il fecondissimo romanziere Józef Ignacy Kraszewski (1812-1887).
Con il 1863 - l'anno della seconda rivoluzione - può considerarsi chiuso il secondo grande periodo della letteratura polacca. Ai trent'anni di esaltazione poetica, spesso esasperata, succedono trent'anni di "disebbriamento", di riavvicinamento alla realtà, di lavoro "positivo", "organico", intorno ai molteplici problemi che più davvicino urgevano nella Polonia tripartita. Anche questo periodo postrivoluzionario è dominato dal patriottismo - e l'identità della nota fondamentale renderà meno sensibile il distacco dall'arte della generazione precedente -, ma diverso è il modo, come ora s'intendono gli obblighi della letteratura verso la patria. Si aggiunga inoltre il fatto che la letteratura romantica era in buona parte opera di emigrati e che rifletteva necessariamente stati d'animo di chi aveva dovuto, o aveva preferito, abbandonare la patria; mentre ora a cultura polacca, continuando anche l'opera - poeticamente più modesta, ma culturalmente non meno efficace e in ogni caso meglio corrispondente ai bisogni locali - svolta da coloro che erano rimasti nclle terre assoggettate alla Prussia, Russia e Austria, si accentra di nuovo nelle due capitali, Varsavia e Cracovia, e vi riprende un indirizzo che, a parte le eccezionali condizioni politiche, si può considerare normale. La censura, specialmente nelle terre sottoposte al dominio russo, faceva naturalmente sentire il suo peso su ogni manifestazione letteraria a sfondo politico; ma i letterati del tempo riuscivano spesso, con grande abilità, a eluderla con sapienti mascheramenti tecnici.
La nuova corrente non concreta subito un proprio programma, e solo tra il 1871 e il 1873 il giovanissimo Aleksander Şwiętochowski (1849, vivente) pubblica una serie di articoli che vengono accolti con entusiasmo e considerati quali manifesti programmatici dei "giovani". Agli ideali di diffusione della cultura e dell'istruzione delle masse, poteva naturalmente aderire meglio la prosa che non la poesia; e infatti, se si prescinde dai poeti Adam Asnyk (1838-1897) e Marja Konopnicka (1842-1910) che pure, in quanto il loro temperamento essenzialmente lirico glielo consentiva, si erano messi con entusiasmo al servizio dei nuovi postulati, predominano in quei decennî i prosatori: narratori nella Polonia russa, storici nella Polonia austriaca.
Fra i romanzieri e novellieri emergono Eliza Orzeszkowa (1841-1910) e Bolesław Prus (1847-1912): osservatori acuti - specialmente il Prus - della realtà, ricchi ambedue di un senso profondamente umano per gli umiliati e gli oppressi, e sensibili a ogni modificarsi e progredire di forme di vita, in modo particolare del mondo femminile. Vicino al Prus è il paziente e penetrante indagatore dell'uomo e della natura Adolf Dygasiński (1839-1902); tratti affini con la Orzeszkowa ha Marja Rodziewiczówna (1863, vivente). Da essi si staccano Enrico Sienkiewicz (1846-1916), che coi suoi grandi romanzi storici glorificanti il passato polacco vuole rincuorare i suoi compatrioti e tenere desta la loro fede in un avvenire migliore, e Józef Weyssenhoff (1860-1932), fine ironista e delicato interprete del paesaggio natio. Una revisione invece, su basi erudite e positivistiche, della concezione della storia patria, troppo esaltata, anche nei suoi difetti, dal romanticismo, propugna la scuola storica di Cracovia: Józef Szujski (1835-1883), Walerj an Kalinka (1826-1886), Michał Bobrzyński (1849) e gli storici della letteratura, Stanisław Tarnowski (1837-1917) e Antoni Małecki (1821-1913).
Come negli altri paesi, così anche in Polonia - e qui se mai più radicalmente che altrove - la fine del secolo muove all'attacco contro il positivismo. Ritornano in auge, portati da un'ondata fresca di spiritualismo, gl'ideali del romanticismo. Alla fredda ragione si contrappone di nuovo il sentimento, a ogni specie di collettivismo il diritto dell'individuo, alla scienza la fede, all'osservazione analitica del mondo esteriore l'indagine dell'anima e l'intuizione. Tutto ciò favorisce decisamente una ripresa della poesia, scalzata dal positivismo dal suo posto già dominante; e di una poesia che sia espressione di stati d'animo eccezionali, di un raffinato sentire, di un raccolto meditare. La forma esteriore, cui di nuovo è rivolta la massima cura, deve accompagnare, mettere in rilievo ogni più sommesso e più delicato fremito di poesia. Strumento duttile, agile nella mano del poeta deve essere la parola e il linguaggio in generale. Il tormento della creazione è considerato salutare.
Il primo impulso al rinnovamento della poesia giunge anche questa volta dall'estero, e ci si richiama volentieri ai francesi Baudelaire, Verlaine e Mallarmé e, fra gli Italiani, a D'Annunzio. Ma i giovani poeti polacchi avevano anche nella propria tradizione due modelli, insolitamente "moderni": Słowacki e Norwid. Di Słowacki si comincia a comprendere solo ora l'inesauribile genialità con la quale la sua poesia aderiva ai più lievi moti d'animo; a sua volta Norwid dovette attendere il principio del secolo XX per essere gradualmente scoperto e apprezzato. L'amor di patria ispira anche i nuovi poeti, che meno ancora dei loro immediati precursori, intendono accettare supinamente le tristi condizioni politiche del presente; l'avversione per ogni finalità pratica, il concetto antiutilitaristico dell'arte non offuscano e non eliminano dal loro animo il patriottismo, gli dànno soltanto un carattere più individualistico, più pensoso.
Due riviste: Zycie (Vita), pubblicata a Varsavia nel 1887-88, e, dal 1897, sotto altra redazione, a Cracovia; Chimera, edita a Varsavia nel 1901-907, e tre scrittori: Zenon Przesmycki (1861, vivente), Artur Górski (nato nel 1870, autore oltre che di articoli programmatici di un'approfondita interpretazione dell'opera di Mickiewicz: Monsalwat, 1908) e Stanislao Przybyszewski (1868-1927) sono all'avanguardia del movimento, che, dati i suoi presupposti, non pretende naturalmente di avere un carattere unitario. Col tempo anzi le divergenze tra i singoli scrittori si fanno tanto maggiori, quanto più forti sono le singole individualità che, provenienti da condizioni culturali diverse (Przybyszewski, ad es., avendo partecipato attivamente al decadentismo germanico, apportava nella letteratura polacca elementi nordici), si erano trovati, per breve tempo, uniti da una comunanza di aspirazioni artistiche.
Vano sarebbe, infatti, andare in cerca di una formula comune che valga per i tre più grandi poeti del periodo che si usa chiamare la "Giovine Polonia". Soffusa di un lirismo melanconico e, a tratti, tetramente pessimistica, è la delicata poesia di Kazimierz Tetmajer (1865, vivente); robusta, invece, e piena di un'inesauribile primitività, di un tenace ottimismo, che traspare anche nei momenti di disperazione e di protesta contro il creato, è tutta l'opera del grande poeta Jan Kasprowicz (1860-1926); infaticabile cercatore di forza, bellezza, armonia e calma interiore è Leopold Staff (1878) che, giovanissimo ai tempi della "Giovine Polonia", è tuttora, anche per la perfezione formale della sua poesia e per l'austera concezione che ha dell'arte, il modello inarrivabile dei poeti contemporanei.
