Monaco, cardinale, dottore della Chiesa (Ravenna 1007 - Faenza 1072). Dopo aver studiato arti liberali, nel 1035 si ritirò nell'eremo camaldolese di Fonte Avellana. Asceta ed erudito, contrario a ogni radicalismo nel movimento per la riforma della Chiesa, sostenne la collaborazione tra papato e Impero e criticò aspramente la corruzione del clero.
Nacque da una famiglia estremamente povera, tanto che la madre, in un primo momento, l'abbandonò. Educato dalla sorella Roselinda e dal fratello Damiano (e da ciò forse Petrus Damiani), poiché era rimasto orfano in giovanissima età, P. D. compì studi in arti liberali a Ravenna, a Parma e a Faenza; nel 1035 si ritirò nell'eremo camaldolese di Fonte Avellana, in cui l'influenza del modulo ascetico di s. Romualdo era fortissima. Da questo eremo si diffuse la fama della sua personalità di asceta e di uomo colto: fu richiesto quale oratore dall'abate di Pomposa; fu invitato in altri monasteri dell'Italia centrale. Priore di Fonte Avellana nel 1043, salutò con gioia l'intervento di Enrico III a Sutri contro il papato simoniaco entrando di fatto nella cerchia del gruppo riformatore della Chiesa che avrebbe avuto in Ildebrando la sua punta più avanzata. Cardinale vescovo di Ostia sotto Stefano IX (1057), appoggiò decisamente l'elezione di Niccolò II (1059) contro Benedetto X. Contrario a ogni radicalismo nel movimento per la riforma della Chiesa, fu inviato a Milano insieme con Anselmo da Baggio (futuro Alessandro II) per tentare una mediazione tra l'arcivescovo Guido da Velate e i patarini di Arialdo. Il successo della missione, di cui P. D. inviò una relazione a Ildebrando, fu di breve durata; più positivo e felice fu l'intervento netto e deciso di P. D. a fianco di Alessandro II contro l'antipapa Onorio II (il vescovo di Parma Cadalo), riuscendo a sottrargli, anche con l'aiuto di Annone di Colonia, l'appoggio del giovane re Enrico IV. Fautore, nonostante la crisi sempre più convulsa dei rapporti tra i due poteri, di una collaborazione stretta tra papato e impero; sospettoso verso le nuove forme cenobitiche vallombrosane, protese a una presenza attiva del monaco nelle cose del mondo; sostanzialmente diffidente di fronte alle proteste di correnti religiose popolari (nel 1063 a Firenze assolse dall'accusa di simonia il vescovo Pietro), P. D. alternò gli ultimi anni della sua vita tra il ritiro eremitico e le missioni compiute a favore della Chiesa (nel 1063 a Cluny, per difendere la congregazione; nel 1069 a Magonza per dissuadere Enrico IV dal ripudiare Berta di Torino; nel 1072 a Ravenna per definire la questione dell'interdetto scagliato da Roma contro l'arcidiocesi a causa dell'appoggio fornito a Cadalo). Nella notte tra il 22 ed il 23 febbraio 1072, di ritorno dalla missione ravennate, moriva nel monastero di S. Maria degli Angeli in Faenza. Festa, 21 febbraio (fino al 1970, 23 febbraio). Fu proclamato dottore della Chiesa da Leone XII il 1º ottobre 1828.
Nella nutrita produzione teologica, canonistica, monastica di P. D. (opuscoli, lettere, sermoni, anche se questi ultimi non sono più tutti attribuibili a lui, in quanto almeno 19 sono opera di Nicola di Clairvaux) si possono distinguere due centri di interesse: uno propriamente eremitico-monastico; un altro più generale teologico-ecclesiastico. Convinto della superiorità dello stato di vita monastico e all'interno di esso di quello eremitico, P. D. propone un modello di vita ascetico-eremitica sostanzialmente nuovo nelle sue strutture per l'Occidente. Infatti la vita eremitica, cui P. D. ritiene possa accedersi senza il tramite di una permanenza obbligata nel cenobio, è continuo affinamento della propria spiritualità che trova un parametro per la sua ascesa in una regolamentazione dell'eremitismo unica nella storia monastica occidentale. Tale regolamentazione non deve essere, nelle intenzioni di P. D., incentivo alla «immobilitas» spirituale in cui erano cadute molte delle esperienze cenobitiche a lui contemporanee, ma stimolo a un progresso ascetico ulteriore: di qui il carattere elastico delle due regole eremitiche damianee e la testimonianza di durissime prove di ascesi nell'ambito dell'eremitismo di Fonte Avellana e dei monasteri ed eremi collegati con esso (non però propriamente congregazione monastica, al momento in cui visse P. D.). Nell'ambito teologico-ecclesiastico, P. D. si mostra sensibilissimo alla problematica sacramentaria dibattuta ai suoi tempi: così, nel Liber gratissimus si manifesta decisamente ostile alla cassazione delle ordinazioni simoniache e all'iterazione dell'ordinazione stessa; così come si dichiara convinto della validità dei sacramenti impartiti dai sacerdoti indegni. Rigidissimo nei confronti della corruzione dei costumi del clero, di cui ci ha lasciato una testimonianza impressionante nel Liber Gomorrhianus, P. D. è però sostanzialmente incline al recupero del clero tralignante, anziché alla sua condanna definitiva, distinguendosi in ciò dall'altro grande della riforma ecclesiastica, Umberto di Silvacandida. Altre opere teologiche in senso stretto sono il De fide catholica, l'Antilogus contra Iudaeos, il De bono suffragiorum, il De divina omnipotentia, ecc.