scaldo Cultore (dal norreno skald «poeta») della forma poetica (detta appunto scaldica) che fiorì presso le corti dell’Europa settentrionale (particolarmente in Islanda), tra la metà del 9° e il 13° secolo. Lo s., che storicamente continua il poeta di corte del tempo delle grandi invasioni barbariche, era un poeta occasionale, non professionale, un uomo libero, spesso di stirpe nobile o regale (più di un re in Norvegia fu s. egli stesso), esperto nelle armi, che il talento e lo studio poetici facevano accogliere nel seguito del re. Si esibiva in solenni occasioni presso le diverse corti, riscuotendo onore e successo per l’abilità nel recitare, anche carmi altrui, e soprattutto per l’originalità delle proprie composizioni, rompendo in tal modo la tradizione di anonimità della letteratura nordica antica. È del 13° sec. una lista degli s. vissuti alle piccole corti regali e comitali di Norvegia, Danimarca e Svezia; fino al 1300 sono noti i nomi di 240 scaldi.
Il carme scaldico è forma poetica caratterizzata da un’estrema preziosità stilistica; di lunghezza varia (da una a parecchie decine di strofe), adotta di preferenza il dróttkvaett («metro del seguito del re») e segue rigide norme metriche e compositive che, ormai codificate, sono state trasmesse dall’Edda di Snorri. Caratteristico è l’uso della kenning, sorta di immagine metaforica, spesso ricorrente, formata dall’accostamento di due o più termini semanticamente distinti (per es.: «lacrime delle ferite», il sangue; «pelle del mare», il ghiaccio). Nata probabilmente come poesia encomiastica, la poesia scaldica sviluppò con minuto descrittivismo una vasta gamma di temi (amore, viaggio, battaglia, vendetta ecc.), dando spazio anche a riflessioni su questioni di retorica e di poetica.