Se le differenze tra i singoli poeti dell'epoca sono di già abbastanza sensibili, esse diventano fortissime, quando dai poeti si passi ai narratori e agli scrittori drammatici. Intimamente e indissolubilmente connessi coi problemi sociali della Polonia dell'anteguerra sono i numerosi romanzi e brevi racconti di Stefano Żeromski (1864-1925), la cui opera, considerata nel suo complesso, è il più tormentato esame di coscienza che mai scrittore abbia fatto della propria generazione. Meno legato ai problemi sociali e più incline a trascendere dall'individuale e collettivo all'universale è Władysław Reymont (1867-1925), che nel suo capolavoro Chłopi (I contadini) ha saputo conciliare il più elevato lirismo con la più suggestiva arte narrativa, creando così un'epopea che procede da una delle tradizioni più genuine e più originali della letteratura polacca: quella che ha per i suoi momenti più salienti il Pan Tadeusz di Adamo Mickiewicz e Ogniem i mieczem di Enrico Sienkiewicz. Cesellatore finissimo, ma nello stesso tempo costruttore di ampî quadri dei tempi contemporanei e del Medioevo gotico, nei quali egli proietta, con magistrale forza evocativa, l'eterna irrequietezza dello spirito umano, è il terzo grande prosatore dell'epoca Wacław Berent (nato nel 1873), tutto compreso della missione rigeneratrice dell'arte. Wacław Sieroszewski (nato nel 1858), eccelle nei racconti di vita siberiana che egli descrive con penetrazione psicologica e fluidezza di stile, mentre il già menzionato Tetmajer ha saputo evocare (Na skalnem Podhalu, "Sul P. roccioso") con esperta primitività di mezzi stilistici il mondo così originale dei Tatra. Completamente a parte, pur incidendo profondamente nella vita spirituale del principio del sec. XX, sta il battagliero St. Brzozowski (1876-1911), propugnatore di una revisione radicale dei valori sociali ed etici della cultura polacca contemporanea.
Nell'arte drammatica, come già nel passato, la Polonia appare, anche in questo periodo, meno ricca di veri talenti. Al repertorio corrente provvedono bensì, oltre a numerosi stranieri, anche drammaturghi nazionali quali Gabriela Zapolska (1860-1921) e Włodzimierz Perzyński (1878-1930), ma soltanto a Stanisław Wyspiański (v.) è stato concesso di raggiungere nel dramma, e a tratti di superarlo, il livello della lirica e del romanzo coevi. Pittore altrettanto geniale, quanto poeta, e nello stesso tempo temperamento squisitamente musicale, Wyspiański è autore di una serie di drammi - di argomento classico, patriottico-storico e contemporaneo - pervasi di un simbolismo e di un pathos che si concretano spesso in scene di una rara potenza. Fra i più giovani solo pochi (Jerzy Żuławski, Jan August Kisielewski, Karol Hubert Rostworowski e Tadeusz Rittner, autore anche di drammi tedeschi) sono riusciti in qualche momento ad avvicinarsi all'arte di Wyspiański, che, per quanti legami abbia con le tradizioni colte e popolari della letteratura polacca, appare in essa piuttosto isolata e singolare.
Benché negli ultimi due decennî prima della guerra la letteratura polacca avesse ripetutamente proclamato la propria indipendenza da qualsiasi tendenziosità o finalità che non fosse insita in lei stessa, pure essa è rimasta sempre, e inevitabilmente, un po' legata al problema fondamentale di tutte le forze nazionali: la libertà e unità della patria. Anzi alla letteratura era riservata in primo luogo, sino dal 1830, la missione di trasmettere da generazione a generazione la speranza e la fede in una prossima risurrezione. Nel 1919 con il ricostituirsi, dopo la guerra, della Polonia, la letteratura si trovò a essere liberata da un compito che, se anche nel campo politico e culturale le aveva dato una supremazia indiscutibile, era stato non di rado sentito come un peso da cui fosse necessario emanciparsi. Ma di fronte alla nuova realtà l'atteggiamento degli scrittori polacchi - legati, naturalmente, anche alle correnti più o meno contemporanee di altre nazioni: il futurismo italiano, l'espressionismo tedesco, il simbolismo russo, ecc. - è dapprincipio un po' incerto: da un lato si subisce gioiosamente l'invadente irruenza del mondo esteriore, soggiogati dal fascino che esso ormai liberamente esercita sugli animi; d'altro lato ci si abbandona, con voluttà, a un delicato e spregiudicato lavorio d'introspezione. Ne risulta una poesia alquanto tenue e lieve, ma briosa, insinuante, suggestiva, ricca di virtuosismi imprevisti. Tali appaiono soprattutto i versi di un gruppo di giovanissimi, riuniti a Varsavia già nel 1916 all'insegna del cabaret Picador e della rivista Pro arte, e dal 1920 collaboratori della rivista Skamander. Fiotti di poesia si riversano di nuovo sulla letteratura polacca; per alcuni anni le raccolte di versi superano quantitativamente e qualitativamente i volumi di prosa. C'è naturalmente in questa produzione affrettata molta zavorra, ma bisogna anche riconoscere che in Polonia non s'era mai visto un numero così grande di veri talenti lirici: dall'esuberante e sempre vario Juljan Tuwim (v.) al classicheggiante Jan Lechoń, dal melanconico Jarosław Iwaszkiewicz al cantore della vita sana e forte Kazimierz Wierzyński (v.), dal pacifista Antoni Slonimski alla deliziosa miniatrice Marja Pawlikowska (v.). E accanto ai poeti del gruppo Skamander ce ne sono molti altri, riuniti in altri cenacoli o indipendenti, la cui capacità espressiva è meno varia e meno brillante, ma la cui poesia ha, almeno in parte, un contenuto più profondo: così l'autore di Inni ricchi di umanità Józef Wittlin, lo "strapaesano" Emil Zegadłowicz, la religiosa e sensitiva Kazimiera Iłłakowiczówna. Né vanno taciuti i più anziani: non solo Leopoldo Staff, sempre sulla breccia, ma anche Bolesław Leśmian, Kornel Makuszyński, Maryla Wolska (v.) e altri ancora.
Se nella poesia l'eco della guerra e delle lotte per la liberazione è piuttosto scarsa, nell'arte narrativa non sono poche le opere che hanno rapporto diretto (romanzi e novelle di Juliusz Kaden Bandrowski, di Jerzy Kossowski, di Eugen Małaczewski, di Andrzej Strug) o indiretto (racconti della prigionia in Russia di Ferdinanto Goetel) con gli avvenimenti degli anni 1914-1919. Ma, naturalmente, in essi non si esaurisce l'attività di alcun prosatore contemporaneo. Così al già nominato Juljusz Kaden spetta il merito di avere per la prima volta rappresentato, con modernità d'intenti e di mezzi artistici, la vita dell'operaio nelle miniere polacche; e Ferdinando Goetel, oltre al racconto di avventure fantastico-reali, coltiva anche il romanzo psicologico. In quest'ultimo si sono distinti recentemente: Zofja Nałkowska, Michal Choromański, e i poeti Wierzyński e Iwaszkiewicz. Si allacciano invece a tradizioni passatiste le due feconde scrittrici: Marja Dąbrowska che ha ottenuto in questi ultimi anni un grande successo col suo romanzo di famiglia Noce i dnie (Notti e giorni) e Zofja Kossak-Szczucka che predilige il romanzo storico di tipo sienkiewicziano. Nel dramma, la solita povertà: oltre alla Nałkowska, esperta nella costruzione drammatica e fine nell'analisi dell'anima femminile, va citato solo Jerzy Szaniawski che, con ricca esperienza del teatro, porta sulle scene i problemi più vivi delle attuali generazioni (arte e vita, finzione e realtà, ecc.).
Da segnalare, infine, la grande dovizia di ottime versioni poetiche. Tale ricchezza riflette e rinsalda gl'intimi vincoli che legano la cultura letteraria della Polonia contemporanea con le letterature d'Oriente e d'Occidente, antiche e moderne. Fra i traduttori figurano nomi illustri anche nella poesia originale: Kasprowicz (Eschilo, Euripide, poeti inglesi), Przesmycki (Maeterlinck, poeti cèchi e italiani), Staff (Michelangelo, D'Annunzio), Tuwim (Puškin), Zegadłowicz (Faust), Wittlin (Omero). Grande poeta si è rivelato anche lo studioso di letterature neolatine Edward Porębowicz (v.) con la sua versione della Divina Commedia. Supera tutta la schiera dei traduttori in prosa la figura dell'infaticabile Tadeusz Boy Żeleński che da solo ha tradotto e pubblicato nella propria Biblioteca un centinaio di opere della letteratura francese: fra l'altro tutto Molière e quasi tutto Balzac. Boy Żeleński è anche il più acuto e il più ardito propugnatore di una revisione dei rapporti tra la letteratura polacca contemporanea e quella del passato.
A questa revisione collaborano anche, con molta dottrina, sicurezza di metodo e moderazione di giudizio, numerosi storici e critici della letteratura polacca. registrati nell'acclusa bibliografia.
Bibl.: Repertorî bibl.: K. Estreicher, Bibljografja polska, Cracovia 1870 segg., finora voll. 31 (opera monumentale, continuata da St. Estreicher e da una speciale commissione); G. Korbut, Literatura polska od początków do wojny światowej (Lett. pol. dalle origini sino alla guerra mondiale), 2ª ed., voll. 4, Varsvia 1929-31 (fondamentale).
Opere generali: M. Wiszniewski, Historja literatury polskiej, voll. 10, Cracovia 1840-1857 (antiquata, ma consultabile ancora per la grande ricchezza di materiale); A. Mickiewicz, Les Slaves, voll. 3, Parigi 1849; id., Les Slaves, cours professé au Collège de France, 1842-44, 2ª ed., Parigi 1914 (la parte dedicata alla lett. pol. è la più preziosa, anche se il giudizio vi è spesso tendenzioso e la documentazione insufficiente); St. Tarnowski, Historja literatury polskiej, 6 parti in 7 voll., Cracovia 1900-1907; P. Chmielowski, Hist. lit. pol., voll. 6, Varsavia 1900 (2ª ed., vol. I a cura di St. Kossowski, Leopoli 1914); R. Pilat, Hist. lit. pol. (corso universitario; postumo), 1ª ed., II-IV, Leopoli 1907-11; 2ª ed., vol. I in due parti a cura di L. Bernacki e St. Kossowski, Cracovia 1926; A. Brückner, Dzieje literatury pol. w zarysie (Compendio di storia della lett. pol.), 3ª ed., voll. 2, Varsavia 1921; Dzieje lit. pięknej w Polsce (Storia delle belle lettere in Polonia), in Encyklopedja Polska, Wyd. Akad. Umiej. (Enc. pol. ediz. dell'Accad. delle scienze), voll. 2, di W. Bruchnalski, A. Brückner, Br. Chlebowski, I. Chrazanowski, T. Grabowski, Br. Gubrynowicz ecc., Cracovia 1918; K. Wojciechowski, Dzieje lit. pol., 3ª ed., Leopoli 1930; A. Brückner, Geschichte der poln. Lit., 2ª ed., Lipsia 1922; J. Kleiner, Polnische Lit., in Handbuch der Literaturwissenschaft ed. da O. Walzel, Potsdam 1929; R. Dyboski, Periods of Polish literary history, Londra 1927.
Opere abbraccianti periodi diversi; miscellanee; saggi sintetici: A. Brückner, Dzieje kultury polskiej (Storia della cultura pol.), voll. 3, Cracovia 1930-32 (fondamentale; giunge sino al 1830; le opere letterarie vi sono studiate sotto l'aspetto culturale); I. Chrzanowski, Hist. lit. Polski niepodleglej (Storia letteraria della Polonia indipendente), con testi, 10ª ed., Varsvia 1930: St. Dobrzycki, Hist. lit. pol., I, Poznań 1929 (sino al 1795); J. Kleiner, Zarys dziejów lit. pol. (Compendio della st. della lett. pol.), I, Leopoli 1932 (sino al 1795); J. Kleiner, Zarys dziejów lit. pol. (Compendio della st. della lett. pol.), I, Leopoli 1932 (sino al 1795); Wiek XIX. Sto lat myśli polskiej (Il sec. XIX. Cent'anni di storia del pensiero pol.), a cura di Br. Chlebowski, I, Chrzanowski, H. Galle ecc., voll. 9, Varsavia 1906 segg.; Br. Chlebowski, La littérature polonaise au XIXe siècle, a cura di M. Kridl, Parigi 1933; J. Ujej′ski, Dzieje polskiego mesjanizmu (Storia del messianismo pol.), Leopoli 1931; T. Sinko, Echa klasyczne w lit. pol. (Echi classici nella letteratura polacca), Cracovia 1923; J. Kleiner, Studja z zakresu literatury i filozofji (Studî di lett. e filosofia), Varsavia 1925; R. Pollak, Pagine di cultura e di lett. pol., Roma (1929); W. Borowy, Kamienne rękawiczki i inne studja i szkice literackie (I guanti di pietra ed altri studî e saggi lett.), Varsavia 1932; Z. L. Zaleski, Attitudes et destinées, faces et profils d'écrivains polonais, Parigi 1932; G. Mayer, Caratter patriottico e tendenze universali della lett. pol., Roma 1930.
Singoli periodi: J. Birkenmajer, Zagadnienie autorstwa "Bogurodzicy" (Chi è l'autore della B.), Gniezno 1935; W. Nehring, Altpolnische Sprachdenkmäler, Berlino 1886; J. Loś, Początki piśmiennictwa polskiego (Inizî della lett. pol.), 2ª ed., Leopoli 1922; A. Brückner, Literatura religijna w Polsce średniowiecznej (La lett. religiosa nella Polonia medievale), tre parti, Varsvia 1902-04; Kultura Staropolska (Cult. ant. pol.), Cracovia 1932 (opera collettiva; la cultura polacca del sec. XVI vi è studiata sotto tutti gli aspetti); St. Windakiewicz, Teatr polski przed powstaniem sceny narodowej, Cracovia 1927; T. Grabowski, Literatura aryańska w Polsce (Lett. ariana in Polonia), Cracovia 1908; id., Lit. luterska w Polsce XVI w. (Lett. luterana nella Polonia del sec. XVI), Poznań 1920; K. Kolbuszewski, Postyllografía pol., Cracovia 1921; St. Tarnowski, Polscy pisarze polityczni XVI w. (Scrittori politici pol. del sec. XVI), voll. 2, Cracovia 1886; M Brahmer, Petrarkizm w poezji pol. XVI w., Cracovia 1927; J. Krzyżanowski, Romans polski w. XVI, Lublino 1934; K. Badecki, Literatura mieszcaṅska w Polsce XVII w. (Lett. borghese nella Polonia del sec. XVII), Leopoli 1925; I. Chrzanowski, Z. dziejów satyry pol. w XVIII w. (Intorno alla storia della satira pol. nel sec. XVIII), Varsavia 1909; K. Wojciechowski, Wiek oświecenia (L'epoca dell'illuminismo), Leopoli 1926; L. Bernacki, Teatr, dramat i musyka za St. Augusta, voll. 2, Leopoli 1925; M. Szyjkowski, Myśl Rousseau w Polsce XVIII w. (Il pensiero di Rousseau nella Polonia del sec. XVIII), Cracovia 1914: id., Ossjan w Polsce, in Rozprawy Ak. Um., n. 52, Cracovia 1912; id., Schiller w Polsce, Cracovia 1915; K. Wojciechowski, Werter w Polsce, 2ª ed., Leopoli 1925; M. Zdiezchowski, Byron i jego wiek (Byron e la sua epoca), voll. 2, Cracovia 1894-97; St. Windakiewicz, W. Scott i lord Byron w odniesieniu do polskiej poezji romantycznej (W. Sc. e lord B. in rapporto alla poesia romantica polacca), Cracovia 1914; id., Poezya romantyczna, Cracovia 1912; St. Brzozowski, Filozofja romantyzmu polskiego (La filosofia del romanticismo pol.), Leopoli (1924); J. Krzyżanowski, Polish romantic literature, Londra 1930; G. Sarrazin, Les grands poètes romantiques de la Pologne, Parigi 1906; I. Chrzanowski, Z epoki romantyzmu. Studja i szkice, Cracovia 1918; St. Kossowski, Wśród romantyków i romantyzmu (In mezzo ai romantici e il romanticismo), Varsavia (1916); St. Pigoń, Z epoki Mickiewicza. Studja i szkice, Leopoli 1922; M. Zdziechowski, Mesjaniści i Słowianofile, Cracovia 1888; T. Grabowski, Krytyka literacha w Polsce w epoce romantyzmu (1831-1863), Cracovia 1931; K. Wojciechowski, Przewrót w umysłowości i literaturze polskiej po roku 1863 (La rivoluzione intellettuale e letteraria in Polonia dopo il 1863), Varsavia 1928; A. Drogoszewski, Pozytywizm polski, Leopoli 1931; W. Feldman, Współczesna lit. polska (Lett. pol. contemporanea), 8ª ed., completata da St. Kołaczkowski, Cracovia 1930; A. Potocki, Polska lit. wspólczesna, voll. 2, Varsavia 1912; S. Brzozowski Legenda Młodej Polski (La leggenda della Giovine Polonia), Leopoli 1909; J. Topass, Visages d'écrivains, Les aspects du roman polonais, Parigi 1930; St. Brzozowski, Współczesna powieść polska (Il racconto pol. contemporaneo), Stanisławów s. a.; K. Krejčí, Polská literatura ve vírech revoluce (La lett. pol. nei vortici della rivoluzione), Praga 1934; K. Czachowski, Obraz wspólczesnej literatury polskiej 1884-1933) (Quadro della lett. pol. contemporanea), voll. 2, Leopoli 1934; L. Pomirowski, Nowa literatura w nowej Polsce (La nuova lett. nella nuova Polonia), Varsavia 1933; E. Damiani, I narratori della Polonia d'oggi, Roma [1929]; W. Giusti, Aspetti della poesia polacca contemporanea, Roma 1931.
Testi: Bibljoteka pisarzów polskich (Bibl. di scrittori pol.), testi antichi ed. criticamente dalla Acc. delle scienze di Cracovia, fnora voll. 83); Bibljoteka Narodowa, raccolta di testi con commentarî, e studî introduttivi (red. St. Kot), finora 121 voll.; Bibljoteka Wielka, finora più di 150 voll.; Humanizm i Reformacja w Polsce, wybór źródel dla ćwiczeń uniwersyteckich (Umanesimo e riforma, scelta di fonti per esercitazioni universitarie), a cura di I. Chrzanowski e St. Kot, Leopoli 1927.
Antologie: W. Borowy, Old Kochanowskiego do Staffa, Antologja liryki polskiej (Da K. a St., Antol. della lir. pol.), Leopoli 1930; St. Lam. Polska literatura współczesna, Poznań 1924; Novellieri polacchi, a cura di St. Olgierd, Milano 1929; Antologia della poesia contemporanea polacca, a cura di G. Cau e di O. Skarbek-Tłuchowski, Lanciano 1931; Lirici della Polonia d'oggi, a cura di Maria e Marina Bersano-Begey, Firenze (1933); I nostri Quaderni. Fascicolo dedicato alla Polonia (5 puntate), Lanciano, maggio-novembre 1927; L. Scherlag, Polnische Lyrik, Zurigo (1923); Sovremmenye pol'skie poety (Poeti polacchi contemporanei), presentati da S. Kulakovskij, trad. in russo da M. Chromanski, Berlino [1929].
Riviste: Pamiętnik literacki (Memorie letterarie), trimestrale, fondato a Leopoli nel 1902, da W. Bruchnalski, Br. Gubrynowicz e E. Porębowicz; attualmente sotto la red. di L. Bernacki, W. Bruchnalski e I. Crzanowski, finora 31 voll.; Ruch literacki (Movimento lettearrio), mensile, fondato a Varsavia nel 1926 da Br. Gubrynowicz, ora redatto da P. Gregorczyk, finora 9 voll.; Wiadomości literackie, settimanale, Varsavia 1924 segg.; Studî letterari vengono pubblicati anche da altre riviste di carattere culturale: Przegląd Współczesny (Rassegna contemporanea), Przegląd Powszechny (Rassegna generale), Myśl narodowa (Pensiero nazionale), ecc.
Sulla produzione letteraria dei singoli anni informa ottimamente il Rocznik literacki (Annuario letterario), Varsavia, finora 2 voll., 1932, 1933.
Storia del diritto.
I. Le fonti del diritto polacco fino alla fine del sec. XVIII. - Il diritto polacco si sviluppò, fino al sec. XIV, quasi esclusivamente con carattere di diritto consuetudinario; e quantunque, a principiare dal sec. XIV, l'attività legislativa aumentasse sensibilmente, il diritto consuetudinario conservò una grande importanza fino alla caduta dello stato polacco. Questo diritto consuetudinario ci è reso noto, prima, dai documenti, e in seguito, dai registri dei tribunali. Gli originali dei documenti sono stati conservati fin dai primordî del sec. XII, prevalentemente negli archivî ecclesiastici, nonché nelle numerose raccolte di copie. Carattere di una grande raccolta di copie di documenti aveva la cosiddetta Metrica Regni, vale a dire, i registri della cancelleria reale, nei quali venivano registrati i documenti emanati dal sovrano; tuttora si conservano i numerosi volumi della Metrica a datare dall'anno 1447, tenuta dal sec. XVI in poi con grande cura. I formularî (quelli più antichi sono del sec. XV) non presentano in Polonia grande importanza per la scienza. I registri dei tribunali polacchi, tenuti con grande cura dai varî tribunali di ogni specie, furono conservati sin dalla fine del sec. XIV e comprendono un immenso numero di volumi; essi vengono custoditi, non solo negli archivî di Varsavia, Cracovia, Poznań, Leopoli, Vilna, Lublino, che si trovano sul territorio dell'odierno stato polacco, ma anche a Danzica e a Kiev. Le raccolte del diritto consuetudinario non erano numerose; la più antica proviene dalla seconda metà del sec. XIII, e venne redatta in tedesco, sul territorio soggetto all'Ordine Teutonico, allo scopo di far conoscere agli impiegati dell'ordine il diritto vigente per la popolazione polacca, domiciliata sui territorî appartenenti all'ordine. Tra le raccolte posteriori hanno maggiore importanza: gli Artykuły sądowe (Articoli dei tribunali) del sec. XV (39 articoli) e le Consuetudines Cracovienses (40 articoli), che furono sanzionate dal re nel 1506. All'infuori di alcuni minori statuti anteriori, gli Statuti del re Casimiro il Grande furono il primo monumento legislativo del diritto polacco di grande entità. Non si conosce la data della loro promulgazione (anticamente essa veniva erroneamente fissata al 1347). Essi furono promulgati da re Casimiro (1333-1370) separatamente per la Piccola e per la Grande Polonia. Alla redazione più antica dello statuto per la Piccola Polonia, composto di 59 articoli, vennero aggiunti in seguito, in una seconda redazione (di 106 articoli), le sentenze pregiudiziali e altri statuti sciolti; lo statuto per la grande Polonia contava 34 articoli, ai quali si aggiunsero più tardi altri 17 articoli, aventi vario carattere giuridico. In pratica, durante il sec. XV, i due statuti in parola venivano uniti in un'unica opera; una di queste redazioni (di 151 articoli) fu stampata nell'anno 1488, in una raccolta privata, e in seguito, nel 1506, in una raccolta ufficiale delle leggi polacche, e, quest'ultima redazione sembra che sia stata in vigore fino alla caduta dell'antica repubblica; tale raccolta era considerata (erroneamente) quale codificazione omogenea di Casimiro il Grande. Nel sec. XV, gli statuti si pubblicavano in numero abbastanza rilevante; tra questi hanno soprattutto importanza lo statuto, pubblicato a Warta nell'anno 1423, che non è altro, se non una "novella" agli statuti di Casimiro il Grande, e lo statuto, pubblicato a Piotrków nell'anno 1447. Dal giorno in cui sorse la dieta polacca, la legislazione passô per la maggior parte delle materie ad essa, per alcune materie però era riservata allo stesso sovrano. Le leggi emanate dalla dieta portavano il nome di costituzioni; alla chiusura della dieta, tutti i decreti emanati da essa venivano pubblicati insieme, sotto forma di una sola raccolta. La pubblicazione delle prime costituzioni porta la data dell'anno 1493, la pubblicazione delle ultime, quella del 1793.
Nel sec. XVI appaiono le prime correnti dirette a codificare il diritto polacco. Nell'anno 1523 venne pubblicata la codificazione del processo giudiziario, sotto il titolo Formula processus iudicarii (101 articoli). Nel 1532 venne istituita una commissione per la codificazione dell'intero diritto polacco; la dieta ne respinse però il progetto,, accuratamente compilato e contenente 929 articoli. Nello stesso secolo venne pure codificato per ben due volte il diritto particolare di una regione polacca, e precisamente quello della Masovia, la quale formò fino all'anno 1526 un ducato a . parte, dimostrando particolarità giuridiche alquanto diverse; detto diritto venne codificato, dopo l'incorporazione della Masovia alla Polonia nei cosiddetti Statuti Masoviani degli anni 1532 e 1540, mentre venivano inseriti nella codifcazione in parola un'ampia raccolta di diritto consuetudinario e 25 statuti antecedenti dei duchi masoviani. Nell'anno 1598, venne pure codificato, sebbene in modo insufficiente, il diritto vigente nella regione polacca, detta Prussia Reale; questa codificazione porta il nome di Correctura Prussiae (158 articoli). L'opera di codificazione nel granducato di Lituania, unito alla Polonia fin dall'anno 1386, ebbe maggiore successo; durante il sec. XVI il diritto vi venne codificato per ben tre volte, e, precisamente, nei cosiddetti Statuti lituani, il primo dell'anno 1529 (244 articoli), il secondo del 1566 (368 articoli) e il terzo del 1588 (1488 articoli); questi statuti erano basati sui diritti consuetudinarî lituano e ruteno. Nel secondo di essi, però, si può già rilevare un influsso considerevole del diritto polacco, nel terzo poi questo influsso appare anche più forte. Le opere posteriori per la codificazione del diritto polacco, sia parziale (il diritto processuale nel 1611 e nel 1642), sia totale (progetto compilato nell'anno 1778 da Andrea Zamoyski, per incarico della dieta), non condussero a nessun risultato. Solo nell'anno 1775 venne pubblicato un piccolo (49 articoli) Codice di diritto cambiario (unitamente alla procedura cambiaria), basato sull'opera di Giovanni Gotlieb Heinecius, Elementa iuris cambialis, alla quale era stato attribuito il carattere di diritto ausiliario. Bisogna rilevare che, nell'anno 1519, il re promulgava lo Statuto Armeno (134 articoli), basato sull'antico diritto armeno e principalmente sulla raccolta di esso, fatta in Armenia circa l'anno 1184 da Mechitar Gosh; questo diritto era in vigore per gli Armeni, stabilitisi in assai grande numero nelle città della Polonia orientale.
La prima edizione delle leggi polacche, privata e assai insufficiente, venne pubblicata a Lipsia nell'anno 1488 ed è nota sotto il titolo di Syntagmata; nel 1506, il cancelliere Giovanni Łaski pubblicò, per incarico della dieta, un'ampia raccolta di leggi polacche, intitolata Inclyti Regni Poloniae commune privilegium, e rimasta in uso fino al termine dell'esistenza dell'antico stato polacco. Da quell'epoca le costituzioni emanate dalla dieta venivano abitualmente date alla stampa, alla chiusura della dieta. Negli anni 1732-1739, sotto il titolo Volumina Legum, venne pubblicata in sei volumi una raccolta non ufficiale delle leggi polacche, raccolta completata in seguito da altri due volumi, che contengono le costituzioni ulteriori, fino all'anno 1782.
Dal sec. XVI in poi, si incominciò a raccogliere le norme del diritto polacco nei cosiddetti Compendi, sia sistematicamente (Przyłuski 1553, Zierakowski 1554, Palczowski 1555, Herburt 1563, Sarnicki 1594, Januszowski 1600, Trembicki 1789-1791, ecc.), sia alfabeticamente (Herburt 1570). L'insieme del diritto politico polacco venne compilato dai seguenti autori: Dresner (1613), Chwałkowski (1676), Hartknoch (1678), Zalasżowski (1700-1702, anche il diritto privato e penale), G. Lengnich (1742-1756, il più completo), Skrzetuski (1782-1784). Si dedicarono specialmente al processo: Dresner (1601), il Czaracki (1614) che scriveva in polacco, e soprattutto, in una forma più ampia il Zawadzki (1612), il quale ampliò le numerose edizioni seguenti (fino all, anno 1647) e, per ultimo, il Nixdorff (1655). La compilazione del diritto privato, penale processuale, negli ultimi tempi dell'esistenza dell'antica repubblica polacca, è dovuta all'Ostrowski (1784).
II. Il diritto pubblico fino alla caduta dell'antica repubblica polacca. - È alla fine del sec. X e durante il sec. XI, che i primi sovrani della dinastia dei Piasti completarono l'organizzazione dello stato polacco, prendendo per modello le istituzioni statali dell'Europa occidentale, basate sull'organismo statale della monarchia franca. Questi modelli servirono anzitutto di base per l'organizzazione degli uffici ducali, a capo dei quali stava il comes palatinus (chiamato in seguito in polacco wojewoda); sostituto del comes era il podkomorzy (subcamerarius), quindi venivano il cancelliere, il tesoriere, il giudice, il panettiere (stolnik), il siniscalco (cześnik), ecc. L'organizzazione provinciale era basata sui castelli, a capo dei quali stavano i comites castellani, chiamati in seguito castellani (in polacco: kasztelani). Il duca aveva un potere assoluto. Lo stato era considerato proprietà della dinastia regnante dei Piasti; il sovrano lo divideva tra i figli (con esclusione delle figlie), e in caso di mancanza di figli poteva trasmettere il suo territorio a uno qualsiasi dei suoi parenti maschi, che fosse unito a lui da legami di parentela dal lato maschile. Solo nel sec. XIII si ammise la possibilità della trasmissione del territorio ai figli o ai mariti delle femmine, appartenenti alla dinastia regnante. Con l'anno 1138, la Polonia si divise in una serie di ducati particolari, a capo dei quali, in virtù del testamento di Boleslao Boccatorta (Krzywousty), era stato costituito quale granduca (princeps) uno solo tra i suoi eredi. L'istituzione del princeps sparì però nella metà del sec. XIII.
Boleslao Chrobry (1024) fu il primo a cingere la corona regale, dopo averne ottenuto il consenso del papa; dopo di lui si incoronarono, il suo successore immediato Mieszko II (1025), figlio di Boleslao Chrobry, quindi, dopo un intervallo, Boleslao il Temerario (1075), e in seguito, il duca della grande Polonia, Przemysław II (1295). Dall'incoronazione di Ladislao Łokietek (1320), tutti i sovrani compirono l'atto dell'incoronazione, secondo la formula ad coronandum regem, presa dall'Ordo Romanus, e modificata alquanto in seguito.
L'organizzazione sociale differiva da quella dell'Europa occidentale per il fatto che la Polonia non ammetteva il sistema feudale, sebbene la divisione della società polacca avesse una configurazione analoga. Durante i secoli XI-XIV nasce in Polonia la casta nobiliare, caratterizzata dal ius militare, che corrisponde al feudo; le terre però venivano conferite ereditariamente, iure militari, ed erano soggette alle norme ordinarie dell'eredità; non vi era gerarchia feudale, ma tutti i milites dipendevano direttamente dal re. In base ai privilegi accordati dai sovrani a principiare dal sec. XII, sorsero gli stati: quello ecclesiastico (dotato di importanti privilegi generali negli anni 1211 e 1215) e quello nobiliare. Lo stato della borghesia appare nel sec. XIII, e questo fatto rimane in relazione con la fondazione delle città sul modello di Magdeburgo. I beni del duca, della chiesa e della nobiltà militare erano abitati da una popolazione libera e non libera, dalla quale prese origine, nel sec. XIV, uno strato intermedio di popolazione contadina, personalmente libera, ma priva della facoltà di possedere la terra.
Estintasi (nell'anno 1370) la dinastia dei Piasti, Luigi l'Ungherese divenne re in virtù degli accordi stipulati con Casimiro il Grande. Il grande privilegio (privilegium terrestre) promulgato da questo sovrano a Košice nel 1374, divenne la base dell'ulteriore sviluppo dell'importanza della nobiltà. Quando, dopo la morte di Luigi (nel 1382), il trono passò a sua figlia Edvige, venne raggiunta, mercé il matrimonio di questa principessa con Jagellone (Jagiello) granduca di Lituania, l'unione della Polonia con la Lituania, unione solo personale. I figli di Jagiello e della sua quarta moglie non avevano diritto ereditario al trono; il primogenito di loro, Vladislao, fu il primo monarca polacco eletto personalmente; fintanto che vissero però i discendenti di Jagiello, essi vennero sempre eletti al trono, per non troncare i legami d'unione con la Lituania. L'elezione veniva effettuata formalmente da tutta la nobiltà, ma in pratica, essa dipendeva dal consiglio del re. Il governo dello stato, definito Corona Regni Poloniae, era tenuto dai funzionarî centrali, istituiti verso la fine del sec. XIV e al principio del sec. XV, detti funzionarî della corona e funzionarî di corte, tra i quali erano primi: il maresciallo della corona, il cancelliere della corona, il sottocancelliere della corona, il tesoriere della corona e il maresciallo di corte, tutti facenti parte del consiglio sovrano. Gli antíchi funzionarî centrali dell'epoca della dinastia dei Piasti si mutarono in funzionarî provinciali, prevalentemente onorarî, giacché il carattere di funzionarî provinciali effettivi era riservato (dopo la sparizione dei castellani), dal sec. XIV in poi, agli "starosta" (capitanei). L'organizzazione sociale era quindi basata sulla divisione della società in classi. Tra queste, due sole raggiunsero una situazione potente, vale a dire, il clero e la nobiltà, la quale ottenne una serie di privilegi (negli anni: 1386, 1388, 1422, 1425, 1430, 1433, 1454). Detti privilegi garantivano alle due classi su menzionate l'esonero dalle imposte che superassero la quota stabilita nel privilegio del 1374, la libertà personale (neminem captivabimus nisi iure victum) sino dal 1422, la non punibilità, senza previa sentenza del tribunale (sino dall'anno 1425), ecc. La borghesia non acquistò maggiore influenza. I contadini, a principiare dalla fine del secolo XV, vennero sottomessi al dominio dei signori, in virtù del divieto di lasciare senza la loro autorizzazione la terra, e mercé lo sviluppo della giurisdizione patrimoniale. Queste riforme erano strettamente collegate con lo sviluppo dell'economia rurale dei signori; ai contadini erano imposte le corvate per la coltivazione delle terre padronali, e i limiti di tali corvate aumentavano a misura delle maggiori esportazioni del grano polacco, che seguivano la via della Vistola fino a Danzica, e da Danzica erano dirette ad Amsterdam. La nobiltà e il clero acquistavano nel frattempo influenza sul governo dello stato, non potendo il re imporre contribuzioni di sorta, senza il consenso della nobiltà. Nel sec. XV questo consenso veniva accordato dai comízî della nobiltà, che si radunavano in provincia, comizî chiamati dietine. La dieta non sorse che nel 1493; era formata da due camere: dal consiglio del re - chiamato più tardi senato, composto di vescovi, voivodi, castellani e dei cinque più alti funzionarî della corona e di corte - nonché dalla camera dei deputati, i quali venivano eletti nelle dietine dalla nobiltà. All'inizio, facevano parte della dieta anche i deputati delle città più grandi, ma in seguito, ne vennero esclusi. La dieta, oltre alle imposte, decretava col consenso regio anche le leggi dette costituzioni; i limiti della competenza fra sovrano e dieta non erano strettamente definiti; il re non doveva promulgare senza l'assenso della dieta alcuna legge, la quale potesse ledere i diritti della nobiltà (costituzione dell'anno 1505, chiamata Nihil novi).
Estintasi nel 1572 la dinastia dei Jagelloni, con la morte di Sigismondo Augusto, sotto il regno del quale venne raggiunta l'unione reale con la Lituania, si consolidò in pieno in Polonia il principio dell'eleggibilità del sovrano. All'elezione prendeva parte tutta la nobiltà, convenendo all'uopo in gran numero nei dintorni di Varsavia (la cosiddetta elezione viritim). Il re, appena eletto, giurava i cosidetti articuli, contenenti quasi i principî costituzionali dello stato, nonché i pacta conventa, che comprendevano gl'impegni personali del sovrano (in seguito gli articuli vennero inclusi nei pacta conventa). Negli articuli dell'anno 1573 si trovava la risoluzione (detta articulus de non praestanda oboedientia), che autorizzava la nobiltà a rifiutare di ubbidire al sovrano, qualora questi infrangesse le leggi, previa triplice ammonizione. Nella pratica, questo caso non è mai occorso. Purtuttavia, a principiare dalla seconda metà del sec. XVII, la nobiltà formava talvolta le cosiddette confederazioni, le quali, qualora avessero compreso lo stato intero, si consideravano al disopra del sovrano.
Il potere legislativo passò quasi interamente alla dieta, la quale era comune per la Polonia e per la Lituania, e, che si radunava col titolo di dieta ordinaria ogni due anni per la durata di sei settimane, e che, inoltre, in caso di necessità, veniva convocata dal re per la durata generalmente di due settimane. La dieta era però fortemente subordinata alle dietine, le quali davano ai deputati eletti le loro istruzioni. Un grave difetto della dieta era causato dal fatto che essa era tenuta a decretare all'unanimità (nemine contradicente); nella seconda metà del sec. XVII il principio dell'unanimità veniva ampliato ancora, al punto che, durante le sedute della dieta, bastava un solo deputato per opporsi alla continuazione delle deliberazioni di essa, e, perfino, per scioglierla (liberum veto). La dieta vi rimediava talvolta, accettando il principio della cosiddetta confederazione; nei quali casi essa decretava per maggioranza.
La dieta dava pure l'indirizzo politico allo stato, opponendosi spesse volte alla politica del sovrano. Dall'anno 1573 quattro senatori erano tenuti a trovarsi a turno ogni trimestre presso la persona del sovrano, che nel governare doveva ricorrere al loro consiglio; questi senatori, detti "senatori residenti", non vincolavano troppo la libertà d'azione del re. Ciò che limitava il potere esecutivo del sovrano era il fatto, che i funzionarî erano nominati a vita, e potevano venire revocati solo mercé un procedimento giudiziario, nel caso di violazione dei proprî doveri. Un'ulteriore limitazione del potere regale va connessa con l'istituzione, nell'anno 1775, del consiglio permanente, i cui 36 membri venivano eletti dalla dieta per la durata di due anni; detto consiglio decretava per maggioranza di voti; al re spettava un voto solo, e un secondo, nei casi di parità di voti. Non vi è a quell'epoca nessun cambiamento importante nell'organizzazione degli uffici; il granducato di Lituania continuava a possedere uffici proprî. Nel campo del potere giudiziario fu effettuata una vantaggiosa riforma nell'anno 1578, con l'istituzione del tribunale della corona (in Lituania nel 1581), quale suprema corte d'appello. Questo tribunale, che funzionava in modo stabile, era composto da deputati nobili ed ecclesiastici, i primi eletti dalle dietine, i secondi dai capitoli.
Queste norme dell'organismo statale della repubblica polacca furono sanzionate nelle leggi cardinali degli anni 1768 e 1775, garantite a loro volta nei trattati con la Russia. Ciò non toglie, che esse fossero state già in precedenza oggetto di critica da parte della letteratura politica dell'epoca. Si reclamavano riforme (Stanislao Karwicki 1708, Stanislao Leszczyński 1733, Stanislao Konarski 1761-1764); dopo la prima spartizione della Polonia la critica aumentò ancora (Stanislao Staszic, Ugo Kollataj). Finalmente, la dieta detta dei Quattro anni (1788-1792) incominciò a introdurre delle riforme, coronate definitivamente dalla promulgazione della costituzione del 3 maggio 1791. Sebbene il pensiero politico inglese e specialmente quello francese (Montesquieu, Rousseau, Mably) avessero influito su questa riforma, essa nacque però anzitutto dalla cognizione dei difetti della vigente organizzazione statale. Contrariamente a ciò che succedeva in Francia - dove si tendeva alla limitazione del potere sovrano - in Polonia il potere del re venne rinforzato mercé l'istituzione della sua ereditarietà e mercé l'attribuzione al sovrano del potere esecutivo; venne abolito in pari tempo l'articulus de non praestanda oboedientia, e, seguendo il modello inglese, introdotto il principio della non responsabilità del sovrano, con la responsabilità simultanea dei ministri controfirmatarî degli atti emanati dal re. Nelle diete si abolirono il liberum veto e l'unanimità, sostituendo quest'ultima col riconoscimento del principio della maggioranza (assoluta o relativa). In quanto alle condizioni della popolazione, la costituzione conservò la divisione di essa in classi, migliorando però sensibilmente le condizioni della borghesia, a cui riconobbe la facoltà di acquistare la terra, quella di ricoprire alcune cariche, nonché alcuni diritti civici. La popolazione rurale fu posta sotto la protezione della legge, limitando con ciò, senza abolirlo tuttavia, il potere patrimoniale. La promulgazione della costituzione, che garantiva il rinforzamento dello stato, accelerò la seconda spartizione della Polonia (1793) e la nuova costituzione, decretata sotto la pressione della Russia, si rifece agli antichi principî; essa non ebbe però il tempo di entrare pienamente in vigore, giacché, nel 1795, sopraggiunse la terza spartizione della Polonia.
III. Il diritto privato, penale e processuale fino alla caduta dell'antica repubblica polacca. - Questi diritti si svilupparono, valendosi di elementi presi dal diritto slavo antico e dimostrano quindi, per un lungo periodo di tempo, forti analogie in particolare coi diritti boemo e ruteno. Il diritto privato polacco era basato originariamente sul principio della proprietà della stirpe, sebbene la cosiddetta zadruga (domicilio e produzione comune della famiglia), esistente presso gli Slavi meridionali, apparisse in Polonia solo in via eccezionale. La proprietà individuale benché già sviluppata nel Medioevo, era vincolata dal divieto di alienare la proprietà della stirpe. Ai consanguinei era riconosciuto il diritto di prossimità (ius proximitatis): essi potevano rientrare in possesso dei beni immobiliari della stirpe, che fossero stati alienati, in base al ius retractus (abolito solo nel 1768). Quantunque già nel sec. XIII apparisca il testamento, non si potevano legare beni ereditati. Nel diritto famigliare, le donne e i figli erano fortemente subordinati all'autorità del padre o del marito. Il diritto matrimoniale, in quanto al regime dei beni, era basato sul principio, che la famiglia della sposa costituiva una dote in danaro al marito, e questi garantiva detta somma sulla metà dei proprî beni immobiliarî, e contemporaneamente, ne garantiva un'altra di uguale entità, quale dotalitium; nel caso della morte del marito, la vedova conservava questi beni immobiliari a titolo di assegno vedovile (reformatio), salvo il caso che passasse ad altre nozze. Nei tempi più recenti, gli sposi solevano abitualmente stipulare a vicenda un vitalizio reciproco. Il diritto quello sulle cose, e quello delle obbligazioni - aveva un carattere di diritto agrario; il diritto delle obbligazioni era poco sviluppato, la circolazione dei beni resa difficile, le transazioni riguardanti i beni immobiliari dovevano venire fatte presso il sovrano o presso il tribunale; più tardi esse vennero iscritte nei registri dei tribunali.
Nel diritto penale venne conservato per molto tempo il principio dell'autodifesa, che appare principalmente nel caso di omicidio, sotto la forma di vendetta cruenta, compiuta dalla famiglia cui apparteneva l'ucciso sulla famiglia dell'uccisore (responsabilità collettiva, responsabilità della stirpe). Dal sec. XIV in poi questo principio venne limitato dallo stato, ma, fino al sec. XVI troviamo delle rimanenze, che portano però il carattere di vendetta individualizzata. Originariamente la famiglia rispondeva anche dei delitti pubblici; questa responsabilità fu limitata da Casimiro il Grande, ma per alcuni reati rimase in uso fino alla fine del sec. XVIII (nei casi di tradimento, crimen laesae maiestatis). Era pure nota la responsabilità collettiva territoriale (le cosiddette "opola", vicinia, città, villaggi). Solo dal sec. XV si sviluppa il concetto della colpa soggettiva. Nei primissimi tempi, la pena veniva stabilita secondo la legge del taglione. Dal sec. XII in poi, ne occupa il posto il principio delle composizioni (pene pecuniarie). A partire dalla fine del sec. XV, le pene cominciarono ad acuirsi, venne introdotta la pena della torre (prigione), ma non si arrivò mai al punto di estendere le pene a seconda della teoria dell'intimidazione (con eccezione delle città, dove, sotto l'influenza del diritto tedesco, ivi in vigore, quest'ultima teoria era applicata). Già nel sec. XVI vi sono tentativi di emendare il delinquente; la teoria dell'emenda agisce nel sec. XVIII, sotto l'influenza di C. Beccaria e di G. Filangieri. Il diritto penale polacco, basato su poche prescrizioni legislative, ha dimostrato sempre di avere molti elementi arcaici.
Il diritto processuale si è pure sviluppato partendo da elementi di diritto slavo antico e solo a principiare dal sec. XIII vi si scorgono influssi del diritto canonico. Fino alla fine del sec. XIV il processo terminava con la sentenza e l'esecuzione di essa incombeva all'attore. L'esecuzione per parte dello stato ha preso piede solo nel sec. XV. Il processo venne codificato attraverso la Formula processus iudicarii dell'anno 1523, e su questa Formula esso si basò da allora in poi. Il processo era pubblico e orale (la citazione soltanto dal sec. XIV in poi doveva essere redatta per iscritto, se si trattava della nobiltà terriera). La struttura formalistica, originariamente abbastanza sviluppata, si indebolì nell'epoca più recente. Originariamente il processo era unico, tanto per le cause civili quanto per le penali; il processo penale era alquanto diverso solo in certi minimi particolari. Nel processo penale vigeva pure il principio accusatorio; l'istruzione d'ufficio abbracciava solamente i reati più importanti. Quali prove in giudizio servivano: i giudizî di Dio fino al principio del sec. XIV (duellum, aquae calidae, aquae frigidae, examen fari), il giuramento e i testimonî, i documenti e i registri (questi ultimi principalmente nell'epoca moderna). L'appello venne introdotto nell'anno 1523.
IV. Il diritto sul territorio polacco durante le spartizioni. - Dopo le spartizioni della Polonia, la Prussia e l'Austria introdussero subito nei territorî acquistati le loro istituzioni amministrative e le loro leggi. L'Austria, la quale tra la fine del sec. XVIII e il principio del sec. XIX stava procedendo alla codificazione del suo diritto, spesso soleva provare i nuovi codici innanzitutto sul territorio polacco (in Galizia). La Russia invece introdusse pochi cambiamenti, e mantenne in vigore fino al 1840 il III statuto lituano dell'anno 1588, formato prevalentemente dal diritto polacco. Durante questo periodo sorsero tuttavia sulle terre polacche tre stati, aventi carattere polacco, cioè: il ducato di Varsavia (1807-1815), il regno di Polonia detto del Congresso (1815-1831) e la Città Libera di Cracovia (1815-1846). Quest'ultimo stato però, limitato alla città di Cracovia e ai suoi dintorni, retto da una costituzione impostagli dai tre paesi spartitori e affidato alla protezione di essi, non ebbe grande importanza per lo sviluppo del diritto. Il ducato di Varsavia fu fondato da Napoleone e da lui dotato di una costituzione, modellata sulle altre costituzioni che sorgevano sotto la sua influenza; essa s'avvicinava maggiormente alla costituzione del regno di Vestfalia del 1807. Ne era segno caratteristico il fatto della sua impostazione sul principio della libertà e dell'uguaglianza di fronte alla legge; le istituzioni parlamentari, in quanto alla loro forma, erano basate sui modelli polacchi, la dieta però non aveva che un campo d'azione assai limitato (bilancio, leggi usate nei tribunali). L'organizzazione dell'amministrazione era strettamente modellata su quella francese (divisione in dipartimenti e distretti, con prefetti e sottoprefetti a capo, il consiglio di stato, quale organo avente il compito di preparare i progetti di legge, e anche quale tribunale di cassazione, amministrativo e di competenza). In materia di diritto civile s'introdusse nel 1808 il codice di Napoleone del 1804, in seguito anche il codice commerciale francese e la procedura francese; anche i tribunali furono organizzati sul modello francese.
Il congresso di Vienna trasformò nel 1815 il ducato di Varsavia, dopo averne alquanto diminuiti i confini, nel regno di Polonia, offerto ad Alessandro I, il quale nello stesso anno lo dotò di una costituzione. Questa costituzione, affine a quella del ducato di Varsavia, era purtuttavia più liberale; riconosceva alcuni diritti civici, ampliava notevolmente la competenza della dieta; l'organizzazione delle autorità amministrative fu stabilita sul principio della collegialità. Le leggi civili francesi, introdotte durante l'esistenza del ducato di Varsavia, rimasero nei tribunali; ma in luogo del primo libro del codice napoleonico, venne pubblicato un nuovo (il cosiddetto codice polacco dell'anno 1825); nel 1818 venne pubblicato il codice penale. Il regno di Polonia, dopo l'insurrezione del 1830, perdette la sua autonomia, diventando una provincia russa; venne abolita la costituzione e con essa la dieta; rimasero però delle speciali istituzioni amministrative, abolite soltanto negli anni che seguirono l'insurrezione del 1863 - e principalmente nell'anno 1867; nel 1876 l'organizzazione dei tribunali venne sostituita da una nuova organizzazione sul modello russo; nello stesso anno venne pure introdotta la procedura civile e penale russa, nonché il diritto penale russo; il codice di Napoleone e il codice commerciale francese, però, rimasero in vigore fino al giorno della ricostituzione della Polonia.
V. Il diritto nella repubblica polacca (19I8-1934). - La prima dieta dopo la ricostituzione della Polonia convocata da Piłsudski per il 2 febbraio 1919, proclamò il 20 febbraio successivo la cosiddetta "piccola costituzione", contenente i più importanti principî provvisorî dell'organizzazione statale. La costituzione completa venne proclamata il 17 marzo del 1921: essa introduceva il regime democratico, che garantiva la legislazione, nonché la direzione dell'attività e dello stato alla dieta e al senato, con prevalenza della dieta; i componenti delle due camere erano eletti sulle basi più ampie, la carica di presidente fu limitata quasi esclusivamente alle funzioni di rappresentanza. Un cambiamento nella costituzione ebbe luogo solo dopo il colpo di stato, fatto da Piłsudski (13 maggio 1926): la legge del 2 agosto 1926 segna la data di questo cambiamento. Poco dopo ebbero inizio i lavori sulla nuova costituzione, promulgata recentemente.
Sul territorio dello stato continuavano ad essere in vigore le leggi, lasciate dagli stati invasori. Subito, quindi, furono intrapresi i lavori per l'unificazione del diritto. Tra gli anni 1919-1920 venne introdotta un'unica organizzazione delle autorità amministrative, nel 1933 venne unificata l'organizzazione autonoma delle città e dei villaggi. Con una serie di leggi vennero pure unificati il diritto amministrativo e il sistema tributario. Onde unificare i diritti in uso nei tribunali, venne istituita una speciale commissione codificatrice. Nel 1925 entrò in vigore il nuovo codice sulle cambiali, nel 1929 il nuovo processo penale, nel 1932 il codice penale, nel 1933 il nuovo processo civile, nel luglio 1934 il codice commerciale e il codice sulle obbligazioni; restano ancora da codificare il diritto sulle cose e il diritto sul matrimonio e sulla famiglia.
Bibl.: Si indicano solo le opere più recenti, che concernono le parti principali del diritto polacco: St. Kutrzeba, Historja żródel dawnego prawa polskiego (Storia delle fonti dell'antico diritto polacco), voll. 2, Leopoli 1926; id., Historja ustroju Polski (Storia dell'organizzazione statale della Polonia), voll. 4, di cui il 1° (7ª ed., Cracovia 1931), contiene il diritto pubblico dell'antica repubblica fino alla fine del sec. XVIII, il 2° il diritto pubblico del granducato di Lituania, il 3° ed il 4° l'organizzazione statale dei territorî polacchi durante le spartizioni (le prime edizioni del vol. I sono tradotte in russo e in tedesco); id., Dawne polskie prawo sądowe w zarysie (Compendio dell'antico diritto giudiziario polacco), I: Diritto penale; II: Procedura giudiziaria, 2ª ed., Leopoli 1927; O. Balzer, Historja ustroju Polski. Przegląd wykładów uniwersyteckich (Storia dell'organizzazione statale polacca. Sunto dei corsi universitarî), 3ª ed., Leopoli 1922; P. Dąbkowski, Polskie prawo prywatne (Il diritto privato polacco), voll. 2, Leopoli 1910-1911; ne esiste un riassunto, Zarys prawa polskiego prywatnego (Saggio del diritto privato polacco), 2ª ed., Leopoli 1922; W. Komarnicki, Ustrój państwowy Rzeczypospolitej Polskiej (L'organizzazione statale della Repubblica di Polonia), 2ª ed., Varsavia 1934; J. Makarewicz, Polskie prawo karne (Diritto penale polacco), parte generale, Leopoli 1919; J. Rafacz, Dawne polskie prawo karne (L'antico diritto penale polacco), Varsavia 1931; id., Dawny proces polski (L'antico processo polacco), Varsavia 1925; R. Taubenschlag, Prawo karne polskiego średniowiecza (Il diritto penale del Medioevo polacco), Leopoli 1934; id., Proces polski XIII i XIV wieku (Il processo polacco nei secoli XIII e XIV), Leopoli 1927. Dette opere contengono per la maggior parte un'ampia bibliografia monorafica.